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Legislatura X - Commissione Parità - Resoconto del 13/02/2019 antimeridiano

     

    Resoconto integrale n. 4

    Seduta del 13 febbraio 2019

     

    Il giorno 13 febbraio 2019 alle ore 10,00 è convocata, con nota prot. n. AL.2019.3349 del 07/02/2019, presso la sede dell’Assemblea legislativa in Bologna, Viale A. Moro n. 50, la Commissione per la parità e per i diritti delle persone.

     

    Partecipano alla seduta i consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    MORI Roberta

    Presidente

    Partito Democratico

    7

    presente

    MARCHETTI Daniele

    Vicepresidente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    4

    presente

    MUMOLO Antonio

    Vicepresidente

    Partito Democratico

    6

    presente

    ALLEVA Piergiovanni

    Componente

    L’Altra Emilia Romagna

    1

    assente

    BENATI Fabrizio

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    BESSI Gianni

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    FACCI Michele

    Componente

    Gruppo Misto

    1

    presente

    GALLI Andrea

    Componente

    Forza Italia

    1

    assente

    GIBERTONI Giulia

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    4

    presente

    LIVERANI Andrea

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    5

    presente

    LORI Barbara

    Componente

    Partito Democratico

    2

    assente

    MARCHETTI Francesca

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    PRODI Silvia

    Componente

    Gruppo Misto

    1

    presente

    RAVAIOLI Valentina

    Componente

    Partito Democratico

    2

    assente

    ROSSI Nadia

    Componente

    Partito Democratico

    6

    presente

    SASSI Gian Luca

    Componente

    Gruppo Misto

    1

    presente

    SERRI Luciana

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    TAGLIAFERRI Giancarlo

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    TORRI Yuri

    Componente

    Sinistra Italiana

    2

    presente

     

    Sono presenti i consiglieri: Giuseppe PARUOLO in sostituzione di Lori, Manuela RONTINI in sostituzione di Ravaioli e Roberto POLI in sostituzione per parte della seduta di Marchetti Francesca.

     

    Sono altresì presenti i consiglieri Giuseppe BOSCHINI, Ottavia SONCINI, Gian Luigi MOLINARI Lia MONTALTI e Stefano CALIANDRO (PD); Silvia PICCININI (M5S); Igor TARUFFI (SI); Matteo RANCAN, Massimiliano POMPIGNOLI e Fabio RAINIERI (LN); Gianluca SASSI (Misto).

     

     


    DEREGISTRAZIONE CON CORREZIONI APPORTATE AL FINE DELLA MERA COMPRENSIONE DEL TESTO

     

    Udienza conoscitiva sull’esame abbinato degli oggetti:

     

    7159 -Progetto di legge d'iniziativa del Consiglio comunale di Bologna "contro l'omotransnegatività e le violenze determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere". (Deliberazione della Consulta di garanzia statutaria di ammissibilità n. 2 del 19 luglio 2018 pubblicata sul BURERT n. 230 del 25/07/2018)

     

    6586 -Progetto di legge d'iniziativa Consiglieri recante: “Norme per il diritto all'autodeterminazione, contro le discriminazioni e le violenze determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere”. (28 05 18)

    A firma dei Consiglieri: Piccinini, Sensoli, Bertani

    Presidente MORI

     Benvenuti a tutti e a tutte e buongiorno. Chiederei cortesemente di prendere posto in Sala Fanti. Siamo nell’ambito della convocazione della Commissione per la parità e i diritti delle persone.

    Vi leggo l’oggetto della Commissione, poi passerò la parola al presidente pro tempore, Antonio Mumolo, in quanto sono relatrice di maggioranza del progetto di legge oggetto dell’udienza conoscitiva. La Commissione per la parità e i diritti delle persone è convocata in udienza conoscitiva per l’esame abbinato dei progetti di legge: “Progetto di legge d’iniziativa dei Consigli comunali di Bologna, Parma, San Pietro in Casale, Reggio Emilia contro l’omotransnegatività e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere” e il “Progetto di legge d’iniziativa consiliare recante “Norme per il diritto all’autodeterminazione contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”.

    Il primo che vi ho letto è il testo base assunto dalla Commissione per gli approfondimenti del caso. L’udienza conoscitiva di oggi è un’occasione per l’ascolto corale e diffuso dei portatori di interesse. Quindi, si presuppone che chi interverrà abbia ricevuto i documenti e che quindi abbia avuto modo di leggere i testi di legge.

    Lo dico perché ovviamente la descrizione e l’illustrazione del progetto testo base non sarà nel dettaglio dei commi, ma sarà appunto di grande sintesi per permettere a voi di ragionare, di approfondire e di portare i vostri contributi.

    Vi ringrazio per la vostra presenza numerosa, segno di un grande interesse per questo tema, quindi vi ringraziamo di spendere con noi qualche momento. Passo la parola al presidente Antonio Mumolo. Prego.

     

    Presidente MUMOLO

    Buongiorno a tutti. Ringrazio anch’io molto per la vostra presenza, per noi è molto importante che ci siano tante associazioni, tanti soggetti che vogliono esprimere un parere, delle proposte, dei suggerimenti, delle proposte di emendamento rispetto a questo progetto di legge.

    Vi chiedo solamente una cosa. Siamo tanti e noi abbiamo interesse ad ascoltarvi tutti, ci piacerebbe ascoltarvi tutti. Per far questo abbiamo dei tempi necessariamente stretti. Il tempo per ogni soggetto che interviene lo abbiamo stabilito in cinque minuti, con minimo un minuto di tolleranza. Vi chiedo davvero di restare in questi tempi: questo ci consentirà di ascoltare tutti, fermo restando che poi potrete anche inviare per iscritto pareri, suggerimenti e vostre impressioni rispetto a questo progetto di legge.

    Iniziamo i lavori della Commissione.

    Passo la parola alla relatrice del testo base, la consigliera Roberta Mori.

     

    Relatrice MORI

     Grazie, presidente. In estrema sintesi per consegnarvi elementi di riflessione rispetto alle finalità del progetto. La Regione Emilia-Romagna sviluppa e promuove, in coerenza con la Carta Costituzionale, lo Statuto della Regione, i princìpi antidiscriminatori, di uguaglianza sostanziale, di garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, nel segno del rispetto della libertà e delle prerogative della dignità della persona umana. Questi sono elementi essenziali per comprendere le politiche strutturali in termini di diritti sociali e civili della Regione Emilia-Romagna. Altrimenti, si rischia di banalizzare temi molto profondi e di grande importanza per la nostra Regione e per la nostra società tutta. Tra l’altro, la regione Emilia-Romagna recepisce non soltanto il quadro normativo nazionale, ma anche quello internazionale, a cominciare dal Trattato e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questo è un elemento altrettanto importante, perché il nostro percorso, il nostro cammino di rafforzamento dei diritti, di rispetto dei diritti e di rispetto dei doveri, è un cammino che si inquadra in un ambito molto più ampio.

    Già nella passata legislatura, con l’approvazione della legge per la parità, e quindi contro la violenza sulle donne, la Regione Emilia-Romagna ha segnato un momento importante di ragionamento con la collettività e la società regionale. Già nella passata legislatura era stata depositata una proposta di legge, a prima firma Franco Grillini, che ringrazio per la presenza – sappiamo il tuo sforzo per essere sempre insieme a noi –, contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. La Regione Emilia-Romagna poi, con delibera di adesione alla rete RE.A.DY, ha iniziato un percorso di condivisione e di coordinamento regionale insieme alle altre Amministrazioni e agli altri enti locali aderenti, di approfondimento di queste tematiche, riscontrando la necessità – poi avremo le promotrici della legge di iniziativa popolare da cui noi abbiamo tratto il testo base, che ci daranno il loro contributo – di declinare ulteriori strumenti legislativi e di cornice per poter rafforzare le azioni locali di prevenzione e contrasto alle discriminazioni e alla violenza determinate da orientamento sessuale e identità di genere.

    Con decreto del presidente Bonaccini sono stata nominata delegata permanente nella rete RE.A.DY e quindi, attraverso il coordinamento, si è condivisa la necessità di un testo di legge che poi è passato nei Consigli comunali di San Pietro in Casale e delle città di Bologna, Reggio Emilia e Parma. È diventata, quindi, una legge di iniziativa popolare che abbiamo assunto come testo base del nostro percorso. Vengo al contenuto della legge in estrema sintesi. Come potete immaginare, le competenze della Regione in termini di status dei diritti della persona, della personalità e dell’identità sono competenze molto ristrette, soprattutto fondate sulle azioni di prevenzione, sulle azioni culturali di progettualità diffusa a supporto di un orientamento complessivo nel rispetto delle differenze e delle diversità, come forza collettiva. Questo lo voglio dire perché non è corretto e non è giusto utilizzare questo strumento di legge, questa proposta di legge, per strumentalizzazioni che non c’entrano assolutamente nulla con l’oggetto della legge. Stiamo parlando di discriminazioni. Abbiamo una normativa regionale molto composta, che cerca di enucleare tutte le discriminazioni e la natura delle discriminazioni specifiche. Ormai la letteratura ci insegna che le discriminazioni vanno enucleate, individuate e raccontate per poter essere poi contrastate efficacemente nel rispetto dell’attuazione della Costituzione. Altrimenti, le discriminazioni generalizzate non individuate, i fenomeni generalizzati e non individuati purtroppo rimangono spesso fenomeni non contrastati. Abbiamo in questo senso un percorso regionale molto attento. Abbiamo, nella legge, diversi obiettivi. Si tratta di obiettivi che passano attraverso azioni e progetti in ambito lavorativo contro le discriminazioni e le molestie in ambito lavorativo. Devo ringraziare molto CGIL, CISL e UIL che, unitariamente, hanno contribuito con riflessioni ed emendamenti migliorativi del testo, che poi, come potete immaginare, andremo a valutare nelle discussioni nelle sedi proprie in Commissione durante il percorso legislativo, ma che sono uno sforzo della nostra società regionale per migliorare il testo. C’è anche un tema molto significativo, che è quello della formazione dell’operatore, delle operatrici, dei servizi sociosanitari assistenziali, degli insegnanti. A questo proposito c’è stato un convegno molto interessante venerdì scorso nell’ambito del progetto Doing Right(s) alla terza torre della Regione, promosso dall’Agenzia regionale sociosanitaria, che è stato partecipatissimo. Tantissime operatrici e tantissimi operatori hanno partecipato. Si parlava proprio della relazione tra i servizi e le famiglie LGBT per migliorare il termine di conoscenza, accoglienza e adeguatezza delle prestazioni e dei servizi della nostra Regione, in termini di inclusività, in termini di rispetto dovuto a tutte le persone. Nel nostro progetto di legge si individua anche la necessità di attivare un osservatorio rispetto al fenomeno. Tante volte mi sono sentita dire in questo percorso che, in realtà, le discriminazioni per orientamento sessuale e sull’identità di genere non sono vere, sono una narrazione cronachistica o poco più che questo. Lo dicevano anche della violenza sulle donne e in realtà poi la sensibilità è maturata in questo senso. Per evitare, quindi, queste banalizzazioni è giusto ed è corretto che le Istituzioni non soltanto si avvalgano della collaborazione direi significativa, importantissima, delle associazioni che sul territorio sono i primi presìdi culturali, ma anche sociali dei soggetti vittime di violenze e discriminazioni, ma che si metta in prima linea per dare ai consociati la giusta attenzione istituzionale dei servizi. Lo dico perché, ripeto, l’esperienza sui temi delle discriminazioni contro le donne e sulla violenza sulle donne ci ha molto temperate ad ogni banalizzazione dei fenomeni e delle questioni. In questo senso, quindi, ho cercato di semplificare gli elementi del testo, ma ci tenevo a rappresentarli in estrema sintesi proprio per dare modo di parlare alle più di quaranta persone che si sono iscritte. Avrete cinque minuti. Io metterò il timer sull’iPhone. Sarò un po’ molesta, ma dopo i cinque minuti scatterà l’allarme. Vogliamo ascoltarvi e tenere conto di tutte le vostre riflessioni.

    Ringraziandovi ancora per questa partecipazione, vi auguro un buon lavoro insieme a noi, per obiettivi assolutamente da condividere. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, consigliera Mori, anche per l’estrema sintesi. Passo la parola al relatore di minoranza, il consigliere Michele Facci.

     

    Relatore di minoranza FACCI

     Anch’io ringrazio tutti gli intervenuti. Siete numerosi, segno che questo è un argomento molto sentito. Sono relatore di minoranza, ma esprimo dal mio punto di vista personale una nota critica rispetto a questo progetto di legge. Sinceramente non credo che questo progetto di legge sia uno strumento necessario. Ritengo che le discriminazioni possano essere perseguite tramite gli strumenti che abbiamo a disposizione, a partire dalla Costituzione, per arrivare agli strumenti di diritto positivo, quindi Codice civile e Codice penale. Va da sé che questo progetto è stato presentato. Quindi, in un’ottica democratica, bisogna ovviamente prendere in considerazione le istanze pervenute. Ascolterò con interesse i vostri contributi. Questo testo è molto stringato. Di fatto, è composto da otto articoli, tolta la clausola valutativa e la norma finanziaria. Si tratta di articoli che in alcuni punti sono estremamente generici e per questo, a mio avviso, pericolosi. Chi stabilisce i confini della discriminazione, anche potenziale, credo sia una materia da regolamentare in maniera molto precisa. Diversamente, si rischia, in nome di una lotta alla discriminazione, di imporre posizioni precostituite e, quelle sì, strumentali. Le implicazioni rispetto all’offerta scolastica credo siano importanti. Stabilire esattamente i confini in cui ci si deve muovere a livello di scuole, di istituti scolastici, di istituti formativi diventa estremamente delicato e importante. Lo stesso discorso vale per la parte che riguarda l’informazione generale, con il coinvolgimento del CORECOM. Anche questo diventa un aspetto di estrema attenzione, meritevole di approfondimento. Diversamente, il rischio sarebbe una mancanza di controllo sulle diffusioni di teorie certamente non condivise a trecentosessanta gradi. Ci sono posizioni legittime, ma ci sono altrettante legittime posizioni contrarie. Questo discorso è servito ad anticipare il mio personale orientamento. Chiaramente, svolgerò il ruolo di relatore di minoranza mantenendo questi miei riferimenti di partenza e, ovviamente, ascoltando i contributi che oggi vorrete fornire. Ho visto che c’è tanta gente. L’ordine dei lavori credo interesserà prevalentemente le istituzioni che hanno fatto gli interventi principali, che hanno sottoscritto i progetti di legge, le Amministrazioni pubbliche. Dopodiché, naturalmente, ci sarà un’alternanza fra le varie posizioni dei territori, in modo tale da rispettare il tempo di tutti e la fretta che hanno bene o male tutti in maniera equilibrata. Grazie.

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, consigliere Facci. Iniziamo gli interventi. La prima persona chiamata a intervenire è l’assessore Susanna Zaccaria, del Comune di Bologna. Vi comunico che ci sono già cinquanta persone iscritte a parlare. Da questo momento in poi, manteniamo questi cinquanta interventi. Per quanti volessero ancora intervenire, è sempre gradito un contributo scritto. Prego, assessore Zaccaria.

     

    ZACCARIA (assessore del Comune di Bologna)

     Buongiorno a tutti e a tutte.

    Io sono molto contenta di vedere questa partecipazione. Ringrazio per la possibilità di intervenire nuovamente. Ringrazio per la pazienza i consiglieri che mi hanno già ascoltato. Come promotrice, ho già partecipato a dei lavori di Commissione per la presentazione del testo. Il Comune di Bologna è solo una delle Amministrazioni, solo uno degli enti locali che porta avanti questo progetto corale. La forma che voi vedete degli enti presentatori, in realtà, non rende l’idea di quali siano tutte le Amministrazioni coinvolte. Ho già avuto occasione di dire che questa idea nasce proprio nell’ambito della rete RE.A.DY, dove tutti i capoluoghi di provincia erano presenti, eccetto la città di Piacenza. Tutte noi assessore ci siamo ritrovate ad una riunione della rete RE.A.DY, la rete nazionale di cui già la consigliera Mori ha parlato, parlando della necessità che nasce dall’azione concreta che ognuna di noi mette in campo nei propri territori per contrastare discriminazioni che chiunque dia una lettura operativa che abbia a che fare con associazioni, che abbia a che fare con la vita concreta dei propri territori, sa che, invece, esistono. Esistono eccome. Sono discriminazioni presenti nei principali ambiti di vita delle persone LGBT, nel mondo del lavoro, nella scuola. Non dimentichiamo che gran parte delle vittime di bullismo sono, in realtà, vittime di bullismo omofobico. Anche questo è estremamente rilevante. La necessità del confronto tra di noi e del confronto, in quella circostanza, anche con assessori e assessore di territori che hanno già una legge antidiscriminazione contro l’omotransnegatività ci ha portato alla presentazione di questo testo di legge. È un testo in cui vengono individuati i principali ambiti, un testo che mira ad essere una legge quadro nella traccia già indicata dalla presidente Mori di quello che la legge di parità ha fatto per la nostra Regione, in particolare per gli enti locali, cioè un’attività di coordinamento di azioni che vengono già svolte, ma estremamente rilevante per il supporto con cui la Regione, il nostro legislatore regionale emiliano-romagnolo si distingue per l’attenzione ai diritti delle persone. Tra i tanti temi in cui l’Emilia-Romagna si distingue, credo che questo sia davvero uno dei principali. Abbiamo seguito lo stesso solco con la legge di parità, come enti locali rappresentativi davvero dell’intero territorio, mi sento proprio di dirlo. Difatti, lo abbiamo ampiamente condiviso con tutte le associazioni. Oggi siete numerosi, ma non siete neanche tutti. Questo la dice lunga sul numero di associazioni che nel nostro territorio operano concretamente a tutela delle persone. Di questo stiamo parlando. Non di contenimento di diritti, ma di riconoscimento di diritti. È una posizione che richiede un po’ di coraggio – questo bisogna che ce lo diciamo – in questo momento ed è una posizione identitaria. Mi riferisco all’identità che noi vogliamo avere come Regione Emilia-Romagna, nel rispetto dei valori della nostra Costituzione, spesso ampiamente richiamata, ma alla quale vogliamo dare attuazione.

    La legge dice questo e individua alcuni ambiti. Siamo tutti enti locali che svolgono già queste azioni, è vero, è stato detto, ma l’attività di coordinamento che può fare la Regione – e l’ha già dimostrato – è determinante. Lo è per le risorse, ma, indipendentemente da questo, che certamente è un argomento importante, che ci interessa, a prescindere dalla questione delle risorse, lo è proprio rispetto alla posizione che noi vogliamo prendere a tutela delle persone per evitare queste discriminazioni. Non parlo solo di estremi atti di violenza. Non è solo di quello che ci vogliamo occupare. Parlo del pregiudizio che le persone subiscono, della prevaricazione fatta di tanti gesti e di mancanza di opportunità. Noi siamo assessore alle pari opportunità e questo concetto, che nasce in un ambito di genere, sappiamo che è molto più esteso e, soprattutto in termini di diritti LGBT, dobbiamo sforzarci di applicarlo in ogni ambito. Sono molto orgogliosa di portare avanti un testo corale. Non abbiamo voluto forzare il legislatore. Anche questo ci tengo a dirlo, e chiudo perché davvero non voglio rubare tempo. Non è stata una forzatura l’utilizzo dell’articolo 18 dello Statuto della Regione. È stata la volontà di tutti di portare all’attenzione del legislatore il nostro territorio, con uno strumento che è stato definito ripetutamente “inusuale”. Non è detto che, perché inusuale, non possa essere efficace per uno stretto collegamento tra gli enti locali e il legislatore regionale.

    Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio l’assessore Susanna Zaccaria, anche per essere stata davvero nei tempi e precisa. Nei tempi europei. La parola all’assessore Natalia Maramotti, del Comune di Reggio Emilia.

     

    MARAMOTTI (assessore del Comune di Reggio Emilia)

    Buongiorno a tutte e a tutti. Grazie per l’opportunità. Ringrazio i consiglieri, relatori e non. Saluto anche le associazioni di rappresentanza delle persone LGBT, in particolare quelle del mio territorio. Il Comune di Reggio Emilia ha una relazione molto risalente con queste associazioni. Vado nel dettaglio. Mi ritrovo, ovviamente, in quello che è stato detto dalla collega Zaccaria e faccio alcune precisazioni. Rispetto, per esempio, all’affermazione fatta dal relatore di minoranza e alla sua doglianza relativa alla presunta inconsistenza o limitatezza, anche dal punto di vista della quantità di articolato, di questa normativa, credo che il Comune di Reggio Emilia abbia ben inteso che cosa vuol fare la Regione Emilia-Romagna in questo modo. Vuole, innanzitutto, non determinare un conflitto di attribuzioni ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, perché se entrasse nel dettaglio e si occupasse di normare in altro modo gli aspetti relativi al tema discriminatorio farebbe quello che non è competenza di una Regione. La ringraziamo, quindi, perché non l’ha fatto: avrebbe assolutamente depotenziato e reso inservibile questo contenuto normativo. Noi sappiamo invece che in questa normativa, che speriamo veda al più presto un confronto e un dibattito, come sarà stamattina, significativo e rilevante anche nella sua sede propria, che è l’Assemblea legislativa, saranno portate le voci di tutti questi cittadini delle nostre città che hanno portato avanti il testo. Sappiamo che questo testo è finalizzato in primo luogo, per essere riassuntivi, a rimuovere l’omofobia sociale. Io credo che possiamo definirla come un insieme di pratiche sociali, di rappresentazioni culturali, di credenze, di atteggiamenti, che sviliscono e aggrediscono le identità e i comportamenti delle persone non eterosessuali. Noi li vediamo, li vediamo anche nei nostri contesti, anche in elementi di dettaglio, per esempio, che riguardano le occasioni che si hanno della formazione per gli affidi alle persone anche single nei nostri contesti territoriali. Abbiamo potuto rilevare che in talune occasioni vi sono dei pregiudizi rispetto alle persone single che richiedono affidi e che dichiarano la propria appartenenza a persone LGBT. Ho fatto un solo esempio perché abbiamo poco tempo. Reggio Emilia potrebbe dire che non aveva bisogno di presentare, insieme ad altre città, questo testo normativo perché dal 2003 opera con pratiche e azioni amministrative in collaborazione con un’associazione di rappresentanza del territorio per un’attività di prevenzione. Dal 2013 è parte della rete RE.A.DY, dal 2003 c’è un tavolo interistituzionale che coinvolge vari settori e mondi, tra cui quello delle carceri, della giustizia, della scuola, della sanità. Tra breve sottoscriverà un protocollo operativo dove tutti questi soggetti mettono in campo delle azioni specifiche. E allora, come diceva e lo ribadisco anch’io, la collega, assessora che ha preso la parola precedentemente, noi riteniamo che queste azioni che nascono dai contesti territoriali, perché nascono dalla richiesta della maggioranza della nostra collettività, siano molto potenziate se c’è un indirizzo regionale. Accanto all’indirizzo regionale sappiamo che ci possono anche essere le risorse regionali, e siccome i bravi amministratori, o quelli che cercano di esserlo, sanno anche che senza risorse non è possibile andare oltre un certo limite di investimenti, anche sotto il profilo della prevenzione, anche questo sarà estremamente rilevante. Mi fermo qui, ribadendo quello che ho detto prima: speriamo davvero che a breve, come abbiamo raccolto nella mozione votata in Consiglio comunale nel maggio scorso, si possa aprire il dibattito nella sede propria di una proposta di legge, in questo caso di iniziativa popolare, che è la nostra Assemblea legislativa, il luogo meraviglioso della democrazia.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie all’assessora Natalia Maramotti.

    Adesso la parola a Fabrizia Dalcò, di Parma, delegata dell’assessora Nicoletta Paci.

     

    DALCÒ (delegata dell’assessora Nicoletta Paci)

     Buongiorno a tutte e a tutti. Io sono una funzionaria del Comune di Parma e porto i saluti dell’assessora Nicoletta Paci, assessora alla partecipazione e ai diritti delle cittadine e dei cittadini. Anche Parma è in questa avventura, che io considero molto importante. Ce lo dice anche la vostra presenza qui. Mi piace, come ha fatto l’assessora Maramotti, salutare anche la rappresentanza delle associazioni di Parma presenti in questa sala. Era inevitabile che il Comune di Parma, come ha fatto in Consiglio comunale con forza nel maggio dell’anno scorso, proponesse alla Regione la legge di iniziativa popolare per una legge regionale. Dico che era inevitabile perché noi abbiamo uno slogan che è “Parma città dei diritti”: città dei diritti delle donne, città dei diritti LGBT, della disabilità e di molto altro. Il Comune di Parma lavora molto con l’assessorato alle pari opportunità su queste tematiche, con la necessità, però, crediamo, di una cornice davvero di legge regionale. Una necessità che ci dice importante, come ci ha dimostrato la legge sulla parità. Ne ha parlato la consigliera Mori; il Comune di Parma poi ha firmato un protocollo con la Regione Emilia-Romagna per l’acquisizione della legge di parità e per fare in modo che quegli articoli della legge di parità trovassero forza anche sul territorio parmense, e sono certa che lo farà anche per questa legge. Il Comune di Parma è all’avanguardia. Cito l’ultimo atto compiuto dal sindaco Pizzarotti, che ha trascritto atti di nascita di bambini nati in coppie, in famiglie omogenitoriali. Questo ha suscitato grandissime polemiche, a Parma, noi abbiamo detto troppe polemiche. Il sindaco Pizzarotti ha parlato dei diritti dei bambini di quelle coppie, ma in ogni caso bisogna parlare anche dei diritti dei genitori di quelle coppie. Io ricordo che qualche anno fa Parma per la prima volta ha affidato una bambina a una coppia omogenitoriale. Lì le polemiche sono state un pochino meno: ci sono state, ma è come se noi avessimo visto uno specchio un po’ particolare. Là andava bene una coppia a servizio, non so se avete inteso: era un affido e andava bene una coppia a servizio, a servizio della comunità. Qui, diritti dei genitori, un’altra coppia, evidentemente, ma sempre omogenitoriale, andava un pochino meno bene, perché esercitava un diritto, non solo al servizio della comunità. Spero di essere stata chiara, in questa doppia visione, di quello che è accaduto. Noi facciamo moltissimi progetti. L’ultimo che vi racconto è questo: una convenzione con associazioni di categoria dei commercianti che sembrano piuttosto lontane da questo argomento, in realtà per ottenere, per fare la formazione di operatori, di esercenti che possano essere più accoglienti (bar, ristoranti, hotel, negozi) nei confronti delle persone LGBT. Qualcuno dice che non è necessario, l’ho sentito anche dal consigliere di minoranza. In realtà, le discriminazioni sono denunciate, devono essere raccontate, l’ha detto la consigliera Mori, perché molto spesso, e lo sappiamo, negli anni scorsi sono state taciute, sottaciute. Devo dire che in questo ci aiuta anche la storia delle donne: sottaciuta, non riconosciuta e le discriminazioni anche lì non lo sono state. Ci sono tanti progetti in corso, quindi. Lo dicevano le assessore prima: la legge regionale consente anche di ottenere delle risorse. Lo ha fatto la Regione sulla legge n. 6 del 2014, quella citata prima. Quindi, Parma c’è, lo ha fatto grazie a una mobilitazione dal basso. Io devo dire che le leggi servono, lo sappiamo tutti: noi ci guardiamo, qui ci riconosciamo, viviamo in un mondo normato, e ci servono proprio addirittura forse per non scannarci, perché potremmo anche dimostrare il peggio di noi. La legge regionale, quindi, serve. Parma c’è e continuerà in questo percorso.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie a Fabrizia Dalcò, del Comune di Parma.

    Chiamo ora Franco Grillini, che è uno dei padri di questa legge, e anche ex consigliere regionale.

    Si prepari Lara Villa, del Comitato “Genitori Attenti!” di Imola.

     

    GRILLINI (presidente onorario Arcigay)

    Buongiorno a tutti. Come diceva il presidente Mumolo, la discussione su questa proposta di legge è iniziata nella scorsa legislatura. Se la scorsa legislatura non fosse stata – e qui dico un’opinione personale – inopinatamente interrotta, inopinatamente negativamente in modo sbagliato interrotta, ora avremmo già una legge contro le discriminazioni in Emilia-Romagna.

    Le cose sono andate come tutti sanno e ne stiamo discutendo oggi. Per fortuna la discussione è ripresa. Mi auguro che entro la fine del mandato anche la Regione Emilia-Romagna abbia una legge di questo tipo. Dico “anche” perché, in realtà, sono moltissime le Regioni italiane che ormai l’hanno votata: la Liguria, l’Umbria, le Marche, la Toscana, la Calabria la sta discutendo e votando, la Puglia la sta discutendo e votando, la Basilicata anche. Non siamo nel deserto dei Tartari, siamo semplicemente in una scia che prevede un’ampia normazione regionale da questo punto di vista. Ahimè, questa non è una legge contro l’omofobia. Dico “ahimè” perché, in realtà, io sono tra coloro che la vorrebbero. Ci ho anche provato quando ero parlamentare. Ero persino riuscito a farmela votare in Commissione, ma poi tutti sanno come è finita quella legislatura. La legge sull’omofobia riguarda la legge penale. La Regione Emilia-Romagna non ha competenze, come tutte le Regioni, in questa materia, in materia penale. Quindi, è una legge che riguarda l’intervento della Regione negli ambiti di sua competenza. Si può criticare, si può dire di tutto, tranne che la Regione non la possa fare o non la debba fare. Noi siamo di fronte ad una situazione drammatica. Vi invito a leggere L’Espresso di questa settimana, che contiene un amplissimo servizio su quello che sta succedendo in questo Paese. Siamo di fronte ad una recrudescenza. È probabile anche che una maggiore consapevolezza abbia portato un sacco di gente a fare denunce che prima non faceva per paura. Come per quanto riguarda le donne, in molti casi, la denuncia della violenza subita rischia di trasformarsi in un problema per la vittima. Quindi, molti non fanno la denuncia. Abbiamo visto, anche nella città di Bologna, anche in Emilia-Romagna, numerosissimi episodi: dalle scritte recentissime, alle svastiche sulle scuole di Ravenna, alle scritte contro il preside di Ravenna. Anche a Bologna c’è stato un pestaggio brutale di un ragazzo un anno fa, perché, come diceva giustamente il presidente del Cassero, Vincenzo Branà, “nessuna città è immune dalla violenza razzista”, perché di questo si tratta. Noi parliamo di omofobia, ma in realtà si tratta di violenza razzista allo stato puro. Volevo dire due cose e finisco rapidamente. La prima è che tutti i contenuti di questa legge sono presenti al tavolo delle associazioni, al tavolo LGBT di Palazzo Chigi, convocato regolarmente dal sottosegretario alle pari opportunità, Vincenzo Spadafora. C’è stata una riunione anche venerdì scorso. Quindi, non stiamo discutendo di luna, stiamo discutendo di un’attività che fa parte anche dell’attività di Governo, non so quanto condivisa da tutta la compagine di Governo, ma la cosa mi interessa poco. L’importante è che ci sia. È probabile che questa azione da un lato del tavolo LGBT di Palazzo Chigi e della legislazione regionale possa portare a un lavoro di sinergia che possa produrre buoni frutti, perché il nostro scopo non è quello della propaganda. Inviterei anche ad evitare sciocchezze tipo “pensiero unico”, perché non esiste nessun pensiero unico, non esiste nessun complotto. Le teorie complottiste ci sono sempre state, però, hanno sempre portato disastri. Pensiamo al complotto demo-pluto-giudaico-massonico di mussoliniana memoria, per non parlare dell’idiozia di un senatore che addirittura ha rispolverato i Protocolli dei Savi di Sion recentemente. Stiamo attenti a tirar fuori questioni che non c’entro nulla con il merito delle cose che stiamo discutendo, che sono semplicemente interventi nell’ambito delle competenze regionali su sanità, lavoro, formazione professionale e via dicendo, che aiutano a discriminare di meno, perché nessuno si illude che una legge faccia sparire la discriminazione, però c’è un valore nella presenza di una legge che dice che è sbagliato discriminare. Banalmente. Io non trovo nulla di ambiguo in una cosa del genere. È molto chiaro: è sbagliato discriminare, non si può, non si deve. L’altra questione è quella delle famiglie, e qui concludo. Noi siamo a 23.000 persone che hanno fatto una cerimonia di unione civile in Italia. Proporzionalmente è uno dei dati più rilevanti in Europa. Alla fine dell’anno arriveremo a 30.000 persone che hanno utilizzato la legge sulle unioni civili. Io stesso sono stato protagonista di numerose celebrazioni su delega dei sindaci in giro per l’Italia. Vi assicuro che c’è tanta felicità nell’uso di questa legge, nel costituire legalmente un nucleo familiare. Qui non è il caso di aprire la discussione su chi è famiglia o chi non è famiglia. Per quanto mi riguarda, qualsiasi nucleo familiare di qualsiasi tipo è famiglia, come ci dice la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia perché non riconosceva le coppie omosessuali – il Governo di allora non fece ricorso alla Grande Chambre e pagò i soldi a cui era condannato di risarcimento – dicendo che ogni essere umano aveva diritto alla vita familiare, cosa che è scritta a chiare lettere anche nei trattati europei: Trattato di Lisbona, Trattato europeo sui diritti umani e via dicendo. Qui non c’è…

     

    Presidente MUMOLO

    Franco, perdonaci, ma devi chiudere.

     

    GRILLINI (presidente onorario Arcigay)

    Ho finito. Qui non c’è una famiglia contro un’altra famiglia, qui ci sono esseri umani che non vogliono essere discriminati e che vogliono contribuire alla coesione sociale, al benessere collettivo per i diritti di tutti.

     

    (applausi)

     

    Relatrice MORI

    Grazie, Franco.

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie a Franco Grillini.

    Chiamo a intervenire Lara Villa. Prego. Si prepari Marco Tonti di Rimini.

     

    VILLA (Comitato “Genitori Attenti!” Imola)

    Buongiorno. Vi ringrazio per averci dato questa possibilità. Vi leggerei tre righe dell’articolo 3 che ci ha lasciato, come genitori – io rappresento il Comitato “Genitori Attenti!” di Imola –, abbastanza perplessi: “L’Ufficio scolastico regionale favorisce, nelle scuole di ogni ordine e grado, la promozione di attività di formazione e aggiornamento del personale docente in materia di contrasto agli stereotipi, prevenzione del bullismo e cyberbullismo motivato dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, sostenendo progettualità che in tal senso coinvolgano anche i genitori e le famiglie”. Il Comitato Genitori Attenti Imola è un gruppo di genitori che è partito per questa esperienza quando si è trovato nelle scuole dei propri figli progetti di educazione all’affettività alquanto equivoci. Le informazioni sui contenuti di questi progetti, che trattano temi sensibili – noi non ci occupiamo del curricolare –, sono scarse, farraginose e perlopiù volutamente tenute nascoste alle famiglie. Per esempio, per il progetto gender “Viva l’amore” non vengono mai dati da visionare alle famiglie i materiali che usano gli esperti con i ragazzi in classe. Mai. Vengono dati ai ragazzi, ma i genitori non li vedono. Passiamo all’articolo 3. Perché per combattere il bullismo, il cyberbullismo e le discriminazioni delle diversità, perché per combattere tutti questi fenomeni bisogna cancellare l’identità di genere? Questo ci viene dato come un postulato non contestabile. Vuol dire che per educare al rispetto e all’amore bisogna cancellare l’identità dell’uomo. Tutto questo ci sembra una scusa che viene di conseguenza. L’obiettivo è quello di educare al rispetto o vi è la volontà nascosta di cancellare l’identità di genere? Questa legge sulla omotransnegatività sembra essere la risposta operativa di questa volontà. È la famiglia che si deve adeguare e piegare a questo volere (e la si vuole “coinvolgere”; qui si parla di “coinvolgimento” della famiglia) o la famiglia, come cellula base di questa società, ha il diritto di educare i propri figli all’affettività? O vogliamo imbavagliarla e farla stare zitta? Noi genitori non vogliamo essere “coinvolti”. Noi siamo gli esperti dell’educazione dei nostri figli e, in quanto tali, pretendiamo che per trattare temi sensibili con i nostri figli ci venga chiesto il permesso. Punto.

     

    (appalusi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Lara Villa. La parola a Marco Tonti, di Arcigay Rimini. Si prepari Valeria Savazzi, di “Ottavo Colore” di Parma.

     

    TONTI (Arcigay Rimini)

    Buongiorno. Grazie, Presidente. Signore e signori consiglieri, io sono Marco Tonti di Arcigay Rimini. Sono molto emozionato di poter portare finalmente nel cuore di un’istituzione come questa una testimonianza di quello che succede spesso sui nostri territori. Non c’è la percezione, tranne, a volte, quando passa dai giornali, di quanto dolore ci sia. A Rimini abbiamo avuto una serie di casi molto tristi e molto forti. Per esempio, penso al caso di un cuoco che è stato costretto dal suo datore di lavoro, per dimostrare la propria mascolinità, a cercare una prostituta, portarla sul luogo di lavoro e consumare un rapporto sessuale con lei davanti a tutti i suoi colleghi. Questo è stato un caso, ma ce ne sono stati tanti altri. Penso al caso di un ragazzo trans che stava facendo la transizione verso il sesso femminile e che è stato licenziato con un pretesto quando la sua trasformazione non era più visibile, malgrado la sua disponibilità a un demansionamento, per esempio. Ci sono stati i due finti funerali inscenati durante un’unione civile a Cesena da Forza Nuova. Hanno scritto i nomi delle due persone che si stavano unendo nel mezzo di un manifesto funebre e hanno scritto: “Questa è la morte della civiltà”. Un certo numero di ragazzi e ragazze, poco più o poco meno che minorenni, sono stati buttati fuori di casa e minacciati dai genitori. Addirittura, un ragazzo ha dovuto chiedere l’intervento dei Carabinieri per recuperare pochi effetti personali per andare a dormire e vivere da un’altra parte. Questo ragazzo aveva diciannove anni. Gli esempi, purtroppo, sono tantissimi. Vista la ristrettezza del tempo, non potrò elencarli tutti. Voglio dire alcune cose, però. Insieme a questi casi eclatanti che sono finiti sui giornali, ce ne sono tanti altri che non sono finiti sui giornali. Mi riferisco soprattutto a quei casi “minori”. Battute, insulti gridati dai treni e dalle macchine. Questi sono “minori” solo per la distanza del racconto, ma non erano certamente “minori” per chi li ha subiti. Bastava guardare lo sguardo pieno di angoscia di questi ragazzi e di queste ragazze e la loro voce tremante mentre raccontavano questi fatti per capirlo. Molte di queste cose, è vero, non sono strettamente di competenza regionale. Sono fatti così gravi che sfociano nel penale, come quelli raccontati dal servizio dell’Espresso, che ha già citato Franco Grillini. Approfitto per chiedere che venga messo agli atti l’Espresso del 10 febbraio 2019, da pagina 25 a pagina 31, insieme a questo report di Arcigay che è stato presentato sui fatti di omofobia in Italia dell’ultimo anno. Grazie mille.

    È vero che non sono strettamente di competenza regionale. La Regione, però, non solo ha una competenza in merito non dico “più importante”, ma può avere un ruolo veramente decisivo nel prevenire questi fatti. Quando avvengono, certo, dopo c’è la condanna, dopo ci sono le istituzioni che dicono “gravissimo”, “inaccettabile”, “siamo dalla parte delle vittime”. Dopo. Il problema è che questo deve succedere prima. Bisogna fare in modo che questi fatti non avvengano, che ci sia la possibilità di fare prevenzione. È vero, ci vorrebbe una legge nazionale contro l’omofobia, come ha ricordato Franco Grillini. In una recente intervista, un esponente del Governo ha detto che non è una priorità. Bene, questa è la risposta che noi ci sentiamo dire da trent’anni. Tutte le nostre questioni, tutti i nostri temi non sono una priorità. Mi permetto una nota personale. Sono nato a Rimini, mi sono diplomato a Cesena e mi sono laureato a Bologna. Ho vissuto in questa città. Come molti di voi, come molte persone lì fuori, siamo fieri e orgogliosi di vivere, invece, in una regione in cui per storia e per tradizione la tutela delle minoranze, il rispetto per tutti, il sostegno e la solidarietà sono una priorità. Devono essere una priorità di questa Regione. È vero quello che ha detto l’assessore Zaccaria: è una questione identitaria. Avere una legge come questa è una necessità per una regione con la storia e con la tradizione dell’Emilia-Romagna. Queste sono le tradizioni importanti che noi dobbiamo salvaguardare, che dobbiamo difendere, che dobbiamo valorizzare. Noi, come associazioni, cerchiamo di fare il possibile quando ci troviamo di fronte a questi casi – concludo immediatamente – ma siamo quasi sempre e quasi interamente da sole. Provate a immaginare cosa significa affrontare tutto questo da soli. Le persone che vivono in questa regione hanno bisogno di sapere che le istituzioni sono al loro fianco e alle loro spalle. Per questo motivo, vi invito a sostenere questa legge.

    Grazie mille.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Marco Tonti. La parola a Valeria Savazzi, “Ottavo Colore” di Parma. Si prepari Nella Quartaroli.

     

    SAVAZZI (Ottavo Colore)

    Buongiorno a tutti e a tutte. Sono molto felice di essere qui oggi tra di voi. È la prima volta che mi trovo in una situazione del genere. Ringrazio per la partecipazione il Comune di Parma, con cui abbiamo ottimi rapporti. Io sono Valeria Savazzi, rappresentante dell’associazione “Ottavo Colore” di Parma, un’associazione che da diversi anni lotta per i diritti delle persone LGBT sul territorio di Parma e provincia. Le parole che mi hanno colpito di più in questi momenti passati insieme sono certamente “uguaglianza” e “dignità”. Dove si parla di uguaglianza, ovviamente, si parla anche di dignità di tutte le persone che hanno bisogno di essere ugualmente degne davanti alla legge. Dove ci sono caratteristiche personali importanti non ci possono essere discriminazioni. “Uguali davanti alla legge” è, quindi, un’espressione che rivela un forte segnale di diversità. È scritto nella nostra Costituzione. Per essere uguali davanti alla legge è necessario che le leggi, in modo differente, tutelino i diritti di tutti gli individui. In caso contrario, si decide chi è degno e chi no, chi ha un valore e chi no. Penso, quindi, che sia importante fare prevenzione, diffondere la cultura del rispetto delle differenze e che i servizi creino una relazione sul territorio tra le famiglie e tutti gli individui, ovviamente in questo caso discriminati. Come si fa a creare sostegno? Per creare un sostegno e assumere una presa di posizione penso che sia importante ascoltare effettivamente tutte le discriminazioni, ma c’è bisogno di un ascolto a 360 gradi, permettendo anche di raccontarle. Senza una presa di posizione, un sostegno, infatti, non si può neanche pretendere che un ragazzo vada a raccontare se magari ha paura. Noi lo vediamo quotidianamente sul nostro territorio. Per esempio, solo nell’ultimo mese, da fine dicembre 2018 ad oggi, noi siamo stati contattati da due ragazzi, uno maggiorenne, uno minorenne, che sono stati buttati fuori di casa dai loro genitori perché hanno scoperto che avevano una relazione omosessuale. Dove finisce l’attenzione di questi genitori, in questo caso? Qual è il confine di attenzione che spetta a un genitore? Questa è una domanda che ritengo di dover tenere aperta. Probabilmente, se manca l’attenzione da parte di certi genitori, deve arrivare da certe istituzioni, non solo dalle persone delle associazioni che fanno il lavoro, su questo territorio, da diversi anni. Ringrazio di essere qui con voi oggi, e ringrazio ovviamente per questo disegno di legge. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Valeria Savazzi, di “Ottavo Colore” di Parma. Ascoltiamo ora Nella Quartaroli, CDNF. Di cosa è acronimo?

     

    QUARTAROLI (CDNF)

    È l’acronimo di “Comitato difendiamo i nostri figli”.

    Convocati in questa udienza conoscitiva, per esprimere osservazioni e proposte sul progetto di legge n. 7159, al di là di ogni valutazione sul modello ideologico della proposta, totalmente chiuso fin dal titolo a qualsiasi confronto con sensibilità diverse inerenti la delicata materia, ci sentiamo di sottolineare alcuni aspetti che sembrano viziare fin dall’articolo 1 la validità dell’intero progetto di legge. L’uso di un neologismo quale il termine “omotransnegatività”, che non risulta essere utilizzato dalla prevalente letteratura scientifica, già denuncia l’incapacità di definire chiaramente gli atteggiamenti pericolosi da prevenire e superare. Infatti, al contrario del termine “omofobia”, che indica una versione ossessiva, la cosiddetta omotransnegatività dovrebbe indicare qualsiasi atteggiamento non concorde con le modalità di contrasto degli stereotipi, previste nelle attività di formazione ed aggiornamento, per esempio, del personale docente. È peraltro dubbia la competenza della Regione in una materia che sembra afferire all’ordinamento civile e quindi di legislazione esclusiva dello Stato. Infatti, la Corte costituzionale ha mantenuto un orientamento costante, iniziato con varie sentenze, quali “le considerazioni svolte permettono di affermare, riguardo ai parametri costituzionali evocati, che la disciplina del mobbing, valutata nella sua complessità, e sotto il profilo della regolazione degli effetti sul rapporto di lavoro, rientra nell’ordinamento civile”.

    Infine, cosa significa poi “prevenire e superare le situazioni, anche potenziali, di discriminazione e omotransnegatività”? La situazione potenziale, per di più in presenza di un nebuloso parametro di riferimento quale la omotransnegatività, come evidenziato dal primo punto, verrebbe valutata più in riferimento ad un processo alle intenzioni che ad un dato oggettivo. Ad esempio: in quale tra le fattispecie elencate prima dovrebbe rientrare un commento pubblico ai versetti della Chiesa cattolica fatta in una riunione di fedeli? E parimenti, come prevenire identiche possibilità qualora in un’assemblea di fedeli musulmani si dia lettura della sura 7 al versetto 79:80 del Corano? Siamo quindi di fronte ad un tentativo simile a quello che caratterizza i reati d’opinione, che proprio per la genericità ed indeterminatezza della condotta si prestano alla repressione di qualsiasi forma di dissenso, sia politico, sia ideologico, impedendo la libertà di manifestazione del pensiero. In conclusione, si ritiene che un progetto di legge come il 7159 sconti, all’origine, una mancanza di confronto con diverse valutazioni di carattere antropologico, psicologico, sociologico e giuridico, mentre invece la valutazione di una materia così delicata richiederebbe un approccio razionale e non ideologicamente precostituito. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, Nella Quartaroli. Adesso ascoltiamo Alberto Nicolini, Arcigay Reggio Emilia.

     

    NICOLINI (Arcigay Reggio Emilia)

    Buongiorno a tutte le persone in questa sala. Sono Alberto Nicolini, in questo momento sono il presidente di Arcigay Gioconda Reggio Emilia. Si tratta di un’associazione che esiste da più di vent’anni e che nel 2018 aveva più o meno 150 iscritti in regola con il pagamento della tessera. Tengo a dirlo perché credo che sia importante, in questa Assemblea, e nell’ascoltare le opinioni che vengono espresse, anche sapere chi rappresenta quale porzione di cittadinanza. Arcigay Reggio Emilia è composta da diverse persone che credono nei diritti civili, credono in una società che possa avanzare. Arcigay Reggio Emilia contiene al proprio interno degli iscritti che sono eterosessuali, omosessuali, bisessuali, lesbiche, gay, transessuali, transgender, persone religiose, cattoliche, islamiche, di religione islamica, atee. Abbiamo persone non italiane, italiani di seconda generazione, italiani emiliani da sempre, come potrei essere io. Tengo a dirlo perché stiamo mescolando tanti punti e tante linee in questa giornata. Avevo preparato un intervento che cominciava sui numeri, quindi sarò molto breve perché quello che ho ascoltato mi ha sollecitato molti pensieri. Ci sono dei dati cui possiamo riferirci, dati che bisogna saper leggere. Nel 2017, secondo la polizia olandese, in Olanda, Paese di 15 milioni di abitanti, sono stati denunciati 731 casi di delitti a sfondo omotransfobico: 731 casi su 15 milioni di abitanti nell’Olanda. L’Olanda non è certo un Paese particolarmente indietro rispetto all’accettanza dei diritti civili. Nello stesso anno, in Italia, le denunce di questi casi sono state 63: 63 in un Paese di 65 milioni di persone. L’Emilia-Romagna ne conta 5 milioni: da sola, rispetto all’Olanda, avrebbe dovuto avere un certo numero di denunce. Perché non ci sono? Perché ogni volta che c’è un caso di omo-transfobia, ogni volta che una persona viene aggredita all’uscita da un Pride – caso successo –, ogni volta che una coppia, il giorno della propria unione civile, viene insultata per strada – caso successo a Reggio Emilia il 3 giugno –, ogni volta che qualcuno viene mandato via da una spiaggia, o qualcosa del genere, quella è la punta dell’iceberg di quell’omo-transfobia di cui si parlava. È quella punta dell’iceberg che fa sì che sotto l’iceberg tutti gli altri imparino che è meglio stare zitti, è meglio non farsi vedere, è meglio tenere quella piccola maschera che abbiamo tutti, tutto il giorno, e che non ci permette di dire chi siamo veramente. Abbiamo parlato di operatori sanitari. Ieri sera, in associazione avevamo 23 persone e abbiamo fatto una domanda: chi dei presenti aveva detto al proprio medico, alla propria ginecologa di essere omosessuale o transessuale. Le persone che hanno risposto sono state 9 su 23. Sottolineo che l’aspetto del proprio orientamento sessuale, della propria vita sentimentale ha un’influenza molto importante sul benessere sociosanitario. Quelli che non lo hanno detto dicevano: non mi è mai stato chiesto, non me la sento di dirlo, non so cosa pensa il mio medico. Per questo siamo grati di questa formazione che viene messa a sistema in questo disegno di legge, perché per noi è ciò che ci serve per continuare a lavorare con una struttura più ampia e più forte. Una nota personale. Qualcuno dei relatori ha parlato dell’articolo 3 di questo disegno di legge, che riguarda appunto la formazione nell’ambito della scuola. Voglio rispondere con la voce di Alberto, quando aveva dieci anni e andava alle elementari – Alberto sono io –, quando venivo chiamato “finocchio”, “femminuccia”, quando tutte le risposte che mi venivano date in quelle giornate erano “fai finta di niente”. Ebbene, nel 2019 abbiamo altri strumenti che possono essere passati ai nostri genitori, che possono essere passati ai nostri insegnanti, perché smetta quello, perché è una cosa che ferisce, è una cosa che ci fa male. Quando si ha un supporto attorno di resilienza si può affrontare, ma si affronta solo se c’è questo supporto a livello sociale. Rispondo con l’articolo 3 della Costituzione a quell’articolo 3. L’articolo 3 della Costituzione ci dice che siamo tutti uguali davanti alla legge, ma che l’ordinamento deve rimuovere quegli ostacoli che ci impediscono di essere noi stessi e che ci impediscono di accedere tutti allo stesso livello. A nome della persona trans che vive in montagna a Reggio Emilia, che deve andare fino a Bologna per le proprie cure, e vi ricordo che per le persone trans gli ormoni sono farmaci salvavita, a nome di quella coppia che si sposa, che fa la cerimonia dell’unione civile e viene offesa per strada nel giorno che dovrebbe essere una celebrazione del proprio amore, a nome di quell’Alberto che a 12 anni veniva preso in giro e ha passato l’inferno nelle scuole emiliane, vi chiedo: votate questa legge adesso, non andate avanti con giochetti di parte. Questa legge riguarda tutte le persone che sono in questa sala, in un modo o nell’altro. Per favore, portate la legge in Assemblea e date un voto. Ne abbiamo bisogno. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. Può venire a portare il suo contributo Anita Lombardi, Lesbiche Bologna. Si prepari David Botti, Family Day.

     

    LOMBARDI (Lesbiche Bologna)

    Buongiorno a tutti e a tutte. Saluto tutte le persone presenti. Io sono Anita Lombardi e rappresento un’associazione di Bologna, Lesbiche Bologna. In particolare, il mio contributo di oggi verterà intorno a un’analisi del lavoro che noi facciamo nel sostegno di donne lesbiche e bisessuali che sono vittime di violenza in ragione del proprio orientamento sessuale. Da un anno, dopo un periodo di formazione, Lesbiche Bologna ha attivato uno sportello di ascolto e sostegno riferito proprio a donne lesbiche vittime di violenza. Abbiamo aperto soltanto da un anno e le donne che finora sono approdate allo sportello e hanno iniziato un percorso con noi, un percorso che può durare anche alcune settimane, sono state diciotto, che è un numero molto alto rispetto al tempo di apertura che c’è stato rispetto a questo servizio; un servizio realizzato naturalmente anche con la collaborazione della Casa delle donne di Bologna per non subire violenza. Rispetto a un’analisi complessiva di quello che abbiamo potuto rilevare ascoltando le storie e analizzando i casi delle donne che ci hanno contattate, possiamo dire con certezza che le donne lesbiche bisessuali che ci hanno contattato hanno presentato situazioni di violenza in tutte le tipologie della violenza, da quella fisica a quella psicologica, allo stalking, alla violenza sessuale, alla violenza economica. Mi preme dire che le violenze cominciano nella maggior parte dei casi nel momento del coming out, quindi nel momento in cui le ragazze e le donne dicono di essere lesbiche o bisessuali in famiglia. In casi minoritari, invece, le violenze avvengono anche prima del coming out, basate su un sospetto di omosessualità.

    Per quanto riguarda, nello specifico, la violenza psicologica è quella più invasiva, è quella che si attiva praticamente in tutti i casi; violenza che passa dall’insulto all’intimidazione all’interno del contesto familiare, ma anche alla minaccia, per esempio, di eliminare il sostentamento economico, di abbandono. Abbiamo avuto dei casi di ragazze, giovani ragazze peraltro, quindi non ancora indipendenti economicamente, che sono state effettivamente cacciate di casa perché avevano detto in famiglia che erano lesbiche. Sono state effettivamente cacciate di casa di punto in bianco, lasciate quindi senza soldi, senza effetti personali. Non hanno potuto neanche portarsi dietro dei vestiti o un bagaglio e hanno dovuto quindi arrangiarsi con mezzi di fortuna. Naturalmente, la violenza fisica è un tipo di violenza presente. In moltissimi casi le ragazze e le donne vengono pestate per il fatto che dichiarano in famiglia il proprio orientamento sessuale, in alcuni casi non soltanto da un membro, ma anche da un gruppo di persone. Queste aggressioni sono spesso e volentieri premeditate, organizzate da gruppi di persone. Vi riporto il caso di una donna che abbiamo avuto in percorso da noi. È stata attirata in casa con una scusa e poi ha subito un pestaggio che le ha provocato naturalmente gravi lesioni da parte di un membro della famiglia e addirittura dei vicini di casa. A questo proposito noi lavoriamo specificamente combattendo la violenza che avviene all’interno dei nuclei familiari. Gli autori delle violenze sono generalmente i genitori, ma in altri casi abbiamo avuto situazioni in cui, invece, è agita anche da vicini di casa, conoscenti, amici o parenti non direttamente del nucleo familiare. Non abbiamo soltanto questi tipi di violenze. Alcuni dei nostri casi riportano anche violenze sessuali. Lo stupro correttivo è attualmente una pratica che viene agita in particolare dai genitori, fondamentalmente, con l’obiettivo di insegnare l’eterosessualità alle figlie, alle giovani donne. Le terapie riparative ci sono state presentate da alcune donne come una possibilità o meglio i genitori proponevano oppure obbligavano le figlie, a seguito del coming out, a recarsi presso psicoterapeuti per riparare l’omosessualità. Ci tengo a dire che l’Ordine degli psicologi su questo ha un posizionamento molto chiaro e naturalmente le terapie riparative sono assolutamente danneggianti per la persona. In generale, quindi, come dicevo, tutte le sfere e tutte le tipologie di violenza sono riscontrate attraverso lo studio dei casi in cui siamo venuti a contatto. Ci sono casi anche molto gravi, nel senso che abbiamo, per esempio, in un caso un effettivo caso di sequestro. È una situazione molto frequente in cui spesso e volentieri le ragazze e le donne che fanno coming out in casa – concludo – vengono sequestrate in casa e viene impedito loro di uscire.

    Naturalmente quello che vi ho riportato è soltanto la punta dell’iceberg rispetto a questo fenomeno. Ci tengo a dire che in tutti i casi presentati gli autori della violenza esplicitavano il motivo della violenza dichiarando esplicitamente che il motivo era l’omosessualità della figlia. È fondamentale, è necessario che vengano applicate tutte le tutele giuridiche e legislative che possono essere utili per contrastare questo fenomeno e anche naturalmente per facilitare l’emersione di questo fenomeno. Come diceva qualcuno che mi ha preceduto, certamente molte persone non chiedono aiuto, non denunciano, perché pensano, appunto, che non si possa per loro far niente. Grazie. Lascio agli atti il testo.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, Anita Lombardi. Interviene David Botti, Family Day. Si prepari Valeriano Scassa, Il Grande Colibrì Piacenza.

     

    BOTTI (Family Day)

    Alcune osservazioni sull’osservatorio ex articolo 7. Le ho intitolate “L’omotransfobia esiste davvero”. Curiosamente, proprio poche ore dopo la seduta del 23 gennaio di questa Commissione, la stampa ha dato notizia di un caso di omofobia. Curiosamente, la presunta vittima cura una rubrica per Radio Città del Capo, nata dalla scissione di Democrazia Proletaria. Curiosamente, le minacce sono state scritte con vernice rossa anziché nera. Curiosamente, dopo il 25 gennaio, sui media della denuncia non c’è più notizia. Il caso citato è tipico e serve per riflettere. Si può valutare la dimensione del problema omotransfobico basandosi su segnalazioni, articoli di giornale – ho visto mettere agli atti l’Espresso – statistiche fornite da agenzia e associazioni che sono di parte o addirittura eterofobe? Come mai queste agenzie eterofobe non considerano le violenze compiute da persone gay sui gay, la cui entità ha richiesto un numero verde nazionale di Arcilesbica, ed è a Bologna, violenze di gay sui gay? Mi chiedo, poi, se tra queste agenzie di parte possono annoverarsi anche l’Osservatorio regionale contro le discriminazioni di genere, ex legge n. 6 di giugno 2014, e l’istituendo ulteriore osservatorio di cui all’articolo 7, del quale sto parlando. Questi osservatori, che raccolgono segnalazioni e articoli di giornale, sono generalmente composti, in maggioranza, da avversari della famiglia naturale o, addirittura, da eterofobi. Per giunta, la credibilità di queste agenzie e osservatori è crollata dopo il caso UNAR, un ente dello Stato che organizzava orge con denaro pubblico. Se non sbaglio, qualcosa di simile si è verificato anche a Bologna. Le stesse audizioni relative alla legge Scalfarotto nel 2013 e la relazione finale del 2017 della Commissione “Jo Cox” sull’intolleranza (Laura Boldrini) non hanno fornito numeri. Forniscono percentuali, ma non numeri. Utilizzano criteri risibili. Uno spintone dato a scuola tra due ragazzi maschi sarebbe un gesto di discriminazione. Ciò premesso, sembra evidente che gli unici dati attendibili sono quelli – primo – dei procedimenti penali e – secondo – forniti dalle forze di polizia raggruppati attorno all’OSCAD (osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) del ministero degli interni. Prego la Commissione – non li ho portati con me – di metterli agli atti. Ne trovate uno del 2013 e uno del 2017. Si trovano sul sito del ministero dell’interno. Sono sia numerici che percentuali. Perché l’OSCAD? L’OSCAD distingue accuratamente tra segnalazioni e denunce presentate, ma segue anche l’evoluzione delle denunce fino all’esito giudiziario e penale, un esito che sembra non interessare mai le agenzie precedentemente citate. Vi dico questi numeri. Dal 2010 al 2013 l’OSCAD ha ricevuto 611 segnalazioni in tutta Italia, delle quali 83 riguardavano l’orientamento sessuale. Uguale: 28 casi all’anno in tutta Italia. Nel più recente rapporto OSCAD, si conferma che le segnalazioni costituenti reato in tutta Italia, dal settembre 2010 al dicembre 2017, ammontano a 1.036. Di queste, 140 riguardano l’orientamento sessuale. Facciamo la media del pollo. C’è una segnalazione costituente reato all’anno per regione. In conclusione, facciamo attenzione. Nel 2016 la Regione ha approvato un’altra urgente – era urgentissima – risoluzione contro il bullismo e il cyberbullismo. Curiosamente, il 30 dicembre la polizia postale di Bologna (non dell’Olanda) ha rivelato che nella nostra regione in tutto il 2018 vi sono state due denunce (non condanne) per cyberbullismo. Quella risoluzione era urgentissima. Vi chiedo: che sia più urgente una legge contro l’eterofobia, una legge contro chi odia la famiglia naturale?

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. La parola a Valeriano Scassa, per “Il Grande Colibrì” di Piacenza. Si prepari Cira Santoro, di “Teatro Arcobaleno”.

     

    SCASSA (Il Grande Colibrì di Piacenza)

    Buongiorno. Io sono qui in una doppia veste: in veste di rappresentante del Grande Colibrì e in veste di ex presidente di Arcigay Piacenza, ruolo che ho ricoperto per circa dieci anni. Piacenza – forse qualcuno di voi lo saprà – è caratterizzata da un clima abbastanza reazionario, a prescindere dalle Amministrazioni che si succedono durante gli anni. Infatti, noi risentiamo di un clima che va dalla prudenza fuori misura a una garbata ostilità. In questo periodo, siamo nella fase “garbata ostilità”. Con la nuova Amministrazione, il nostro Comune è uscito dalla rete RE.A.DY, ha tolto il Festival del diritto, che era l’unico festival portato avanti nella nostra città, e ha trasformato alcuni centri di aggregazione giovanile, molto importanti perché portavano avanti programmi di educazione anche contro il bullismo e l’omofobia, in centri ricreativi di quartiere. Anche se può essere coerente con una scelta dell’Amministrazione, la città qualcosa ha perso. Mi piacerebbe raccontare tutte le storie che ho raccolto negli anni della mia esperienza come rappresentante di Arcigay e adesso come Grande Colibrì. Vorrei, però, raccontare soprattutto fatti concreti e provati che, magari, potrebbero essere messi agli atti, facendo una piccola ricerca. Ad esempio, nel marzo del 2014, in collaborazione con il Comune, che era ancora nella rete RE.A.DY, e con AGEDO, avevamo proposto di inoltrare nelle scuole superiori un questionario conoscitivo sulla situazione dell’omofobia nelle scuole. Ovviamente, solo ai neomaggiorenni, perché volevamo fare una cosa assolutamente a prova di critica. Anche se questo questionario era stato portato da AGEDO in diverse città d’Italia da circa una decina d’anni, l’unico caso in cui si è sollevato un polverone mediatico terribile è stato proprio a Piacenza, tant’è che poi è intervenuto anche il provveditore agli studi, che ha vietato di distribuire questo questionario conoscitivo nelle scuole superiori. Di contro, l’anno successivo, nel marzo 2015, la Regione con la ASL aveva proposto di introdurre il già citato progetto “Viva l’amore” nelle scuole. Nonostante ci sia stato un polverone mediatico notevole, questa volta il progetto è riuscito ad entrare. Se non fosse stato per la Regione, probabilmente noi non avremmo avuto neanche questo piccolo punto a favore dell’inclusione e della discussione di questo tipo di tematica nelle scuole. Vi ricordo che, comunque, era un progetto nato dalla ASL e non dalle associazioni LGBT. La città di Piacenza adesso, a differenza, forse, di altre città dell’Emilia-Romagna, risente ancora un po’ troppo di questo clima e del fatto che questo comporti una quantità di sommerso che, magari, in altre città dell’Emilia-Romagna non esiste. Il discorso è molto semplice. Da parte nostra, di Piacenza, delle associazioni LGBT di Piacenza, che io vengo qui a rappresentare, sentiamo veramente la necessità di una legge regionale che compensi alcune carenze che nel nostro territorio sono abbastanza croniche, tant’è che adesso, oltre all’Amministrazione comunale, abbiamo un’Amministrazione provinciale totalmente allineata, anche perché il sindaco di Piacenza adesso è stato eletto anche presidente della provincia. La Regione, quindi, è una delle possibilità che possiamo avere per riuscire a trattare questi temi in maniera un pochino più efficace nel nostro territorio, una delle ultime possibilità che ci restano. Chiudo dicendo una piccola cosa riguardo a Grande Colibrì, che è una realtà diversa rispetto all’Arcigay, di cui prima ero presidente. Si occupa soprattutto delle minoranze all’interno delle LGBT, minoranze religiose, etniche, culturali, disabilità, eccetera. Anche questo tema, secondo me, prima o poi andrebbe affrontato a livello regionale. C’è una grande immigrazione da parte dei Paesi in cui queste persone sono condannate a morte o alla prigionia solo per il loro orientamento, ma viene ampiamente sottovalutata e spesso risulta praticamente invisibile.

    Vi ringrazio di avermi dato la possibilità di esprimermi. Spero che il mio contributo sia stato apprezzato. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Valeriano Scassa. Mi dicono che Cira Santoro in questo momento non è in sala. Chiedo di intervenire a Samanta Picciaiola, di “Educare alle differenze”. Vi chiederei anche una cortesia. Potremmo evitare in questa sede, essendo una sede istituzionale, gli applausi delle due parti? Siamo qui più che altro per provare ad ascoltarci e per provare a contribuire a migliorare questo progetto di legge. Samanta Picciaiola, prego.

     

    PICCIAIOLA (Educare alle differenze)

    Buongiorno a tutte e a tutti. Sono sollevata dall’idea che non dovrò sottopormi all’agone del consenso con o senza applausi. Sono qui perché rappresento un gruppo di docenti, educatori e educatrici, di una associazione che si chiama “Educare alle differenze”. In particolare, io sono una maestra di scuola primaria, svolgo questo mestiere. Il mio compito, oggi, credo sia quello di costringervi ad aprire gli occhi su una realtà scolastica che retrodata il problema del bullismo, che quasi sempre ha basi omofobiche, alla scuola primaria. Da circa due-tre anni, le insegnanti della mia scuola, una scuola della provincia della Bassa, tra Bologna e Ferrara, sono destinatarie di progetti attivati dall’azienda ASL per il contrasto al bullismo. Fino a cinque anni fa questi progetti erano destinati esclusivamente a partire dalla scuola media (scuola secondaria inferiore). Il motivo per cui c’è stato questo aggiustamento è perché noi tutti i giorni, e qui mi dispiace che si neghi l’evidenza, vediamo in atto dinamiche di discriminazione che portano alla bullizzazione. È vero che il bullismo può essere sia maschile che femminile, ma è altrettanto vero che quando è femminile, ovvero, quando è operato da gruppi di bambine, come nel mio caso, nei confronti di un’altra bambina, avviene sempre con la stessa logica: una logica che mira a identificare gli elementi di discrepanza da un modello maggioritario, e a partire da questa discriminazione farne il motivo per un attacco violento. La violenza è anche verbale e simbolica, non è solo fisica e agita. Quanto alla violenza verbale e simbolica, per me che mi occupo anche della tematica della violenza di genere, sappiamo quanto è difficile farla emergere e rendere oggetto di denunce. Quindi le denunce non possono essere un dato, soprattutto se poi ci occupiamo di minori all’interno di contesti scolastici. Se può bastare la mia testimonianza, in qualche modo quindici anni di insegnamento sulle spalle li ho, e vi assicuro che il problema è presente. Cosa servirebbe a noi docenti per fare un buon lavoro di inclusione, come amiamo definirlo oggi – a me piace più dire lavoro di lettura delle differenze –? Serve un dettato legislativo molto chiaro, che dica quali sono i comportamenti accettati e quali no all’interno di una dinamica di dialogo. Siccome io amo ridurre le questioni all’essenza, perché ho a che fare spesso con bambini e bambine piccole, mi piace ricordare che una comunità si fonda su uno stato di diritto ed è il diritto, ovvero le leggi, che ci dicono quali sono i limiti entro cui esercitare anche la libertà di espressione, che non è mai la libertà di offendere o di agire violenza. Io sono eterosessuale, non sono mai stata oggetto di comportamenti etero-fobici, ma – incredibile! – sono stata oggetto di comportamenti omofobici. Mi è successo quando con un gruppo di colleghe abbiamo deciso di portare bambini e bambine a vedere uno spettacolo che aveva l’ardire di porre l’attenzione sul tema dell’identità di genere. Ebbene, vi posso assicurare che l’omofobia esiste, è aggressiva, è violenta. Come insegnanti siamo state investite da un’onda di odio e diffamazione che ha riguardato i social, ma anche le pratiche quotidiane. La vernice degli striscioni attaccati alle cancellate delle nostre scuole era nera. Ed era molto nero il clima che respiravamo. Avremmo tanto avuto bisogno di una legge che stabilisse chiaramente che non è possibile discriminare. Infine, ultimissima cosa: noi ci stiamo ingegnando, da almeno cinque anni, a diversificare pratiche di inclusione a scuola, perché accogliamo ogni forma di differenza. È così non per libertà di insegnamento, ma per dettato costituzionale. Sarebbe un dovere, non una scelta, per ciascuna persona che fa il mio lavoro. Eppure, di fronte a questa molteplicità di strategie di inclusione io posso riscontrare che è invece univoca in modo formidabile la pratica dell’esclusione. È sempre la stessa, si basa sulla differenza, che non viene accettata soprattutto in contesti sociali e comunità fragili e spaventate. Noi dobbiamo dare forza, dobbiamo dare speranza e dobbiamo dare un limite entro cui si esercita il diritto. Soprattutto, dobbiamo ricordarci che l’unica legge di natura è la diversità. Questo lo voglio proprio dire come insegnante di scienze e matematica. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Noto che le mie esortazioni sull’applauso non sono servite. Ringrazio Samanta Picciaiola. Adesso la parola a Maurizio Betti, di “Telefono amico” Bologna. Si prepari Faccioli Maria Maddalena di AGESCI.

     

    BETTI (Telefono amico gay e lesbico del Cassero)

    Buongiorno. Mi chiamo Maurizio Betti, sono il responsabile del Telefono Amico gay e lesbico del Cassero di Bologna. Sono anche un insegnante, sono uno psicologo, sono anche “babbo” di una signora di 88 anni, mia mamma, che è sulla sedia a rotelle da otto anni. Ho tanti modi di vedere le cose, ho tanti vertici. A volte anche a scuola sento dire che l’omofobia non esiste, che i tempi sono cambiati, che non c’è più bisogno di leggi, che non serve più niente “hanno avuto anche il matrimonio, questi gay, cosa volevano”, eccetera. Ma i tempi non sono cambiati. I tempi non cambiano mai. Al massimo, i tempi ritornano. La storia forse non si ripete, ma fa sicuramente delle rime. Questo disagio, dunque, esiste, e io lo vedo tutti i giorni. È inutile pensare che non esiste l’omofobia. Basta entrare in qualsiasi bagno di una scuola pubblica per vedere che l’omofobia esiste. Basta che veniate una sera del gabbiotto del Telefono Amico per vedere che l’omofobia esiste, purtroppo. Esiste e produce dei danni, produce del dolore, che credo sia dolore inutile. Ci sono oltre 670 chiamate a Telefono Amico, che diventano 670 casi. Il primo caso che mi va di riprendere, cambiando il nome, è quello di un ragazzo che si chiama Nico, un ragazzo della provincia di Imola. Non è venuto lui, non sono venuti i suoi genitori. È venuta la zia, al Cassero. Ho pensato: non ha paura? No, tranquilla. Questo ragazzo, che non era accettato in nessun modo dalla famiglia, un ragazzo adottato, ha cominciato a prostituirsi ed è diventato sieropositivo. Credo che ad un ragazzo già penalizzato dal fatto di essere adottato, forse poteva essere evitato. Un altro caso è quello della mamma di una signora – abbiamo lavorato anche con Flavia dell’AGEDO –, la mamma di una ragazza che si chiamava Letizia, una famiglia siciliana. Sono venuti ad abitare a Bologna, e la figlia, ad un certo punto, che era l’orgoglio della famiglia, ha espresso l’intenzione di diventare un uomo, un ragazzo. Quando la signora è venuta a parlare ha messo in difficoltà anche me, perché io ho 58 anni, ero anch’io un pochino in difficoltà su questa cosa, non sapevo bene come gestirla. Questa mamma è venuta con le foto della figlia. Si portava sempre in tasca le foto della figlia di quando era bambina, che era l’orgoglio della famiglia, con questi ricciolini, eccetera. Si chiedeva come avrebbe potuto accettare che questa figlia tagliasse delle parti di sé stessa e diventasse in qualche modo qualcosa di diverso. Il dolore di questa mamma era grande. L’ultimo caso è quello di una ragazza, che non è stata una mia alunna, ma ha frequentato la mia scuola. Me la sono ritrovata al Cassero, la chiameremo Nenè. Una ragazza che appena compiuti 18 anni – era nella nostra scuola, frequentava la IV – è stata letteralmente buttata fuori di casa. Non vedevano l’ora che compisse 18 anni per buttarla fuori di casa. Questa ragazza ha detto, e credo che sia vero “o andavo a dormire ai giardini Margherita…”. E chi è di Bologna sa cosa sono i Giardini Margherita. È andata all’Antoniano. Ho detto: ma come hai fatto? Poi è venuta al Cassero, è stata un po’ di tempo al centro documentazione, qualcuno qui la ricorda senz’altro, abbiamo attivato gli assistenti sociali, e alla fine questa ragazza, non è un dato sensibile, lavora da Tiger adesso, e le cose sono cambiate.

    Perché tutto questo dolore, tutta questa paura, tutto questo malessere? La vita ce ne dà già abbastanza, non c’è bisogno di dosi supplementari. D’altronde, uno dice: cosa c’entra l’omofobia? C’entra, sì, perché c’è sempre il silenzio, la paura dietro tutte queste storie. Io credo che serva una legge perché le persone si devono poter sentire, tramite una legge, degne. Questa mamma deve sentirsi degna anche in Sicilia di avere una figlia che vuole cambiare sesso. È difficile, lo capisco, ma deve farlo. Questa ragazzina deve sentirsi degna e i genitori devono sentirsi indegni di averla messa fuori casa, secondo me, anche in un momento storico, tra l’altro, che è un momento particolare. Lo sappiamo tutti, basta girare per la città e vedere le persone che chiedono l’elemosina e vivono sotto i ponti.

    Voglio che questa legge venga approvata per quelle persone che chiamano Telefono Amico, perché negare una tutela a una categoria debole è come rubare le coperte a un clochard. È un atto vile, è un atto ingiusto. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, Maurizio Betti. Si accomodi Faccioli Maria Maddalena di AGeSC.

     

    FACCIOLI (AGeSC)

    Sono il presidente regionale AGeSC, Associazione Genitori Scuole Cattoliche dell’Emilia-Romagna. Sono anche il vicepresidente del Forum delle Associazioni familiari e leggo il testo preparato dal presidente. La libertà è un diritto di ogni persona. Ciascuno gode della libertà di pensiero, di espressione, di credo, di azione e di educazione. Il concetto di cittadinanza si basa sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nella nostra società il concetto della piena cittadinanza, rinunciando all’uso indiscriminato del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità. Questo prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae alle conquiste e ai diritti civili e religiosi di alcuni cittadini di fatto discriminandoli. Il Forum delle Associazioni familiari è contrario a qualsiasi forma di discriminazione, comprese quelle riguardanti l’orientamento sessuale. La proposta di legge introduce, tuttavia, una novità che rappresenta paradossalmente una discriminazione delle altre discriminazioni. Fra tutte le discriminazioni esistenti, quella relativa all’orientamento sessuale e all’identità di genere assume in questo modo rilevanza totalmente prioritaria rispetto alle altre. Con questa legge, con l’introduzione del principio della omotransnegatività, la semplice affermazione che la pratica dell’utero in affitto è aberrante o che le coppie omosessuali sono, per loro natura, non fertili diventa autonomamente un reato. Ci sembra francamente una palese violazione del principio costituzionalmente garantito di libera manifestazione del proprio pensiero. La Regione Emilia-Romagna oggi già favorisce la promozione di attività di formazione ed aggiornamento del personale docente in materia di contrasto agli stereotipi, prevenzione del bullismo e del cyberbullismo motivato dall’orientamento sessuale. Sostiene progettualità che coinvolgono i genitori e le famiglie quali responsabili del diritto/dovere ad educare. Il coinvolgimento delle famiglie in tutte le attività che coinvolgono gli studenti è obbligatorio perché va riconosciuto e rispettato il ruolo e il compito che la famiglia nell’educazione dei figli che frequentano l’ambiente scolastico, dall’infanzia all’adolescenza. Esiste un patto di corresponsabilità educativa, che coinvolge tutte le componenti della scuola e non va disatteso come, invece, si evince dalla proposta di legge. Ci appare fuori luogo prevedere canali preferenziali per la formazione, riqualificazione e inserimento lavorativo per le persone LGBT. In Italia ogni anno 25.000 mamme sono costrette a rinunciare al posto di lavoro dopo la nascita del figlio per la forte discriminazione dovuta alla difficoltà di assistere il bambino e conciliare i tempi lavoro/famiglia. Ci sono padri di famiglie numerose, disoccupati, che non riescono a trovare lavoro, con il conseguente impoverimento delle famiglie con figli sancito ogni anno in costante crescita dall’ISTAT. La proposta di legge prevede ulteriori fondi rispetto a quelli che già godono le associazioni LGBT. Sarebbe opportuno che la Regione evidenziasse, in maniera trasparente, tutti i fondi che vengono erogati per i contrasti alle varie forme di discriminazione al fine di verificarne le modalità di ripartizione. In conclusione, il Forum sostiene la lotta alla discriminazione contro l’orientamento sessuale, purché in un contesto di una legge che comprenda tutte le discriminazioni in essere, oltre a quelle sessuali e di genere, anche quelle razziali, religiose, inerenti alla lingua, alla nascita e ogni altra condizione personale, con pari dignità e senza corsie preferenziali. Chiede, quindi, che la legge venga totalmente riscritta, coinvolgendo le associazioni e i soggetti che tutelano le varie discriminazioni sopra citate. Diversamente, sulla proposta di legge così formulata il Forum Associazioni familiari Emilia-Romagna esprime parere fortemente contrario.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Adesso ascoltiamo Chiara Pazzaglia, dell’ACLI provinciale Bologna. Si prepari Antonella Raspadori, CGIL Emilia-Romagna.

     

    PAZZAGLIA (ACLI Provinciali Bologna)

    Buongiorno. Grazie per questa opportunità di intervento. Io ho il compito di leggere un documento e a nome di ben dieci associazioni che annoverano in totale circa 60.000 soci. Sono: ACLI Provinciali di Bologna, Associazione regionale famiglie numerose, Azione Cattolica Diocesana, AGeSC, Associazione Papa Giovanni XXIII, CIF, MCL, MLAC, Movimento per la vita e Società San Vincenzo De Paoli. Il progetto di legge regionale è un testo, a nostro avviso, che presenta diverse e notevoli criticità. Lo scopo dichiarato è quello di lottare contro le discriminazioni, in questo caso quelle fondate sull’orientamento sessuale, ed è in questo condivisibile. Sosteniamo fortemente la lotta alle discriminazioni, purché nel contesto di una legge che comprenda tutte le discriminazioni in essere oltre a quelle sessuali anche quelle razziali, religiose, inerenti la lingua, la nascita e ogni altra condizione personale con pari dignità e senza corsie preferenziali. Riteniamo, quindi, che il testo del disegno di legge debba esplicitare con chiarezza questo obiettivo più largo ed esigente. Tutte le discriminazioni vanno combattute, anche quelle rivolte, ad esempio, verso le famiglie con figli e contro i bambini, come le cosiddette offerte child free di affittuari ed operatori turistici. Osserviamo, peraltro, che norme contro le discriminazioni esistono già ad ogni livello: internazionale, nazionale, regionale. Si tratta, quindi, anche di applicare quelle che già ci sono. Ciò che ci preoccupa e allarma maggiormente in questo disegno di legge è altro, cioè l’uso di un termine “omotransnegatività” che, di fatto, sposta l’attenzione dalle azioni discriminatorie da combattere al terreno delle opinioni e della libertà di espressione, dove la diversità è da rispettare anche quando le idee non collimano con le proprie. C’è il tentativo di affermare l’autodeterminazione dell’identità di genere, mentre, invece, pensiamo sia necessario parlare di coscienza dell’identità sessuale di genere, che è una componente fondante dell’identità personale caratterizzata dalla componente biologica, psicologica, culturale e sociale. Comunque, non possiamo dimenticare che la rideterminazione del genere può avvenire solo al termine di un percorso normato da leggi nazionali vigenti a cui spetta la materia riguardante cittadinanza, stato civile e anagrafi, articolo 117 della Costituzione, lettera i).

    C’è poi il tentativo di definire percorsi separati e preferenziali per la formazione e l’accesso al lavoro, di fatto introducendo una discriminazione per combatterne un’altra. Il rischio evidente è di qualificare le persone LGBT come una categoria sociale bisognosa di protezione invece di sconfiggere le discriminazioni nei loro confronti come pure nei confronti di altri. C’è la previsione di attività di formazione a contrasto degli stereotipi nelle scuole di ogni ordine e grado, senza che sia esplicitato l’obiettivo di garantire un effettivo pluralismo di idee e approcci culturali, né quello del rispetto in ogni caso del ruolo educativo e della libertà di scelta delle famiglie. In nome di tutto questo si creano poi le condizioni favorevoli per erogare finanziamenti al mondo associativo LGBT, senza che la legge ne definisca in modo chiaro importo, obiettivi, significato, finalità e condizioni. È, quindi, un progetto di legge che avvolge nella carta di un obiettivo in sé condivisibile (la lotta alle discriminazioni) contenuti sbagliati e fuorvianti, introducendo una gerarchia fra le discriminazioni, inseguendo una deriva ideologica senza che sia chiaro quali siano i suoi limiti e confini. In questo senso, è fondamentale, oltre a correggere le storture elencate, esplicitare alcuni punti fermi, a partire dall’esplicita condanna della pratica della maternità surrogata, che costituisce oggi il principale punto di contrasto, non solo etico, ma anche normativo, tra l’affermazione dei diritti delle coppie omosessuali e i diritti della donna e del bambino, così come riconosciuti anche da convenzioni internazionali che il nostro Paese ha recepito e ratificato. Citiamo, ad esempio, la Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991.

    In assenza di una profonda riscrittura del provvedimento nella direzione che abbiamo qui esplicitato, di fronte al testo qui presentato, siamo contrari a questo progetto di legge.

    Lascio il documento agli atti.

     

    (appalusi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Chiara Pazzaglia. La parola ad Antonella Raspadori, CGIL Emilia-Romagna. Si prepari Manuela Claysset, di UISP Nazionale.

     

    RASPADORI (CGIL Emilia-Romagna)

    Buongiorno a tutte e a tutti. Ringraziamo per l’invito a questa audizione. Unitariamente abbiamo espresso la nostra opinione rispetto al progetto di legge base. Naturalmente abbiamo valutato con attenzione gli articoli che riguardavano il tema lavoro e politiche del lavoro. In particolare, abbiamo voluto sottolineare alcuni aspetti per noi fondamentali. Da sempre le organizzazioni sindacali si impegnano per contrastare, prevenire e lottare contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro, discriminazioni che possono riguardare tutte le persone (uomini, donne, persone LGBT, omosessuali). L’obiettivo è mantenere sempre costante il rispetto e la dignità di qualsiasi persona, a prescindere dal suo orientamento sessuale o dalla sua identità di genere. Noi abbiamo lavorato in questi anni in modo particolare su normative, che poi sono state assunte dalla Regione, che hanno riguardato l’inserimento lavorativo e l’inclusione sociale di tutti i soggetti. Anche rispetto a questa legge, abbiamo portato la nostra esperienza relativa agli accordi che abbiamo siglato in questi anni con le associazioni datoriali relativamente al contrasto per le molestie e la violenza nei luoghi di lavoro. È un tema che noi stiamo portando avanti da diverso tempo. Il nostro impegno nasce anche da prima dei vari movimenti (“Me Too” è quello più conosciuto). La nostra esperienza ci dice che proprio nei luoghi di lavoro si consumano discriminazioni, atti e fenomeni di violenza e di molestie che spesso non vengono, purtroppo, denunciati. Non c’è un’emersione di queste condizioni, quindi vogliamo intervenire attraverso accordi che siano innanzitutto di prevenzione. Questo è stato il nostro spirito, l’intento di intervenire su questo progetto di legge. L’ultima cosa che vorrei dire riguarda in particolare la mia organizzazione sindacale, ossia la CGIL. Da sempre, come CGIL, ci siamo mossi per promuovere e sostenere l’approvazione di un progetto di legge che abbia queste caratteristiche. Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che –come è stato detto – già in altre Regioni si è intervenuti in questo senso e che questa è una Regione che ha una legge quadro, la legge n. 6, estremamente avanzata, che interviene – questo lo sottolineo, perché è l’aspetto che ci interessa – sui temi del lavoro e che vede in questo progetto di legge il completamento di un intervento per contrastare e prevenire le discriminazioni. Vorrei dire un’ultima cosa. Il sindacato da sempre pensa che le istituzioni abbiano un ruolo importantissimo per svolgere il loro compito in termini sia di cultura sia di strumenti sia di promozione e sollecitazione nei confronti di valori importantissimi, come quelli di contrasto alla discriminazione, per le pari opportunità di tutti i soggetti, che sono, poi, i valori previsti dalla nostra Costituzione. Credo che in questo senso le istituzioni debbano svolgere questo ruolo così importante.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Antonella Raspadori. La parola a Manuela Claysset, UISP Nazionale. Si prepari Pieralli Stefano, dell’associazione “Plus ONLUS”.

     

    CLAYSSET (UISP Nazionale)

    Buongiorno a tutte e a tutti. Mi occupo di sport e rappresento l’associazione sportiva UISP (Unione italiana sport per tutti). Mi fa molto piacere essere qui e fornire il mio contributo a questa discussione. Crediamo sia necessario avere una legge come questa. Mi fa molto piacere il fatto che anche a livello di altre Regioni ci siano impegni già assunti o che si stanno prendendo. Dico questo perché lo sport – attenzione – non è escluso. Purtroppo, credo che l’omofobia si veda molto spesso, fin troppo spesso. Gli episodi più eclatanti riguardano anche le dichiarazioni di qualche grande calciatore. Vi ricordate Cassano che cosa disse a suo tempo? “I froci è meglio che non ci siano all’interno della Nazionale di calcio”. Oppure penso alle dichiarazioni tra l’allenatore del Napoli, se non ricordo male, e quello dell’Inter. Si tratta di episodi che sicuramente non hanno fatto tanto bene. Penso anche alle scelte fatte da alcuni calciatori. Ricordo una campagna che aveva lanciato Arcigay a suo tempo con i laccetti rainbow. In quel caso, il capitano del Cagliari venne fortemente criticato per una cosa del genere. Era, ovviamente, una cosa del tutto normale contrastare scelte come quelle, anche da persone eterosessuali. Parliamo, quindi, non di un mondo a parte, ma di un mondo che deve essere fortemente impegnato su questi temi. Parliamo dell’ampliamento dei diritti per tutti e per tutte. Non è riducendo o guardando solamente un singolo pezzo che si fanno passi in avanti. Il mondo dello sport può fare delle cose, anche in termini educativi e formativi, per un uso del linguaggio un po’ diverso. Il termine “frocio” è un’offesa, non è altro. Dicendo “ti comporti come una ragazzina” oppure “come una donnuccia” o “una femminuccia” si utilizzano termini che, probabilmente, devono stare al di fuori dei luoghi educativi. E anche lo sport deve fare la sua parte. Facile? Assolutamente no. Siamo condizionati da stereotipi nello sport, eccome. Molto spesso si sceglie in base a quello che dovrebbe essere fatto per una femmina piuttosto che per un maschio. È un lavoro molto difficile, ma crediamo che il tema educativo e di attenzione debba andare avanti.

    Come associazioni alcune scelte le abbiamo fatte. Non sono fuori dal mondo. Lo stesso CIO, il Comitato olimpico internazionale, alcune cose le ha scelte e le ha fatte. Gli atleti transessuali possono gareggiare. Sono state date delle norme. Sono delle scelte. Significa aver valutato che cosa si può fare. Non è un togliere ad altri. Credo si tratti, appunto, di allargare. È un impegno – ripeto – non facile, non semplice, ma credo che anche il mondo sportivo possa e debba dare alcune cose. Insieme alle varie associazioni, rappresentanti e non rappresentanti, siamo qui anche per capire quali possono essere concretamente le cose che possono essere fatte. Esiste anche la centrale educativa dello sport. Non dimentichiamolo, perché credo sia molto importante. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Manuela Claysset. Pieralli Stefano, dell’associazione Plus Onlus. Lo ascoltiamo volentieri.

    Si prepari Parchetti Antonella, dell’associazione AGEDO.

     

    PIERALLI (Plus Onlus)

     Salve. Vado velocemente per cercare di stare nei tempi. Intanto mi presento, perché non è detto che tutti conoscano l’associazione. Noi siamo una rete di persone LGBT sieropositive, ci occupiamo di salute della nostra comunità, ma quello che ci caratterizza soprattutto è un servizio che noi facciamo, il BLQ Check Point, in convenzione con la Regione, l’ASL e l’Ospedale Sant’Orsola. È un servizio sia di prevenzione che di ascolto. Vorrei ringraziare le Istituzioni per questa audizione, ma soprattutto vorrei ringraziare le associazioni LGBT presenti, perché questa audizione e questa legge sono il frutto - volevo ringraziare soprattutto Franco Grillini, ma è andato via - di un lungo lavoro e di lunga lotta del movimento LGBT. Noi siamo qui oggi a discutere di una legge, e non è stato facile. Non l’abbiamo ancora portata a casa. È una lotta che noi facciamo da anni e che probabilmente dovremo continuare a fare. Per cui, grazie a tutti. Io mi occuperò esclusivamente del pezzo salute per dare il mio appoggio a questa legge, perché altre associazioni porteranno esperienze più inerenti alle loro competenze e alle loro attività. Questa legge si occupa sostanzialmente di omonegatività e io non ne vedo nessun lato negativo. Come qualcuno diceva prima, Grillini, ma anche altri nei loro interventi, una legge sulla omotransfobia è una legge nazionale, quello che noi sosteniamo un aggiustamento della legge Mancino, che già esiste, sulle altre discriminazioni. Quello che può fare questa legge regionale è un elemento sulla cultura, è un intervento sulla società, sulla formazione, cioè creare un clima diverso rispetto alla nostra comunità, perché il tema dell’omofobia sociale porta anche a un tema di omofobia interiorizzata. Questi due elementi abbinati creano un grave elemento nella salute delle persone LGBT, che può essere anche un grave elemento della salute della popolazione generale. Ci sono studi scientifici, portati a tutti i congressi internazionali, l’ultimo a Vienna nel 2015, dove si riporta come la diffusione di alcune infezioni (HIV, ma non solo) è molto legata alla discriminazione. Tutti i dati epidemiologici portano questi elementi. Nella nostra regione, che è una delle poche che raccoglie i dati epidemiologici rispetto ad alcune pandemie, l’HIV in primis, la popolazione più vulnerabile è la popolazione MSM (maschi che fanno sesso con maschi). Non a caso si dice non LGBT, ma maschi che fanno sesso con maschi, perché la maggior parte delle persone che fa sesso con maschi ha problemi a definirsi, ha problemi ad accettare il suo orientamento sessuale e a viverlo serenamente, ha problemi a trattarsi, a curarsi, ad avere anche solo semplicemente quella quantità di test periodici che le può garantire la prevenzione. Per cui, c’è un lavoro culturale altissimo da fare da questo punto di vista. Più si crea un clima di cultura non omofobico, per cui non omonegativo, interiorizzato, più ne guadagna anche la salute della nostra città, della nostra popolazione, della popolazione LGBT e della popolazione generale. D’altronde, i virus, come si sa, girano e non guardano in faccia nessuno. Noi, pertanto, sottolineiamo l’importanza di questa proposta di legge anche in questo senso, perché può portare elementi di avanzamento culturale importante, e rimandiamo alla necessità assoluta di intervenire anche su una legge nazionale sulla omotransfobia. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. La parola a Parrocchetti Antonella di AGEDO. Si prepari Cristina Contini dell’associazione nazionale “Sentire le voci”.

     

    PARROCCHETTI (AGEDO)

    Buongiorno a tutte e a tutti. Sono grata di poter essere qui e di poter parlare a nome dei genitori di ragazzi omosessuali. AGEDO è l’associazione che è composta dai genitori di ragazzi omosessuali e dai loro amici o, comunque, persone che li sostengono. Questo la dice già lunga sull’importanza o meno di questa legge. Il fatto che ci sia bisogno per ragazzi e adulti (molto spesso adulti) di un’associazione che si occupi ancora dei loro diritti e ancora di creare un mondo a loro meno nemico credo che sia la risposta se io sono d’accordo o no su questa legge. Ci sono, comunque, altre questioni che sono importanti, e mi rivolgo anche agli altri genitori che ho sentito parlare quest’oggi. Quando avevo mio figlio a scuola, sarei stata molto contenta se nella scuola fossero stati organizzati corsi con l’obiettivo di stimolare l’uguaglianza, l’amore, l’accettazione di tutti, e non di ampliare le discriminazioni. Quindi, credo fortemente che questo sia un aspetto da riconoscere. Tutti i genitori hanno il diritto di poter proteggere i loro figli, tutti, noi compresi. Io mi ero preparata tante cose, ma poi in questa giornata bellissima ho ascoltato tante cose importanti. Ieri ho trovato questa lettera, che ha pubblicato la mia amica Concita De Gregorio, scritta da un ragazzo, che parla appunto di queste tematiche. Ve la voglio leggere (è molto breve) perché, secondo me, tocca un pochino tutti i temi che abbiamo trattato oggi: “Quattro anni fa, quando dissi ai miei genitori di essere omosessuale, entrambi mi fissarono intensamente per alcuni secondi con occhi sbarrati, increduli. Mi ero trasferito a Londra già da un anno, dove passavo settimane tra i manuali di diritto, escursioni in città con amici universitari, tranquillamente. Ricordo ancora il dolore nelle loro voci, il momento preciso in cui capirono che il loro primogenito, il loro figlio avrebbe dovuto affrontare una vita molto più difficile del previsto. Io rispondevo alle loro domande con parole perfettamente misurate. Per anni le avevo ripetute in silenzio tra le pareti della mia cameretta, in Liguria. Il finto puritanesimo della morale di provincia era la barriera che aveva fatto da ostacolo alla mia felicità. Gli uomini cercano le donne, ci vanno a letto, le sposano, ci fanno figli. Tutto ciò che rimaneva fuori da questa narrativa non era degno di essere vissuto. La politica e i media sembravano arene distanti, entro cui non vi era spazio per la discussione dei nostri diritti. Eppure, l’articolo 3 della Costituzione mi diceva tutt’altro. Mi diceva che il mio desiderio era naturale e dignitoso quanto quello degli altri. Scrivo questa lettera perché vorrei far comprendere ai lettori che essere apertamente omosessuale in Italia significa essere un po’ come l’Atlante mitologico. Come lui sorreggeva sulle proprie spalle la sfera celeste, noi possiamo gran parte della nostra vita a sorreggere sulle nostre il peso degli insulti e della discriminazione. Ogni volta che qualcuno riesce ad andare oltre il pregiudizio, il nostro fardello si fa più leggero; ogni volta che veniamo marginalizzati, si fa più pesante. Alcuni di noi cadono e non riescono a rialzarsi, perché sono ancora troppo giovani per aver cresciuto spalle d’acciaio. Altri sopravvivono sotto una cascata di proiettili, incessante, metodica, disumana. Altri ancora rifiutano di ammettere questo peso a loro stessi. Le parole di chi non ci vede come pari scalfiscono la nostra percezione di noi stessi, aumentano il peso psicologico che ci tocca sorreggere. Quando la mia dimensione erotica e romantica viene ridotta a uno spunto malizioso dai titolisti di un quotidiano, ecco già che le mie ginocchia iniziano a cedere. Quando le fazioni ultraconservatrice protestano contro una lezione di educazione alla diversità sulla televisione di Stato o nelle scuole, le caviglie iniziano a tremare. Quando ci viene detto di essere contro natura, è difficile non cadere a terra. Grazie alle persone di cui mi sono circondato e all’apertura dei miei genitori, il mio peso si è alleggerito molto, ma non è scomparso. Sogno il giorno in cui riusciremo ad eliminarlo del tutto. Sogno il giorno in cui AGEDO non dovrà più essere un’associazione e potremo guardare i nostri figli come fanno tutti gli altri”. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Antonella Parrocchetti. Adesso ascoltiamo Cristina Contini dell’associazione nazionale “Sentire le voci”.

     

    CONTINI (Sentire le voci)

    Buongiorno. Grazie. Io rappresento il presidente di questa associazione, che si chiama “Sentire le voci”, che è nata a Reggio Emilia nel 2005, un’associazione che parla di voci, quelle che nel gergo farmacologico e scientifico sono allucinazioni uditive e visive. Al di là dell’inscatolamento, della categorizzazione prettamente psichiatrica, in tutto il mondo e anche in Italia, in questi quindici anni, sono state fatte importanti correlazioni con il trauma: è una voce interna o esterna che ti dice “sei frocio, ucciditi, tuo padre non capisce niente”. Quindi, queste parole pronunciate dalle voci decodificano un trauma. Dunque, noi siamo il ponte tra il percorso neuropsichiatrico-psichiatra e l’intercettazione del territorio familiari-utenti. Perché io sono qua oggi? Perché dove c’è un’identità frammentata, e per identità frammentata si intende tutto ciò che coinvolge l’ambiente, l’azione, le nostre convinzioni, i nostri valori, i nostri utenti sono al 47 % dai zero ai venticinque anni, di cui il 17 % minorenni. Noi facciamo rete con 2.500 professionisti in tutta Italia e tutti vengono in Emilia-Romagna. Noi ce ne stiamo a Reggio Emilia perché vengono da tutta Italia e da tutte le isole, in quanto il modello dell’Emilia-Romagna sembra oro. E noi che ci siamo dentro non lo riconosciamo. Alcuni colleghi professionisti ieri sapevano della mia venuta. Io ho stilato una relazione dell’unico dottorato di ricerca fatto all’università di Napoli per queste minoranze, però in tutto il mondo si usa un modello teorico, che si chiama Minority stress, per valutare e dare un peso ai fattori protettivi che le persone intelligenti o appoggiate o spalleggiate attivano. Quindi, sarebbero anche minori i costi per il servizio sanitario nazionale. Prima qualcuno ha citato la psicoterapia. Ebbene, è importante, perché noi intercettiamo circa 4.500 richieste all’anno di aiuto - vengono tutti a Reggio Emilia, apriremo altre sedi - dove l’abuso è di due tipi. Ho portato le statistiche e sono felice di farle mettere agli atti, perché ufficializzeremo una ricerca accreditata a maggio di quest’anno. Il 76 % dei ragazzi che vengono da noi - il 76 % vuol dire tre su quattro - ha subìto una violenza fisica e/o sessuale, il 26 % bullismo tra pari o figure autoritarie maggiori. Solo tra i nostri utenti, ripeto, solo tra i nostri utenti, dichiarati, uno su quattro fa parte di una minoranza di orientamento sessuale e di genere. Ripeto, dichiarati. Le tipologie di trauma sono due. La prima è quando il ragazzo è in un percorso di auto-riconoscimento. Qui la psicoterapia giusta, dove la storia e la centralità della persona fanno la differenza, ricostruisce e fortifica la persona. Tre su quattro di coloro che vengono da noi sono distrutti per ciò che subiscono per essere ciò che sono. Pertanto, l’identità va ricostruita e rinforzata per ciò che hanno subìto, e qui entrano in giovo in primis le famiglie. Penso alla pacca alla quattordicenne siciliana, il cui padre si prende la briga di venire in treno a Reggio Emilia, il viaggio della speranza, per sentirci dire, tramite una nostra facilitazione, “va beh, mia figlia ha un problema, sì, è lesbica, però…”. Questo fa la differenza, perché quelle voci che dicono “sei una lesbica, non capisci niente” rappresentano una nostra parte che reclama il diritto di essere. Quindi, è inutile che vi rafforzi l’esigenza della prevenzione. I colleghi lombardi, sapendo che oggi venivo qui, avevano la bava alla bocca, sapendo che l’Emilia-Romagna è un rompighiaccio. Quindi, forza Emilia-Romagna, riconosciamo questa cosa. Sono molto fiera di questa cosa. Per professione, io lavoro nella sanità, anche se in un contesto finanziario, ma rappresento una realtà trasversale multidisciplinare effettiva, dove da soli non si può fare più niente. Bisogna lavorare in équipe e in rete. Il nostro database di 16.000 persone non è un database acquistato, sono persone che sono transitate da noi, sono psicoterapeuti, neuropsichiatri e assistenti sociali che fanno rete. In Emilia-Romagna è semplice fare rete, in Lombardia è semplice, ma se noi riusciamo a fare leggi sarà molto più semplice, perché così “Sentire le voci” non si sentirà dire dai distretti scolastici “non è materia didattica”. Però, siamo materia didattica al MIUR nelle scuole di psicoterapia, perché questa è educazione. Vi ringrazio tantissimo, anche per la precedenza che avete permesso di avere.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Cristina Contini. Adesso ascoltiamo Di Benedetto dell’associazione “Generazione Famiglia”. Si prepari Macaione Alessandra dell’associazione “Gruppo Trans”.

     

    DI BENEDETTO (Generazione Famiglia)

    Salve a tutti. Mi chiamo Matteo Di Benedetto e intervengo oggi a nome dell’associazione “Generazione Famiglia”. Dopo aver letto e studiato attentamente questa proposta di legge regionale, ho alcune sintetiche considerazioni da presentarvi. Si parla di discriminazioni in sedi lavorative, eppure l’attuale diritto del lavoro già ricopre e tutela in eguale misura ogni lavoratore discriminato, indipendentemente dalla causa della discriminazione subìta. Ciò è vero sia implicitamente, grazie a una lettura costituzionalmente orientata del diritto del lavoro alla luce degli articoli 2 e 3 della Costituzione, sia esplicitamente, considerando il decreto legislativo n. 196/2003 e successive modificazioni, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e tutta la normativa dell’Unione europea. Ebbene, in questo senso possiamo dire, quindi, che la tutela dei lavoratori discriminati, indipendentemente dal tipo di discriminazione subìta, è nel nostro ordinamento attuale e completa. Si parla poi in termini generici di educazione e sport insieme a bullismo, cyberbullismo, discriminazioni di genere e discriminazioni di orientamento sessuale. Una legge regionale non può essere così vaga, perché in una clausola aperta di poche righe si può leggere una giustificazione per un’attività innocua e positiva, come giocare a pallavolo a squadre miste, o attività di educazione al gender, che sarebbe indottrinamento ideologico, e questo non va bene. Una legge non può essere una scatola vuota da riempire di volta in volta con quello che più aggrada. Per questo, tale legge, nell’eventualità in cui andasse avanti, dovrebbe essere come minimo emendata e dettagliata per capirne il contenuto. Di nuovo, si parla in termini generici di contributi per eventi socioculturali e associazioni e organizzazioni che si occupano di discriminazione e integrazione. Anche qui, l’eccessiva indeterminatezza delle previsioni, visti anche i precedenti, porta a pensar male, e cioè che si tratti di un’occasione per distribuire fondi alle associazioni amiche e per finanziare attività di indottrinamento ideologico, o attività spesso fortemente irrispettose delle sensibilità e del credo religioso altrui. Si pensi, ad esempio, a quanto è successo al gay pride di Bologna o quanto è successo al Cassero, dove sono stati esplicitamente offesi tanto Maria quanto Gesù Cristo, in disprezzo totale della fede dei tanti cattolici e cristiani presenti sul territorio. Ancora, parliamo della materia sanitaria. Si pensa di investire tempo e risorse del nostro sistema sanitario in attività collegate alle succitate tematiche. Benissimo. Dato che il nostro sistema sanitario è sempre più sull’orlo del collasso, con tempistiche e attese infinite per ogni cosa e sempre meno personale a ricoprire i posti vacanti, che sono sempre di più, quindi sempre con meno soddisfazione per le esigenze di cura della popolazione, mi sembra quantomeno inappropriato. Capisco che c’è chi ha la possibilità economica di farsi curare per qualunque cosa in strutture private, però questo non vale per tutti. Determinate problematiche a queste persone possono sfuggire, quindi vi invito a informarvi sui numeri e sulle tempistiche della nostra sanità pubblica e vi assicuro che dopo rivaluterete quelle che sono le vostre priorità in tema di materia sanitaria. Parliamo poi telegraficamente dell’Osservatorio regionale sulle discriminazioni da orientamento sessuale e identità di genere. Avete letto Orwell, immagino, e rubato l’idea della “psicopolizia”. Spoiler non è una buona idea. Circa gli oneri finanziari, abbiamo già detto prima ciò che si riassume così in poche parole: le reali e concrete necessità dei cittadini sono altre; uscite dal vostro salotto ideologico e cominciate a dare una vera risposta ai problemi delle persone. In ultima analisi, quella che a una lettura superficiale può sembrare un’ordinaria legge contro le discriminazioni assume, alla luce di queste considerazioni, una veste di legge ideologica e indottrinante, che non risponde ad alcun bisogno reale delle persone, ma allo scopo ultimo di orientare queste nelle idee. È una legge pericolosamente liberticida e autoritaria. Aggiungo un’ultima osservazione. Continuare a dare attenzione, considerazione e tutela a un’unica categoria a rischio porta, di fatto, a una discriminazione delle altre categorie potenzialmente oggetto di discriminazioni, che hanno e avranno rispetto alla prima meno tutele e attenzioni da parte del sistema giuridico, che di fatto, quindi, porrà in essere discriminazioni tra discriminati di serie A e discriminati di serie B, che tra l’altro magari molto probabilmente hanno numeri molto più consistenti e significativi nella nostra realtà attuale e concreta. Chiudo con una promessa. Così come Renzi, ci ricorderemo del 2016, che ha avuto le sue conseguenze nelle elezioni del 2018, allo stesso modo la promulgazione di una siffatta legge avrà le sue inevitabili conseguenze alle elezioni regionali di fine anno.

    Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. Do adesso la parola a Macaione Alessandra. Si prepari Andrea Zanini Uni LGBTQ.

     

    MACAIONE (Gruppo Trans)

    Buongiorno. Premesso che non sono abituata a parlare in pubblico, il mio intervento sarà molto breve. Sono qui per l’associazione “Gruppo Trans” di Bologna e parlo da genitore. Sono qui con mio figlio Andrea, in quanto l’anno scorso mio figlio ha avuto un anno scolastico molto brutto. Ha quindici anni e quest’anno frequenta l’istituto “Crescenzi-Pacinotti”. L’anno scorso, come dicevo, ha avuto un anno molto brutto: non frequentava la scuola in quanto non si sentiva riconosciuto. Mio figlio è un ragazzino trans, è orgoglioso della persona che è e non si vuole nascondere. Ora il problema è stato risolto, in quanto ho trovato una scuola molto disponibile. Sono stata a parlare con il preside, che ha capito la situazione, tant’è che ha organizzato un consiglio di classe con i professori, a cui io ero presente, insieme al presidente dell’associazione “Gruppo Trans” di Bologna, e in questo consiglio di classe si è parlato di cosa mio figlio aveva bisogno per frequentare serenamente la scuola. Di cosa ha bisogno un ragazzino trans a scuola? Prima di tutto ha bisogno di essere chiamato con il suo nome, quindi di essere chiamato al maschile, con il nome Andrea, punto. Gli è stata data la possibilità di scegliere quale bagno usare per essere sereno e quale spogliatoio usare per le ore di ginnastica. Poi sono stati organizzati dei laboratori di formazione nelle classi per far conoscere la tematica trans. Queste sono buone pratiche, che chiedo alla Regione di provvedere a protocollare, dimodoché altri ragazzini minorenni non si trovino nelle condizioni di mio figlio, in quanto io appoggio mio figlio, seguo mio figlio, ma non tutti i ragazzini si trovano nella stessa situazione. Penso che sia importante frequentare la scuola e il rischio è che, se un ragazzo non è sereno a scuola, possa non frequentarla, per questo chiedo alla Regione di protocollare queste buone pratiche. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie per l’intervento. Adesso abbiamo Andrea Zanini dell’associazione “UNI LGBTQ”. Si prepari Elisabetta Cimatti dell’associazione comunità “Papa Giovanni XXIII”.

     

    ZANINI (UNI LGBTQ)

    Ciao a tutti. Sono Andrea Zanini, studente dell’Università di Bologna e vicepresidente dell’associazione “Uni LGBTQ”. Ho deciso di scrivere una nota per non sbagliare, vista l’emozione e viste le tante cose che ci sono da dire. Stavo mangiando una pizza, seduto su una panchina, prima di andare da un amico. A un certo punto ho visto un’auto parcheggiata davanti a me e ho sentito qualcuno gridare: “Ehi, sei frocio?”. Ho alzato la testa, in automatico, ma non ho reagito. Di solito questi insulti è meglio ignorarli. Si fermano alle offese. “Allora, sei frocio? Vuoi 50 euro per salire in macchina?”. Uno dei ragazzi mi ha spinto contro un muro e nello spazio di sei secondi mi ha riempito di pugni, calci in testa, ha provato a infilarmi i pollici negli occhi. Attorno era pieno di gente. Io gridavo “aiuto”, ma nessuno mi ascoltava. È questa la cosa che mi ha scioccato di più. Mi sarò avvicinato a 6-7 persone, prima che una ragazza mi desse una mano chiamando il 112. 29 marzo 2018: vittima uno studente dell’University College di Londra in Erasmus nella nostra città, nella nostra regione. Questa è solo una delle più note aggressioni avvenute lo scorso anno a Bologna.

    Io che vengo da Fabbrico, un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia, quando mi sono trasferito a Bologna ho respirato aria nuova. Questa città ogni anno viene scelta da migliaia di ragazzi e ragazze come meta dei propri studi, anche per scappare da realtà ostili che gli impediscono di realizzarsi e di vivere liberamente la propria identità e il proprio orientamento sessuale. La Regione ha il dovere di tutelare questi ragazzi che hanno investito un periodo della loro vita in questa città. La nostra associazione diventa il luogo di incontro, una seconda famiglia per molti di questi ragazzi, miei coetanei, in un periodo non facile della vita, la tarda adolescenza, che molte volte coincide con la scoperta di sé. Per quanto riguarda l’articolo 3 del progetto di legge, la Regione favorisce la promozione di attività di formazione e aggiornamento del personale docente in prevenzione al bullismo di genere. Non è ideologia, è fondamentale, è la funzione primaria della scuola: educare alla civiltà, al rispetto. Oggi chi approfondisce questi temi nelle scuole sono i professori di religione cattolica, che non possiedono alcuna competenza per affrontare temi di questa portata. Il 15 novembre dell’anno appena passato, per la prima volta, sono stato invitato a parlare al liceo scientifico “Niccolò Copernico” di Bologna a un incontro richiesto dai ragazzi sui diritti della comunità LGBT. Ero agitato, insicuro su come affrontare una platea così vasta, dai quattordici ai diciotto anni, così eterogenea. Ma fu tutto spontaneo. I ragazzi erano affamati, volevano sapere. Alla sera, uno di questi ragazzi mi scrive: “Volevo sinceramente ringraziarvi tutti per il lavoro che fate e il supporto che date. L’informazione è l’arma più potente che abbiamo per arrivare all’equità che tutti ci meritiamo”. Si chiama Federico ed è un ragazzo di sedici anni. I fautori della famigerata teoria gender nelle scuole crollano davanti a questo messaggio. Un’altra volta, la realtà è più avanti della politica di questa Assemblea legislativa. Io sono stato un ragazzo fortunato: ho una famiglia che mi ha accettato da subito; non ho mai subìto atti discriminatori. Quando arrivò un ragazzo nella mia vita, mi resi conto per la prima volta quanto era difficile vivere liberi. L’ansia di mia mamma ogni volta che uscivo con Gabriel era stremante. Un bacio in pubblico o camminare con la mano davanti alle persone sbagliate avrebbe potuto trasformarsi in fatti di cronaca nera. Oggi siamo qui e siamo qui dopo anni, dopo troppi anni. Mi dispiace non vedere qui Paolo Calvano, il segretario del Partito Democratico, che in un incontro passato aveva ribadito l’importanza del suo ruolo di mediatore tra le varie correnti del PD, ma che di fatto non ha portato all’adozione del testo in tempi brevi. Paolo, avrai di sicuro un ruolo di mediazione tra le varie correnti del tuo partito, ma al di sopra delle correnti c’è la nostra vita quotidiana, c’è l’ansia di un genitore per il proprio figlio. Davanti al tuo ruolo c’è la persona. La politica è fatta di decisioni. Votate questa proposta di legge, lasciate un’eredità a questa Regione. Non votarla sarebbe negare la realtà. Per questo, oggi ho qui con me una copia dell’Espresso che riporta tutte le aggressioni omotransfobiche avvenute nell’ultimo anno in Italia. La consegno a Roberta Mori, dimodoché la possa condividere con la corrente all’interno del suo partito contraria al progetto di legge.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Andrea Zanini, di UNI LGBTQ. La parola a Elisabetta Cimatti, Papa Giovanni XXIII. Si prepari Francesco Donini, Arcigay Modena.

     

    CIMATTI (Papa Giovanni XXIII)

    Buongiorno a tutti. Sono molto contenta di poter partecipare a questo dialogo, a questo momento di incontro. Mi prendo solo qualche minuto per approfondire qualche aspetto specifico. Del resto, condividiamo il documento che prima abbiamo letto a nome del gruppo ACLI Bologna, Associazione regionale famiglie numerose, Azione cattolica diocesana, e così via. Parlo a nome della comunità Papa Giovanni XXIII. Forse molti di voi la conoscono. È presente in tutti i continenti del mondo: 2.100 membri e 6.200 persone accolte. In tutto, ogni giorno a tavola sediamo in 41.000. Cinquant’anni festeggiati l’anno scorso, tante persone incontrate nella storia della comunità, e anche oggi, con svariate forme di disagio personale, relazionale, sociale. Oggi abbiamo ascoltato tante storie importanti. Il titolo era “Dare una famiglia a chi non ce l’ha”. Oggi i ragazzi che abbiamo incontrato stanno crescendo e stiamo crescendo anche noi insieme a loro. Lo slogan è anche “dare un futuro a chi non ce l’ha”, a chi fa più fatica. Vi sono alcuni punti su cui vorrei soffermarmi. Abbiamo incontrato tante persone, anche con orientamento omosessuale, naturalmente. Mentre parlo con voi ho in mente proprio alcuni volti. La voce che porto oggi è quella di questi incontri, che in certi momenti mi stupiscono perché ci portano, per esempio, un pensiero e dei bisogni che a volte non corrispondono a quello che pubblicamente viene annunciato e ascoltiamo. Rispetto a questi bisogni, vorrei sottolineare intanto un dubbio, che è presente all’interno di questa proposta di legge e che va chiarito. Da una parte, si parla di omosessualità come normale variante dell’identità; dall’altra, però, vengono proposti percorsi specifici, come avviene per i nostri ragazzi con disabilità. Questo, a volte, a nostro avviso, può essere fuorviante. La domanda è questa: come è possibile tenere insieme queste due modalità? Vi è un altro punto che mi preme sottolineare. In questo progetto di legge emerge, come educazione alla non discriminazione, una forte attenzione al contesto sociale, culturale. Condivido quanto detto da tanti di voi prima. Sono importantissime le leggi, ma tutte le leggi non ci garantiscono che le realtà siano completamente immuni dalle forme di discriminazione. Questo lo stavate raccontando. In fondo, si sta camminando in questo senso. Sono nate nuove attenzioni. Penso allo sport e alle leggi. Questo è vero, però non siamo immuni da tutto questo. Volevamo portare la testimonianza dei percorsi di inclusione che come comunità Papa Giovanni XXIII stiamo vivendo da diverso tempo, soprattutto nell’ultimo periodo, in termini innovativi, grazie al contributo di grandi luminari che abbiamo in Italia – mi riferisco a nomi importanti: Cuomo, Canevaro, la professoressa Malaguti – che ci hanno insegnato che la reale inclusione, quella che vediamo nelle persone, non si basa prima di tutto (non dico che non sia importante) sulla difesa dei soggetti, sulla negazione di caratteristiche personali e sul controllo culturale, quanto piuttosto, come abbiamo visto, sull’accompagnamento in una presa di consapevolezza personale delle proprie caratteristiche, delle proprie potenzialità, ma anche dei propri limiti, come tutti noi. Noi vediamo quanto crescono i nostri ragazzi con disabilità e i ragazzi che fanno il percorso all’interno delle comunità terapeutiche per il recupero dalla tossicodipendenza. Il lavoro che si fa su quello che c’è dentro la persona e l’aiuto che si offre affiancando ogni persona per portare tutto fuori da sé, per conoscersi e riconoscere il proprio diritto di esistere è un reale percorso di inclusione che nel progetto di legge non vediamo. Il dubbio è forte che la strada possa essere solo quella della gestione del contesto sociale. L’ultimo punto per cui riteniamo importante sospendere il percorso di questa proposta di legge così com’è, non perché non sia importante, riguarda il contrasto degli stereotipi. Faccio solo questo accenno: “stereotipo” di per sé vuol dire “solido”. Ognuno di noi si trova qui grazie alla capacità innata che abbiamo, cognitiva, di raccogliere la nostra esperienza percettiva in schemi e rappresentazioni. Senza tutto questo un bambino piccolo e tutti noi non riusciremmo ad orientarci nel mondo, a mettere ordine. Il contrasto agli stereotipi, secondo me, è una questione su cui stare molto attenti. Diventano negativi, credo, quando diventano estremi e limitano il campo di esperienza dell’incontro e dell’ascolto. Si pensa di contrastarli e toglierli, quindi di destrutturare le differenze laddove non connotate come “disuguaglianza”. Credo sia una necessità umana quella di prendere atto delle differenze, imparare ad accettarle e confrontarsi, senza considerarle una disuguaglianza, ma una ricchezza.

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Elisabetta Cimatti. La parola a Francesco Donini, Arcigay Modena. Si prepari Flavio Romani, della CILD (Coalizione italiana libertà e diritti civili).

     

    DONINI (Arcigay Modena)

    Buongiorno a tutte e a tutti. Scusate, sono un po’ emozionato. Non mi capita così spesso, in realtà, anche se sono presidente del Comitato, di parlare in un contesto come questo. Sono qui non tanto per parlare della realtà della città di Modena, anche se stiamo facendo un lavoro molto bello con il tavolo comunale, con l’adesione alla rete RE.A.DY e anche insieme alle istituzioni, tanto che quest’anno avremo anche il primo Pride nel territorio di Modena in assoluto. Sono venuto qui per parlare, in realtà, di me, della mia esperienza, cioè di quello che c’è prima di essere volontario e poi presidente di Arcigay Modena. Provengo dal territorio della provincia di Modena, quindi dall’Appennino tosco-emiliano. Ho frequentato le scuole a Pavullo nel Frignano. Sono qui anche per ricordare che la regione Emilia-Romagna e tutto il territorio regionale non è rappresentato solo dalle città di cui abbiamo parlato fino adesso, dove ci sono determinate questioni, determinate problematiche, ma vi è un territorio molto vasto della provincia in cui le barriere e le difficoltà per le persone gay, lesbiche, transessuali, eccetera sono diverse e sono molto pesanti. Io sono nato e cresciuto in queste zone. Ora vivo di nuovo lì. Mi sono diplomato vent’anni fa e ricordo molto bene cosa significa vivere lì e frequentare la scuola in un ambiente in cui queste tematiche, ma anche semplicemente la questione di conoscenza e di rispetto di determinate categorie, non erano minimamente considerate. Sono tornato nella scuola dove sono stato recentemente e mi ha fatto piacere accorgermi di una cosa: mentre quando andavo io a scuola era impossibile – letteralmente impossibile – per una persona che non rispettava certe conformità mostrarsi e passare indenne attraverso i corridoi, adesso ho visto molte espressioni diverse, che vengono portate avanti con coraggio. Io, però, vorrei che la possibilità di essere sé stesse e se stessi in un contesto formativo come quello scolastico, ma anche in un contesto di città, di comunità, come quello della provincia, non fosse solo una questione di coraggio e non fosse solo una questione di fortuna. Io vorrei che la Regione si assumesse la responsabilità, l’onere e l’onore di aiutare le tantissime persone che nel territorio di provincia della regione ancora adesso si ritrovano ad affrontare certi stigmi e che hanno bisogno di sapere che le istituzioni, la Regione, chi deve tutelare le persone è dalla loro parte. Io ne avrei avuto molto bisogno quando ero un ragazzo. Continuo ad averne bisogno e ad avvertire questo bisogno nelle persone che vivono vicino a me. La mia richiesta è che vi ricordiate di tutte queste persone che sono lì fuori. Un’altra cosa tengo a dire. Mi ha dato uno spunto l’intervento di prima. Io, da persona omosessuale, non sento alcuna contraddizione e alcuna difficoltà nel momento in cui mi si paragona, ad esempio, a una persona disabile. Non perché io sia un portatore di handicap, ma perché il concetto di “equità” presume che tutte le persone possano avere le stesse possibilità. Questo significa riuscire a dare percorsi di tutela e di sostegno a chi non ha le stesse possibilità di partenza. Nella nostra società, attualmente, le persone LGBT, esattamente come le persone disabili, esattamente come le persone classificate “malate di mente”, esattamente come le persone straniere non hanno le stesse possibilità di partenza. Questa legge è uno strumento minimo, di base, di partenza (quello che volete) per permetterci di avere possibilità equipollenti di partenza da poter esprimere. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Francesco Donini. La parola a Flavio Romani, della CILD. Si prepari Valerio Corazza, di “Articolo 26”.

     

    ROMANI (CILD)

    Buongiorno a tutte e a tutti. Sono Flavio Romani e parlo a nome della CILD (Coalizione italiana per la libertà e i diritti civili), nel cui direttivo risiedo. Vi voglio parlare di un documento che come CILD abbiamo presentato, perché ci è stato richiesto dall’Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU, presieduto da Michelle Bachelet. Noi abbiamo incontrato questi commissari dell’ONU che sono venuti in Italia e hanno chiesto di incontrarci per sapere com’è la situazione in Italia rispetto a una serie di discriminazioni di cui la CILD si occupa e anche rispetto alle discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. In questo documento molto sintetico – che vi racconto, perché non faccio in tempo a leggervelo tutto – abbiamo innanzitutto puntualizzato la posizione dell’Italia all’interno dell’Europa rispetto all’avanzamento sociale e legislativo sulle discriminazioni. L’Italia è in una posizione molto, molto bassa nella classifica europea. È al trentaduesimo posto su quarantanove Stati. Questo dato arriva da un report, da uno screening che viene fatto ogni anno dall’ILGA, un’associazione a livello europeo che ogni anno guarda tutta la legislazione di tutti i Paesi europei e capisce se ci sono stati avanzamenti o se ci sono state retrocessioni. Noi eravamo ancora più indietro prima dell’approvazione della legge sulle unioni civili. Adesso siamo al trentaduesimo posto. Stare al trentaduesimo posto significa che siamo sotto, oltre che a tutte le democrazie occidentali e ai Paesi occidentali più grossi, come la Francia, la Germania, la Spagna, il Portogallo, la Gran Bretagna e quant’altro, e dietro, ovviamente, a tutti i Paesi scandinavi, siamo dietro anche a nazioni come l’Ungheria, la Croazia, la Bosnia, l’Albania, la Serbia, Cipro. L’Italia è ancora molto indietro da questo punto di vista, e noi lo abbiamo fatto presente ai commissari dell’ONU. L’Italia, allo stato attuale, è ancora un Paese in cui l’orientamento sessuale, l’identità di genere e l’espressione di genere sono un fattore di disuguaglianza sperimentata quotidianamente. Anche se l’Italia ha raggiunto questo traguardo storico solo nel 2016, quindi con decenni di ritardo rispetto alle altre nazioni, con la legge sulle unioni civili, il nostro Paese non può essere considerato, anzi è ben lontano dal poter essere considerato un Paese promotore dei diritti delle persone LGBT. La legge sulle unioni civili, come sappiamo tutti, ha avuto una grande menomazione. Dalla legge sulle unioni civili sono stati esclusi i figli delle coppie dello stesso sesso. Quindi, i bambini che in questo momento vivono in famiglie con due mamme o due padri sono fortemente discriminati, perché non hanno gli stessi diritti degli altri bambini. Questo significa che ci sono bambini di serie A e bambini di serie B. Ci sono bambini diversi dagli altri bambini, e di questo il nostro legislatore e la società tutta si devono rendere conto. Ci sono, poi, varie altre mancanze che fanno parte delle rivendicazioni degli attivisti LGBT da decenni, ormai: una legge nazionale penale contro l’omofobia e la transfobia e una legge che, in qualche modo, ripensi tutte le questioni che riguardano le persone transessuali, che vedo qui presenti. Spero che dopo facciano la loro bella relazione, come sono sicuro che faranno. I commissari dell’ONU ci hanno chiesto informazioni sulla situazione politica in Italia. In maniera molto succinta, abbiamo spiegato che a partire dall’anno scorso – siamo partiti dall’anno scorso per essere più attuali possibili – nessuna delle forze politiche che hanno presentato un programma per le politiche dell’anno scorso aveva a cuore un avanzamento dei diritti LGBT. Hanno vinto e hanno fatto una coalizione di governo la Lega e il Movimento 5 Stelle. Il Governo di coalizione Lega-Movimento 5 Stelle in Italia incarna diverse posizioni sui diritti LGBT. Di conseguenza, il contratto per il governo del cambiamento non ha alcun riferimento su questo argomento. Tuttavia, in molte occasioni, prima o dopo le elezioni, i membri dei due partiti di Governo hanno espresso le loro opinioni, a volte controverse e talvolta apertamente omofobiche, sui diritti delle persone LGBT. E abbiamo portato alcuni esempi di bullismo omofobico di tipo parlamentare, anzi ministeriale. Gli esempi, in realtà, sono molto facili. Ne abbiamo portati solo due o tre, però ce ne sono stati tantissimi, a partire dalla formazione del governo. Abbiamo avuto l’onore e il privilegio di avere la prima dichiarazione fatta dal ministro Lorenzo Fontana, della Lega, che come primo spunto ha detto che le famiglie arcobaleno non esistono. Dire che le famiglie arcobaleno non esistono equivale a dire che i bambini all’interno delle coppie omosessuali non esistono, il che significa cancellare la dignità e l’identità di questi bambini. Non significa nient’altro. L’ultimo che aveva fatto una formazione del genere è stato Mussolini, nel 1932, quando disse: “In Italia i gay, gli omosessuali non esistono”. Era il 1932 ed era Mussolini. Eravamo nel 2018 ed era Lorenzo Fontana. Un altro dei ministri che ogni tanto si diletta a parlare in maniera negativa delle persone omosessuali e delle coppie omosessuali è Matteo Salvini. Siamo sempre in ambito Lega. Matteo Salvini a ogni piè sospinto, ma soprattutto quando gli conviene, parla di famiglie tradizionali e di esclusione possibile dei cosiddetti “genitore 1” e “genitore 2” dai moduli. Una modulistica che non è mai esistita. Non è mai esistita una modulistica con “genitore 1” e “genitore 2”. Salvini continua a raccontare la balla che lui l’avrebbe cancellata. Mi fermo qui, facendo un appello alla Regione. Questi sono portatori di veleno. Sono portatori di un virus che intacca tutta la società, non solo le persone LGBT. Credo che il compito della Regione, soprattutto della Regione Emilia-Romagna, sia bonificare questa palude di discriminazione e far sì che possano essere promosse tutte le azioni possibili e immaginabili per purificare la nostra società da questi veleni. Quindi, vi chiedo un’approvazione sollecita e completa di questa legge. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Adesso interviene Valerio Corazza, “Articolo 26”. Si prepari Elisa Sambataro, della UIL Emilia-Romagna.

     

    CORAZZA (“Articolo 26”)

    Buongiorno. Grazie dell’opportunità che mi offrite. Io sono il referente per Bologna dell’associazione Articolo 26. È un’associazione nazionale con sede a Roma. Abbiamo diverse sedi in tutta Italia. Noi siamo un’associazione di genitori, insegnanti, educatori. Vogliamo stare insieme, genitori e insegnanti, perché siamo convinti che per affrontare le nuove sfide educative vi sia bisogno di una vera corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia, a garanzia, questo, anche di una vera pluralità educativa, quindi del rispetto di tutte le persone e di tutte le idee. Quindi, ascolto dei genitori da una parte e libertà degli insegnanti dall’altra, che devono essere liberi di esercitare il loro mestiere al servizio del bene del minore, al servizio della famiglia e, soprattutto, liberi da imposizioni ideologiche e politiche. L’articolo 26 è quello della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Sappiamo tutti cos’è, sappiamo quando è stata scritta e perché è stata scritta. Vuole sancire i diritti inalienabili di ogni essere umano, in quanto uomo, per evitare che si ripeta tutto quello che è successo nella seconda guerra mondiale. L’articolo 26 afferma in quest’ambito: “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai figli”. Chiedo scusa per la premessa, forse un po’ lunga, ma serve per capire il contesto di quello che voglio dire. Entrando nello specifico, noi, come associazione, tutte le settimane riceviamo segnalazioni e telefonate da genitori o insegnanti preoccupati per quello che entra a scuola, per i corsi e i programmi che vengono proposti, che arrivano a volte anche spinti dalle istituzioni, corsi che sono in contrasto con quello che loro, come genitori, pensano sia il bene, il genere di educazione che vogliono insegnare ai figli. Noi non siamo gente che va sui giornali. Mi spiace, non abbiamo i numeri. Non possiamo pubblicare i dati di giornali e riviste. Da noi vengono genitori che vogliono vivere la loro vita, vogliono che i figli siano contenti nella scuola, che possano passare l’infanzia serena, senza essere caricati di problemi più grandi di loro. Spesso ci accontentiamo semplicemente di fare rete tra genitori e insegnanti e far vedere i loro diritti, ossia che il genitore può scegliere cosa far frequentare o meno al figlio. Qui nasce il vero problema. Qui arriviamo al punto. Una volta si parlava di “caccia alle streghe”. Adesso c’è la “caccia all’omofobo”, diciamolo chiaramente. Genitori e insegnanti non si sentono più liberi di dissentire da certe impostazioni culturali. Non parlo di discriminazione o della libertà di discriminare. Semplicemente di criticare contenuti o metodologie che vengono proposte, ripeto, dall’alto. Hanno paura di ritorsioni verso i figli, di dire qualcosa per il timore che succeda qualcosa ai loro figli. Diciamolo. Vengono zittiti in malo modo. Vengono subito apostrofati come “omofobi”. Siamo messi in questo modo. La gente è stanca. Ripeto, non andiamo sui giornali, non abbiamo numeri, ma questo è ciò che si sente. La gente vuole sentirsi tranquilla, vuole fidarsi della scuola pubblica, invece deve difendersi da una imposizione ideologica senza precedenti. Non a caso ho parlato della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Questa qui – lo dico chiaro e tondo – è gente che vota. Sono nonni, zii, genitori, ma votano anche loro. Questa legge fa un’altra pressione sulla scuola. Mi riferisco all’articolo 3 e all’articolo 1. Di nuovo si preme, si procede a una vera imposizione di un programma che va oltre il semplice rispetto. Esiste veramente l’emergenza omofobica. Abbiamo ascoltato alcuni dati. L’OSCE parla di 63 casi nel 2017. Le aggressioni verso le persone con disabilità sono 157, per dirne una (due volte e mezzo). Perché una legge così specifica? Sembra quasi che si voglia fare una categoria protetta con canali preferenziali, anche nel campo del lavoro. Sembra quasi che si voglia sancire la diversità specifica per imporre un certo tipo di pensiero.

    Il nostro orientamento è un altro. Vogliamo fare una vera lotta contro tutte le discriminazioni. Ripartiamo dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’uomo. Ripartiamo dalla libertà di esprimersi. Ripartiamo dalla libertà di ognuno di dire la sua, dalla libertà di parlare, dalla libertà dei genitori di scegliere i corsi da far fare ai figli. Insegnare alle persone un percorso imposto dall’alto crea solamente ribellione, antipatia, disaffezione, critica. Ho voluto portarvi il punto di vista della gente comune che sta là fuori, che non finisce sui giornali. Grazie.

     

    (appalusi)

     

    Presidente MUMOLO

    Devo fare alcune comunicazioni. Sono previsti ancora tredici interventi. Lo dico perché chi si è iscritto e ritiene di mandarci un contributo scritto e di non intervenire ce lo può dire. Altrimenti, noi resteremo qui per ascoltare tutti e fare in modo di chiudere oggi questa udienza conoscitiva. Vi chiediamo cortesemente di restare nell’ambito di cinque minuti, in modo da consentirci di ascoltare tutti. Grazie.

     

    SAMBATARO (UIL Emilia-Romagna)

    Buongiorno a tutti. Sono Elisa Sambataro e sono qui per la UIL Emilia-Romagna, ma anche come responsabile del Centro di ascolto di mobbing e stalking, voluto proprio dalla UIL Nazionale.

    Noi ci tenevamo, come UIL, a dire la nostra in favore di questo progetto di legge. Riteniamo che oggigiorno, anche in ambito lavorativo, le discriminazioni siano eccessive. È impossibile dover pensare ancora oggi di dover tutelare dei lavoratori perché discriminati per orientamento sessuale o per genere. Dovremmo superare certe ovvietà che, invece, oggi vengono ancora additate in ambito lavorativo. La difficoltà di mantenere un posto di lavoro è oggigiorno palese. Lo troviamo nei numeri e lo comprendiamo da quanto è stato detto. Io avevo preparato un intervento, ma le testimonianze e i racconti che sono stati fatti oggi penso parlino già tanto. Riteniamo importante il confronto con le organizzazioni sindacali che tutelano tutti i lavoratori. Come UIL, in particolare, ci teniamo a dire che il lavoro svolto persiste già da tanti anni. Il nostro Centro di ascolto per le vittime di violenza di genere è presente nel nostro territorio da tanto tempo. La UIL non terrà mai le porte chiuse a nessun lavoratore e a nessuna lavoratrice. Non terrà mai le porte chiuse a chi ha bisogno di una tutela, a chi ha bisogno di un’assistenza. Appoggiamo, quindi, pienamente questa proposta di legge.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    La parola a Valeria Roberti, “Centro risorse LGBTI”.Si prepari Elisa Rossini, Presidente AGE di Modena.

     

    ROBERTI (Centro risorse LGBTI)

    Buongiorno a tutti, a tutte e a “tutto”. Cercherò di essere molto breve, visto che siamo arrivati all’una. Sono qui per raccontarvi di alcuni dati che abbiamo raccolto nella regione Emilia-Romagna con un progetto che si intitola “Hate crimes no more”. L’associazione è il Centro risorse LGBTI, di cui sono presidente. Lo metto agli atti, gentilmente. Abbiamo chiesto alle persone di segnalarci i casi di omofobia che hanno subìto nella loro vita. I numeri non sono altissimi, e poi vi spiegherò il perché. Abbiamo raccolto quasi cinquanta casi. Le segnalazioni anonime con un questionario online dirette dalle vittime, non raccolte sui giornali o per sentito dire, ci arrivano parlando di insulti, ingiurie, furti, aggressioni, stupri, violenze fisiche e verbali. Non stiamo parlando di opinioni o di piccoli casi superflui. Certo, ci sono anche casi più leggeri: una persona che passando in macchina urla “froci di merda” o un altro ragazzo che una sera uscendo da un locale si ritrova accerchiato da una banda che cerca di rapinarlo e di colpirlo, dal quale scappa correndo. Sono storie vere. Le potete leggere tranquillamente nel report che ho lasciato. Sono storie di vita. Ho pensato di tagliere alcune parti, anche se avevo intenzione di raccontarvi di più sui dati. In ogni caso, confido nella vostra lettura. Perché oggi siamo qui a interrogarci se esiste l’omofobia o l’omotransnegatività? Come dobbiamo interagire con essa? È come se parlassimo dell’aria che respiriamo. La società italiana è sessista, è omofoba, è lesbofoba, ha una forte avversione verso tutte le diversità, in particolare le diversità che toccano l’identità sessuale perché siamo italiani. Basta che ognuno di voi si guardi dentro e si chieda quante volte ha parlato serenamente di sesso o di affettività con figli, genitori, amici, parenti. È un tema difficile, è un tema che la nostra cultura nasconde e questo è il forte motivo per cui le persone non dichiarano di aver subito dei casi, perché – e lo dice il report – pensano che non si possa fare niente, pensano che non sia sanzionabile. Si vergognano, hanno paura; paura di perdere il lavoro, paura di essere allontanati dalla famiglia, paura di non ricevere le giuste attenzioni che dovrebbero avere. Questa è la punta dell’iceberg che in molti questa mattina abbiamo nominato, perché se io, che sono lesbica, non mi sento libera di andare alla polizia e denunciare un fatto, non mi sento libera di dire alla mia famiglia che proprio a causa del mio orientamento sessuale qualcuno mi ha urlato per strada “lesbica di merda”, non lo farò questo passo. E come posso farlo? Solo con una tutela, una tutela legale, una tutela sociale, un lavoro delle associazioni forte sul territorio, qualcuno che mi permetta di fare quel passo avanti serenamente e con consapevolezza. Chiudo dicendo una cosa molto semplice. Abbiamo parlato di dati. Vi ho portato dei dati. Le nostre denunce non sono molte, ma davvero dobbiamo parlare di dati? È veramente importante il numero delle persone? Perché, secondo me, un’Amministrazione locale o regionale, come in questo caso, dovrebbe pensare alla tutela anche di un solo cittadino, di una sola cittadina, di una sola persona che subisce delle discriminazioni in base alla sua identità. Questo è un punto importante. Qui oggi stiamo a dirci davvero, per l’ennesima volta, che dobbiamo discutere di passi in avanti sulla pelle delle persone; persone, oggi, tra l’altro, qui presenti? Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, Valeria Roberti. Elisa Rossini, presidente AGE Modena. Si prepari Tony Andrew, vicesegretario MigraBo.

     

    ROSSINI (AGE Modena)

    Sono contenta di essere arrivata fino alla fine, quasi, perché questa legge mi ha fatto una paura terribile quando l’ho letta la prima volta, molta paura, e ascoltando voi la paura è aumentata, perché questa è una legge bavaglio, come tanti la chiamano, e vi dico perché. Ho sentito cose che veramente spaventano. In un Paese democratico, in una Regione che si fregia di essere una Regione democratica è una cosa paurosa. Le violazioni delle norme costituzionali sono molteplici, tanto che questo disegno di legge andrebbe cestinato. Articolo 21 della Costituzione, commi 1, 2 e 6. Non vi è chiarezza su che cosa si debba intendere per omotransnegatività, omotransfobia, diritto all’autodeterminazione. Che cosa significa comportamento di avversione o dileggio? Queste affermazioni generiche incomprensibili conducono ad una inammissibile compressione della libera espressione del pensiero, che tutti i cittadini hanno, tutti, non solo voi appartenenti al mondo LGBTI e non so quanto altro, non solo voi, tutti i cittadini hanno e che in questo modo viene compressa. Se io dico qualcosa che contrasta contro le rivendicazioni del mondo LGBTI e non so quanto altro, io sono omotransnegativa. Prima è stato fatto un intervento, che è stato allucinante. Il ministro Fontana ha detto una verità, perché le famiglie LGBTI non esistono, ed è vero che non esistono, perché la legge sulle unioni civili ha disciplinato e messo le unioni civili all’interno delle formazioni sociali, non all’interno dell’articolo 29. C’è stato un dibattito parlamentare, miei cari, che ha definito questo, proprio per escluderli dall’articolo 29. Le famiglie LGBTI non esistono. Esistono delle formazioni sociali che si organizzano e che sono disciplinate dalla legge sulle unioni civili. Il ministro Fontana per aver detto una verità è omotransnegativo. Capiamo dove stiamo arrivando. Seconda cosa. Attività di elaborazione delle buone prassi. Tutto quello che, invece, manifesta un pensiero contrario è automaticamente il bollino nero di cattiva prassi? Mi stanno dicendo di sì, per cui è confermato. Altro elemento, le comunicazioni. Esiste un divieto di censura della stampa previsto dalla Costituzione. Esiste. Vogliamo censurare la stampa? Vogliamo censurare le comunicazioni? Vogliamo stabilire che si può parlare solo in un certo modo a proposito di pensiero unico? Vogliamo andare in questa direzione in un Paese democratico, in una Regione di sinistra che si fregia di essere democratica? Articolo 30. È una vergogna la stesura di questo articolo 30, una vergogna. Mi riferisco a chi l’ha scritta. È una vergogna. L’articolo 30 della Costituzione stabilisce la libertà educativa dei genitori, la libertà di scelta educativa, il diritto di educare i propri figli. Qui è stato rigirato così: noi vi prendiamo, vi diciamo com’è essere omotranspositivi, vi diciamo come non essere sessisti, vi insegniamo cosa fare. Io non posso più dire a mio figlio che i generi sono due, maschile e femminile, che il sesso e il genere sono la stessa cosa. Non gli posso più dire che il matrimonio è solo tra uomo e donna, ma, come avete dimostrato, gli devo dire che le famiglie sono anche quelle LGBTI, andando anche in contrasto alla legge. Non lo posso più fare questo. È finita per noi genitori. Ricordatevelo. È finita. La nostra libertà di scelta educativa, già fortemente compressa in questa Regione, non esisterà più. Noi non potremo più scegliere niente. Ci sarà chi sceglie per noi: il mondo LGBTI e non so quanto altro. Vado oltre, vado avanti. La libertà di espressione religiosa. Il mondo cattolico dice che il matrimonio è tra uomo e donna. Lo potrò dire dopo questa legge qui in Emilia-Romagna? Lo potrò dire questo? La risposta è no. Me l’ha detto la persona che prima è intervenuta tracciando di omotransnegatività il ministro Fontana. Infine, cosa vuol dire “manifestazione del proprio orientamento sessuale”? Quello che vediamo nei Gay Pride? Esiste una norma costituzionale, l’articolo 21, sesto comma, che dice che la manifestazione non può essere contraria al buon costume. Quelle manifestazioni sono contrarie al buon costume, perché due eterosessuali non possono andare in giro nudi per le città, voi sì.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Tony Andrew, vicesegretario MigraBo. Si prepari Noemi Turricchia, Associazione Gruppo Trans.

     

    ANDREW (MigraBo)

    Ciao a tutti. Io mi chiamo Tony. Alberto ci aiuterà a tradurre. Grazie. Il mio nome è Tony Andrew, capisco l’italiano e lo parlo un po’, ma per questo intervento preferisco parlare in inglese, che è la mia lingua d’origine, per essere più preciso. Sono un attivista, sono qua per lottare per la libertà nella vita, perché abbiamo tutti una vita e siamo tutti uguali. Vorrei dire una cosa che riguarda quello che è stato detto dalla sorella che ha parlato prima e che ha affermato che le famiglie LGBTI non esistono. Esistono le famiglie LGBTI. Nella famiglia LGBTI ci si aiuta l’un l’altro. La famiglia LGBTI, da quando sono arrivato in Italia, mi ha ridato una vita e mi ha dato la libertà di parlare di me stesso.

    Parlo di libertà di parola perché con tanti miei compagni e compagne siamo passati per i campi, siamo passati per il sistema d’accoglienza e non avevamo molto spesso la libertà di parlare liberamente di noi stessi. Io stesso non potevo dire a uno dei miei operatori che sono gay. Non ho trovato un amico che mi ha dato il coraggio e mi ha rassicurato che potevo dirlo apertamente il fatto di essere gay e le persone attorno a me lo hanno usato contro di me. Persino all’interno della Commissione, quando sono andato in Commissione, c’è stata una persona che ha detto che non potevo usare il fatto di essere LGBT liberamente in Italia, che non potevo esserlo liberamente. Mi hanno chiesto se ero cristiano, e ho detto di sì, io sono cristiano. Sono un cristiano vero, da sempre, sono nato cattolico, battezzato cattolico. Questo voleva dire che non posso parlare liberamente dell’essere gay? A quel punto me lo sono detto, mi sono ricordato: questo è quello che sono, devo dirlo e ho parlato di me stesso nella Commissione. Più ne parlavo all’interno della Commissione più quella persona nella Commissione si arrabbiava perché parlavo liberamente di me. Lavorando con il presidente dell’Arcigay di Bologna, io stesso, essendo vicesegretario in un’associazione LGBT di migranti, continuo e conosco diverse persone migranti, uomini e donne, che non possono dire apertamente di essere gay al mondo. Anche le persone che vediamo a Reggio molto spesso non possono parlare liberamente lì fuori. Nella scuola dove vado molti di loro non possono dirlo liberamente. Nella chiesa in cui vado molti non possono parlare liberamente. Ed è per questo che poi quando ho cominciato a parlare liberamente, proprio in quella chiesa, le persone hanno alzato la voce, hanno cominciato a parlare e hanno cominciato a parlare della discriminazione che vivono ogni giorno proprio per l’esser se stessi. Ne ho parlato con la mia pastora e lei stessa li ha incoraggiati a parlare con chi va contro perché questa è la nostra vita. Non si può fermare la parola cattiva degli altri. Essere gay non è contro una religione qualunque, ma è essere liberi di essere sé stessi. La stessa cosa facciamo nei nostri gruppi a Bologna, in cui parliamo con gli altri migranti. Tanti sono i racconti di persone che dicono: “Non posso parlare, non posso dire di essere gay, perché se lo dico, per esempio, non troverò più lavoro”. Voglio concludere ringraziandovi e ripetendo che siamo tutti nella stessa vita e abbiamo bisogno di lottare, stare insieme come una sola famiglia. Grazie a tutti.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Noemi Turricchia, Associazione Gruppo Trans. Si prepari Francesco De Carlo, Associazione Spetroliamoci.

     

    TURRICCHIA (Gruppo Trans)

    Sono appena stato chiamato con il mio nome anagrafico. Questo mi produce molto disagio. Conosco molti ragazzi che a questo punto non se la sarebbero sentita di parlare, sarebbero stati costretti a uscire, ma io voglio parlare lo stesso.

     

    Relatrice MORI

    Chiedo scusa, io avevo questo nome, però. Mi perdoni.

     

    TURRICCHIA (Gruppo Trans)

    È il mio nome anagrafico. Sono un ragazzo trans.

     

    Relatrice MORI

    Chiedo scusa.

     

    TURRICCHIA (Gruppo Trans)

    Non è un problema. Non è colpa tua. Mi chiamo Loris, ho 23 anni e sono un ragazzo trans. Sono nato di sesso femminile, la mia identità di genere è maschile e sono uno studente Unibo. Negli ultimi due anni non ho potuto avere la Carriera Alias, procedura che, nonostante il mio documento di identità non mi rappresenti, come avete appena potuto vedere, mi permetterebbe di ottenere una rettifica anagrafica provvisoria interna all’Ateneo. Non l’ho potuta avere perché la documentazione necessaria a ottenerla è una diagnosi medica e psichiatrica e procurarmi e fornire questa documentazione costituirebbe per me una violazione della mia dignità come persona. In questi anni, quindi, ho dovuto frequentare l’università con una serie di disagi derivati da documenti che non mi rappresentano e questi disagi spesso mi si ripresentano identici anche nella sfera lavorativa. Ad esempio, avere un account mail istituzionale con un nome che non è il mio mi dà difficoltà ogni volta che devo mandare una mail a qualunque figura professionale, costringendomi a complicare il contenuto, spiegando che il nome non coincide con annesso rischio di fraintendimenti e discriminazione, oltre, in generale, a compromettere seriamente la mia produttività, rendendo complicato ogni contatto. Questo può ampiamente fare la differenza tra ottenere e mantenere o meno un posto di lavoro. La mancanza di dati anagrafici pubblici che rispecchino la mia identità mi procura, inoltre, forti disagi nei rapporti con colleghe e colleghi, poiché mi trovo costretto a lavorare con altre persone contemporaneamente in ambienti informatici e fisici in cui sono obbligato a esistere tramite un nome che non è il mio, come in questo caso, a quanto pare. Questo coinvolge non solo account, ma anche tesserini e badge che permettono l’accesso a strutture e laboratori, spesso impedendomi di accedere a questi ambienti a meno di accettare di incorrere in serie difficoltà con le altre persone e di subire lesioni della mia dignità personale. Lo stesso si verifica quando una persona trans si ritrova costretta a lavorare con un’uniforme non pertinente con il suo genere o con un cartellino identificativo con un nome che non la rappresenta e la espone a discriminazioni e a tutti i rischi che ciò implica. Questo vale anche per i tanti tipi di elenchi pubblici, che siano orari di turni, bacheche, liste di prenotazioni per i vari servizi o candidature per colloqui di lavoro, che ogni volta che figurano in un ambiente pubblico compromettono il mio diritto alla privacy e la sostenibilità della mia vita pubblica, spesso impedendomi di accedere a queste opportunità a meno di trovare persone comprensive in grado di ideare modi per compensare la mancanza di un’anagrafica alias. Posso dirmi molto fortunato, perché, per esempio, nella mia carriera universitaria, per ben dodici esami consecutivi, per un totale di diciotto persone tra docenti, tutor e personale tecnico, ho trovato personale disponibili in vario modo a compensare la mancanza di documenti che mi tutelino come persona, ma so di molti casi in cui non è andata così, anzi. Se anche solo una di queste persone non avesse avuto questa comprensione e disponibilità questo avrebbe seriamente compromesso i miei studi, così come comprometterebbe le mie opportunità di trovare e mantenere un lavoro, come già avviene ogni volta che una persona trans cerca lavoro senza ancora essere riuscita a ottenere, tramite un lungo, costoso e patologizzante percorso giudiziario, un documento d’identità che corrisponda alla persona che è effettivamente nella vita quotidiana. Alla luce di tutto ciò, ritengo quindi necessaria l’adozione e la promozione dell’uso di alias anagrafici per persone trans, per assicurare uguaglianza di opportunità e non discriminazione nell’accesso al mondo del lavoro. Trovo opportuno precisare che il problema in sé non è tanto non avere documenti che rispecchiano la propria identità, ma il fatto di subire discriminazioni perché non si hanno, perché ad avere un nome femminile che mi è appena stato reso pubblico davanti a tutti si sopravvive, ma alla discriminazione un po’ meno.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Ringrazio Loris per il suo contributo. Francesco De Carlo, prego.

     

    DE CARLO (Spetroliamoci)

    Prima di iniziare, volevo fare un piccolo passo indietro. Prima si è parlato anche di sport. Io sono un allenatore e so, lo sperimento, quanto sia importante conoscere la biologia, quindi sapere quando si allenano i bambini maschi, le bambine femmine, gli adolescenti maschi e le adolescenti femmine, uomini, donne, che un po’ di differenze ci sono. Mi ha addolorato che la UISP, con cui ho collaborato – spesso anche a nome dell’associazione che rappresento, ad esempio, l’anno scorso, abbiamo organizzato i mondiali di retrorunning qui a Bologna – abbia applaudito così incondizionatamente a una legge che molti dubbi li solleva. Inizio intanto parlando un po’ a titolo personale. Tra le premesse della legge viene citato un caso di aggressione, in maniera un po’ fumosa, citazione palesemente pretestuosa dal momento che le aggressioni anche fisiche, perpetrate da attivisti LGBT nei confronti di manifestanti pacifici, relative ai soli incontri delle Sentinelle In Piedi, senza contare gli altri, sono molto più numerose, sono state circoscritte solo grazie all’immenso lavoro svolto dalle forze dell’ordine in quelle occasioni. Faccio coming out. Ho partecipato anche agli incontri delle Sentinelle. Ho preso un po’ di insulti, ma non voglio chiedere una legge per tutelare le Sentinelle, non sono qui per questo. A quanto pare, ci sono da un lato violenze ammesse da questo progetto di legge e dall’altro atteggiamenti punibili per il semplice fatto che qualcuno potrebbe, secondo il suo personale parametro, definirli violenti. A ulteriore riprova di ciò, basta leggere la premessa, dove si parla di prevenire e superare situazioni anche potenziali. Questo è un atteggiamento già utilizzato da regimi totalitari del passato. Mi permetto di esprimere la mia personale opinione dissociativa nei confronti di questo tipo di politica a cui i promotori della legge si ispirano. Concludo parlando a nome dell’associazione che rappresento. Spetroliamoci si impegna a creare un mondo migliore mediante la promozione di buone pratiche e tra esse voglio oggi ricordare la diffusione della cultura e il rispetto della natura. Nel progetto di legge si parla tanto di contrastare stereotipi e pregiudizi, ma da nessuna parte ho trovato un accenno alla tutela della natura o della scienza. Anzi, addirittura negli articoli 1, 2, 3, 6, 7 e 8, più della metà degli articoli mi ero scritto, poi tra l’altro abbiamo visto che sono effettivamente otto gli articoli, quindi sei su otto, gli articoli in cui si parla di contenuti, viene ripetutamente chiamato in causa il concetto antiscientifico di identità di genere, pericoloso strumento ideologico in contrasto con le leggi della biologia e già utilizzato in tantissime occasioni nelle scuole, in particolare per indottrinare studenti minorenni i cui genitori non erano stati informati. Leggendo l’articolo 3 di questo progetto di legge, si evince che questi minori, non solo in futuro non saranno più tutelati di quanto lo siano adesso, ma addirittura che banali dati di fatto come il sesso biologico e la genitorialità naturale non potranno più essere spiegati nelle scuole perché si tratterebbe, cito testualmente, “di una situazione potenziale di omotransnegatività”, altro neologismo sconosciuto a dizionari e all’Accademia della Crusca, coniato appositamente per poter trovare pretestuosi capi d’accusa per chiunque si opponga al volere della maggioranza al potere.

    Lo stesso tipo di controllo, anch’esso vecchia conoscenza di altri regimi totalitari, è previsto dall’articolo 8, quello sui media, scritto per colpire chi ha già finito il percorso di studi e quindi non è più indottrinabile mediante l’articolo 3. La televisione bene o male la guardano tutti, i giornali li leggono tutti e su internet ci vanno tutti. In sostanza, questo progetto di legge non è solo contrario alla natura, è contrario alla scienza, è contrario alla cultura, è contrario al buon senso e non da ultimo è contrario ai diritti umani.

    Pertanto, l’Associazione Spetroliamoci non può accettare una legge simile.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. Adesso ascoltiamo Nicoletta Manzini, Fondazione Mondinsieme. Si prepari Christian Leonardo Cristalli, Presidente Gruppo Trans.

     

    MANZINI (Fondazione Mondinsieme)

    Buongiorno a tutti. Sono molto felice di portare qui una voce nuova, che è quella di un centro interculturale del Comune di Reggio Emilia, che fa anche parte della rete dei centri interculturali della Regione Emilia-Romagna. Cosa c’entra l’intercultura con tutto questo? C’entra. Ci sono diversi modi di fare intercultura. Per lungo tempo e oggigiorno sono diverse le persone che ritengono che ad occuparsi di intercultura debba essere colui o colei che ha il gene della diversità culturale: l’immigrato, il richiedente asilo, come se ci si occupasse di una fetta della società a esclusione di tutto il resto. Un noi e un loro. Ed è quello che vedo qui oggi anche in questa stanza. Noi abbiamo operato negli anni anche con grandi risultati, risultati che sono stati resi possibili proprio da una legge regionale, la ricordo, la n. 5 del 2004 (spero di averla citata bene), che sicuramente ha una sua storia diversa, ma ha anche tante similarità, nel senso che in quella legge si cercava di lavorare sulla coesione sociale facilitando l’integrazione – per la prima volta si parla di integrazione – di cittadini di origine straniera. Quella legge, che ha consentito a tante realtà anche del mondo associativo di operare con questo obiettivo, in realtà, ha portato grandissimi vantaggi alla parte italiana, agli italiani, perché ha proprio permesso di non vivere in delle bolle isolati, ma di riuscire a vivere in contesti educativi, spazi pubblici e di conseguenza anche in famiglia in maniera più coesa, più serena, per il benessere della persona. Auspichiamo che questa legge venga approvata, proprio perché andrebbe a completare quel percorso. Non è un togliere. Dare legge, riconoscere diritti a una parte della società, non è un togliere all’altra. È qualcosa che ci chiama in causa tutti, proprio in una logica di interdipendenza. Un’ultimissima cosa. Oggi, ad esempio, abbiamo anche modificato il nostro modo di fare intercultura, proprio aderendo al tavolo interistituzionale promosso dal Comune di Reggio Emilia contro l’omotransnegatività, proprio perché non c’è una diversità. Non si può appiattire, ad esempio, l’intercultura sulla diversità culturale. La diversità ha tante facce, tante sfaccettature e bisogna essere in grado di guardarle e tutelarle insieme. Altrimenti, poi si rischia di sottostimare il pericolo, i rischi di determinate discriminazioni. La storia di Tony, quella che ha appena raccontato, lo dimostra, nel senso che Tony arriva in questo territorio come immigrato, con un percorso anche da richiedente ed è persona che oltre a essere di origine straniera è anche omosessuale. Se noi neghiamo questa complessità, sottostimiamo quello che accade a persone come lui. Da qui il nostro impegno, che andrà sempre al fianco di Arcigay Reggio Emilia, di tutte le Istituzioni, nella speranza proprio che questa legge sia un ulteriore tassello per un’azione omogenea e a trecentosessanta gradi di contrasto alle discriminazioni, per arrivare veramente a una visione regionale, una politica regionale che sia una politica essa stessa intersezionale. Questo è un po’ il contributo che volevo portare.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, Nicoletta Manzini. Christian Leonardo Cristalli, presidente Gruppo Trans. Si prepari Anna Tedesco, rappresentante Movimento Cristiano Lavoratori.

     

    CRISTALLI (Gruppo Trans)

    Buongiorno a tutti. Sono Christian, sono un ragazzo trans e vivo a Bologna. Mi chiamavo Beatrice e ho fatto un percorso di transizione che è andato verso quello che, ad oggi, è il mio benessere. Esisto. Come vedete, noi non siamo entità, teorie. Non sono venuto qui per discutere o opinare appunto la mia esistenza di persona trans in quanto argomento pericoloso per altri o, come sostenuto, anche per diffondere teorie legittime che prevedano legittime contrapposizioni. Noi non siamo teorie. Qui non si tratta di andare a diffondere contenuti ideologici. Io esisto e sono residente in Emilia-Romagna. Questo vuol dire che se la salute, ad esempio, è un tema regionale, da cittadino, mi aspetto che vengano riconosciuti tali diritti. Il tempo è veramente poco. Vorrei lasciare la parola a tutti. Leggerò brevemente il mio intervento. Vi rendo solo noto che le persone trans come me, ad oggi, sono presenti nelle scuole, sono minorenni, sono persone che fanno fatica ad inserirsi nel mondo del lavoro, nel circuito del mondo del lavoro, perché ci sono dei pregiudizi. Non è facile, per noi, andare con un curriculum che preveda un nome diverso da quello che ad esempio io oggi ho avuto la fortuna di avere. Ci è voluto tanto tempo: ad oggi io sono Christian, ma fino a due anni fa ero Beatrice. Loris non ha avuto ancora questo beneficio. Capirete bene che anche solo conquistarsi la fiducia di un eventuale datore di lavoro diventa complicato. Questo può anche spiegare motivi inerenti una certa marginalizzazione delle persone trans, che vengono messe appunto al margine della società e magari ricadono anche sul marciapiede di una strada. Questo può anche essere un punto di partenza per parlare di salute e, ad esempio, di quanto sia importante garantire gratuità di farmaci alle persone trans. La terapia ormonale sostitutiva per una persona trans è una terapia che si fa a vita. La condizione trans non viene riconosciuta in molti campi: quello sanitario è uno di questi. La quasi totalità dei farmaci per la terapia ormonale è costituita dai cosiddetti farmaci di classe C: sono definiti non essenziali. Vi rendo noto, oggi siamo in vena di coming out, quindi lo faccio anch’io, in questo senso, che io sono una di quelle persone trans che si sono dovute obbligatoriamente sterilizzare per avere i documenti, perché fino al 2015 era strettamente obbligatorio e necessario. Io ad oggi, quindi, non ho più un apparato che mi consenta, a livello proprio fisico, di produrre gli ormoni che mi servono per mantenere la salute delle mie ossa. Questo significa che ho necessità di prendere il testosterone, come componente farmaco salvavita per la mia salute. Di fatto, questo per me è un farmaco salvavita, perché altrimenti il testosterone non lo produrrei. Mi rendo conto che sono discorsi molto nel dettaglio, però per me questo farmaco è a tutti gli effetti un farmaco salvavita e di prima necessità, che dovrò prendere per sempre. Per avere la gratuità del farmaco bisogna farselo prescrivere tramite un piano terapeutico. Ma attenzione perché il piano terapeutico viene rilasciato solo in presenza di diagnosi di patologie specifiche. Mi rivolgo quindi alla Regione, perché tra queste non rientra la condizione trans. Parlo per il mio personalissimo caso: attualmente, per avere questo tipo di piano terapeutico io devo passare per una persona ipogonadica, quando le gonadi neanche le ho. Questo per dire che è abbastanza paradossale il modo in cui si è provato a sopperire a una lacuna normativa sulle nostre vite, però di fatto non è abbastanza. Questo ad esempio può riguardare anche il tema degli screening di prevenzione, sempre in ambito della salute. A me cioè non arriverà l’esame di screening che mi serve, ma mi arriverà il controllo della prostata, che non ho. Questi sono tanti piccoli esempi.

    Ora il tempo è finito, quindi devo concludere, però ci sarà modo sicuramente di arrivare a riconoscere il diritto delle persone che esistono e che vivono in Emilia-Romagna, che sono tante – solo in questa sala ce ne sono un bel po’. Contiamo sull’intelligenza di tutti, anche di quella simpatica signora che mi ha ricordato un po’ mia madre, da quanto era infervorata, però anche mia madre, oggi, è una persona che mi vuole bene, per cui c’è speranza.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, Christian. Ora ascoltiamo ora ascoltiamo Anna Tedesco. Si prepari Ciro Di Maio, presidente Arcigay Ravenna.

     

    TEDESCO (Movimento Cristiano Lavoratori)

    Grazie a tutti. Io chiedo pochi minuti, perché leggerò quello che il Movimento Cristiano Lavoratori di Bologna e provincia e dell’Emilia-Romagna ha messo insieme per questa occasione, e riguardante appunto questa proposta di legge. Premesso che questo Movimento è contro qualsiasi forma di discriminazione di razza, sesso, religione e cultura; ritenendo, invece, prioritario mettere al centro la persona con i suoi bisogni, la famiglia con le sue priorità, i giovani e la loro formazione al lavoro, che li aiuti a crescere nella realizzazione del proprio futuro. È dai giovani, infatti, linfa vitale del nostro Movimento, che abbiamo ricevuto i richiami e le precisazioni di cui questa proposta di legge è fortemente carente. Tre punti. Il primo: educazione. Il ruolo dei genitori non è chiaro, nell’educazione dei propri figli, poiché sembrano essere considerati più come soggetti passivi che veri attori da coinvolgere nelle varie scelte educative: programmi scolastici, momenti di confronto e decisioni da intraprendere per una corretta educazione e nelle varie fasce di crescita dei figli. Due: si parla molto di diritti e di non discriminazione per omo, trans, eccetera, prevedendo corsie opportunamente dedicate nel lavoro, finanziando anche eventuali attività associative che si occupano degli stessi, tralasciando politiche che affrontano la carenza di lavoro per i giovani, per le mamme che si occupano dei figli e vengono emarginate, o addirittura escluse dal mercato del lavoro.

    In questo momento parlo anche da consulente del lavoro, e questo lo posso dire con certezza assoluta: le mamme vengono addirittura escluse, non sono emarginate, sono proprio escluse. Molteplici sono le risultanze anche dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, nei suoi rapporti annuali, preoccupato anche che questa carenza nei confronti della donna mamma, sta portando a una vera e propria mancanza di risorse nelle casse dello Stato. Dice l’INPS: la nascita di un figlio ha un impatto significativo e duraturo nelle scelte e nelle prospettive delle madri, ma non in quelle dei padri. “Impatto significativo” vuol dire che non ci sarà più la possibilità di prospettive future. Questo succede non solo nel nostro Stato, ma anche nella nostra Regione. L’amara constatazione che non calma nel tempo, anche nel nostro Paese e nella nostra regione. Bisogna fare qualche cosa, perché la questione sta veramente emarginando da tutte le soluzioni possibili messe in gioco.
    Da ultimo: ancora, la proposta di legge prevede finanziamenti non ben definiti per entità. Ciò non è condivisibile perché se ci sono disponibilità di bilancio queste dovrebbero essere equamente distribuite con chiara trasparenza, nel rispetto dei coinvolgimenti di tutte le associazioni, non solo delle associazioni che si rivolgono a persone determinate, che sono uguali, tutte, ma tutte, coinvolgendo tutte, non solo le associazioni più sopracitate. In rispetto, appunto, di tutto quello che abbiamo detto, certamente il nostro parere non può essere che contrario. Ragion per cui chiediamo di aprire un tavolo di confronto prima di proseguire in ogni altra modifica. Vi ringrazio infinitamente dell’attenzione e chiedo, una volta tanto, anche avvicinandosi un momento particolare, quello della festa della donna, di ricordarci che le donne vengono addirittura emarginate, escluse dal mercato del lavoro. Escluse solo perché sono mamme. Non chiedono altro. Questo lo posso dimostrare in prima persona, da consulente, da professionista, quando faccio selezione del personale. Mi chiedono la priorità che la donna sia in certe condizioni.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. La parola a Giuseppe Varchetta, gruppo PeopAll Cassero. Si prepari Michele Giarratano, Presidente Gay LeX.

     

    VARCHETTA (Gruppo PeopAll Cassero)

    Salve. Non è facile essere qua. Scusate, sono molto agitato. Pensavo che in un’udienza fatta per decidere se istituire una legge contro l’omo-trans-bi-lesbo fobia e omofobia a vari livelli… Io appartengo al Cassero e al LGBT Center. Noi siamo persone, non siamo LGBT, lesbiche, bisessuali, trans, intersessuali e chiediamo rispetto. Non sono lettere messe a caso, sono lettere che danno visibilità a identità marginali. Noi persone LGBT in Italia, e purtroppo anche a Bologna, siamo identità marginali. Io sono gay, ma faccio anche parte di un’altra minoranza: ho una disabilità. Anche oggi le istanze delle persone con disabilità sono state strumentalizzate da chi è contrario a questa legge.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Prego, fate continuare.

     

    VARCHETTA (Gruppo PeopAll Cassero)

    Non ci sono discriminazioni primarie e secondarie. Ci sono discriminazioni. Punto. Anche perché ci sono persone – sottolineo, persone – come me, persone gay, che non sono solo gay: sono studenti o persone con disabilità. Questo lo dico perché secondo me in questo [audio incomprensibile] ci deve essere una “intersezionalità” delle lotte. Un’ultima cosa, e poi vado. Ci additano come i sostenitori della teoria gender, che vogliono cambiare la tradizione. Ma quale tradizione? Una tradizione che per le persone LGBTQ, da sempre marginalizzate, va rifatta. Ci vorrebbe un’altra tradizione: la tradizione dell’inclusione, senza strumentalizzazioni, e questo lo sottolineo, perché anche oggi, lo ripeto, le persone con disabilità sono state strumentalizzate. Io conosco molte associazioni che lottano per i diritti delle persone con disabilità, che lottano anche per i diritti delle persone LGBTQ, persone. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, Giuseppe. La parola a Michele Giarratano, presidente Gay LeX.

     

    GIARRATANO (presidente Gay Lex)

    Salve, buongiorno a tutte e a tutti. Io in realtà sono il presidente di Gay Lex, un’associazione che si occupa dei diritti delle persone LGBT. Siamo avvocati e avvocate, ma sono qui a parlare a nome di Famiglie Arcobaleno e FRAME, perché volevo focalizzarmi più sul tema delle famiglie e della formazione. In realtà di quello che avevo scritto non dirò nulla, perché ci sono state così tante sollecitazioni, prima di me, che vorrei soffermarmi su alcuni punti. Intanto, rispetto al fatto che qualcuno ha parlato di una legge-bavaglio, vorrei ricordare che anche solo elencando quelle che sono le Regioni non a statuto speciale, su quindici Regioni in Italia già cinque – Toscana, Marche, Liguria, Piemonte e Umbria – hanno approvato una legge contro l’omo-transfobia e ci sono leggi in discussione in Puglia, Lazio e Calabria, dove è stata anche approvata in Commissione. Ebbene, vi dico che non è caduto il mondo, le persone non sono state rinchiuse in carcere perché hanno manifestato la loro libertà di pensiero. Questo per contestualizzare il fatto che parliamo di una legge che serve a prevenire e a contrastare fenomeni di omofobia e transfobia, ma non incide sulla libertà di pensiero o altro. Dopodiché, vorrei dire che nel nostro ordinamento esiste già una nozione di omofobia e transfobia. Chi ha detto che invece queste definizioni sono generiche e confuse? Basta prendere il decreto legislativo 216 (e non 196/2003, che è il codice della privacy), che riguarda le discriminazioni sul lavoro. Nel decreto legislativo, peraltro, è presente anche quello che può essere interpretato come il concetto di omo-negatività, visto che il comma 3, articolo 2, ci ricorda che è vietato anche il clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo. Potrei citare tutte le risoluzioni del Parlamento europeo, che parlano di transfobia e omofobia, ma vado velocemente avanti, senza nemmeno ricordare tutte le pronunce della CEDU, che riguardano questi temi, e che riguardano anche il tema delle famiglie. Le famiglie sono l’argomento principale che mi interessa. Le famiglie con due padri o due madri esistono già ed esistono perché sono riconosciute dallo Stato e dalla giurisprudenza. Per cui, dire che non esistono è dire qualcosa che non è vero. Basta vedere le pronunce costanti, giornaliere, che riguardano i casi di due padri e di due madri. Negare l’evidenza e negare una tutela di questi bambini significa andare contro l’interesse del minore e contro quella che è stata citata, secondo me a sproposito, ma ovviamente è una mia considerazione personale, ovvero la Convenzione dei diritti dell’infanzia dell’Unicef, che in nessun punto e in nessun modo cita la maternità surrogata. Questo tengo a dirlo, mentre qui è stato detto il contrario. Uno dei temi fondamentali di questa legge, che più volte è stato stamattina presentato è l’articolo 3 che riguarda la formazione. Rispetto ad altri interlocutori io mi trovo d’accordo nel dire che la formulazione è vaga, ma lo è perché secondo me non è abbastanza incisiva, visto che parla semplicemente di favorire la promozione di formazione su questi temi e dovrebbe anzi essere ancora più incisiva. Ricordiamolo: la formazione è la base per prevenire e contrastare i fenomeni di discriminazione. Quindi, semmai, quello che io chiedo a chi metterà mano alla legge è di fare una formulazione molto più decisa affinché anche in accordo con la legge 71/2017 sul cyberbullismo, che quindi ha già dotato le scuole di strumenti necessari ad andare a incidere sulla formazione contro le discriminazioni, entri nelle scuole e porti l’educazione all’affettività, che non è il gender, ma l’educazione all’affettività, l’educazione alle diversità familiari, tema, appunto, che mi sta a cuore. Sempre sulle famiglie, e poi chiudo perché è molto tardi, ovviamente trovo molto apprezzabile il richiamo che c’è non nel testo base ma nel progetto 6586 rispetto al riconoscimento dei figli minori. Probabilmente è tema molto delicato, perché c’è di mezzo anche la competenza, quindi l’articolo 117 della Costituzione. Di sicuro questa legge può incidere, nel momento in cui si parla come ho detto di formazione, quando si parla di cultura, quindi l’articolo 4, quando si parla di monitoraggio, quindi l’articolo 8 del CORECOM, sulla questione delle famiglie, allargando l’ambito della legge non soltanto ai singoli ma anche all’ambito familiare. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie all’avvocato Michele Giarratano. Adesso dovrebbe intervenire Giuseppe Seminario, vicepresidente Arcigay Cassero, Famiglie Arcobaleno. Si prepari Valentina Coletta, responsabile Area accoglienza movimento trans.

     

    SEMINARIO (vicepresidente Arcigay Cassero)

    Buongiorno a tutte le persone qui presenti oggi. Faccio una premessa. Non mi sarei mai aspettato di vivere una mattinata così intensa e anche così violenta, sotto certi aspetti. Sono anche molto provato emotivamente, quindi scusate se mi trema la voce, se sarò meno chiaro di quello che vorrei essere. Qui parlo a nome, in realtà, del Progetto Formazione Scuola Cassero, di cui sono un operatore. È un progetto che esiste dal 2002, non è una cosa nata ieri, ma è un progetto che lavora sulla città di Bologna, sulla provincia e anche al di fuori della provincia da più di quindici anni. Abbiamo incontrato, nell’ultimo anno scolastico 1.300 persone, 1.000 delle quali studenti e studentesse.Noi lavoriamo non solo con le fasce d’età che frequentano la scuola secondaria di primo e di secondo grado, ma anche con gli adulti, quindi con chi si occupa di educazione e di formazione. Abbiamo incontrato queste persone entrando nelle scuole attraverso percorsi strutturati, più o meno continuati nel tempo: dalle assemblee di istituto convocate dagli studenti, agli interventi puntuali focalizzati su bisogni specifici emersi dal confronto con gli istituti scolastici. Noi quindi non andiamo a portare il gender nelle scuole, ma rispondiamo a dei bisogni concreti, che emergono da parte delle persone che ci chiamano. Questo vorrei metterlo in chiaro. Abbiamo fatto e facciamo questo adottando le metodologie dell’educazione non formale, ispirata all’educazione ai diritti umani, che si basano sull’interazione tra chi partecipa alle attività, chi le conduce, e le concrete situazioni di cui fanno esperienza. Si impara sul campo, praticamente. Sono percorsi guidati, in cui si entra in contatto con se stessi e con le altre persone. È un approccio che viene definito olistico perché prende in considerazione il benessere psicofisico delle persone, ma anche l’ambiente in cui queste persone si trovano a vivere. Un ambiente che dovrebbe essere empatico, ma empatia che qui oggi io non ho sentito da parte delle persone che sono intervenute contro questa legge. Si lavora sul benessere delle persone che partecipano al raggiungimento di questi stessi obiettivi, per rendere queste persone consapevoli della propria identità, un’identità che non è una monade, non è monolitica. L’identità è un qualcosa di molto complesso e sfaccettato, ed è questo che andiamo a portare nelle scuole in cui entriamo. Non c’è una sanzione, c’è solo condivisione di tutte le dimensioni della conoscenza, sia quelle di cui le partecipanti e i partecipanti dispongono già, sia quelle che si vogliono rinforzare tramite l’educazione: il sapere (conoscenze teoriche), il saper fare (abilità pratiche di ogni individuo) e soprattutto il saper essere (quello che si è). Sono modalità di intervento che di fatto hanno un ottimo riscontro per depotenziare e per decostruire tutte quelle dinamiche che portano alle discriminazioni legate al genere, all’identità e alla sessualità. Di fatto è quello che fa questa legge, che vuole fare questa legge: lavorare sui contesti, sulle discriminazioni legate alle differenze. Noi vogliamo in realtà promuovere l’educazione alle differenze. Questo ci dice la nostra esperienza, ma ce lo dicono anche i dati. Qui riferisco a supporto la ricerca di Be proud! Speak out!, una ricerca nazionale sulle esperienze dei e delle giovani LGBTQI a scuola, promossa dal Centro risorse LGBT di Torino, che l’associazione ha condotto con il progetto Alice e che lascio qui agli atti. Tale ricerca ha indagato proprio i casi di omo-transfobia, omo-lesbo-bi-transfobia all’interno delle scuole. Più di mille studenti, di cui oltre 100 provenienti da questa Regione, hanno risposto anonimamente, in un’intervista, a domande relative alla loro esperienza di persone LGBTQIA nella scuola. Una scuola in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze, i vostri figli e le vostre figlie, i nostri fratelli e le nostre sorelle trascorrono buona parte della loro giovane esistenza. Molto spesso, uno spazio sicuro in cui poter incrementare la propria educazione e il proprio benessere si trasforma invece in un luogo in cui il principale problema è avere un compagno di classe neofascista, avverso a tutte le persone non eterosessuali o cisgender, con tendenze razziste, la cui presenza può incitare i miei compagni di classe ad alienarmi in alcuni contesti. Sto citando le parole di una persona che ha risposto a questa intervista, a questa ricerca: ci si sente a proprio agio nelle scuole solo nei bagni, lontano da tutto e tutti, negli angoli e nei posti in cui non posso essere visto. Questa ricerca, tornando ai dati, dimostra in realtà che all’interno delle scuole, ancora oggi, “gay”, “frocio”, è usato come un insulto e nessuno sanziona quest’uso infamante dei termini, delle parole, e non solo da parte di ragazzi e ragazze, ma anche da parte degli operatori che lavorano nelle scuole, quindi da docenti ed educatori. Queste persone molto spesso non intervengono. Nel 43 per cento dei casi che viene riportato alla ricerca, non c’è stato nessun intervento da parte di chi opera nelle scuole.

    Questa legge, dunque, dovrebbe lavorare in questa direzione, sui contesti. Vorrei che lo facesse ancora di più e mi unisco all’appello di Michele Giarratano su questo. Vorrei che ci fosse maggior coraggio nel momento in cui questa legge andrà votata.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. La parola a Valentina Coletta. Si prepari Ludovica Pesaresi.

     

    COLETTA (Movimento Identità Trans (MIT)

    Buongiorno a tutti e a tutte. Io rappresento il MIT, Movimento Identità Trans, che è l’associazione trans più antica presente in Italia, e soprattutto presente nel territorio dell’Emilia-Romagna. Noi abbiamo sede a Bologna e abbiamo uno storico rapporto con gli enti locali, e di buone pratiche per l’accoglienza e il sostegno delle persone trans. Gestiamo un consultorio ASL, gestiamo diversi servizi di prevenzione. Noi facciamo riduzione del danno, quindi ci occupiamo di prevenzione sanitaria riguardante la prostituzione. Credo che questa legge vada proprio in questo senso, nel senso della prevenzione. Noi abbiamo bisogno di prevenire quello che accade alla comunità trans. Ricordiamoci che la comunità trans è la comunità più discriminata dopo quella dei rom e dei camminanti. Siamo vittime, come le donne, del pregiudizio in base al nostro genere, veniamo ammazzate come le donne in questo Paese, perché questo Paese ha un problema: la cultura di odio verso ciò che è femminile, e noi veniamo odiate due volte, perché donne e perché traditrici del patriarcato, perché abbiamo rinnegato il nostro genere assegnato alla nascita, che è quello maschile. Secondo me, quindi, lo scopo di questa legge è l’educazione: solo educando noi possiamo avere una società, possiamo costruire una comunità, escludere, nascondere. Lo facevano i fascisti, lo facevano i nazisti, portandoci al confino, portandoci nei lager. Qui non siamo tutelate. Gli unici tutelati sono i cattolici, in questo Paese, che hanno il Concordato nella Costituzione. Noi no, noi non abbiamo nessuna tutela: non abbiamo il diritto all’accesso al lavoro, non abbiamo il diritto all’accesso allo studio, non abbiamo diritto alla piena cittadinanza. Ho sentito parlare di natura: nel 2019! Signori, la natura Adamo ed Eva l’hanno abbandonata all’inizio della creazione. Noi non siamo esseri naturali: tutti prendiamo medicine, Viagra, psicofarmaci, medicinali per il cuore, per il fegato, per la circolazione: cosa avete di naturale? Niente. Forse solo l’anima, se qualcuno ci crede. E poi, cosa c’è di tradizionale nella famiglia nucleare eterosessuale? È una creazione del capitalismo e della rivoluzione industriale, non è la famiglia tradizionale. I patriarchi nella Bibbia avevano più di una concubina. L’unica cosa tradizionale presente in questo Paese sono le femminelle e le trans: esistiamo dall’VIII secolo avanti Cristo, a Napoli. Siamo noi la tradizione di questo Paese.

    E poi, se vogliamo proprio parlare di soldi, controlliamo l’8 per mille alla Chiesa cattolica e il finanziamento alle associazioni cattoliche, e vediamo chi guadagna in questo Paese. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Vi prego, continuiamo con gli interventi in modo da poter concludere questa Commissione oggi.

    La parola a Ludovica Pesaresi, Cassero. Si prepari Rosaria Cavaliere, Associazione Trans Parma.

     

    PESARESI (Cassero)

    Buongiorno a tutte e a tutti. Sono Ludovica e porterò le testimonianze di un gruppo eterogeneo di persone LGBT, alcune delle quali qui presenti. Sono donne, uomini, persone trans, giovani e adulti, persone con disabilità, italiani e migranti, emiliani e non, madri e padri, lavoratori e studenti. Non è facile in nessun caso prendere parola e dire chi si è. Non è facile per me, neanche oggi, neanche ora. Giudicata come strana, diversa perché ho un orientamento sessuale fuori dalla norma. Che cos’è la norma? Dover sempre giustificare una cosa che non è una scelta, essere il fenomeno da baraccone al centro della discussione, quasi fossi una cosa esotica. Ho avuto paura per la maggior parte della mia vita, di dire, di spiegare, di parlare di me: meglio un figlio tossico che frocio. A vent’anni ho avuto il coraggio di cominciare ad essere. La paura di camminare mano nella mano con lei c’è sempre. Ma meglio combattere la paura che continuare a fingere. Perché volete costringermi a combattere tutta la vita? Ci si aspetta da noi, essendo gay, lesbiche, bisessuali, o trans, che abbiamo il coraggio di combattere. Ma non è sempre così. Per questo sono qui a dare voce anche a chi non riesce a prendere parola. Sono qui per Camilla, per la sua paura di dichiarare la sua omosessualità alle colleghe, che l’ha spinta ad andare in terapia per tre mesi quando ha ottenuto il suo primo posto di lavoro. Per il suo amico Antonio, i cui colleghi hanno smesso di cambiarsi nello spogliatoio in sua presenza quando hanno scoperto da terzi che era gay. Sono qui per Alessandra, i cui colleghi hanno riferito al padre che lei era lesbica, con l’intento di screditarla. Se fosse stata con un uomo avrebbero potuto usare queste informazioni contro di lei? Ricordo la paura di mia madre, la paura che, in quanto lesbica potessero farmi del male, escludermi, offendermi. Com’è successo ad Andrea, etichettato come frocio in base ai suoi gusti musicali. O a Raffaele, che viveva nella casa dello studente e ha ospitato un suo amico gay in camera per una notte. L’indomani mattina ha trovato una scritta offensiva sul suo conto, nonostante fosse etero. Come è successo ad Emma, che cercando casa nei gruppi Facebook di Bologna, ha trovato un annuncio con scritto: no gay-friendly. O anche ad Eleonora, a cui hanno urlato, nella sua classe di liceo “secondo me sono contro natura, devono morire, non saranno mai come noi, non possono pretendere di avere tutti questi diritti”.

    Sono qui per dare voce a Maria, che è bisessuale: quando un conoscente l’ha vista baciare una ragazza è andato da sua madre ad abbracciarla, in lacrime, come se fosse accaduta una disgrazia. O per Paola, che quando ha dichiarato la sua sessualità a sua madre si è sentita rispondere “nasconditi”. C’è chi poi ha la volontà di esporsi e di prendere posizione, ma non in famiglia. Come Chiara, che non ha paura di esporsi, tuttavia non riesce a dirlo ai suoi genitori, nonostante abbiano un ottimo rapporto. La discriminazione contro cui lotta è la stessa che la porta a continuare ad avere paura. La stessa paura che aveva Lorenzo, convinto che l’omosessualità fosse una cosa normale, perché non ne aveva mai sentito parlare. Alle medie però aveva capito che lo riguardava. Decise di ammetterlo a due persone per prenderne consapevolezza. Non lo disse più fino al secondo anno di liceo: aveva paura. O la stessa di Giuseppe, che a 12 anni disse ad un suo amico di essere gay e fu chiamato pervertito. Ora è orgoglioso di quello che è, ma non è sempre facile. L’estate scorsa, lui e un suo amico sono stati vittime di un’aggressione violenta in quanto gay. Spero che presto nella nostra Regione ci sia una legge che ci tuteli. Quando una persona viene insultata, derisa, aggredita, deve essere riconosciuto il vero movente. La nostra sofferenza deve essere vista. Non posso negare la mia identità e questa non può più essere motivo di discriminazione. Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Adesso la parola a Rosaria Cavaliere, Associazione Trans Parma. Si prepari Lyas Laamari, vicepresidente dell’associazione “Il Grande Colibrì”.

     

    CAVALIERE (Associazione Trans Parma)

    Salve a tutti, grazie di questa opportunità. Cito: “l’omofobia e la transfobia violano la dignità umana, ledono il principio di uguaglianza e comprimono la libertà e gli affetti delle persone”, Sergio Mattarella. Non l’ho detto io, non sono nessuno. Mi chiamo Rosario, sono un uomo trans, sono di Parma, dell’associazione Trans di Parma. Sono anche un tecnico di laboratorio di anatomia patologica, aiuto a salvare la vita alle persone. Lavoro, pago le tasse, vado a lavorare tutte le mattine e vivo la mia transizione sul luogo di lavoro, con le difficoltà del caso. Stamani guardavo la copertina de L’Espresso, tanto famosa. Non sono riuscito a leggere quello che c’è scritto dentro, però ci sono degli spari, non so se avete visto: un tiro al bersaglio con dei colpi di pistola. A me, a 50 anni, fa molto effetto. Non posso pensare che ci sia qualcuno che possa uccidermi, violarmi per il semplice fatto che io ci sono, che sono al mondo e sono trans. Mi riferisco a chi ha citato un po’ di religione qua e là, perché l’ho vissuta: “vivere la verità vi farà liberi”, e questa è un’altra cosa che ha detto qualcun altro più importante di me. Io la vivo, la verità, e sono libero, quindi voglio che si vada avanti spediti, per cortesia, e sicuri verso l’uguaglianza dei diritti per tutti. Ho anche pensato cosa significassero legge, diritto, giustizia, quando c’è la Costituzione. Qualcuno mi ha detto che queste cose sono l’altra faccia della medaglia della parola “amore”: dove non arrivano l’amore e l’empatia arriva la legge, arriva la giustizia, arriva l’eguaglianza. Vi ringrazio dal profondo del cuore.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. Prego, Lyas Laamari.

     

    MAZEN (associazione “Il Grande Colibrì”)

    Buongiorno a tutti e a tutte. Purtroppo, Lyas, il vicepresidente del Grande Colibrì non sta bene ed è dovuto andare a casa. Mi presento: sono Mazen, sono un rifugiato nato intersex. Sono trans, sono bi-romantico, quindi noi siamo rappresentati da tutte le lettere: non solo esistiamo, ma siamo anche favolosi, prima di tutto. Faccio parte del MIT, Movimento Identità Trans e del Grande Colibrì, che è un’associazione in cui si trovano italiani, cittadini, migranti, rifugiati, musulmani, cristiani. Tutti quanti siamo lì davvero, una grande comunità. Voglio leggere la testimonianza di Lyas. Mi chiamo Lyas, sono algerino. Mi sono rifugiato in Italia perché sono gay, ma non sono l’unico. Come me ci sono altre migliaia di persone: lesbiche, gay, bisessuali, trans, tutte persone che non hanno trovato nessun tipo di tutela nei Paesi in cui sono nati e cresciuti. Come noi ho conosciuto altre persone nate e cresciute qui, che si sono spostate dalla loro città di provenienza per venire in questa nostra regione, famosa per essere all’avanguardia in materia di diritti, pensando di trovare una maggiore tutela. Tanti di noi italiani e italianizzati hanno ricevuto discriminazione e attacchi personali solo per il semplice motivo di non rispecchiare quella che viene considerata normalità. Nella mia comunità di provenienza non ho ricevuto nessun tipo di sensibilizzazione sulle questioni legate agli orientamenti sessuali e all’identità di genere. Quando mi sono fidanzato avevo paura di parlare del mio compagno, descrivendolo come un amico per timore di essere allontanato e non accettato, o addirittura attaccato. Anche perché, se avessi ricevuto attacchi di qualsiasi genere, non avrei potuto fare nulla per tutelare il nostro rapporto affettivo. Sono sicuro che la maggior parte delle persone che sono intervenute e che interverranno potranno capire perfettamente il mio stato d’animo, se anche per un attimo della loro vita hanno condiviso questa mia paura. In quanto rifugiato appartengo a una duplice comunità, quella accogliente e quella di provenienza. In quanto essere umano, socievole, se non vengo accettato per ignoranza o semplicemente non tutelato, rischio di trovarmi escluso. Se non mi sento sicuro in nessuna delle comunità che ho citato prima, non mi rimane che isolarmi e sentirmi completamente isolato. L’esistenza di una legge regionale che tutela la mia, la nostra, libertà di esistere potrebbe darmi la possibilità di sentirmi parte di una società nella quale potermi muovere, esprimere, io come tante altre persone rifugiate e non. Non sento il bisogno di avere una tutela in un momento o l’altro della nostra vita, dobbiamo tutti essere nuovi cittadini per farci spazio nella società. Abbiamo bisogno di forza e questa legge contribuirebbe a darcela.

    Grazie.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. Sara De Giovanni, Centro di documentazione Flavia Madaschi, prego. Si preparino Umberto Bosco e Franco Rebecchi. Poi abbiamo finito.

     

    DE GIOVANNI (Centro di Documentazione Flavia Madaschi)

    Buon pomeriggio, a questo punto. Mi ero preparata per un buon giorno, ma è un buon pomeriggio.

    Mi presento. Mi occupo come responsabile del Centro di documentazione intitolato a Flavia Madaschi, alla quale vorrei mandare un saluto ovunque ella sia.

     

    (applausi)

     

    DE GIOVANNI (Centro di Documentazione Flavia Madaschi)

    Lei sicuramente avrebbe voluto essere qui o meglio vorrebbe essere qui il giorno in cui finalmente questa legge avrà un’approvazione. Flavia aveva lottato tanto insieme a noi per questo. Purtroppo, è scomparsa prematuramente. Portiamo, dunque, anche la responsabilità di rappresentare lei come Centro di documentazione, che è nato agli inizi degli anni Ottanta per rafforzare culturalmente la comunità, allora ancora piccola, LGBT bolognese, ancora non grande come quella di oggi, come oggi questa situazione testimonia. È vero che forse qualcuno dice che non siamo famiglia, ma sicuramente ci riproduciamo, perché siamo davvero tanti. Oggi è stata una giornata molto densa. Evidentemente in qualche modo siamo produttivi, non lo so. Credo che questa giornata sia un bellissimo esempio di quello che significa la ricchezza delle differenze, la ricchezza delle diversità. Per quanto mi riguarda, nell’ambito delle attività che promuovo all’interno del Centro di documentazione, dei progetti che promuovo, mi occupo nello specifico di progetti educativi. Mi fa molto piacere leggere all’interno della legge specifici temi riguardanti gli aspetti educativi e formativi. Come biblioteca promuoviamo da vari anni dei progetti, insieme al Comune di Bologna, con il supporto dell’Ufficio pari opportunità, in collaborazione con le Istituzioni biblioteche, le Istituzioni educazione e scuola, progetti rivolti a una fascia di età molto ampia, che va dall’infanzia, dalla prima infanzia, all’adolescenza. Questi sono progetti che ci portano in contatto almeno ogni anno con 800 bambini, bambine, ragazzi e ragazze nella fascia di età 2-17. Questo ci dà una posizione molto molto privilegiata, ci assegna una grande responsabilità, che noi raccogliamo con grande piacere e sentiamo questa responsabilità consapevoli del fatto che i pregiudizi non sono innati nelle persone, non sono presenti da sempre. I pregiudizi vengono dopo e i pregiudizi dopo è più difficile ristrutturarli. Questi progetti lavorano proprio per far sì che questi ragazzi, questi bambini e queste bambine si sentano rispettati e accolti nel mondo della scuola, nel mondo che frequentano, non solo nel mondo della scuola. Ho sentito prima alcuni interventi che dicevano che non esiste l’omofobia, non esiste la transfobia. Io personalmente negli ultimi mesi ho incontrato nelle scuole bolognesi, nelle scuole medie superiori bolognesi, circa 300 ragazzi e ragazze. In queste scuole, come diceva qualcuno prima, girando per i corridoi quante volte si trova una scritta “frocio di merda”, “frocio chi legge”, “frocio” in qualsiasi salsa e di qualsiasi tipo.

    Di questa legge c’è bisogno. Le associazioni svolgono un ruolo, spesso in sussidiarietà rispetto alle Istituzioni. Le associazioni hanno bisogno di un contorno legislativo, hanno bisogno di sapere quello che possono fare, come possono lavorare nella piena legittimità. Credo che questa legge, che noi auspichiamo fortemente, sia in grado di dare una risposta. Vorrei fare una riflessione. Non entro nella questione dei numeri, perché la trovo una considerazione davvero avvilente. Cercare dei numeri quando si parla di discriminazioni, violenze, omofobia è assurdo. Se anche una sola persona qui dentro fosse stata picchiata, malmenata, discriminata, questo per noi basta. I diritti sono anche quelli di una sola persona. Abbiamo sentito parlare tante persone oggi. Tutti noi siamo nel mondo, come ha detto prima il nostro amico Tony. Tutti noi siamo in questo mondo. Una mia riflessione personale. Ho vissuto tanti anni a Bologna, lavoro a Bologna, sono romagnola e in questo momento sono pendolare per necessità, per esigenze di famiglia. Anche noi abbiamo famiglie che invecchiano, genitori che hanno bisogno, genitori che ci vogliono bene e che noi continuiamo a curare come tutti gli altri. Una cosa credo sia importante da ricordare, è stato detto prima: questa legge, ahimè, non toglie nulla a nessuno. Tutti noi abbiamo diritto ad avere il pane e anche le rose. Credo che tutti noi vogliamo avere qualcosa che ci renda bella la vita, che ce la renda felice, che non ci costringa a vivere nascosti. Nella mia esperienza di biblioteca, per esempio, vi posso dire che ho incontrato tantissime storie negative, tantissime storie di persone che venivano dalla nostra regione e non solo. Ho citato la mia situazione personale, e finisco, perché mi sono trasferita in un’altra città, in una città in Romagna. Ogni giorno faccio la pendolare, percorro molti chilometri e c’è una grande differenza tra quello che è le associazioni, i singoli, incontrano nei territori che sono al di fuori, che sono lungo la via Emilia. Bologna è forse un’isola felice, forse. È un’isola felice che nasce da una rete di associazioni che ha lavorato in tutti questi anni, dalla fine degli anni Settanta. Però, esiste anche il resto dell’Emilia-Romagna. L’invito è ad utilizzare questa legge per estendere tutte quelle buone pratiche che negli anni, in una città come Bologna, si sono consolidate anche a quegli angoli della regione in cui questo non arriva.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie. Un attimo solo, mi scuso con il consigliere Bosco, però in questa Commissione, ovviamente, diamo la precedenza alle associazioni. Evidentemente, per destino, era sfuggita Piazza Grande. Mi scuso anche con il presidente di Piazza Grande, Carlo Salmaso. Anzi, se c’è qualche altra associazione che si era iscritta e che non abbiamo chiamato, ditecelo. Ci sembra di aver chiamato tutti, però era sfuggito Carlo. Scusami, Carlo. Prego.

     

    SALMASO (Piazza Grande)

    Figurati. Buongiorno a tutti e a tutte. Sono qua come Piazza Grande e uno può chiedersi perché una cooperativa che si occupa di persone senza dimora parla di omofobia, omotransfobia, omotransnegatività e quant’altro. Oggi abbiamo visto molte persone qui con la voce rotta o piangere o qualcuno ha parlato addirittura di violenza. La strada è un posto che raccoglie i nodi dove la società non ha risolto un modo per stare insieme. Quello che posso dire di aver visto e trovato in strada – noi vediamo all’incirca 3.000 persone senza dimora ogni anno, abbiamo un centinaio di appartamenti, abbiamo dei servizi grandi – non è, e mi scuso, tanto la parte di persone che fa fatica a educare o ad avere a che fare con i propri figli in termini prettamente naturali, usando le vostre parole, ma più le persone LGBT, purtroppo, se devo prendere una posizione tra le due. Insieme alle persone LGBT ci sono le persone carcerate o ex carcerate, le persone sieropositive. È un po’ quello che sfugge da questa idea di natura che a un certo punto, per un motivo o per un altro, non tutti, grazie al cielo, arriva a finire in strada. Non è solo la mia esperienza personale, ci sono delle ricerche internazionali, una del 2012 su tutto il territorio nazionale degli Stati Uniti, che dice che il 43 per cento dei giovani che hanno accesso a strutture di drop-in si identificano come persone gay, lesbiche, trans e quant’altro, e ci sono due ricerche svolte a Bologna, grazie al contributo dell’8 per mille della Chiesa Valdese, che di fatto dimostrano come questo tipo di percorso sociale di non ritrovarsi dentro una norma può portare e porta all’esclusione sociale, all’emarginazione più dura.

    Questo aspetto, inoltre, è rinforzato da un altro dei risultati della ricerca, che riguarda la presenza effettivamente di un clima omotransnegativo tra gli operatori e dentro le strutture soprattutto, però con una buona notizia: gli operatori, spaventati di poter dire qualcosa di omofobo, tendono a richiedere più formazione e a dire “per favore, fateci capire in che modo possiamo empatizzare, in che modo possiamo avere a che fare con queste persone per poter rispondere meglio ai loro bisogni.

    Chiudo dicendo che noi nel sociale – nel sanitario è uguale – raramente facciamo paragoni tra chi ha più o meno bisogno nel senso che anche in ospedale, dopo il pronto soccorso, una volta capito qual è il bisogno, si va. Per cui, mi fa sempre un po’ male la guerra tra ci sono le mamme che rischiano di finire in strada o ci sono gli anziani, ci sono i padri separati e gli omosessuali. Sono qui per dire che penso che questa legge ci aiuterà a fare meglio il nostro lavoro e spero che tutte queste altre categorie, ovviamente, possano avere sempre maggiori tutele, perché il nostro obiettivo è che in strada non arrivi più nessuno. Grazie mille.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, Carlo. Prego, consigliere Umberto Bosco, Bologna.

     

    BOSCO (consigliere del Comune di Bologna)

    Quando sono arrivato qui stamattina ho rivisto tanti amici. Quelli a sostegno di questa legge pensavano che fossi qui per sostenerla. Gli oppositori, invece, pensavano che fossi qui per oppormi. Avevano ragione gli ultimi, ma non per le ragioni che credono. Se tutto va come prevedo, alla fine di questo mio intervento avrò deluso entrambi gli schieramenti, ragion per cui preciso che parlo a titolo squisitamente personale. Chiunque neghi l’esistenza delle discriminazioni a cui sono sottoposti quotidianamente gay, lesbiche e transessuali soffre di una grave miopia e se ha passato la mattinata qua è anche sordo. Quando avevo 14 anni per un malinteso fui accusato dai compagni di classe di essere gay. Ho passato mesi di inferno. Quindi, nonostante sia etero, mi è capitato per qualche mese di affrontare quello che molti gay affrontano per tutta la vita e a queste discriminazioni le Istituzioni devono dare una risposta, ma la risposta può essere sbagliata. Prima di dare una risposta alla discriminazione bisogna trovare un modo di definire la discriminazione, cosa che questa legge non fa, misurare la discriminazione, cosa che questa legge non fa o fa molto male, e ammettere anche tutto quell’ambito di discriminazione culturale e sociale sul quale le Istituzioni possono poco o nulla. Gay, lesbiche e trans devono essere trattati dalla legge come quello che sono: cittadini uguali agli altri, non come specie protette, non come disabili. Leggi come questa possono avere un effetto controproducente, possono alimentare l’idea che ci sia una cospirazione che i beneficiari siano dei privilegiati e possono alimentare il vittimismo delle persone LGBT, che possono indirizzare nei confronti della discriminazione come agente causale di qualsiasi fallimento che possono collezionare all’interno della propria vita. È molto facile cadere nel vittimismo e come può degenerare il vittimismo a livello ideologico l’abbiamo già visto nel secolo scorso. Reprimere la libertà di espressione di chi non si adegua a un determinato vocabolario non aiuta la causa. Le idee sbagliate, le idee stupide devono essere libere di uscire allo scoperto e di essere ridicolizzate. Far autocensurarsi le persone che sono portatrici di idee che io ritengo sbagliate e stupide non le correggerà. Anzi, farà in modo che si richiudono nel proprio vittimismo, chiaramente giocato dall’altra parte della barricata, e gli schieramenti non faranno altro che polarizzarsi e la situazione sarà ogni giorno più oggetto di scontro ideologico e ogni giorno meno oggetto di una soluzione istituzionale condivisa. Chiedo a tutte le persone che oggi ci hanno portato la loro testimonianza, di cui io personalmente farò grande tesoro, di leggere questa legge e di provare a vedere in che modo questa legge avrebbe potuto fare la differenza nel caso che hanno raccontato, che abbiano vissuto loro o che sia stato un episodio raccontato. Secondo me, questa legge non aiuta in nessun senso perché è viziata da quelle che oggi chiamiamo identity politics. È una politica identitaria, l’ha detto anche l’assessora Zaccaria, con la quale ho un rapporto squisito in Comune. Sono politiche identitarie. Le destre xenofobe giocano il ruolo delle politiche identitarie, ma lo fanno anche dall’altra parte della barricata politica. Non è più una questione di razza, è una questione di genere o di orientamento sessuale. Siamo tutti cittadini con pari diritti e doveri. Oggi ci sono persone discriminate, ma portare le persone a percepire sé stessi e ad agire solo in chiave del gruppo nel quale si riconoscono o nel quale si identificano o nel quale sono stati infilati non aiuta il dibattito. Così le società non progrediscono, così le società si spaccano.

     

    (applausi)

     

    Presidente MUMOLO

    Grazie, consigliere Bosco. L’ultimo intervento è di Franco Rebecchi. Poi darò la parola a Roberta Mori. Nel frattempo, vi voglio informare, prima che qualcun altro vada via, che il termine per proporre emendamenti è lunedì 18 febbraio, ore 12. Do questa informazione a tutti.

     

    REBECCHI

    Buongiorno. Mi chiamo Franco Rebecchi, sono di San Felice sul Panaro, in provincia di Modena. Sono prima di tutto una persona, sopra di tutto e prima di tutto. Sono cristiano cattolico, teologo e medico veterinario. In base alla teologia che ho studiato posso dire che il Dio dei cristiani è un Dio che è padre, non è un Dio ignoto, non è un Dio generico, ma è Dio padre.

    Nella preghiera del Padre Nostro diciamo “Padre Nostro”. È un Dio che è nostro padre, padre di tutti, padre mio e padre nostro, ama, ci ama, ama ciascuno di noi e tutti noi, ogni persona da sempre e per sempre in modo infinito. Siamo amati, siamo a sua immagine e somiglianza, siamo unici e irripetibili, siamo suoi figli, siamo persona prima di tutto, prima di ogni nostro desiderio, prima di ogni nostro progetto, prima di ogni nostra azione o considerazione nostra o degli altri. Siamo persone e questo rimane per sempre e per l’eternità.

    Questo non mi impedisce di dire (Genesi, capitolo 1, versetto 27-28) – nella verità devo dirlo – che Dio li creò, maschio e femmina. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicativi”. Questo lo devo dire nella verità. Prima di tutto c’è l’amore per sempre e per tutti di Dio Padre. In questa dimensione forse possiamo cogliere anche chi siamo noi, cosa facciamo e dove andiamo.

    Prima di tutto c’è un messaggio di amore e di benedizione di Dio.

    Come medico veterinario affermo una cosa semplice: ogni nostra cellula di noi che siamo qui è sessuata maschile o femminile. Nel nostro DNA ci sono i cromosomi sessuali XY o XX.

     

    Presidente MUMOLO

    Bene. La parola ora alla relatrice del testo base del progetto di legge, Roberta Mori.

    Ricordo che il termine del 18 febbraio, ore 12, è rivolto alle associazioni. Fatene tesoro. Se avete qualche suggerimento, mandatecelo prima del 18 febbraio, ore 12, anche via mail.

     

    Relatrice MORI

    Volevo soltanto ringraziare e dire che della riunione della mattinata di oggi, e ormai del pomeriggio, ci sarà la deregistrazione, perché, come relatrice di maggioranza, come relatore di minoranza e come consiglieri, il vostro contributo, il vostro sforzo, il vostro impegno, qualsiasi elemento voi abbiate portato alla nostra conoscenza, sarà approfondito, sarà letto, sarà valutato per far fare al legislatore regionale la sua parte, cioè quella di, una volta consegnata questa legge d’iniziativa popolare, mettere le mani per renderla compatibile con le competenze regionali, migliorarla, se è possibile, con una postura culturale che, però, è ben precisa.

    Mi corre l’obbligo, perché ho aspettato le conclusioni, giustamente, perché era importante ascoltarvi, visto che è stato citato il segretario Paolo Calvano, che è un collega ed è a Roma oggi impegnato per il Partito nazionale, scusarlo. Non pensavo di doverlo fare, ma visto che è stato citato, è giusto che lo faccia. È grazie anche a lui se siamo in udienza conoscitiva, se il processo legislativo si è avviato.

    Lo dico perché, in realtà, ho compreso il tema solo applicandomi con grande serietà e competenza e anche con la generosità di tanti amici e di tante amiche che mi hanno fatto anche un po’ di mentoring rispetto agli approfondimenti, perché quando si parla di diritti delle persone e anche quando si parla delle paure delle persone – io cerco d assumere tutte le riflessioni che sono state espresse in modo assolutamente laico – è importante e fondamentale essere molto seri, non strumentalizzare nessuna parte, nessuna parola, depurandoci un po’ dal nostro istinto molto personale e passionale di chi siamo come legislatori e legislatrici.

    Cercherò, cercheremo – spero che i colleghi la pensino come me –, di evitare di utilizzare le emozioni, i pensieri e le paure delle persone in modo strumentale. Quando dico “strumentale” vuol dire senza rispetto. Io cercherò di non mancare mai di rispetto a nessuno, anche a chi la pensa esattamente all’opposto di me. Ho cercato di impostare il percorso in atto con una modalità molto sottotono, che a volte non è la scelta migliore per questi temi così importanti. Però, vorrei che rispetto alle persone che soffrono e si sentono emarginate e vogliono semplicemente essere si sviluppasse conoscenza, empatia, approfondimento, senza nessun atteggiamento così violento e talvolta volgare che, in effetti, qualche volta ascoltiamo.

    Nel ringraziarvi sinceramente tutti, uno per uno e una per una, come relatrice di maggioranza farò raccolta di tutti i vostri documenti e li porterò quanto prima in Commissione per la discussione generale della legge e ovviamente le modifiche che la legge necessiterà.

    Il testo base che avete visto si trasformerà, perché il testo delle città è ovviamente un testo base per cui noi lo affronteremo con perizia legislativa regionale, con lo spirito di inclusione e di rispetto delle differenze e della nostra Carta costituzionale che, notoriamente, è la più bella del mondo. Grazie e buon tutto a tutti e a tutte.

     

    (applausi)

     

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