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Legislatura IX - Progetto di legge (testo presentato : concluso/decaduto)

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Oggetto n. 5863
Presentato in data: 24/07/2014
"Divieto di allevamento e uccisione di animali per la produzione di pellicce". (24 07 14) Iniziativa dei Consiglieri: Meo, Mandini

Presentatori:

Iniziativa dei Consiglieri: Meo, Mandini

Relazione:

RELAZIONE

 

Il contesto nazionale e internazionale vede l’affermarsi di una sempre maggiore coscienza di amore e di rispetto per gli animali e per i loro diritti, nonché l’estensione del concetto di tutela per tutte le specie animali.

Pertanto appare certamente offensiva del sentimento collettivo qualunque pratica di maltrattamento e di uccisione di animali.

In questo quadro, l’attenzione si rivolge in primis all’attività di uccisione per appropriarsi della loro pelliccia, indubbiamente la più crudele e immotivata. La pelliccia non ha alcuna utilità, non è un prodotto funzionale a scaldare e riparare dal freddo, tanto è vero che oggigiorno è prevalentemente commercializzata sotto forma di guarnizioni a decorazione di capi di abbigliamento e accessori di ogni genere, dalle borse alle calzature.

Le pellicce animali provengono per l’85 per cento dalle «fabbriche allevamento» (veri e propri allevamenti intensivi) e per la restante percentuale dalle catture in natura (nei casi consentiti dalle legislazioni nazionali). Negli allevamenti, gli animali sono costretti a sopravvivere quasi immobilizzati, confinati in minuscole gabbie interamente costruite in rete metallica (anche nella pavimentazione su cui sono costretti a stare).

È noto che ogni animale, seppur nato in cattività, ha bisogno di soddisfare le proprie esigenze etologiche. Gli animali rinchiusi negli allevamenti per la produzione di pellicce manifestano comportamenti anormali come l’eccessiva paura, l’infanticidio, le autolesioni da morsicature, stereotipie comportamentali, come saltare per diverse ore senza tregua all’interno della gabbia, leccare, graffiare, mordere e scavare la gabbia, inseguire la propria coda in circolo.

In Italia, l’allevamento di animali per la produzione di pellicce non è mai stata un’attività di particolare rilevanza economica e negli ultimi quaranta anni ha registrato un continuo e inesorabile trend negativo: nel 1988 erano attivi 170 allevamenti con circa 500.000 animali; nel 2003 si sono ridotti a 50, con circa 200.000 animali; nel 2013 sono 12 con una produzione di 100.000-150.000 animali. L’unica specie allevata in Italia è il visone. L’allevamento di volpi per la produzione di pellicce non è più praticato ormai dalla fine degli anni ottanta, mentre l’ultimo allevamento di cincillà ha cessato l’attività nel 2012.

Diversi Paesi hanno già vietato l’allevamento di animali per la produzione di pellicce, direttamente o per il tramite di forti restrizioni che hanno poi portato alla naturale dismissione di questa attività; già dal 2000, la Gran Bretagna ha bandito gli allevamenti in quanto ritenuti crudeli; l’Olanda ha vietato l’allevamento delle volpi e dei cincillà (dal 1995) e più recentemente, il 18 dicembre 2012, ha approvato il divieto di allevamento di tutti gli

animali per la principale finalità di utilizzare la loro pelliccia (divieto che sarà effettivo dal 2024); anche Austria (dal 2004), Danimarca (dal 2009 e limitatamente alle volpi, con bando vigente a partire dal 2024), Irlanda del nord e Scozia (2003), Croazia (dal 2007, con

bando vigente a partire dal 2017) e Bosnia (dal 2009 con bando vigente a partire dal 2018) hanno vietato l’allevamento di qualsiasi specie di animali per la produzione di pellicce.

Svizzera, Svezia e Bulgaria hanno adottato forti restrizioni a tale attività, finalizzate a migliorare gli standard abitativi degli animali da pelliccia, così come già avvenuto in Germania dal 2011, con l’entrata in vigore di nuovi standard strutturali e gestionali che comportano sostanziali modifiche degli allevamenti di visoni, da completare entro il 2016 (come la disponibilità di vasche d’acqua di 3 metri quadrati e della libertà di accesso a più ampi bacini d’acqua).

È indubbio che l’Italia non può essere da meno, anche considerato il primato nell’ambito dell’Unione europea nell’approvazione della legge n. 189 del 2004, ove, all’articolo 2, è stato disposto il divieto di commercio di pellicce di cani e di gatti, con ben cinque anni di anticipo rispetto all’entrata in vigore del bando dell’Unione europea. Analogo primato si riscontra, peraltro, nella messa al bando dei prodotti derivanti dalla caccia commerciale delle foche.

Alla base della presente proposta di legge che mette al bando un’attività che riveste innegabilmente un potenziale economico, seppur come si diceva precedentemente di scarsa entità, vi è l’imprescindibile necessità, di attuare il principio per cui oggigiorno ogni attività economica deve fondarsi su fattori di sostenibilità, di rispetto dell’ambiente, di responsabilità sociale e, non per ultimo, di rispetto del benessere degli animali.

L’allevamento di animali per la produzione di pellicce non soddisfa alcuno di questi requisiti per le ragioni qui di seguito sintetizzate.

Per quanto concerne il benessere animale, già nel 2001 il Comitato scientifico per la salute e il benessere animale della Commissione europea ha elaborato uno specifico studio strutturato esclusivamente su valutazioni scientifiche relative ai problemi di benessere degli animali utilizzati per la produzione di pellicce, tralasciando le valutazioni etiche (http://ec.europa.eu/food/animal/welfare/international/out67–en.pdf).

In base alle evidenze osservate in allevamenti di visoni, volpi, cincillà, cane procione, nutrie e furetti, il Comitato scientifico concluse che i sistemi di allevamento in gabbia di questi animali (e in particolare di visoni e di volpi) sono gravemente lesivi del benessere animale.

Per quanto concerne il fattore inquinamento e consumo energetico, la letteratura scientifica (nazionale e internazionale) fornisce numerosi dati circa l’incompatibilità tra le fasi industriali di ottenimento e di lavorazione delle pellicce e il rispetto dell’ambiente.

La filiera dell’industria della pellicceria è causa di immissioni di inquinanti atmosferici, di eutrofizzazione delle acque, di consumo energetico e di impiego di sostanze tossiche e cancerogene come la formaldeide, il cromo e altre sostanze chimiche.

Al contrario, la produzione di pelliccia sintetica (generalmente composta dal 72 per cento di fibre acriliche e dal 28 per cento di cotone), o di abiti in cotone, acrilico, poliestere, ma anche lana, ha un impatto ambientale decisamente inferiore alla produzione di un analogo quantitativo di pelliccia animale.

Alla luce della facoltà di adottare disposizioni nazionali più severe di quelle previste dalla direttiva 98/58/CE, in materia di protezione degli animali negli allevamenti, la presente proposta di legge alle Camere ha l’obiettivo di delineare un processo di dismissione dell’attività di allevamento di animali finalizzata alla produzione di pellicce sul territorio nazionale.

 

 

 

 


 

Testo:

 

PROGETTO DI LEGGE ALLE CAMERE

Divieto di allevamento e uccisione di animali per la produzione di pellicce

 

 


Articolo 1

(Finalità)

 

1. Lo Stato promuove e orienta lo sviluppo di attività economiche di utilità sociale ed i consumi alternativi a quelli che vertono sull'utilizzo di esseri senzienti in qualità di mezzi e risorse.

2. Per le finalità di cui al comma 1, la presente legge vieta la pratica dell'allevamento e dell’uccisione di animali allo scopo di utilizzare la loro pelliccia.

 

 

Articolo 2

(Definizioni)

 

Ai fini della presente legge, si intende per:

a) "Pelliccia": una o più spoglie di animali sottoposte ad un trattamento di concia o impregnate in modo tale da conservare inalterata la struttura naturale delle fibre o articoli con esse fabbricati;

b) "Pelle": prodotti senza pelo ottenuti dalla lavorazione di spoglie di animali sottoposte a trattamenti di concia o impregnate in modo tale da conservare inalterata la struttura naturale delle fibre, nonché gli articoli con essi fabbricati, compresi il cuoio e i prodotti aventi altri nomi derivati o sinonimi;

c) "Animale da pelliccia": Cane procione (Nyctereutes procyonoides), Castorino (detto Nutria — Myocastor coypus), Castoro (Castor canadensis), Cincillà (Chinchilla laniger), Coniglio (detto Lapin — Oryctolagus cuniculus), Donnola (Mustela nivalis), Ermellino (Mustela erminea), Karakul (detto Astrakhan o Agnello Persiano — Ovis aries platyura), Marmotta (Marmota marmota), Martora (Martes martes), Moffetta (o Skunk), Ondatra (detto Topo Muschiato — Ondatra zybethica), Opossum (Didelphis marsupialis), Procione (Procyon lotor), Puzzola (Mustela putorius), Scoiattolo (Sciurus carolinensis), Visone (Neovison vison), Volpe (Vulpes vulpes), Volpe Artica (Alopex lagopus), Zibellino (Martes zibellina);

d) "Allevamento di animali da pelliccia": qualsiasi attività, professionale, amatoriale, individuale e collettiva, volta alla produzione di animali con la finalità di utilizzarne la pelle o pelliccia o per la riproduzione degli stessi per il medesimo fine.

 

 

Articolo 3

(Divieti)

 

1. Sono vietati l'allevamento e l'uccisione di animali da pelliccia di cui all'articolo 2, comma 1, lett. c), ovvero di animali appartenenti a qualsiasi altra specie, per la finalità di ottenere pelle o pellicce.

 

2. E’ altresì vietato produrre, esportare, importare, sfruttare economicamente o detenere, trasportare, cedere o ricevere a qualunque titolo pelli o pellicce, di cui al comma 1, ricavate da animali appositamente allevati, detenuti o uccisi in Italia.

 

 

Articolo 4

(Disposizioni transitorie)

 

1. Chiunque detenga a qualunque titolo uno o più animali per la finalità di produrre pelli o pellicce, ha l'obbligo di avviare un programma di dismissione degli animali detenuti comunicandolo in forma scritta al Comune nel cui territorio sorge l'allevamento entro 180 giorni dall'entrata in vigore del divieto di cui all'articolo 3, comma 1.

2. La dismissione dell'allevamento, o comunque l'alienazione degli animali detenuti, purché ciò non ne comporti la soppressione, deve avvenire entro il 31 dicembre dell'anno successivo all’entrata in vigore del divieto di cui all'articolo 3, comma 1.

3. A decorrere dall'entrata in vigore della presente legge è vietato avviare nuove attività di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d).

4. Gli animali presenti negli allevamenti in fase di dismissione, possono essere ceduti ad associazioni o enti individuate con decreto di cui all’articolo 3 della legge 20 luglio 2004, n. 189 (Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate).

5. Gli animali di cui al comma 1 possono essere reintrodotti in ambienti naturali nell’ambito di progetti approvati dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero della salute, anche a seguito della proposta di associazioni o enti di cui al comma 4.

6. Nell'ambito delle attività connesse all'applicazione della presente legge, restano salvi gli obblighi per i proprietari, detentori e custodi di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 146 (Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti.)

 

 

Articolo 5

(Abrogazioni)

 

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’articolo 3 del e il punto 22 dell’allegato decreto legislativo 146/2001 sono abrogati.

2. A decorrere dal 1° gennaio 2016, il codice di attività dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) 01252 “Allevamento di animali da pelliccia” è soppresso.

 

 

Articolo 6

(Sanzioni)

 

1. All’articolo 2 della legge n. 189 del 2004 sono apportate le seguenti modifiche:

a) dopo il comma 2-bis sono inseriti i seguenti:

2-ter. Chiunque alleva animali per la principale finalità di produrre pelli e pellicce è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi e con la multa da 1.000 a 5.000 euro per ciascun animale.

2-quater. Chiunque produce, esporta, importa, sfrutta economicamente o detiene, trasporta, cede o riceve a qualunque titolo pelli o pellicce, ricavate da animali appositamente allevati, catturati o uccisi in Italia, è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 1.000 a 5.000 euro per ciascun animale”;

b) al comma 3, le parole: “consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui ai commi 1 e 2–bis” sono sostituite dalle seguenti: “consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui ai commi 1, 2–bis, 2–ter e 2–quater”;

c) al comma 3 bis, le parole: “per i reati previsti dai commi 1 e 2–bis” sono sostituite dalle seguenti: “per i reati previsti dai commi 1, 2–bis, 2–ter e 2–quater”.

2. Le attività di accertamento delle infrazioni previste dalla presente legge competono alle ASL, ai Comuni, alle guardie zoofile volontarie ai sensi dell'art 6 della legge n. 189 del 2004 ed alle forze dell'ordine.

 

 

Articolo 7

(Clausola di invarianza finanziaria)

 

1.Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate, a carico della finanza pubblica.

2.Le amministrazioni interessate svolgono le attività previste dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

 

Articolo 8

(Entrata in vigore e applicabilità)

 

1.La presente legge entra in vigore il quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana

2.Il divieto di cui all'articolo 3, comma 1, si applica a decorrere dal 31 dicembre dell'anno di approvazione della presente legge.

 

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