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Legislatura IX - Progetto di legge (testo presentato : concluso/decaduto)

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Oggetto n. 5417
Presentato in data: 09/04/2014
"Disposizioni per la valorizzazione delle eccellenze agroalimentari della Regione Emilia-Romagna". Iniziativa del Consigliere: Grillini (09 04 14)

Presentatori:

Consigliere Franco Grillini.

Relazione:

RELAZIONE

 

Relazione illustrativa.

 

Nel mese di dicembre 2013, la Coldiretti ha coinvolto i suoi soci in una iniziativa che utilizzava lo slogan “La battaglia di Natale: scegli l’Italia” e ha diffuso un dossier dal quale emerge che sulle tavole italiane il cibo Made in Italy è in continua diminuzione.  Conterrebbe materie prime straniere il 33 per cento della produzione totale dei prodotti agroalimentari venduti in Italia e esportati con il marchio Made in Italy.

 

Il problema dell’insufficiente tutela delle produzioni agroalimentari italiane è complesso, mentre di estremo allarme sono i danni provocati all’economia, al lavoro, alla qualità dei prodotti, ma anche alla cultura della tradizione alimentare italiana. Proprio tale tradizione, sintetizzata nel marchio Made in Italy, per il suo immenso valore di mercato attrae l’importazione di materie prime di minor qualità al fine di risparmiare per poi poter vendere il prodotto finito con l’etichetta Made in Italy che si riferisce (unicamente) al luogo di confezionamento.

 

La denuncia della Coldiretti contro gli inganni del finto Made in Italy, all’insaputa dei consumatori e a danno delle aziende, rivela che due prosciutti su tre venduti come italiani provengono da suini allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta si ottiene da grano che non è stato coltivato in Italia e la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o cagliate straniere.

 

Più in dettaglio, fanno riflettere i seguenti dati: in Italia arriva dall’estero un quantitativo di agrumi freschi pari al 14 per cento della produzione nazionale a cui si aggiungono oltre trecento mila quintali di succhi concentrati utilizzati nelle bevande all’insaputa dei consumatori perché in etichetta - sottolinea la Coldiretti - viene indicato solo il luogo di confezionamento. La maggioranza del succo di arancia consumato in Europa, poi, proviene dal Brasile sotto forma di concentrato al quale viene aggiunta acqua una volta arrivato nello stabilimento di produzione, a differenza di quanto avviene per la spremuta. Nel pomodoro da industria l’Italia importa semilavorati industriali prevalentemente da Cina e Stati Uniti pari a circa il 20 per cento della propria produzione, senza alcuna indicazione sulla reale provenienza in etichetta. Il risultato sono i bassi prezzi pagati agli agricoltori e il crollo del raccolto che nel 2013 è risultato essere il più scarso degli ultimi dieci anni.

 

In Italia, inoltre, sono stati consumati 2,05 milioni di tonnellate di latte a lunga conservazione ma di questi solo mezzo milione è di provenienza italiana mentre il resto è stato semplicemente confezionato in Italia o addirittura arrivato già confezionato. Ad essere importati sono anche semilavorati come le cagliate, polvere di latte, caseine e caseinati che vengono utilizzati per produrre all’insaputa del consumatore formaggi di fatto senza latte. Il falso Made in Italy colpisce anche i formaggi più tipici con la crescita esponenziale delle importazioni di similgrana dall’estero (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia) per un quantitativo stimato in 83 milioni di chili che fanno concorrenza sleale a Grana Padano e Parmigiano Reggiano ottenuti nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione.

 

Secondo Coldiretti, l’Italia è anche il più grande importatore mondiale di olio di oliva nonostante una produzione nazionale di alta qualità che raggiunge quota 400 mila tonnellate. Le importazioni di olio superano la produzione nazionale e sono rappresentate per il 30 per cento da prodotti ottenuti da procedimenti di estrazione non naturali (olio di sansa, olio lampante e olio raffinato) destinati alla lavorazione industriale in Italia. In pratica la qualità del nostro olio viene impoverita dalle importazioni e in media la metà dell’olio di oliva che consumiamo proviene da olive straniere, ma l’etichetta di provenienza, che per questo prodotto è obbligatoria, risulta di fatto non leggibile perché scritta in caratteri artatamente minuscoli posizionati nel retro della bottiglia mentre si fa largo uso di immagini e nomi che richiamano all’italianità.

 

Nell’ultimo anno sono stati allevati in Italia 615 mila suini in meno, sostituiti dalle importazioni di carne dall’estero per realizzare falsi salumi italiani di bassa qualità, con il concreto rischio di provocare danni irreparabili per i prelibati prodotti nazionali, dal culatello di Zibello alla coppa piacentina, dal prosciutto di Parma, alla mortadella di Bologna. La chiusura forzata degli allevamenti è stata causata dall’impossibilità di coprire i costi di produzione per i bassi prezzi determinati dalle importazioni dall’estero di carne di bassa qualità per ottenere prosciutti da vendere come Made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in modo chiaro in etichetta la provenienza. In Italia, nel 2012, sono state importate 57 milioni di cosce di maiali dall’estero destinate ad essere stagionate o cotte per essere servite come prosciutto italiano, a fronte di una produzione nazionale di 24,5 milioni.

Sulla base dei dati EFSA, la Coldiretti riporta che l’Italia ha il primato in Europa e nel Mondo della sicurezza alimentare con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), inferiori di 5 volte rispetto alla media europea (1,5 per cento di irregolarità) e di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità), mentre l’80 per cento degli allarmi alimentari è stato provocato da prodotti a basso costo provenienti da Paesi fuori dall’Unione Europea, nell’ordine Cina, India e Turchia ma anche Usa, Spagna, Thailandia, Polonia e Brasile. Paesi dai quali l’Italia importa grossi volumi di prodotti.

Attualmente in Italia l’obbligo di indicare la provenienza è in vigore per carne bovina (dopo l’emergenza “mucca pazza”), pollo (dopo l’emergenza aviaria), ortofrutta fresca, uova, miele, latte fresco, passata di pomodoro, olio extravergine di oliva, ma ancora molto resta da fare e l’etichetta è anonima per circa la metà della spesa dalla pasta ai succhi di frutta, dal latte a lunga conservazione ai formaggi, dalla carne di maiale ai salumi fino al concentrato di pomodoro e ai sughi pronti.

Correttamente, gli agricoltori e gli allevatori chiedono alle istituzioni e alla politica che sia data completa attuazione alle leggi nazionali e dell’Unione europea che prevedono l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti e che sia sostenuta la trasparenza come importante valore aggiunto.

 

La Regione, nell’ambito delle sue competenze, non può sottrarsi dal dare una risposta immediata e efficace, che sia in grado di preservare (e in alcuni casi recuperare) la forza della propria tradizione agroalimentare, per difendere un’espressione della cultura regionale e italiana, ma soprattutto per sostenere l’economia e l’occupazione. Le misure da attuarsi non devono essere lette come interventi protezionistici, ma – nel rispetto dei principi della libera circolazione delle merci in ambito UE - devono rappresentare una legittima garanzia del vero Made in Italy e, nel caso concreto della nostra Regione, del “Made in Emilia - Romagna”.

Il presente progetto di legge intende tutelare, in particolare, le eccellenze agroalimentari di cui la nostra Regione è molto ricca. L’Emilia Romagna vanta il primato italiano del maggior numero di prodotti a marchio D.O.P. (Denominazione di Origine Controllata) e I.G.P. (Indicazione Geografica Tipica) con 36 prodotti d’eccellenza. Alcuni prodotti emiliano -romagnoli, come il Parmigiano-Reggiano, il Grana Padano e il Prosciutto di Parma sono, in assoluto, i prodotti a denominazione più conosciuti e venduti, in Italia e all’estero. Accanto a tali prodotti o alle specialità tradizionali garantite (STG) che hanno un pedigree riconosciuto anche in sede europea, ve ne sono tanti altri che per la ridotta quantità della produzione o per l’appartenenza a una tradizione produttiva più locale non hanno ancora riconoscimenti, ma che sono eccellenti, di altissimo valore alimentare, economico e culturale. Ad essi la Regione deve assicurare tutela rispetto alle falsificazioni e una politica di promozione e informazione, al pari delle altre eccellenze agroalimentari. L’adozione delle predette misure deve anche contribuire a sostenere lo sviluppo del mercato locale, la cui importanza fondamentale è riconosciuta in ambito UE. Nel Libro Verde sulla qualità dei prodotti agricoli del luglio 2011 (parr. 3.1. e 3.1.1.), ad esempio, la Commissione europea ha rilevato che i mercati regionali e locali e le filiere corte racchiudono  un  potenziale  che  finora  non  è  stato  sufficientemente valorizzato, in quanto possono contribuire, ad esempio,  allo  sviluppo  del  territorio  con effetti positivi sull’ambiente  e  consentire l’accesso  ad  un’ampia  gamma  di  prodotti  tradizionali, legati alla storia e allo stile di vita locale; possono migliorare  il  reddito  dei  produttori e  garantire  la sopravvivenza di un grande numero di aziende grazie soprattutto a margini più alti, a minori costi  di  trasporto  e  a  una  maggiore  autonomia  nei  confronti  del  settore  agroindustriale.

La creazione e l’attribuzione di un marchio di qualità alle eccellenze alimentari regionali è uno degli strumenti attraverso il quale questa proposta di legge intende contribuire a realizzare il programma innanzi illustrato. Come ha sottolineato, infatti, la Commissione europea nel c.d. “pacchetto qualità” del 2011, la domanda di prodotti di qualità con denominazione d’origine o indicazione geografica protetta è sensibilmente più alta, procurando ai loro produttori profitti superiori a quelli garantiti da prodotti generici.

Il citato pacchetto qualità ha portato all’adozione del Regolamento del 21 novembre 2012, n. 1151 (CE) sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, che ha rivisto la disciplina dei regolamenti D.O.P., I.G.P. e S.T.G., abrogando i precedenti regolamenti (nn. 509 e 510 del 2006, che a loro volta avevano sostituito i regolamenti nn. 2081 e 2082 del 1992). Tuttavia, come riportato nella relazione al Regolamento, le analisi d’impatto di entrambi i regimi (indicazioni geografiche e specialità tradizionali garantite) hanno evidenziato che nessuno dei due è stato in grado di stimolare la partecipazione dei produttori molto piccoli; nonostante si siano spesso associati alla produzione artigianale, a metodi tradizionali e alla commercializzazione in ambito locale, i regimi dell’Unione europea sono ritenuti gravosi da applicare e richiedono controlli costosi. Prima di risolvere tale specifica situazione, la Commissione si è riservata di svolgere ulteriori studi e analisi per valutare i problemi incontrati dai piccoli produttori che partecipano ai regimi di qualità dell’Unione. In funzione dei risultati la Commissione potrebbe proporre l'adozione di misure opportune.

È noto che la Commissione europea e la Corte di giustizia hanno sostenuto che la competenza in materia di registrazione di denominazioni di origine e di indicazioni geografiche dei prodotti agroalimentari è di esclusiva competenza dell’Unione, osteggiando le numerose iniziative nazionali e regionali introduttive di segni distintivi dell’origine territoriale, in vario modo disciplinati, considerandoli contrari al principio di libera concorrenza di cui agli artt. 34 del TFUE e 28 del TCE, in quanto suscettibili di favorire i prodotti nazionali a scapito di quelli provenienti da altri Stati membri. Tuttavia, la Corte ha riconosciuto la possibilità di stabilire denominazioni geografiche nazionali che possono godere di una grande reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori, stabiliti nei luoghi che esse designano, un mezzo essenziale per costituirsi una clientela (sentenze Corte di giustizia dell’8 settembre 1992, causa C-3/91, Exportur Sa c. Lor Sa e Confiserie du Tech; 7 novembre 2000, causa C-312/98, Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft e V c. Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG). Il fondamento giuridico del riconoscimento e della tutelabilità delle indicazioni di provenienza come tali (cd. indicazioni geografiche semplici), in quanto suscettibili di svolgere una funzione utile in favore dei produttori e dei consumatori, è individuata nella normativa dell’Unione in materia di libertà di circolazione delle merci che consente agli Stati membri di invocare i diritti sulla proprietà intellettuale e industriale. Il principio che la Corte sembra aver affermato è che il sistema D.O.P. e I.G.P. ha natura esaustiva, precludendo la tutela con sistemi di riconoscimento nazionali a quei prodotti che rientrino nella definizione di D.O.P o I.G.P. La tutela nazionale o regionale, invece, rimane possibile per gli altri prodotti con diverse caratteristiche, minore importanza economica e ridotta capacità di proiettarsi sui mercati internazionali. Si è venuto a creare, in questo modo, un sistema di tutela multilivello

 

Il legislatore italiano ha istituito, con l’articolo 8 del decreto legislativo del 30 aprile 1998 n. 173, l’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (P.A.T.), aggiornato annualmente dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in collaborazione con le Regioni e che annovera ben 307 prodotti emiliano romagnoli. Su tale elenco avente lo scopo di “promuovere e diffondere le produzioni agroalimentari italiane tipiche e di qualità”, la Commissione europea aveva avviato una procedura di infrazione, ma nell’ambito della procedura stessa il Governo italiano ha avuto modo di chiarire che lo scopo della previsione normativa non è quella di tutelare giuridicamente le denominazioni dei prodotti tradizionali inserite nell’elenco, bensì quello di avviare una iniziativa culturale di recupero delle produzioni locali, attraverso una sorta di censimento, anche per poter accedere, ove necessario, alle deroghe sanitarie per evitare la scomparsa di talune produzioni.

Ben prima è intervenuta, invece, la Regione Emilia Romagna, la quale, con la legge regionale n. 29 del 1992, successivamente abrogata e sostituita dalla legge regionale 28 ottobre 1999, n. 28, ha introdotto disposizioni per la valorizzazione dei prodotti agricoli ed alimentari ottenuti con tecniche rispettose dell’ambiente e della salute dei consumatori, a cui è seguita l’adozione dei provvedimenti recanti i disciplinari tecnici di produzione. Con il citato provvedimento legislativo, la Regione ha inteso valorizzare i prodotti agricoli ed alimentari freschi e trasformati, attraverso l’adozione del marchio collettivo regionale “Qualità Controllata - produzione integrata rispettosa dell'ambiente e della salute - Legge regionale dell'Emilia-Romagna 28/99”, concesso in uso alle imprese che si impegnano a rispettare gli appositi disciplinari.

 

Prendendo le mosse dalla normativa regionale vigente, il presente progetto di legge è preordinato ad estendere la sua applicazione anche alle eccellenze agroalimentari della nostra Regione che non accedono ai regimi di qualità rilasciate in ambito europeo.

 

In particolare, l’articolo 1 del progetto di legge introduce il comma 1 bis all’articolo 1 della legge n. 28 del 1999, inserendo la previsione secondo cui la Regione valorizza i prodotti agroalimentari d’eccellenza del territorio regionale, riconosciuti in base a caratteristiche produttive, economiche, tradizionali, storiche, culturali o qualitative, le quali non possono o non sono in grado di accedere ai regimi di qualità previsti dalla normativa dell’Unione europea, attraverso l’adozione di un marchio certificativo concesso in uso alle imprese che si impegnino a rispettare gli appositi disciplinari.

Il comma 4 del medesimo articolo 1 stabilisce che i disciplinari di produzione dei prodotti agroalimentari d’eccellenza contengano anche, in sezioni distinte, la descrizione delle caratteristiche produttive, economiche, tradizionali, storiche, culturali o qualitative che rappresentano il loro tratto distintivo.

 

Per favorire i prodotti agroalimentari d’eccellenza dell’Emilia Romagna, la proposta reca altre tre articoli volti a introdurre l’utilizzo di prodotti regionali tra i criteri di preferenza nell’assegnazione degli appalti pubblici in mense e ristorazione collettiva; a favorire – anche in coerenza con le generali politiche legislative regionali -  il controllo sull’efficacia della normativa regionale, mediante la previsione della presentazione alla Regione di un rapporto biennale; a dare organicità e strutturazione alla “filiera corta”, come incessantemente richiesto dagli operatori del settore agricolo.

Tale intervento ha lo scopo di favorire anche la remuneratività dell’encomiabile lavoro svolto dagli imprenditori agricoli. A titolo esemplificativo, basti pensare che gli allevatori della Coldiretti, nella citata manifestazione dello scorso dicembre, hanno messo sotto accusa gli insostenibili squilibri nella distribuzione del valore “dall’allevamento alla tavola”: per ogni 100 euro spesi dai cittadini in salumi, ben 48 euro sono introitati dalla distribuzione commerciale, 22,5 dal trasformatore industriale, 11 dal macellatore e solo 18,5 euro rimangano all’allevatore.

 

Segnatamente, l’articolo 2 del progetto di legge modifica la legge regionale n. 28 del 1998, in materia di promozione dei servizi di sviluppo al sistema agro-alimentare. In particolare, è sostituito il comma 2 dell’articolo 22 che disciplina l’analisi e la valutazione del sistema agro - alimentare regionale; nella versione vigente, il comma 2 prevede la facoltà per la Regione di presentare un rapporto annuale sul sistema agroalimentare dell’Emilia Romagna. Nella versione modificata la presentazione del rapporto diviene biennale ma obbligatoria, prevedendo altresì che il contenuto del rapporto riporti i dati e gli effetti relativi all’applicazione della legge n. 28 del 1999, in materia di valorizzazione di prodotti ed eccellenze agroalimentari.

 

L’articolo 3 del progetto di legge modifica la legge regionale n. 29 del 2002, recante la disciplina in materia di orientamento dei consumi e di educazione alimentare per la qualificazione dei servizi di ristorazione collettiva.

Il comma 1 dell’articolo 3 del progetto di legge modifica il comma 1 dell’articolo 9 della citata legge regionale, sostituendo il riferimento all’abrogato articolo 23 del D.Lgs. n. 157 del 1995 con il vigente articolo 83 del cd. “Codice degli appalti” (D.Lgs. n. 163 del 2006), che disciplina il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in sede di aggiudicazione dei contratti pubblici.

Il comma 2 dell’articolo 3 del progetto di legge introduce il comma 1 bis al citato articolo 9, prevedendo che nei bandi relativi alle procedure di appalto pubblico per la fornitura di prodotti alimentari e agroalimentari destinati ai servizi di ristorazione collettiva (come definiti dall’articolo 8 della stessa legge regionale n. 29), può essere previsto, quale criterio preferenziale ponderato per l’aggiudicazione, l’utilizzo di prodotti agroalimentari tipici, biologici o di eccellenza, il cui intero ciclo di produzione sia realizzato in Emilia - Romagna, che seguano la stagionalità della terra e che rispettino il principio della minore distanza di trasporto: la ratio di tale previsione è – ictu oculi – quella di favorire la diffusione dei prodotti di eccellenza nelle forniture destinate a istituti scolastici, agli enti del Servizio sanitario regionale nonché a tutte le strutture gestite da enti pubblici o da soggetti privati in regime di convenzione.

 

L’articolo 4 del progetto di legge modifica – in modo consequenziale rispetto a quanto previsto dall’articolo 3 del progetto di legge - il comma 6 dell’articolo 2 della legge regionale n. 28 del 2009. 

La vigente disposizione fissa le misure volte all’integrazione delle esigenze di sostenibilità ambientale nelle procedure di acquisto di beni e servizi, che devono basarsi sui criteri di cui all’articolo 1, comma 1126, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), aggiungendo il criterio dell’acquisto di prodotti agroalimentari tipici e biologici, il cui intero ciclo di produzione sia realizzato in Emilia - Romagna.

Con la modifica proposta si precisa che, nei bandi relativi alle procedure di appalto pubblico di forniture di prodotti agricoli e agroalimentari destinati ai servizi di ristorazione collettiva, ai fini di introdurre specifici criteri di qualificazione ambientale aventi lo scopo di contenere i consumi energetici, di limitare le distanze di trasporto, di tutelare le risorse ambientali, di garantire la freschezza e la qualità dei prodotti e di assicurare l’esercizio delle attività di controllo sugli stessi, si applica l’articolo 9, commi 1 e 2, della legge regionale n. 29 del 2002, come modificati a seguito dell’approvazione dell’articolo 3 del progetto di legge.

 

L’articolo 5 dispone la strutturazione e sistematizzazione della “filiera corta” mediante l’adozione, da parte della Giunta, dei necessari provvedimenti attuativi. In particolare, vengono fissati i seguenti obiettivi:

a) ridurre i passaggi del prodotto agroalimentare di qualità intercorrenti dal momento della produzione al momento del consumo finale;

b) favorire il mantenimento di produzioni agroalimentari di qualità locali al fine di riconoscerne il valore di eccellenza;

c) aumentare le sinergie e le opportunità di offerta dei prodotti agricoli ed agroalimentari di qualità, biologici e locali nell’ambito del commercio, della ristorazione e del turismo rurale e ambientale;

d) favorire la conoscenza dei prodotti agroalimentari dell’Emilia Romagna e delle loro caratteristiche (necessariamente in coerenza con gli interventi già previsti e attuati dalla Regione ai sensi della legge regionale n. 7 del 1998, che disciplina la “Organizzazione turistica regionale”);

e) aumentare il flusso del turismo enogastronomico verso le zone rurali e dei mercati dei prodotti agroalimentari di qualità locali;

f) favorire intese interprofessionali e di filiera fra tutti i soggetti interessati.

I commi 2 e 3 dello stesso articolo 5 del progetto di legge modificano la vigente legge regionale n. 16 del 1995, al fine di estendere gli interventi di promozione ivi già disciplinati ai prodotti di eccellenza, come individuati ai sensi dell’articolo 1 del progetto di legge, e alla filiera corta, come enucleata dal precedente articolo 4 del progetto di legge stesso.

 

 


 

Testo:

 

Progetto di legge regionale

d’iniziativa del Consigliere

Franco Grillini (Gruppo Misto - LibDem)

“Disposizioni per la valorizzazione delle eccellenze agroalimentari della Regione Emilia - Romagna”

 

 


Art. 1

(Modifiche alla legge regionale 28 ottobre 1999, n. 28, recante “Valorizzazione dei prodotti agricoli ed alimentari ottenuti con tecniche rispettose dell’ambiente e della salute dei consumatori. Abrogazione della legge regionale n. 29/1992 e della legge regionale n. 51/1995”)

 

1. Nel titolo della legge regionale n. 28 del 1999, dopo le parole “della salute dei consumatori”, sono inserite le seguenti parole: “, nonché delle eccellenze agroalimentari”.

2. All’articolo 1 della legge regionale n. 28 del 1999, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente comma: “1 bis. La Regione valorizza, altresì, i prodotti agroalimentari d’eccellenza del territorio regionale, riconosciuti in base a caratteristiche produttive, economiche, tradizionali, storiche, culturali o qualitative, le quali non possono o non sono in grado di accedere ai regimi di qualità previsti dalla normativa dell’Unione europea, attraverso l’adozione di un marchio certificativo concesso in uso alle imprese che si impegnano a rispettare gli appositi disciplinari.”.

3. Al comma 1 dell’articolo 2 della legge regionale n. 28 del 1999, dopo le parole “al conseguimento degli obiettivi”, sono aggiunte le seguenti parole: “e in relazione ai prodotti agroalimentari d’eccellenza”.

4. Al comma 1 dell’articolo 5 della legge regionale n. 28 del 1999 è aggiunto in fine il seguente periodo: “I disciplinari dei prodotti agroalimentari d’eccellenza riportano distintamente, altresì, la descrizione delle loro caratteristiche produttive, economiche, tradizionali, storiche, culturali o qualitative.”.

 

 

Art. 2

(Modifiche alla legge regionale 11 agosto 1998, n. 28, recante “Promozione dei servizi di sviluppo al sistema agro - alimentare”)

 

1. All’articolo 22 della legge regionale n. 28 del 1998, il comma 2 è sostituito dal seguente: “2. Nell'ambito delle attività di cui al comma 1, la Regione predispone ogni due anni, anche in collaborazione con gli altri soggetti interessati, un rapporto sul sistema agro - alimentare dell’Emilia - Romagna e sulla valorizzazione dei prodotti agricoli ed alimentari ottenuti con tecniche rispettose dell’ambiente e della salute dei consumatori, nonché sulle eccellenze agroalimentari di cui alla L.R. 28 ottobre 1999, n. 28. Il rapporto è presentato all’Assemblea legislativa e pubblicato sul sito della Regione.”.

 

 

Art. 3

(Modifiche alla legge regionale 04 novembre 2002, n. 29, recante “Norme per l’orientamento dei consumi e l’educazione alimentare e per la qualificazione dei servizi di ristorazione collettiva”)

 

1. All’articolo 9 della legge regionale n. 29 del 2002, il comma 1 è sostituito dal seguente: “1. In conformità a quanto previsto dalla normativa nazionale, gli appalti pubblici relativi ai servizi di ristorazione collettiva sono aggiudicati, ai sensi dell’articolo 83 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), attribuendo valore preminente alla qualità e alla sicurezza dei prodotti alimentari ed agroalimentari offerti.”.

2. All’articolo 9 della legge regionale n. 29 del 2002, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: “1 bis. Nei bandi relativi alle procedure di appalto pubblico di cui al comma 1, può essere previsto, quale criterio preferenziale ponderato per l’aggiudicazione, l’utilizzo di prodotti agroalimentari tipici, biologici o di eccellenza, il cui intero ciclo di produzione sia realizzato in Emilia - Romagna, che seguano la stagionalità della terra e che rispettino il principio della minore distanza di trasporto.”.

 

 

Art. 4

(Modifiche alla legge regionale 29 dicembre 2009, n. 28, recante “Introduzione di criteri di sostenibilità ambientale negli acquisti della pubblica amministrazione”)

 

1. Al comma 6 dell’articolo 2 della legge regionale legge regionale n. 28 del 2009, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Nei bandi relativi alle procedure di appalto pubblico di forniture di prodotti agricoli e agroalimentari destinati ai servizi di ristorazione collettiva, ai fini di introdurre specifici criteri di qualificazione ambientale aventi lo scopo di contenere i consumi energetici, di limitare le distanze di trasporto, di tutelare le risorse ambientali, di garantire la freschezza e la qualità dei prodotti e di assicurare l’esercizio delle attività di controllo sugli stessi, si applica l’articolo 9, commi 1 e 2, della legge regionale 04 novembre 2002, n. 29 (Norme per l’orientamento dei consumi e l’educazione alimentare e per la qualificazione dei servizi di ristorazione collettiva).”.

 

 

Art. 5

(Filiera corta. Modifiche alla legge regionale 21 marzo 1995, n. 16, recante “Promozione economica dei prodotti agricoli ed alimentari regionali”)

 

1. La Regione, anche di concerto con gli enti competenti e con gli altri soggetti interessati, adotta provvedimenti volti a promuovere, consolidare e sistematizzare i percorsi e i cicli di filiera corta, valorizzando i prodotti agroalimentari regionali di qualità ed eccellenza, al fine di conseguire i seguenti obiettivi:

a) ridurre i passaggi dei prodotti agroalimentari intercorrenti dal momento della produzione al momento del consumo finale;

b) favorire il mantenimento delle produzioni agroalimentari regionali;

c) promuovere le sinergie e le opportunità di offerta dei prodotti agroalimentari nell’ambito del commercio, della ristorazione e del turismo rurale e ambientale;

d) favorire la conoscenza dei prodotti agroalimentari e delle loro caratteristiche, anche in coerenza con le programmazioni e gli interventi di cui alla legge regionale 04 marzo 1998, n. 7 (Organizzazione turistica regionale - Interventi per la promozione e commercializzazione turistica - Abrogazione della legge regionale 5 dicembre 1996, n. 47, della legge regionale 20 maggio 1994, n. 22, della legge regionale 25 ottobre 1993, n. 35 e parziale abrogazione della L.R. 9 agosto 1993, n. 28);

e) aumentare il flusso del turismo enogastronomico verso le zone rurali e dei mercati dei prodotti agroalimentari;

f) favorire intese interprofessionali fra tutti i soggetti interessati.

2. All’articolo 1, comma 1, della legge regionale n. 16 del 1995, è aggiunta la seguente lettera: “b – bis) la promozione, il consolidamento e la sistematizzazione dei percorsi e del ciclo di filiera corta.”

3. All’articolo 2, comma 1, della legge regionale n. 16 del 1995, la lettera c) è sostituita dalla seguente: “c) prodotti ottenuti in conformità ai disciplinari di produzione ai sensi della L.R. 28 ottobre 1999, n. 28;”.

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