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Legislatura X - Commissione I - Resoconto del 11/01/2016 pomeridiano

    Resoconto integrale n. 1

    Seduta dell’11 gennaio 2016

     

    Il giorno 11 gennaio 2016 alle ore 14,30 è convocata in audizione, con nota prot. n. AL.2016.236 del 7 01 2016, presso la sede dell’Assemblea legislativa in Bologna Viale A. Moro n. 50, la Commissione Bilancio, Affari generali ed istituzionali.

     

    Partecipano alla seduta i consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    POMPIGNOLI Massimiliano

    Presidente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    3

    presente

    BERTANI Andrea

    Vicepresidente

    Movimento 5 Stelle

    2

    presente

    POLI Roberto

    Vicepresidente

    Partito Democratico

    6

    presente

    ALLEVA Piergiovanni

    Componente

    L’Altra Emilia Romagna

    1

    assente

    BARGI Stefano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    2

    presente

    BESSI Gianni

    Componente

    Partito Democratico

    3

    presente

    BIGNAMI Galeazzo

    Componente

    Forza Italia

    2

    presente

    BOSCHINI Giuseppe

    Componente

    Partito Democratico

    3

    presente

    CALVANO Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    CARDINALI Alessandro

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    FOTI Tommaso

    Componente

    Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale

    1

    presente

    MARCHETTI Daniele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    2

    presente

    MOLINARI Gian Luigi

    Componente

    Partito Democratico

    5

    presente

    MONTALTI Lia

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    MUMOLO Antonio

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    PICCININI Silvia

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    3

    presente

    PRUCCOLI Giorgio

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    RANCAN Matteo

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    2

    assente

    SABATTINI Luca

    Componente

    Partito Democratico

    3

    presente

    SONCINI Ottavia

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    TARUFFI Igor

    Componente

    Sinistra Ecologia Libertà

    2

    presente

    ZOFFOLI Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

     

    Sono presenti i consiglieri: Mirco BAGNARI (PD), Stefano CALIANDRO (PD), Enrico CAMPEDELLI (PD), Giuseppe PARUOLO (PD), Luciana SERRI (PD), Katia TARASCONI (PD).

     

    Partecipano alla seduta i docenti dell’Università di Bologna: Prof. Salvatore Vassallo, Prof. Emanuele Padovani, Prof. Giuseppe Piperata, Prof. Edoardo Raffiotta, Prof. Federico Toth.

     

    Presiede la seduta: Massimiliano POMPIGNOLI

    Assiste la segretaria: Claudia Cattoli

    Trascrizione integrale a cura della segreteria

     


    DEREGISTRAZIONE INTEGRALE CON CORREZIONI APPORTATE AL FINE DELLA MERA COMPRENSIONE DEL TESTO

     

    -          Audizione del prof. Salvatore Vassallo sul libro bianco “I quattro pilastri di una nuova governance regionale” oggetto della convenzione tra Regione Emilia-Romagna e Università degli Studi di Bologna – Dipartimento di Scienze politiche e sociali (deliberazione Giunta regionale n. 456 del 2015)

     

    Presidente Massimiliano POMPIGNOLI – Presidente della Commissione Bilancio, Affari generali ed istituzionali

    In attesa di risolvere la questione tecnica, ricordo che il materiale è stato inviato a tutti i consiglieri che ne hanno preso sicuramente visione, quindi le slide erano un elemento ulteriore rispetto all’informazione in Commissione che riguarda i quattro pilastri di una nuova governance regionale. Questo è l’oggetto dell’audizione del professore Vassallo con i suoi collaboratori che ringrazio di essere presenti, i professori Giuseppe Piperata, Edoardo Raffiotta, Federico Toth ed Emanuele Padovani.

    Cedo la parola direttamente al professor Vassallo per introdurre il libro bianco, una ventina di minuti per dar conto per sommi capi di quello che è stato il suo lavoro, poi darei la parola ai consiglieri per i chiarimenti, le domande e le delucidazioni del caso.

     

    Professore Salvatore VASSALLO – Dipartimento di Scienze politiche e sociali

    Grazie presidente, grazie ai componenti della Commissione per questa opportunità di raccontare il lavoro che abbiamo svolto. Dato questo piccolo incidente tecnico, vi segnalo che se mettete su Google Vassallo Unibo, trovate la mia pagina. Lo dico perché così fate più in fretta. Tra materiale in evidenza cliccate, trovate il link dove sono scaricabili le slide che avrei utilizzato anche oggi per esporre sinteticamente il lavoro. Quindi se per caso qualcuno avesse curiosità di seguire con un po’ più di attenzione quello che dirò nei prossimi quindici minuti, può scaricare il file e più o meno seguire quello che vedo dal mio video.

    Solo poche precisazioni sulla natura di questo contributo che abbiamo dato, concordando anche con la presidenza della Giunta, la collaborazione tra l’Università di Bologna e la Giunta regionale alla riflessione degli organi di governo della Regione sulla riforma della sua governance. Nasce questa collaborazione da un interesse congiunto, un interesse conoscitivo di vari colleghi a studiare la governance regionale con riguardo all’Emilia-Romagna, ma anche in termini comparativi, e da un interesse della Giunta regionale ad acquisire elementi di analisi preliminari per una serie di interventi che sono in parte ancora in fase di elaborazione o di attuazione. Abbiamo cercato per quanto possibile di tenere ben distinta la funzione circoscritta che avrebbe potuto svolgere questo gruppo di lavoro in termini di analisi e di offerta di informazioni strutturate - anche con qualche ipotesi di linea di intervento -, dalle prerogative proprie della Giunta e a abbiamo deciso di tenere ben distinto il lavoro di questo gruppo di lavoro dall’attività ordinaria dell’Amministrazione.

    Abbiamo scientificamente deciso di non includere nel gruppo di lavoro persone che avessero avuto o avessero in corso rapporti di collaborazione professionale con strutture della Giunta, e questo lo dico anche perché motiva la ragione per la quale colleghi anche molto reputati nei settori di cui ci siamo occupati che appartengono all’Università di Bologna non sono stati coinvolti. Non perché non avessero titolo, ma perché abbiamo voluto, per mantenere la chiara indipendenza del nostro lavoro, tenere fermo questo principio.

    Come sapete, il lavoro è stato svolto a titolo gratuito, perché si tratta di un lavoro che svolgiamo nella nostra attività di ricerca. Gli altri componenti del gruppo non sono miei collaboratori, (lo dico, lei incidentalmente ha utilizzato questo termine, era comprensibile), ma sono ben consolidati colleghi professori universitari dell’Università di Bologna, ciascuno con una sua competenza, come poi dirò nella breve esposizione.

    L’obiettivo dell’analisi ovviamente non era trovare a tutti i costi delle cose che non funzionano, ma in un certo senso soprattutto questo, perché partiamo da un presupposto messo molto bene in chiaro all’inizio del rapporto, cioè che tutti gli indicatori di rendimento comparativi utilizzati nel corso del tempo per valutare la performance delle Regioni italiane con lavori di vario genere, influenti lavori scientifici o analisi prodotte da istituzioni pubbliche nazionali, mostrano che il rendimento istituzionale della Regione Emilia-Romagna è comparativamente rispetto alle altre Regioni italiane molto elevato. E gli indicatori che lo confermano sono coerenti nel corso del tempo dalla metà degli anni settanta, quando sono stati fatti i primi studi a questo riguardo, fino agli anni più recenti.

    Naturalmente quello che noi abbiamo cercato di fare è di identificare gli elementi critici della struttura organizzativa attuale, che possono essere oggetto di interventi per fare dell’Emilia-Romagna, o continuare a fare dell’Emilia-Romagna una Regione pilota anche dal punto di vista dell’efficienza della sua macchina organizzativa. E abbiamo identificato questi quattro pilastri, che sono le quattro questioni apparentemente più importanti da questo punto di vista: quindi l’organizzazione della struttura amministrativa interna, il sistema delle società partecipate, il rapporto tra la Regione e gli enti locali e un tema trasversale molto intrecciato con gli altri tre, che è quello della semplificazione dei procedimenti e delle norme di settore.

    In questa prima versione del rapporto, ce ne saranno altre che la aggiornano e la integrano, ma il libro sarà sempre uno solo, quindi ci saranno nuove release di questo stesso prodotto, in questa prima fase ci siamo concentrati soprattutto su due questioni che sono a nostro avviso logicamente preliminari rispetto al quadro complessivo dato dai quattro elementi, e anche temporalmente più urgenti perché sono quelle su cui la Giunta regionale ha un impegno ad intervenire, sta già cominciando ad intervenire più tempestivamente rispetto alle altre due. Quindi abbiamo lavorato soprattutto ad una analisi che ha cercato di ricostruire il sistema organizzativo della Regione Emilia-Romagna, intesa come la somma delle strutture organizzative interne dell’Amministrazione ordinaria e delle altre strutture più o meno direttamente collegate. Quindi le agenzie, le società partecipate, gli enti privati in controllo pubblico.

    Per quanto riguarda il primo aspetto, cioè l’organizzazione interna, abbiamo provato ad identificare gli aspetti critici e ne abbiamo trovati cinque in particolare, che secondo noi meritano una riflessione, e probabilmente anche qualche intervento.

    La prima riguarda la stabilità forse eccessiva e il mancato ricambio della dirigenza interna. Siamo partiti lavorando su questo, perché ci siamo imbattuti in un dato abbastanza impressionante, o molto evidente, che voi avrete visto o potrete vedere. Quindi ci siamo concentrati sugli aspetti critici e le prime evidenze che abbiamo trovato lavorando su molti dati che non sono stati esposti nel rapporto, abbiamo acquisito dati comparativi per esempio sulla struttura dei dipendenti pubblici regionali dal Ministero delle finanze, Ragioneria generale dello Stato che ha una banca dati che consente indagini comparative sulla struttura demografica sia in termini di età che di carriera, e una serie di altri indicatori tra Regioni, e le cose più evidenti sono riportate in queste due slide.

    La Regione Emilia-Romagna è in assoluto, di gran lunga, la Regione nella quale i dipendenti hanno un livello di istruzione più elevato, e una delle Regioni però nelle quali l’invecchiamento della classe dirigente, dei dirigenti è altrettanto elevato. Siccome devo essere sintetico, la nostra analisi ci ha indotto a ritenere che questo sia dovuto a fattori che riguardano tutte le Regioni, ma come i dati dimostrano c’è qualcosa di specifico che riguarda la Regione Emilia-Romagna. Quello che riguarda tutte le Regioni è il blocco del turnover, lo sappiamo, ma forse anche una serie di decisioni che retrodatano al 1995, quando ci fu un’entrata considerevole di dirigenti stabilizzati, anno al quale ha fatto seguito un progressivo assottigliamento di questo bacino relativamente largo con l’effetto però che questo ha prodotto un ricambio ancora minore di quello che si è verificato in altre Regioni con indicatori di invecchiamento della dirigenza, che qualcosa presumo possano dire, e anche una certa immobilità negli stessi ruoli per molto tempo delle medesime figure.

    Questo è capitato anche per scelte puntuali che la Regione ha compiuto, per esempio nei meccanismi di reclutamento. Come sapete, c’è stato un unico concorso dopo il 1995, che doveva essere fatto per una quota non superiore al 50 per cento con riserva a vantaggio dei dirigenti interni. Fu espletato solo per la quota riservata, che doveva essere una parte del complesso dei dirigenti da reclutare, mentre la seconda metà della quota di reclutamento, che doveva riguardare esterni, non è stata mai adempiuta. Così come ci sono state altre scelte che a nostro avviso segnalano fattori che hanno favorito la stabilizzazione negli stessi ruoli delle medesime persone per molto tempo. L’ultima cosa che abbiamo rilevato è, per esempio, la decisione di differire l’applicazione delle norme anticorruzione che impongono non solo la specificazione di un principio, ma proprio l’effettiva rotazione su alcuni incarichi delle medesime persone, soprattutto degli incarichi che sono considerati a rischio, giusto o sbagliato, ma comunque da questa norma. C’è un primo problema che riguarda il ricambio della dirigenza.

    C’è sicuramente un secondo problema, non solo della Regione Emilia-Romagna, che riguarda i meccanismi del controllo interno, del controllo strategico e controllo di gestione. Chi ha letto il documento, chi leggerà le schede, troverà una serie di puntuali riferimenti ad indizi che a nostro avviso segnalano un insufficiente sviluppo della cultura della valutazione. Ci tengo a sottolineare che non si tratta in alcun modo di una specificità della Regione Emilia-Romagna: è un problema che molte Amministrazioni pubbliche hanno, è un problema che riguarda di meno le Amministrazioni comunali, da più tempo sottoposte ad una pressione più diretta sul controllo dell’efficienza delle loro attività, e che riguarda un po’ di più Amministrazioni più distanti dalla pressione, dal controllo costante dei cittadini. Quindi - per dire - le Università, per essere franchi, hanno qualcosa da insegnare, e la dimostrazione è invece che la Regione Emilia-Romagna non è sola nell’assenza di una cultura di valutazione.

    Lo dico perché uno degli argomenti su cui abbiamo messo più l’accento, uno dei problemi dei meccanismi di valutazione oggi praticati, che a nostro avviso risultano fittizi, è l’assenza di una certa capacità o disponibilità delle strutture amministrative a misurare con pochi indicatori significativi comparabili il grado della loro efficienza. Fino a dieci anni fa si pensava che l’efficienza delle strutture amministrative sanitarie non fosse misurabile. Qualcosa in quel settore è stato provato e sperimentato. Sicuramente i nostri predecessori, autorevoli accademici di qualsiasi ateneo non avrebbero mai considerato concepibile trent’anni fa l’idea di valutare la qualità della ricerca o dell’insegnamento. Oggi noi sappiamo che esistono alcuni, pochi, semplici indicatori che consentono di valutare la qualità di una struttura universitaria: sai quanti iscritti hai, da dove vengono, con quale voto dal liceo escono e qual è il loro giudizio misurato sulla base di una serie di rilevazioni. Pochi indicatori che danno l’idea di quanto un’Amministrazione, rispetto ad altre simili, fa bene o male.

    Uno dei problemi molto frequenti che abbiamo rilevato anche nel caso dell’Emilia-Romagna, è invece quella della moltiplicazione di una serie di indicatori che non si sa bene che cosa possano rappresentare, non si sa bene in che modo siano correlati poi con le valutazioni che in ultima istanza si danno le strutture. Forse uno dei problemi della mancata diffusione di questa cultura della valutazione, è anche la correlazione troppo stretta tra la valutazione dell’efficienza delle strutture e la remunerazione dei dirigenti, che per paradosso genera una serie di strategie difensive che portano all’annientamento dei sistemi di misurazione della performance, e quindi della valutazione di strutture, che non serve tanto a dire quanto deve guadagnare un dirigente, ma dovrebbe servire a far capire alle strutture stesse se stanno facendo bene o male, e in che modo devono riorientare la loro attività.

    Una terza cosa su cui ci siamo soffermati, e che vi suggeriamo di osservare con attenzione, è quella della gestione delle sedi, che non è solo una questione di risparmio di breve termine, perché riflette una attitudine, uno sforzo effettivo di valutare l’uso efficiente delle sedi sia in termini di riorganizzazione delle strutture, sia in termini di risparmio. Quello che noi abbiamo notato è che molte Regioni stanno puntando verso la costruzione di sedi uniche che hanno diversi vantaggi, sia dal punto di vista organizzativo che finanziario. La Regione Emilia-Romagna ha da molto tempo pensato che una forma di sede unica potesse essere quella della confluenza di gran parte delle strutture in quest’area della fiera. Abbiamo visto che un rapporto interno, in ossequio a una norma delle leggi sulla spending review che avrebbe dovuto programmare un più razionale uso degli spazi, segnalava come l’attuale situazione fosse sostanzialmente in equilibrio.

    Abbiamo fatto un’analisi ulteriore rispetto a quella contenuta nel piano di razionalizzazione degli spazi e ci siamo accorti che forse, per un difetto di comunicazione tra le strutture, quel piano di razionalizzazione rappresenta una situazione che non corrisponde del tutto alla realtà. Nel senso che il piano di razionalizzazione degli spazi fatto nel gennaio 2014, in attuazione di norme della spending review che stabiliscono un rapporto tendenziale a cui si dovrebbe portare il rapporto tra spazi e addetti, era stato svolto non sulla base del numero di addetti che lavorano presso gli uffici, ma sulla base del numero di postazioni di lavoro rilevate. Ci è stato segnalato che l’uso di questo secondo indicatore, cioè il numero delle postazioni di lavoro rilevate invece che il numero di addetti che concretamente lavorano, era stato utilizzato perché non era stato facile, o comunque i tempi non consentivano l’accesso a dati che sono disponibili sul personale, ma in un’altra struttura della Regione.

    Questo forse già segnala difetti di comunicazione che potrebbero essere attenuati. Sta di fatto che noi abbiamo rielaborato i dati forniti dalle strutture riguardo alla dimensione degli spazi e al livello del numero di addetti - se volete vi preciso da dove vengono i dati, come sono stati rielaborati, anche per risolvere alcuni problemi di assenze di dati precisi sul numero di addetti non dipendenti regionali che operano presso gli uffici regionali - e ci siamo accorti che la situazione sembra un po’ diversa e sembra lasciare spazi più ampi ad un intervento di effettiva razionalizzazione degli spazi.

    La nostra idea, su cui vi suggeriamo di riflettere, è che, peraltro, le strutture che hanno sede qui nella fiera sono configurate in modo tale da rendere plausibile, forse, anche qualche sperimentazione suggerita da diversi studiosi o operatori dell’Amministrazione pubblica a livello nazionale, di sperimentare il layout degli open space perché in fondo la Regione Emilia-Romagna svolge funzioni molto simili a quelle delle grandi società di servizi ad alta qualificazione, che oggi nella gran parte dei casi adottano, per una serie di ragioni che abbiamo cercato di indicare nel rapporto, questa configurazione con spazi tendenzialmente aperti al posto degli uffici individuali.

    Il terzo elemento è la sottoutilizzazione della dotazione informatica. Ci sono vari indizi che abbiamo trovato, uno in particolare è a nostro avviso abbastanza importante, perché ricollegabile a quello della mancata messa a punto di un sistema effettivo di controllo di gestione.

    Per esempio, nel 2002 era stato annunciato l’acquisto della piattaforma EPP, che è un prodotto molto ambizioso, con grandi potenzialità, che avrebbe dovuto mettere in opera meccanismi più trasparenti di controllo dei flussi di spesa e del controllo di gestione, che però non è mai stata utilizzata, almeno per questo aspetto. Pensiamo che, anche da questo punto di vista, vi siano dei passi avanti che si possono fare, ma la cosa più rilevante forse ai fini degli indirizzi che abbiamo proposto per quanto riguarda la riorganizzazione della struttura interna, riguardano le funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo della macchina amministrativa.

    A prima vista, dopo aver studiato la struttura per direzioni generali e le funzioni delle direzioni generali centrali e del Gabinetto della Giunta, ci è sembrato che le funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo fossero un po’ troppo disperse e che non fossero collegate, come sarebbe stato plausibile immaginare, più direttamente alle funzioni di indirizzo e controllo che sono parte essenziale del ruolo politico del Presidente. E per verificare se questa era soltanto una nostra congettura, abbiamo fatto un’analisi comparativa di altre Regioni, per vedere dove le altre Regioni hanno collocato quelle funzioni amministrative che sono più direttamente connesse con l’indirizzo, il coordinamento e il controllo.

    In questa slide vedete colorate in verde, in giallo o in altri colori quelle funzioni di carattere strategico che consentono il collegamento tra le funzioni politiche di indirizzo e l’attività amministrativa, laddove quelle funzioni nelle Regioni in questione sono collocate all’interno di strutture amministrative che rispondono univocamente alla presidenza della Giunta. Quindi trovate il caso della Lombardia, che è quello più estremo di concentrazione delle funzioni amministrative, che però hanno un ruolo strategico di coordinamento, indirizzo e controllo che sono tutte dentro la direzione generale della presidenza che fa esclusivo riferimento al Presidente, tant’è vero che in Lombardia le altre direzioni generali sono perfettamente corrispondenti agli assessorati. Quindi gli assessori hanno solo a riferimento strutture amministrative di linea, mentre tutte le strutture di staff e di coordinamento stanno in capo alla presidenza della Giunta. Come vedete però, anche nelle altre Regioni buona parte di quelle funzioni strategiche stanno in capo a strutture amministrative che afferiscono univocamente alla presidenza, e in particolare, come sembrerebbe naturale, la funzione del coordinamento dell’attività normativa, posto che l’attività normativa è quella attraverso la quale specificamente la Giunta esercita le sue funzioni di indirizzo nei confronti della macchina amministrativa, le funzioni del controllo di gestione, larga parte degli enti locali e via via altre funzioni. Ma diciamo che i core sono non a caso il legislativo e il controllo di gestione, perché sono le due funzioni strategiche attraverso cui la politica indirizza e verifica i risultati.

    Un altro elemento, probabilmente già noto - vi sono vari interventi normativi e anche della giurisprudenza in tal senso -, è l’opportunità o la necessità di tenere distinta funzionalmente l’avvocatura dalle altre strutture amministrative.

    Quindi, sulla base di questa serie di riflessioni, abbiamo messo l’accento sul fatto che forse bisognava passare da un modello nel quale le funzioni trasversali sono distribuite tra tre - o forse bisognerebbe dire quattro - direzioni generali, ma non c’è una gerarchia tra queste quattro direzioni generali, ad una struttura nella quale le funzioni di coordinamento amministrativo più pesanti dal punto di vista della gestione facciano capo ad un’unica direzione generale e quelle di indirizzo strategico, quindi il coordinamento degli atti normativi, la pianificazione finanziaria, i controlli interni, la programmazione e l’impulso all’amministrazione digitale siano in capo alla struttura, che peraltro l’attuale legislazione regionale identifica come lo snodo tra la politica e l’amministrazione, a cui attribuisce anche una funzione di coordinamento delle altre direzioni generali, laddove indica nel capo di Gabinetto il segretario o il coordinatore del comitato di direzione. Naturalmente queste sono indicazioni che derivano da un’analisi di cui presumibilmente la Giunta nella sua autonomia ha tenuto conto, nella misura in cui lo ha ritenuto necessario.

    Temo di aver già superato i venti minuti, però solo più rapidamente vi introduco alla seconda parte, quella cioè che riguarda le partecipate, su cui abbiamo lavorato cercando di fare soprattutto una mappa delle partecipate regionali, intese come società che sono partecipate dall’Amministrazione regionale, quindi non delle partecipate che sono in un numero molto più elevato e di cui a volte si parla, confondendole, che sono invece le partecipate dagli enti locali della Regione come spazio fisico.

    Abbiamo cercato di mettere a fuoco i criteri che potrebbero orientare una loro razionalizzazione, sapendo che in ultima istanza per la natura della questione non c’è una scienza che possa stabilire quali sono le partecipate essenziali o non essenziali, come dice la legge, che quindi c’è bisogno di una valutazione politica che solo gli organi di governo e voi potete fare. C’è certamente da fare un’analisi della salute finanziaria di queste strutture, sapendo però – e questo è il punto che abbiamo sottolineato quattro volte – che nel caso di aziende come queste, gli indicatori di salute finanziaria possono addirittura essere fuorvianti, perché siccome non si tratta di aziende che stanno sul mercato e quindi i cui indicatori di redditività sono funzione del modo in cui si rapportano ad una domanda, la loro salute finanziaria può essere semplicemente il riflesso della generosità dei trasferimenti delle istituzioni che le partecipano e che ne sono proprietarie.

    Quindi paradossalmente, in teoria, una società con buoni risultati dal punto di vista finanziario potrebbe essere più inefficiente di una società che ha delle sofferenze, perché magari è sovrafinanziata rispetto alle cose che fa. Pertanto il nostro suggerimento è di spingere affinché anche in questo campo si comincino ad adottare strumenti di analisi dell’efficienza che non siano solo questo.

    Abbiamo fatto qualche esempio, abbiamo fatto un esercizio che può dare l’idea di come si possono fare delle misurazioni sull’efficienza riguardo a un caso molto noto, quello del fascicolo sanitario elettronico. Ci siamo chiesti: la Regione ha fatto tanti investimenti, ma qualcuno sa in uno dei documenti che resocontano sull’attività di CUP, ci sono degli indicatori effettivi che facciano capire quanto hanno reso gli investimenti fatti dalla Regione in questo settore? Grazie alla disponibilità della dirigenza CUP, abbiamo ottenuto una cosa che però di norma nei resoconti sulle attività delle società non si trova. Per esempio, abbiamo scoperto che il progetto Sole è costato 106 milioni di euro dall’inizio, e il progetto del fascicolo sanitario elettronico 2,8 milioni: è un progetto sicuramente molto promettente, però ad oggi avendo ottenuto, grazie alla disponibilità della dirigenza CUP, i dati che consentono questa misurazione, sappiamo che il numero di prenotazioni effettuate è pari allo 0,17 del complesso, e che per le altre funzioni che si possono svolgere, che i cittadini possono svolgere attraverso il fascicolo sanitario elettronico, siamo tra il 3 e il 4 per cento.

    Questo per dire che questo è un caso tutto sommato virtuoso, nel senso che noi abbiamo avuto piena disponibilità da parte della società a fornire dati che non erano mai stati messi in questo ordine, e capire qual è il risultato. Forse questa è una pratica che, prima di pensare ad una ristrutturazione dell’esistente, bisognerebbe cominciare ad adottare anche con le altre società, sempre con misure che abbiano a che fare con il tipo di settore nel quale operano.

    Abbiamo provato anche a fare un lavoro accurato sugli indicatori di salute finanziaria, e ci sono una serie di ragionamenti sui vincoli normativi che si possono incontrare nel progettare la programmazione. Su questo piano non abbiamo avanzato proposte definitive, abbiamo suggerito solo degli spunti, tenendo conto che l’imminente decreto Madia potrebbe introdurre elementi nuovi, e quindi questo secondo pilastro potrà essere messo a fuoco meglio dopo aver capito che cosa c’è nel decreto Madia, che ci sono varie altre cose da valutare.

    Mi scuso per la lunghezza dell’introduzione, anche forse per non essere stato così lineare. Se avete visto il testo, comunque vi siete resi conto del tipo di materiale che abbiamo provato a mettere a vostra disposizione e che possiamo approfondire.

    Il professor Padovani, in particolare, ha collaborato in molte parti, ma soprattutto sull’aspetto di finanza pubblica e quindi potrà darvi tutti i chiarimenti che volete su vari temi, per esempio sul modo in cui abbiamo costruito questi indicatori e sul loro significato.

    Il professor Piperata è un esperto di diritto amministrativo, in particolare di società pubbliche, quindi interverrà su questo punto.

    Il professor Toth e il professor Raffiotta hanno collaborato soprattutto sulla prima parte per quanto riguarda la comparazione tra la struttura organizzativa regionale dell’Emilia-Romagna e quella di altre Regioni, e sulla questione della gestione degli spazi e degli open space.

    Se poi avete delle questioni più specifiche di dettaglio, tecniche ciascuno di loro potrà intervenire a questo riguardo. Grazie.

     

    Presidente POMPIGNOLI

    Grazie, professor Vassallo. Darei la parola a voi consiglieri, per domande, per integrazioni ed eventualmente anche per ampliare gli argomenti, visto che sono stati sinteticamente illustrati. Se qualcuno vuole qualche chiarimento in più, lo può richiedere.

    Prego, consigliere Bignami.

     

    Consigliere Galeazzo BIGNAMI

    Grazie presidente. Intanto ringrazio i nostri ospiti per essersi prestati a dedicare un po’ del loro tempo alla presenza quest’oggi in seduta.

    Rispetto all’illustrazione, che, com’è ovvio che sia, possiede una sinteticità quanto a ciò che è già stato illustrato nel documento, fermo restando la necessità di successive release che dovranno di volta in volta adeguarsi anche sul piano normativo a ciò che dovrà essere realizzato (i decreti Madia dovranno conoscere il pieno sviluppo e la piena applicazione), già fin da ora qualche cosa si sta vedendo e su alcuni aspetti si sconta magari una mancanza più che di aggiornamento parlerei proprio di allineamento. Mi permettevo di porre diciassette interrogativi, sono quelli che ho focalizzato, che però in realtà vanno su alcuni rivoli ulteriori, qualcuno forse apparentemente banale, ma che mi servono per una lettura più puntuale della documentazione.

    Poi alcune valutazioni che non sono proprio veri e propri interrogativi, ma riflessioni in ordine alle ragioni per le quali avete ritenuto di assumere come input dei parametri valutativi, dei marker ben definiti che tuttavia hanno evidentemente riverberi significativi anche sull’output che poi genera lo studio. Perché è chiaro che assumendo determinati indici di valutazione, se ne genera un output abbastanza definito.

    Il primo interrogativo, che in realtà non è il primo nell’ordine dei diciassette che ho preannunciato, ma è un po’ un punto zero, è una valutazione complessiva in ordine al motivo per il quale voi assumete come negativa - perché mi pare che sia questo il giudizio implicito che date sull’età dei dirigenti, prendendo come riferimento un’operazione di benchmarking sulle altre Regioni -, l’evidenza su questo delta anagrafico che sussiste fra i dirigenti della Regione Emilia-Romagna e quelli delle altre Regioni. Lo chiedo perché nelle premesse citate che “una notevole stabilità, inclusione e coesione politica della maggioranza di governo ha consentito di elaborare delle politiche pubbliche lungimiranti”. Noi ovviamente operiamo perché questo abbia fine (ma questo è un altro paio di maniche). Tuttavia tali premesse sottendono alla valutazione in ordine alla sussistenza di una continuità politico-amministrativa anche in ordine alla continuità proprio fisica del gruppo dirigente, intendo non quello politico ma quello tecnico-amministrativo, che chiaramente si riverbera anche sull’età. Senza esprimere giudizi di valore, però è chiaro che persone che magari sono dirigenti da vent’anni, conservano un patrimonio storico di conoscenza, di dimestichezza, di costruzione anche della struttura, che è vero che può scaricare la realizzazione di stratificazione di quei processi involutivi che venivano efficacemente descritti nello studio, però al contempo consentono anche un’attenta valutazione delle performance interne agli apparati, quindi anche consentendo una resa di efficacia delle proprie tecnostrutture abbastanza significativa.

    Provo sinteticamente ad illustrare le domande.

    A pagina 9 del libro bianco scrivete in sostanza che “viene istituzionalizzata la pratica che abbiamo segnalato, secondo cui il disegno delle strutture e delle funzioni si adatta alla funzionalità delle persone”. Mi pare di comprendere che la risposta a quel primo punto che ho appena illustrato, possa in una qualche maniera rappresentare un riscontro a questo tema. Però voi questa affermazione la inserite in un contesto, quello dell’anticorruzione - se non ricordo male - che è abbastanza delicato. Mi pare compendiate il ragionamento sull’anticorruzione distinguendo tra quelli che devono essere i ruoli a rotazione oppure no. Però, neppure troppo in filigrana ma in maniera molto esplicita, peraltro con prese di posizione che non credo siano da attribuire al centrodestra, ma ritengo siano banalmente di buon senso, a fianco del rischio della stratificazione delle prassi, delle pratiche che possono essere attuate dai singoli dirigenti, ponete anche un dubbio in ordine all’efficacia dello strumento stesso della rotazione.

    Prendo un esempio: se il dirigente che non è evidentemente a concorso, ma è con contratto privatistico del settore agricoltura, viene poi trasferito all’ambiente, secondo voi questa è una rotazione efficace, oppure rappresenta semplicemente un’alternanza di ruoli, che però non genera quei meccanismi virtuosi che invece voi sottintendete?

    Dove voi parlate di turnazione, di circolazione, di ricambio, parlate di ricambio interno dei dirigenti, o proprio di persone che escono dalla struttura e ne vengono selezionate altre?

    Anche perché immediatamente dopo - e questi sono altri due interrogativi che pongo - si legge “sta di fatto che se questa deroga non fosse modificata”: fate riferimento ad una delibera del 2014, la n. 967, che se non sbaglio è stata attuata a luglio, una delle ultime della Giunta Errani, con cui si creava un meccanismo “a chiavistello”, se non ho compreso male il vostro concetto.

    Voi dite: attenzione, perché se questa delibera del luglio 2014 non viene modificata, si rischia di generare sostanzialmente un bypass, una manovra elusiva di quegli obbiettivi che la circolazione dei vertici delle strutture amministrative dovrebbe raggiungere. E lo dite anche, come se le norme in questione servissero a difendere le Amministrazioni pubbliche solo da un rischio futuro e non anche da rischi sedimentati nel passato. Al di là del dato tecnico, che forse è più di buon senso che di altro, le due domande sono.

    La prima: se vedete una ragione di preoccupazione fondata su elementi concreti, perché mi pare che da un lato l’accompagnamento ad una riflessione sull’età, dall’altro su questa manovra autoconservativa, che volendo ragionare evidentemente fuori da schemi politici, potrebbe essere semplicemente di protezione della burocrazia. Senza voler scomodare la scuola di Chicago, sono pratiche che ben conosciamo in ordine ai comportamenti delle strutture burocratiche. Però volevo capire se la delibera del 2014, secondo voi ha una funzione di creare un blocco di un chiavistello.

    E l’altra domanda, oltre a quelle che ho già posto, è se avete avuto un riscontro in ordine a processi di autoconservazione della burocrazia. Questa in realtà è una domanda che mi sono posto anche a fronte di come avete dipanato lo studio successivamente.

    Devo dire che la parte sulle partecipate l’ho letta, ma mi sembra una cosa ancora molto work in progress, anche perché più laboriosa e rispondente forse a criteri di analisi di valutazione: su questo il professor Piperata potrà dire se effettivamente ho avuto una percezione giusta o sbagliata, che è anche un po’ più difficile cogliere. È tema di una domanda, però secondo me bisogna stare attenti a valutare le partecipate complessivamente della pubblica amministrazione secondo parametri di imprenditorialità o di economicità, perché anche l’azienda sanitaria locale corrisponde a criteri di imprenditorialità. Personalmente non lo condivido, credo che debba rispondere a principi di economicità, cioè tendere al pareggio di bilancio. Ma, trattandosi dell’erogazione di servizi, difficilmente si possono centrare logiche di profitto, secondo quello che ci insegna anche il codice civile. E questo è un aspetto che mi piacerebbe approfondire meglio.

    Il professor Vassallo diceva che non necessariamente le performance di bilancio sono indicative della qualità e della solidità delle partecipate. E io condivido, perché in effetti quando si lavora in un territorio di pubblica amministrazione o ad essa limitrofo, si perdono quei parametri di indicazione che possono venire offerti dal mercato o da altre logiche e si introduce quello di un interesse pubblico che invece nelle partecipate vere e proprie (penso a HERA) magari si perde, per concentrarsi più su logiche di dividendi, di profitto, di quotazioni, di performance in Borsa.

    Qui anticipo un quesito che in realtà mi ero tenuto tra i dubbi, quindi non fa parte del catalogo delle diciassette domande che volevo porre, ed è il seguente. Non ho visto, fra gli indicatori che voi avete assunto, il follow up dell’azione della burocrazia. Non c’è come valutazione il riscontro della cittadinanza. Se fossimo in un regime strettamente privatistico, parlerei di customer satisfaction.

    Questo non l’ho trovato, invece secondo me (visto in maniera non dico laica, perché sono pubblico amministratore, quindi non posso dire che lo vedo da fuori) è un parametro che andrebbe considerato. Qual è il feedback che c’è da parte dell’utenza in ordine alle prestazioni della pubblica amministrazione? Io questo non l’ho trovato nello studio. Non tanto sulle partecipate, che magari sono spesso funzionali alle azioni della PA, penso a ERVET, penso ad altre partecipate funzionali, alle Agenzie -. Prendo il tema banale: un URP ha la sua valutazione di efficacia e di qualità nel ritorno che viene dato dall’utenza; se un URP ci mette settanta giorni ad assolvere una pratica, al di là della legge n. 241, magari c’è una “spia rossa”, se risponde in due giorni c’è una “spia verde”. Io questo non l’ho riscontrato nello studio, cioè una valutazione in ordine ad un parametro di valutazione esterna alla pubblica amministrazione per valutarne la performance.

    Un altro quesito che vi chiedo se è possibile approfondire, laddove dite “non è tuttora facile fornire un quadro simile – riferito a quello che avete indicato sui tre set di dati, spese per il personale, costo per le sedi e spese gestite – sulle Agenzie”, perché dite che ognuno sembra fare storia a sè. Visto che con la legge sul riordino territoriale che abbiamo approvato a luglio, abbiamo deciso come linea politica, in parte anche condivisa - cerco in questo intervento evidentemente di non contaminare per quanto possibile da valutazione politiche il lavoro tecnico che è stato svolto -, con questa legge voluta fortemente dalla maggioranza, che l’ha fatta approvare in seguito ad un’azione vigorosa dell’assessore Petitti, abbiamo deciso di implementare la formula Agenzie. E questo giudizio non credo vada ad impattare su quelle che sono in fase di costituzione a seguito dell’approvazione della legge Delrio, e quindi della redistribuzione delle funzioni che erano delle Province.

    Quindi credo che un giudizio da parte vostra potrebbe essere utile per comprendere quali sono le criticità emerse nelle valutazioni fino ad oggi condotte magari su ARPA, sull’Agenzia sanitaria, per evitare che quelle difficoltà vadano ad essere nuovamente instillate nella costruzione di queste nuove forme di Agenzia. Penso all’Agenzia per il lavoro, all’Agenzia per l’ambiente, che credo siano importanti strumenti su cui la Giunta ha puntato per realizzare queste esternalizzazioni che poi sono relative.

    Sempre a pagina 10 del libro bianco scrivete “dopo aver depurato il bilancio da volumi finanziari che si limitano quasi solo a transitare dalla Regione, creando tutto il resto un minusculus, si vede che i costi di funzionamento sono notevoli in rapporto alla spesa effettivamente amministrata”. Nella tabella che allegate, vi sono due dati che chiedo, se è possibile, di chiarire: intanto distinguete fra le dieci direzioni, se non sbaglio dieci, oltre il Gabinetto, e fate un rapporto dirigenti/dipendenti.

    Noto delle profonde differenze nel rapporto dirigenti/dipendenti da direzione a direzione: la direzione affari gestionali ha sei dirigenti e sessantotto dipendenti; la cultura e lavoro ha sei dirigenti e 147 dipendenti. Qual è il motivo per cui secondo voi c’è questo disallineamento tra rapporto dirigenti e dipendenti? perché la figura del dirigente è una figura che fa esplodere la spesa pubblica. Può avere evidentemente una ragione nel momento in cui il dirigente ha funzioni dirigenziali vere, diversamente chiedo come debba essere valutata. Ad esempio, il Gabinetto del Presidente e strutture speciali ha un dirigente e 148 dipendenti, quindi un rapporto di 1 a 148. Invece, come ho detto prima, la Mobilità ha 5 dirigenti e 88 dipendenti, quindi un rapporto molto più basso.

    Chiedevo anche, ad integrazione, perché avete preso come dato le spese su fondo sanitario nazionale, questa è proprio una domanda immediata.

    Poi fate un rapporto costo del lavoro/spese per sedi pro quota. Manca secondo me il parametro di riferimento, cioè qual è la spesa gestita complessivamente da quella direzione. Nel senso: dite che la spesa della sede è quella, la spesa del costo del lavoro è quello, il totale, ma è un totale riferito alla spesa complessiva della struttura, non sulla spesa della struttura. Vedo impegni per spese correnti, operative, investimenti. Però anche qui… per capire la differenza sull’incidenza. Anche su questo noto che ci sono profonde scalinature. Mi ero posto il tema quale potesse essere, però sono stato forse fuorviato dal fatto che il totale parla di 13 milioni, prendo il Gabinetto del Presidente, struttura speciale, parla di 13,171 milioni sulle spese per quota sedi, qui immagino che in una certa maniera sia la spesa della sede dove ci troviamo noi oggi, e il costo del lavoro, e leggo soltanto 2 milioni impegni per spese correnti, opere e investimenti. Vorrei capire il meccanismo che ha portato alla costruzione di questa tabella.

    Entriamo poi in un tema che vedo che voi stessi valutate con particolare criticità, il tema del controllo di gestione.

    Il controllo di gestione è sempre un tema delicato, perché bisogna stare attenti a non scivolare nell’adozione dei parametri che la struttura si dà per valutare la struttura stessa. Qui cercate, vedo, di elaborare dei criteri che sono eccentrici rispetto a quel meccanismo, e voi stessi però arrivate a dire “dopo alcuni esercizi svolti dal 2007 al 2009, contrariamente a quanto previsto dalla legge, la funzione del controllo di gestione è stata infatti archiviata per essere costituita solo nel 2014”. Se qui si può entrare un po’ più nel dettaglio, perché è un’affermazione che ha un certo peso, non tanto in termini politici quanto di valutazione, perché voi sapete che la percentuale di riconoscimento della produttività, intesa non come integrativo di contratto, quale ormai è, ma come teorico meccanismo di premialità, è pari al 98 %, quindi sostanzialmente a tappeto per tutti i dipendenti, con l’annullamento di ogni criterio meritocratico. Perché se tutti hanno tutto, di fatto non è riconoscere niente a nessuno e diventa quindi un meccanismo integrativo e non di premialità. Qui infatti dite che è stata preclusa questa valutazione dei dirigenti basata sull’efficienza della gestione. Anche questa è un’affermazione importante.

    Dopo spiegherò il perché, c’è anche una preoccupazione politica rispetto a questo. Quindi tutti quei punti sono a corollario dell’affermazione finale in ordine al fatto che l’OIV (organismo indipendente di valutazione della performance) nella propria prosa paludata – come scrivete voi – alla fine non spiega il meccanismo per il quale si realizzano queste produttività secondo questo criterio, in base al quale i direttori generali premiano la struttura e i direttori generali sono premiati poi dalla Giunta, e quindi alla fine a cascata il meccanismo è abbastanza autoreferenziale.

    Io chiedo se tra i motivi per i quali ritenete questo metodo insoddisfacente vi sia una criticità determinata intanto da una prassi relazionale. Se io sono a capo di un ufficio e devo decidere se i miei quindici collaboratori sono stati bravi o meno, faccio fatica a impartire valutazioni differenziate, se poi rischio di creare degli attriti interni agli uffici. E oggi il meccanismo però è quello: il dirigente deve dire chi delle sue persone è stata brava; quindi, nel momento in cui le persone sono state brave, se non riconosco tutto a tutti, rischio di creare degli attriti come è evidente. In questo senso, quindi chiedevo se era possibile secondo voi adottare dei marker oggettivi, dei criteri di valutazione oggettivi, non soggettivi. È per questo che prima avevo parlato anche della soddisfazione da parte dell’utenza, perché esternalizzi uno dei criteri su cui poi puoi andare a dare un giudizio positivo e quindi far scattare delle logiche di premialità concrete ed effettive rispetto all’azione della pubblica amministrazione. Spero di essere riuscito a spiegare il dubbio che ho. Infatti voi qui spiegate che l’obiettivo non deve essere quello di premiare o punire i singoli dirigenti, ma di dare alla struttura la misura degli obiettivi che possono essere realizzati e del loro impatto sulle dimensioni dell’azione amministrativa.

    E qui è il nono interrogativo: vorrei comprendere perché dite che questo potrebbe essere positivamente sciolto come nodo, adottando un sistema anche qui di benchmark sostanzialmente sulle altre Regioni. Io di questo non sono convinto, perché se anche le altre Regioni hanno questo stesso problema - e mi sembra che sia un problema diffuso, di tutte le Regioni, aver adottato questo sistema di valutazione soggettivo e non oggettivo e a cascata con un controllo magari orizzontale sui profili di vertice assoluto, i direttori generali -, andare a introdurre un meccanismo comparativo con le altre Regioni, in realtà non fa altro che spostare la proiezione della valutazione, non quello di introdurre dei meccanismi di altro tipo. Non so se mi sono spiegato, per come l’ho compresa. Chiedo se l’ho compresa bene, perché in fin dei conti la comparazione è sempre fra due elementi, ma non c’è l’introduzione di un criterio valutativo alternativo.

    Mi scuso anche con i nostri ospiti se non riesco a scendere nel dettaglio, quindi se magari alcuni quesiti non sono chiari, ovviamente ci torniamo. A pagina 15 del libro bianco voi dite “anche se non disponiamo degli elementi per dire con quanta continuità sia occupata ciascuna impostazione messi a disposizione da addetti esterni, abbiamo preso per buono il numero più elevato”. Questo ce l’ha detto poc’anzi nella sua illustrazione e mi pone un dubbio sul pieno controllo della struttura in ordine a ciò che c’è nella propria disponibilità. Dire di prendere per buono, in uno studio comunque a cui va riconosciuta una certa profondità elaborativa, uno dei criteri a “spannometro” meno graditi nelle valutazioni scientifiche, mi porta a dire che vorrei comprendere quale tipo di risposta avete avuto dalla struttura in ordine alla richiesta di dati. In diversi punti voi dite “abbiamo avuto gentilezza, disponibilità, cordialità”. Non capisco se lo dite perché è un’eccezione o se in generale avete avuto un buon riscontro da parte delle strutture: qui dentro ci stiamo tutti, chi da più chi da meno tempo, ma sappiamo perfettamente che il garbo non manca; però il garbo non necessariamente coincide con l’effettiva condivisione dell’informazione, anzi normalmente chi è più gentile, è perché tende a voler distrarre e a creare una difficoltà nel poi dire “guarda che non mi stai rispondendo”.

    Poi fate una valutazione sulla possibilità di sintetizzare tutto in un’unica sede. Questo secondo voi è davvero possibile? Perché, dite, si potrebbe provare a portare tutto in un’unica sede ragionando sugli open space. Qui dite “tutto il personale che opera in sede di Bologna, compresi gli addetti esterni, potrebbe essere ospitato nei soli stabili di proprietà o in locazione utilizzati dalla Regione nel distretto fiera”, quindi sostanzialmente largo Caduti del lavoro e via dei Mille che sono gli altri due spoke dell’hub fiera. Mi interessava capire se è un’affermazione messa lì incidenter tantum, oppure se invece state costruendo un ragionamento, visto che poi alla fine del lavoro dite che su questo livello vorreste provare anche a svolgere degli approfondimenti.

    Salto alcune cose, anche se mi piacerebbe approfondirle.

    A pagina 20, comparando due grafici, dite “non sono affatto impossibili misurazioni comparative delle performance tra le diverse strutture regionali”, intraregionali immagino, cioè non fuori ma interne alla Regione. “L’indicatore in questione è stato scelto dagli uffici RER, ma per una pratica consolidata abbiamo finora ritenuto non opportuno rendere i dati - che giustamente voi dite “certamente non coperti da obbligo di riservatezza” -, in una forma che consentisse comparazioni. Se uno degli obiettivi fissati dalla Giunta fosse la tendenziale abolizione della carta nella trasmissione e nella creazione dei documenti - e lo è perché è stato dichiarato più volte -, si saprebbe come misurare il raggiungimento dell’obiettivo”. E qui i due interrogativi.

    Il primo cosa significa che non hanno ritenuto opportuno? È stato fatto come a dire non ci abbiamo pensato o c’è qualche altro ragionamento?

    Prendo un piccolo esempio: all’inizio del mandato, anche altri colleghi probabilmente l’hanno riscontrato, i sistemi informatici di Giunta e Consiglio non parlavano, quindi magari ci mandavano le risposte in un formato e noi in Consiglio non riuscivamo ad aprirli. Un problema di digital divide molto banale risolto. Mi sembra che non fosse questo, perché io l’avevo preso come un dato minimale presente in quel momento, contingente e risolto. Però mi sembra che qui ci sia una riflessione un po’ diversa, addirittura non solo sui sistemi operativi e sulle pratiche operative, ma anche sui dati e sulle informazioni. Questo tra l’altro lo dite anche abbastanza chiaramente, ovviamente è proiettato sul livello nazionale, perché il regolamento sulla contabilità pubblica, la Ragioneria dello Stato.... Non si sa oggi quanto spende lo Stato effettivamente, perché abbiamo troppe variabili e troppe integrazioni.

    Esiste la possibilità di capire in termini omogenei quanto spende ogni singola direzione e quindi anche quanto la Regione spende senza sovrapposizione di dati?

    Perché voi fate un ragionamento che comprendo, bisognerebbe creare sostanzialmente un sistema ad organo in termini di competenze a canne d’organo. Una volta si sarebbe parlato di fasce di rapporto, cioè da un assessorato cade tutta una serie di competenze che interseca più o meno delle direzioni differenti. Voi dite, mi pare di capire, cerchiamo di mettere ordine: in buona sostanza, evitiamo che un assessorato integri cinque competenze ed evitiamo che una competenza sia divisa in cinque assessorati. Faccio un esempio, fondi comunitari. Non so come abbiate fatto voi a parlare nel libro bianco di collocare all’interno delle attività produttive i fondi comunitari. Ma quando noi dobbiamo fare un accesso agli atti su fondi comunitari, dobbiamo farla a tappeto, perché sono sparsi su tutte le direzioni: i fondi comunitari per l’agricoltura, i fondi comunitari per le attività produttive, per le politiche giovanili. Invece, ovviamente non sto a dire, mi pare di capire che in altre Regioni tutta la gestione fondi comunitari sia sottoposto al Gabinetto della presidenza in altre Regioni, e volevo capire se questo è un modello utilizzabile anche dalla Regione Emilia-Romagna, perché secondo me crea una maggiore accessibilità nell’utilizzo dei fondi comunitari impegnati a livello regionale. E questa è la tredicesima domanda.

    Un altro quesito attiene all’età, sempre. Avete riscontrato una difficoltà nella cura della formazione del personale rispetto al tema dell’età? Un dirigente di sessant’anni tende a trascurare la propria formazione? Formazione in termini di diritto, in termini di utilizzo degli strumenti, e questo ovviamente è un tema collegato anche a quello che dicevo prima sull’età. Questa non è una domanda, ma è una cosa che accenno per il compagno Caliandro sul tema sull’Avvocatura. Spero che tu legga pagina 24, visto che avete bocciato un progetto di legge del povero Bignami che diceva delle cose simili.

    Il quindicesimo tema è sempre a pagina 24 dove dite “crediamo sia opportuno superare l’attuale assetto nel quale anche strutture che presiedono funzioni strategiche di indirizzo, coordinamento e controllo sono collocate dentro le direzioni, disperse tra quattro direzioni generali”. È un po’ quello che ho annunciato con la riflessione appena svolta. Perché oltre al tema delle competenze, anche le funzioni strategiche di indirizzo sono più eminentemente politiche, perché almeno dopo la 81 del ‘93 abbiamo subito questa scissione, poi riverberata sulla Bassanini, che mi pare a livello regionale abbiano portato il livello politico a gestire meno le funzioni di realizzazione e concretizzazione delle funzioni di indirizzo.

    Senza mancare di rispetto a nessuno, però il direttore generale del settore x è lo stesso che c’era vent’anni fa, e probabilmente ha visto passare cinque assessori, mentre lui rimane lì. Per cui non vorrei, e vi chiedo una valutazione su questo, voi direte che questo è un tema scivoloso, vorrei capire se secondo voi c’è stata una appropriazione da parte delle strutture tecniche delle funzioni politiche. Non parliamo della Regione, ma del Ministero dell’ambiente per esempio, dove il direttore generale era Chimi, un direttore generale simpaticissimo e affabilissimo - al di là delle sue vicende giudiziarie -, che però ha visto ministri dal 1989 fino al governo Letta, e aveva un po’ tracimato nelle sue competenze. Avete visto fenomeni simili senza citare naturalmente casi specifici anche in questa Regione? Di direttori generali che sono lì da così tanto tempo che ormai svolgono ruoli di supplenza politica? Perché secondo me è un problema che abbiamo. E questo è un tema che lascio per un attimo sospeso, ma che recupererò alla fine del mio intervento.

    Vorrei capire cosa sono, ma anche questo non è uno dei diciassette quesiti, cosa dovrebbero essere le mission affidate ai servizi. Se potete spiegarmelo, dove parlate a pagina 25 e 26 di mission affidate ai servizi, se sostanzialmente puntate a creare un rapporto di continenza dei servizi rispetto agli assessorati. Dicevo prima, mentre dite che i servizi devono rimanere interni agli assessorati, però i servizi dipendono dalle direzioni, quindi in realtà rischiano di avere un direttore che va a giocare su più servizi, che sono interni all’assessorato ma non interni alla stessa direzione, immaginata così. Però chiedo un chiarimento.

    Qui dite pure ciascun dirigente di servizio, un solo assessore. Quindi sostanzialmente mi pare di capire che diciate che l’assessore deve coincidere con una direzione generale, al cui interno devono rimanere i servizi. Ed è un tema quello dei dirigenti del servizio super, al di là dello sfortunato lessico impiegato, che anche voi riordinate, immaginate che ad eccezione dell’Avvocatura confluirebbe in una sola direzione affari generali, immaginate che le direzioni settore verrebbero ordinate in relazione a quattro macro missioni della Regione. È una rivoluzione importante rispetto all’attuale assetto. Mi chiedevo se questa è una proposta che valutate come realmente sostenibile e anche i tempi, perché è un riordino che mi pare molto importante.

    Da qui un’ultima riflessione, ed è la diciassettesima domanda riguarda la parte delle società partecipate, che poi in realtà il professor Vassallo ha già affrontato. Dite “anche nei colloqui che abbiamo condotto, abbiamo avuto ripetute conferme che assai raramente sono stati considerati indicatori di efficienza ed efficacia - del tipo di cui illustrate - o perché si è ritenuto sufficiente l’esame dei soli indicatori di bilancio, o perché sono prevalse valutazioni di carattere politico generale.”

    Quello che voi definite la nodale, che non c’è il rapporto di efficienza ed efficacia, avete avuto un riscontro da parte delle partecipate, mi pare di comprendere, di scarsa valorizzazione dei parametri ulteriori, che invece a vostro giudizio dovrebbero essere adottati per una congrua valutazione delle performance di queste partecipate. E vorrei capire se le avete riscontrate un po’ su tutto genericamente, oppure secondo quell’asse di distinzione che dicevamo prima: cioè TPER è un soggetto che gioca nell’erogazione di un servizio all’utenza pubblica e quindi può avere dei parametri secondo un certo tipo. ERVET invece magari li gioca più nella pubblica amministrazione.

    Da qui tanti altri temi, ma non voglio abusare della pazienza dei nostri ospiti, dei colleghi, però una valutazione politica, e questo lo pongo alla maggioranza, chiaramente sgombrando il campo dai dubbi sulla possibilità che ci sia una finalità politica nello studio fatto, a cui riconosco che nella lettura ero partito preconcetto, convinto che fosse uno studio on-demand della maggioranza, invece riconosco l’onestà intellettuale e la realtà scientifica che ha ispirato il lavoro, come d’altronde è doveroso che fosse, ma è anche doveroso renderne atto ai nostri interlocutori.

    Però, e qui mi rivolgo al Partito democratico, quindi un tema che esula completamente dall’apporto scientifico qui svolto, sembra un modo per cercare di scardinare la struttura che vi è stata consegnata da Errani. E vorrei una valutazione su questo, perché sembra proprio dire sostanzialmente guardate che vent’anni di Giunta, quindici anni di Errani, hanno consegnato una struttura sclerotizzata, stratificata, ereditando situazioni che non possiamo continuare ad avallare e legittimare: se lo diciamo noi, ci crea un problema, proviamo a trovare una soluzione. Che può anche essere giusto, nel mio limitato anelito liberale riconosco che in effetti c’è un problema di stratificazione, di incrostazione che va superato, e personalmente credo sia anche molto giusto fare una valutazione in ordine al numero e alla retribuzione dei dirigenti. Però vorrei comprendere, nella schiettezza politica del confronto, se sbaglio chiave di lettura, non mi aspetto che il PD dica “sì è vero, vogliamo fare fuori tutto il modo di governare che abbiamo ereditato da Errani”, però vorrei caprie, nella schiettezza del confronto, se intendete dare una discontinuità cercando di esternalizzare la responsabilità politica, oppure se invece cerchiamo (uso la prima persona plurale a ragione) di costruire un assetto della struttura regionale nuova, per provare anche ad accogliere delle sfide che non sono certamente quelle di quindici anni fa.

    I conti con il passato se ci sono da fare, li dovete fare voi, non noi perché non abbiamo alcuna continuità da denunciare; i conti con il futuro invece quelli li dobbiamo fare tutti e vorrei capire se vi sono le condizioni per la costruzione di una casa comune, perché come ho detto – e quindi chiudo dove avevo aperto il mio intervento - se può essere considerato, comprendo lo spirito certamente non politico che ha ispirato quella considerazione come positivamente la continuità politica e la stabilità delle maggioranze, c’è chi come il centrodestra invece opera, i cinque stelle lo diranno loro, opera certamente per rompere quella continuità, ma non necessariamente per rompere un assetto amministrativo a cui quindi credo sia legittimo tutti ambiscano a partecipare per la costruzione di una casa comune in ordine all’architrave amministrativa, che invece dovrebbe essere efficiente al di là del colore politico.

     

    Presidente POMPIGNOLI

    Grazie, consigliere Bignami. Consigliere Boschini, prego.

     

    Consigliere Giuseppe BOSCHINI

    Anch’io ringrazio, perché credo che lo studio l’abbiamo letto tutti, ma io personalmente con grande interesse e devo dire anche salutando con grande favore il fatto che un approccio di tipo scientifico rispetto alle scienze organizzative dell’amministrazione venga così chiaramente adottato da un’Amministrazione, personalmente lo ritengo un elemento di grande interesse anche per la cultura nazionale in materia di amministrazione.

    Faccio solo due domande, quindi chiedo scusa se non tocco i vertici, sono molto più Bignami di te da questo punto di vista, che non tieni molto fede al tuo cognome. Una più di metodo e una più di contenuto. Rispetto al metodo, in estrema sintesi, chiedevo un’ulteriore delucidazione rispetto a quanto in parte già anche detto per la verità in introduzione, su quello che è l’effettivo mandato, il commitment di questo studio. Nel senso che la natura di studio e di sforzo conoscitivo è evidente ed è molto importante, e già questo ha una sua natura supportiva rispetto alle decisioni amministrative e politiche, però chiedevo se in qualche modo nel mandato ricevuto dallo studio oltre a questa natura conoscitiva, c’è un’evoluzione non voglio dire verso una dimensione consulenziale, ma comunque verso la dimensione di supporto attuativo, in che senso anche questo è uno studio 1.0, quindi come evolverà in qualche modo il lavoro e qual è la richiesta, il mandato rispetto alla dimensione conoscitiva e anche alla successiva fase eventualmente attuativa di alcune riflessioni.

    La domanda invece dal punto di vista del merito riguarda invece il quarto pilastro, quello della semplificazione e sburocratizzazione, che è stato toccato invece marginalmente nella presentazione e che anche nella relazione è ancora abbastanza embrionale, e che sposa in maniera abbastanza forte il tema della digitalizzazione delle procedure amministrative, del rapporto con i cittadini, le imprese e quant’altro, individuando vari temi. Una era la questione del fascicolo elettronico in materia sanitaria, ma per esempio quello delle procedure di autorizzazione urbanistica on line. Volevo manifestare una domanda e un dubbio e avere da voi una valutazione rispetto al fatto che nella mia esperienza molto spesso le procedure di semplificazione centrate sulla sburocratizzazione, centrate sulla digitalizzazione, non sortiscono l’effetto di semplificazione atteso. Questo forse per vari motivi, forse anche perché non sempre l’informatica è una buona informatica, ma anche perché molto spesso la cultura amministrativa italiana che, usando un po’ le categorie alla Bruno Dente dal punto di vista delle tipologie, è orientata alla norma e al controllo formale, spesso mal si attaglia a tradurre controllo formale entro le procedure amministrative. E questa congiunzione astrale fra controllo formale e procedura amministrativa informatizzata spesso produce un aggravio e non una semplificazione. Purtroppo è esperienza per alcune procedure, quella tipicamente per esempio dei fascicoli elettronici in materia di autorizzazione urbanistica è successo in parte per il terremoto. L’applicazione di un controllo di tipo formale alle procedure amministrative informatizzate non produce necessariamente semplificazione, proprio perché invece magari l’informatica si presterebbe molto ad un’amministrazione più orientata ad un controllo di merito, orientata allo scopo. Quindi volevo chiedere se su questo quarto pilastro c’è qualche riflessione aggiuntiva e che cosa pensate di questo problema che, a mio avviso, la digitalizzazione di per sé non è necessariamente portata a risolvere.

     

    Presidente POMPIGNOLI

    Grazie, consigliere Boschini. Consigliere Bertani.

     

    Consigliere Andrea BERTANI

    Io apprezzo molto questo tipo di approccio “scientifico” tecnico, perché dà un occhio esterno più neutro, più neutrale. Alcuni aspetti che ci hanno interessato e mi interessa approfondire: uno è quello sul numero dei dirigenti. Mi sembra che si sia fatta una proposta che poi la Giunta sta adottando: quella della riduzione del numero dei direttori generali, dove però mi sembra non si faccia riferimento poi alle agenzie o alle grosse partecipate dove anche qui in realtà poi ci sono delle direzioni e quindi, se su questo poi ci sia un progetto, una proposta per ottimizzare anche qui il numero dei direttori.

    L’altra parte che mi sembra molto interessante è quella della valutazione. Anche noi avevamo visto, abbiamo cominciato a guardarci, poi fra tutte le cose è un tema che non ho approfondito, però sui premi e su come vengono valutati i dirigenti facciamo nostre alcune osservazioni che ritroviamo nel report in cui si dice: "uno si dà l’obiettivo e poi lo raggiunge, e l’obiettivo se lo dà in funzione della facilità del raggiungimento di quell’obiettivo". Quindi gli obiettivi sono sempre raggiunti, quasi tutti prendono A e siamo a posto. Quindi volevo chiedere: ho visto che si fa un accenno ai nuovi metodi di valutazione che si stanno proponendo a livello governativo, se anche qui eventualmente c’è una proposta, qualcosa tipo quello che è il PSC (Piano di sicurezza e coordinamento) nelle aziende se è applicabile alla pubblica amministrazione o meno? E anche qui, come accennava Bignami, se si può inserire quello che è il riscontro del cliente? In questo caso, il cliente può essere il cittadino, possono essere i Comuni o, per le aziende partecipate, possono essere le direzioni generali.

    Interessante il discorso dell’ottimizzazione degli spazi. Sicuramente va approfondito, in quanto e se applicabile. Mi chiedevo, mi sembra di non averlo trovato, se c’è qualche riferimento anche al telelavoro, quindi alla possibilità anche qui di ridurre spazi, di ridurre mobilità utilizzando il telelavoro. So che qui in Regione è utilizzato in maniera sperimentale, per capire se è un tema che avete approfondito o eventualmente si possa approfondire.

    Torno un attimo indietro sugli obiettivi. Mi ricordo proprio a inizio legislatura ci fu il caso, qui non parlo della nostra Regione, ma della Regione Piemonte in cui alcuni obiettivi erano il riordino della documentazione cartacea, o firmare almeno il 50 per cento delle email con la pec. Cose che è ovvio che un impiegato debba fare, e vengono dati come obiettivi. Spero che qui non sia il caso o non sia più il caso.

    Sulle partecipate c’è il discorso ERVET che secondo me andrebbe approfondito. Ne abbiamo già parlato diverse volte anche qui in Commissione, che sembra agire all’interno della Regione, anche se è una partecipata e a volte sembra che l’idea sia quella di fungere da agenzia interinale per la Regione, riuscendo a lavorare con consulenze o con incarichi in maniera più snella rispetto a quello che si potrebbe fare all’interno della Regione. E quindi anche qui capire se portare l’agenzia all’interno della Regione cosa comporterebbe, quali vantaggi e quali svantaggi.

    Poi qui è solo accennato il terzo pilastro del riordino istituzionale. Sembra che grande sia la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. Questo riordino ancora non si capisce bene dove vada a parare, dove vada a finire intanto che probabilmente anche voi al momento lo accennate, perché dite che ancora la situazione è troppo mobile, non si capisce bene dove vada a parare. Un suggerimento per i prossimi approfondimenti, secondo me, è quello di guardare all’Unione dei Comuni. Adesso non so quanto si spingerà il vostro dettaglio, cioè se si ferma alla Regione e al rapporto con gli enti locali, o se arriva anche poi ai livelli più bassi. E secondo me critico in questo momento è quello dell’Unione dei Comuni, dove sono stati fatti sicuramente degli sposalizi forzati che non hanno portato delle efficienze, tanto che secondo me rileviamo in alcuni casi maggiori inefficienze e maggiori costi per i singoli Comuni. Quindi anche qui noi avevamo proposto alla Giunta, ma lo riproporremo, di istituire almeno un osservatorio sull’andamento dell’Unione dei Comuni, mi hanno detto che stanno pensando a qualcosa, speriamo di sì.

     

    Presidente POMPIGNOLI

    Grazie. Consigliere Sabattini.

     

    Consigliere Luca SABATTINI

    Anch’io ringrazio il dottor Vassallo e gli altri docenti dell’Università di Bologna. Io ho letto immediatamente alla pubblicazione il rapporto, adesso non l’ho riletto prima della Commissione, ma alcune valutazioni, alcune domande le vorrei porre ugualmente. Soprattutto erano considerazioni per cercare di capire effettivamente quali possono essere, anche su un disegno come questo, gli effetti che nella struttura complessiva possono andare ad impattare sulla risposta soprattutto delle performance che l’istituzione ha nell’erogazione dei servizi.

    Parto da questo, proprio legandomi anche a quello che diceva il collega, perché la legge che abbiamo approvato sul riordino istituzionale oggettivamente cambia un po’ il rapporto che la Regione ha non solo con gli enti locali, ma anche che ha nell’amministrare le proprie politiche. Oggettivamente noi con il riordino istituzionale abbiamo accentrato maggiormente sulla Regione molte funzioni che erano tutte funzioni di line, che erano comunque demandate ad enti che avevano una governance più vicina al territorio. Questa trasformazione anche sulla Regione avrà un impatto importante dal punto di vista organizzativo e probabilmente l’organizzazione, che si andrà a pensare, deve tenere conto di una Regione che è forse un po’ più gestore rispetto a quanto non lo era in precedenza, e avrà molte più articolazioni territoriali rispetto a quello che non aveva fino alla conformazione precedente. Quindi anche lo studio delle sedi e anche degli spazi credo che debba vedere, adesso io non lo ricordo puntualmente, deve sicuramente essere integrato anche da questo elemento che modificherà secondo me in maniera importante.

    Il secondo punto, la questione della valutazione delle performance, al quale io lego anche la programmazione strategica nel suo complesso. Io credo che molte delle difficoltà anche di calibrare un’organizzazione stia anche nella capacità di riuscire a programmare strategicamente e di tradurre poi con obiettivi, con livelli codificati quelli che sono gli obiettivi e dall’altra parte anche le politiche pubbliche che si mettono in campo. Perché anche con un disegno organizzativo, che passa da divisionale ad un funzionale alto, la struttura può raggiungere o no gli obiettivi di efficienza in funzione anche di quanto la programmazione strategica e la traduzione delle politiche pubbliche nel suo complesso può essere efficiente. Io la traduco per l’esperienza che ho fatto, che è stata quella in un’Amministrazione locale, la grandissima difficoltà nel riuscire a tradurre quelli che sono gli obiettivi politici in un obiettivo che non fosse una misurazione, un numero di controlli fatti, ma dell’effetto che quella politica e quelle risorse che venivano investite in quell’intervento producevano come effetti di output veri sulla comunità. E legare oltre che a questa parte strategica, che ovviamente blocca un po’, nel momento in cui la si fa in una maniera strettamente puntuale, quella che è l’agibilità contingente della politica, ma che permette di legare gli obiettivi ad un’efficienza sull’output rispetto ad un’efficienza nel rispetto dell’obiettivo numerico del raggiungimento della performance che ti consente poi di raggiungere l’obiettivo economico del risultato del singolo dirigente. E questo, che è un punto nevralgico secondo me anche delle evoluzioni degli enti pubblici, credo che meriterebbe un’attenzione anche nella nuova organizzazione molto più centrale che si lega anche al tema del controllo di gestione. Cioè, soltanto se si integrano entrambe queste cose, si riescono probabilmente politicamente a motivare meglio le scelte, e dall’altra parte anche a controllare meglio i risultati. È chiaro che questo però non può esaurire, secondo il mio punto di vista, tutta quella che è la valutazione di una performance, perché sta su valutazione oggettiva, ma per quando si valuta il capitale umano, deve stare anche su una valutazione soggettiva. Un po’ di soggettività, un po’ di quella valutazione del saper essere nel rapporto anche di uno spazio collettivo o di una organizzazione complessa merita comunque uno spazio opportuno, che però si deve collegare in una uniformità di quello che è il sistema di valutazione, che non è soltanto un sistema oggettivo, ma è anche come facciamo ad uniformare il fatto che se io vengo valutato da un dirigente A, la mia performance può essere valutata in due maniere diverse, e perché probabilmente non c’è il minimo comune denominatore del metodo, con il quale si va a valutare i collaboratori, di conseguenza anche i dirigenti.

    Chiudo forse con la domanda più importante che facevo a voi che avete costruito questa proposta. Oggi la struttura regionale è principalmente divisionale, con ogni struttura con la difficoltà dell’interdipendenza l’una dall’altra, che vive di vita propria un po’ a canne d’organo. La grande difficoltà è poi nel riuscire a fare i raccordi, quando anche ogni struttura in alcune fattispecie ha dato prova di seguire politiche autonome rispetto alla struttura di fianco anche nell’organizzazione interna. Aveva però una specificità, cioè quella che separando le direzioni generali in questa maniera, tu trovavi un direttore generale che aveva più competenze del saper fare, nel senso della competenza specifica dell’argomento, nel quale si muoveva, e quindi una interdipendenza molto più forte anche tecnicamente che nella trasposizione di aree molto ampie che prendono dentro tante funzioni di tipo diverso, probabilmente questa funzione si fa fatica ad esercitare. A meno che non troviamo quattro o cinque onniscienti che riescono a coprire una quantità di competenze specifiche molto alte. Se è vera questa osservazione, vuol dire che i direttori generali saranno più manager di gestione ampia su molte più funzioni. Questo essere manager molto più ampi senza competenze tecniche specifiche di risposta, non rischia di mettere un po’ in difficoltà il rapporto con la politica? La domanda è: i super manager non rischiano poi più di oggi di essere quasi dei politici di seconda fascia? Nel senso che per la volontà che la politica si riappropri del proprio ruolo, non vorrei che questa cosa si potesse tradurre in una cosa dove alla fine le capacità di sintesi di aree così ampie possano poi trovare qualche difficoltà in più, che probabilmente a questa domanda voi avete dato una risposta per proporre questo tema, ma a me oggettivamente sfuggiva.

     

    Presidente POMPIGNOLI.

    Grazie, consigliere Sabattini. Non ci sono altre domande… prego, consigliere Caliandro.

     

    Consigliere Stefano CALIANDRO

    Il mio vuole essere un ringraziamento, perché visto che il dibattito è stato molto lungo per il lavoro fatto da questo gruppo di studiosi, rispetto a quello che è lo stato amministrativo e organizzativo del nostro ente, che credo abbia testimoniato delle capacità amministrative nel corso del tempo che hanno dato dei risultati in questa Regione che è tra i primi land d’Europa. Continua ad esserlo grazie a questa gestione amministrativa. Il mandato politico per noi è entusiasmante rispetto anche al fatto che abbiamo la capacità – ma questo non compete a me dirlo, lo ha già detto la Giunta – con la riforma che si è applicata proprio in questi giorni rispetto alla riorganizzazione interna, e ha attestato la capacità di sapersi sempre modificare e plasmare alle nuove esigenze.

    Rispetto invece al dibattito, che pure ho apprezzato per l’opportuna ricercatezza che il consigliere Bignami ha voluto dare ad alcuni temi della copiosa relazione che ci è stata succintamente espressa e rappresentata dal professor Vassallo, devo dire che il fatto che anche le figure apicali possano invecchiare è un dato fisiologico in tutti i settori. Pensate per esempio che noi ce l’abbiamo talmente presente come Partito democratico, che abbiamo messo come leader un quarantenne invece che rivolgerci ai settantenni. Ce l’abbiamo così ben presente questo problema, che anche nei momenti democratici sappiamo evolverci.

    Detto questo, credo che l’analisi sia approfondita, abbia offerto secondo me degli spunti di riflessione sui quali dobbiamo tutti quanti interrogarci, tenendo presente che chiaramente le valutazioni politiche sono nel corso del tempo sempre in costante evoluzione, ma che le strutture possono essere a matrice o di chiara forma piramidale. In questo caso, la nostra Regione ha scelto di rivolgersi allo strumento piramidale superando la matrice, altro strumento organizzativo che ha dato risultati che non sono stati in alcun modo sconfessati, perché chi ha avuto modo di leggersi il provvedimento, ha visto che è stato dato atto,  contrariamente a quello che diceva il mio amico ma avversario politico Galeazzo Bignami, dell’attività svolta anche dalla precedente Amministrazione, la cui valutazione è sotto gli occhi di tutti, perché si tratta di una Regione che ha delle capacità performanti per il lavoro dei dipendenti e per la qualità dei propri dirigenti che sono agli onori della cronaca, permettetemi la battuta, che hanno superato anche il test della magistratura egregiamente.

     

    Presidente POMPIGNOLI

    Cedo adesso la parola al professor Vassallo e ai suoi colleghi per rispondere a tutte le domande.

     

    Professor VASSALLO

    Io proverò rapidamente a toccare quasi tutti i punti che sono stati sollevati e poi chiederò se ci sono altri che vogliono intervenire. Sicuramente il professor Padovani potrà rispondere meglio di me ad una serie di quesiti che riguardano in particolare il controllo di gestione, il controllo strategico, gli indicatori e così via.

    Lasciatemi fare solo una breve premessa e un sincero ringraziamento per la vostra disponibilità a discuterne e anche per l’apprezzamento che ho potuto rilevare bipartisan sul lavoro svolto. Una sola precisazione. Ringrazio in particolare il consigliere Bignami per la lettura molto attenta e le osservazioni puntuali a cui cercherò di rispondere. Per quanto possa riguardare il nostro lavoro rispetto al quesito, che lui ha detto politico, quello che io posso assicurare è che questo lavoro è stato fatto certamente sulla spinta di una curiosità scientifica, certo anche di una passione civile, quindi ciascuno di noi potrebbe averci messo anche involontariamente dei suoi pregiudizi. Ma quello che posso assicurare con totale serenità e certezza è la completa indipendenza con cui il gruppo di lavoro ha svolto l’analisi e ha elaborato il rapporto. Naturalmente la Presidenza della Giunta ha visto una versione preliminare, questo penso di poterlo dire, prima che fosse formalmente trasmessa, ma non ha interferito neanche in una virgola sul suo contenuto, la cui responsabilità è esclusivamente riferibile al gruppo di lavoro che ha cercato di produrre una cosa corrispondente a quello che abbiamo visto e che ci è sembrato sensato raccontare.

    Proprio per mantenere rigorosamente questa distinzione tra il lavoro che noi abbiamo provato a svolgere, e che continueremo a svolgere, se sarà ritenuto interessante, se troveremo anche delle occasioni per svilupparlo, confidiamo di sì anche a maggior ragione dopo l’audizione che ci avete concesso, noi non svolgeremo funzioni di supporto attuativo perché quelle sono funzioni dell’Amministrazione, degli organi decisionali della Giunta, dello staff del Presidente e così via, nelle quali è opportuno che in alcun modo noi non entriamo.

    Vengo quindi rapidamente ai punti. L’età dei dirigenti è un fatto necessariamente negativo? Sembrerebbe non un indicatore positivo il fatto che non ci sia nessun dirigente che abbia meno di quarantasei anni. Non semplicemente perché indica la prolungata permanenza negli stessi ruoli, ma perché noi sappiamo benissimo che in tutte le organizzazioni ci sono innovazioni che si possono fare, praticare anche sulla base di intuizioni, expertise, abilità, sensibilità che nel corso del tempo le persone maturano anche per ragioni legate alla loro età. Non è detto che ci debbano essere solo persone giovani, ma certo questo è un problema strutturale del nostro paese, ed è stato abbastanza impressionante rilevarlo in quella misura in un’Amministrazione che invece è sempre stata molto dinamica.

    Ho da fare una precisazione riguardo alla questione dell’importanza, che può avere la continuità politico amministrativa, semplicemente per riferire che quella parte introduttiva riproduce in forma sintetica i risultati di un’altra ricerca che è citata nel rapporto, una ricerca molto lunga che io ho coordinato per diversi anni sulla performance istituzionale delle Regioni italiane, nella quale abbiamo mostrato con dati e analisi statistiche che c’è un’elevata correlazione tra rendimento e tre fattori. Due dei quali sono noti nella letteratura scientifica, cioè c’è una elevata correlazione tra indicatori di capitale sociale delle Regioni e le prestazioni amministrative delle Regioni intese come istituzioni, c’è un’ovvia correlazione tra il livello di sviluppo economico delle Regioni e il rendimento delle Regioni; noi abbiamo mostrato che però questi due fattori sono positivamente accompagnati dall’influenza della stabilità politica delle giunte. Probabilmente per il fatto che una Giunta, che è meno sottoposta al rischio di una sfida elettorale, ha meno il problema di prendere decisioni basate su esigenze contingenti. Questo naturalmente non vuol dire che è meglio non avere alternanza, anzi personalmente credo che l’alternanza sia uno dei fattori più positivi. Naturalmente in questo caso non intendo auspicare alternanze e comunque non entro in questa questione.

    Questo può avere avuto l’effetto di un trasferimento di funzioni politiche da parte di dirigenti amministrativi? Se posso dire qui più di quanto scriverei in un testo, pur sapendo che si tratta di un’audizione pubblica e quindi di materiale che rimane a verbale, sicuramente la dispersione delle funzioni di coordinamento tra diverse strutture amministrative, ciascuna organizzata secondo la logica delle canne d’organo che anche alcuni consiglieri hanno richiamato, a mio avviso tende ad impoverire la capacità dei dirigenti politici di esercitare un impulso all’effettivo coordinamento e controllo. Poi magari ci sono circostanze, periodi e persone che possono garantire il coordinamento anche in presenza di una struttura che tendenzialmente rende questo coordinamento più difficile, perché dipende anche dal modo in cui vengono esercitati i ruoli politici. Se c’è un presidente molto presente anche nella vita quotidiana dell’Amministrazione, che è in grado di stabilire un rapporto individuale diretto con ciascun direttore generale oltre che con ciascun assessore, ed è effettivamente presente, può darsi che questo attenui la debolezza della struttura di staff della Presidenza che dovrebbe assisterlo nello svolgere queste funzioni. Invece in presenza di figure diverse è certo che la funzione di indirizzo politico in assenza di sedi amministrative, nelle quali vengono concentrate le funzioni di indirizzo e coordinamento, si indebolisce.

    Noi non abbiamo elementi per dire se in alcuni casi concreti l’aggiramento, il rinvio dell’applicazione delle norme anticorruzione sul ricambio, sulla rotazione dei dirigenti siano state pensate per casi specifici, oppure se ci sono casi preoccupanti. Non ne abbiamo alcuna contezza, né naturalmente questo sarebbe stato l’obiettivo della nostra analisi. Ma quel genere di norme si fanno e devono essere praticate esattamente a prescindere dall’eventualità che ci siano casi concreti che si considerano problematici. Sono fatte esattamente per evitare che si debbano prendere delle decisioni ad hoc, solo dopo aver valutato che esistono casi concreti problematici. Quindi se la logica della legge è quella, il rinvio e l’aggiramento sembra contraddire la logica della legge che - adesso qui esprimo solo una mia personalissima opinione - è ragionevole.

    Non abbiamo considerato indicatori di output intesi come soddisfazione dei cittadini, perché noi abbiamo utilizzato i dati disponibili. Magari esistono indicatori, studi su soddisfazione dei cittadini in riferimento ad alcune politiche regionali, ma sarebbe stato un lavoro molto complicato sistematizzarle. Devo dire che non sono così convinto che per il tipo di valutazione di efficienza di strutture amministrative interne, questo genere di strumenti siano i più appropriati, perché la Regione intesa come strutturata in direzioni generali, in pochi casi offre direttamente servizi, se non per la componente sanità e servizi sociali che sta sviluppando per suo conto un sistema di misurazione delle performance che però riguardano le aziende sanitarie e non le strutture interne.

    Il consigliere Bignami ha posto un quesito riguardo il rapporto tra dirigenti e dipendenti, tra il numero di dirigenti e dipendenti, che può essere approfondito caso per caso. Nei casi che lui ha citato può essere facilmente spiegabile dalla natura delle funzioni svolte da ciascuna direzione generale. È chiaro che in una direzione generale che ha una forte componente di funzioni di staff molto qualificate, come la direzione affari istituzionali, è plausibile che ci siano più posizioni dirigenziali con uno staff piccolo o più posizioni di persone con qualifica dirigenziale ma collocati nel ruolo di staff rispetto a strutture come è, o diventerà a maggior ragione con il trasferimento di personale, l’agricoltura dove c’è una forte componente di attività amministrativa di linea.

    Il consigliere Bignami ha posto quesiti riguardo la tabella n. 1 - non so quanto tempo posso impiegare - io cerco di essere esaustivo nelle risposte, questo può darsi che mi porti via un po’ di tempo. La tabella n. 1 è stata fatta per svolgere una specie di esercizio che, da quello che siamo riusciti a capire, non è mai stato fatto. Abbiamo provato a simulare in maniera molto rudimentale per il tempo e le risorse a disposizione proprio un tentativo di capire quanto costano e quanto spendono - che sono due cose diverse - le direzioni generali, simulando un esercizio di analisi dei costi per centri di spesa - che naturalmente è una cosa molto più complicata e che noi non siamo in condizione di fare - anche se siamo abbastanza certi non sarebbe tanto complicato fare con i dati che sono già disponibili nel sistema Sap (di contabilità regionale). Quindi abbiamo considerato per ciascuna direzione il costo del lavoro, il costo delle sedi. Potrei essere analitico, spiegare dove li abbiamo presi, ma sono tutti dati che ci sono stati forniti da diverse strutture regionali. E poi quanto spendono, cioè quanta spesa pubblica regionale amministrano, al netto però delle spese sul fondo sanitario nazionale o per trasferimenti per funzioni delegate che di fatto non sono un indicatore di quanti soldi controllano e quindi quanta politica pubblica producono le direzioni generali, perché si tratta in larga misura di soldi che vanno ad altre strutture che le gestiscono per conto loro. Però è interessante quell’esercizio che abbiamo fatto, perché abbiamo toccato con mano uno dei problemi che qui qualcuno ha anche citato. Una certa difficoltà abbiamo incontrato alla trasmissione, alla costruzione di basi dati che danno un quadro complessivo di quello che capita in Regione, anche a causa della parcellizzazione per direzioni generali, per cui la direzione generale del bilancio non conosce, o non conosceva fino al 2014/2015, analiticamente i dati del costo del lavoro che stavano solo in capo alla direzione organizzazione. I dati analitici, cioè i data set grazie ai quali sono state fatte queste riaggregazioni per direzioni generali dei costi relativi alle sedi, sono solo in capo alla direzione bilancio ed in particolare al servizio patrimonio. Quindi per mettere insieme questa semplice tabellina che allinea dati relativi al costo del lavoro, alle spese pro quota delle direzioni generali, agli impegni di spesa, cioè della gestione al netto delle risorse affidate dal servizio sanitario nazionale, abbiamo dovuto noi prendere dati da tre direzioni generali diverse e da quattro servizi.

    Sul controllo di gestione non dico nulla, perché lascio poi la parola al professor Padovani. Vorrei solo segnalare l’importanza esemplificativa di questo semplice grafico e rispondere quindi ad un’altra delle domande fatte dal consigliere Bignami. Effettivamente noi ci siamo chiesti se abbiamo delle misure per capire quanto è stato intenso e rapido il processo di digitalizzazione. Ci hanno detto che abbiamo usato fino adesso due o tre indicatori. Anzi, produciamo un rapporto semestrale. Abbiamo scoperto che il rapporto semestrale consiste nella produzione di tre o quattro numeri per ciascuna direzione generale. Cioè la proporzione di atti che sono depositati presso il protocollo in forma cartacea ovvero in forma digitale, e qualora siano depositati in forma digitale, se hanno anche la firma digitale agganciata, in modo tale che possano essere archiviati in forma esclusivamente digitale e non ci sia bisogno di archiviarli anche sul formato cartaceo. Questo dato effettivamente veniva comunicato solo a ciascun dirigente per la sua direzione generale. Mentre la cosa più ovvia, per chi vuole capire come stanno andando le cose e anche incentivare processi di apprendimento da parte delle varie direzioni generali, è metterle in un’unica tabella possibilmente in serie storica. Non si tratta di fare cose straordinarie, però questo è il tipo di indicatori semplice, comprensibile, che misura un risultato e comparativo che non deve servire per stabilire quanto prende il direttore generale, perché se no va a finire che questi dati si preferisce tenerli riservati, ma deve far capire alle strutture dove sono arrivate, dove potrebbero arrivare, cosa possono migliorare.

    Così come per quanto riguarda invece la tabella spazi addetti, su cui pure il consigliere Bignami ha chiesto un chiarimento, per arrivare a questo quadro abbiamo dovuto fare un lavoro simile, mettere insieme dati provenienti da diverse strutture interne della Regione che pare non comunichino tra loro sui dati. La ragione per la quale inizialmente il piano di razionalizzazione degli spazi è stato fatto, non considerando il numero degli addetti, ma il numero delle postazioni rilevate, è per quanto ci è stato riferito perché il servizio patrimonio aveva a disposizione diretta sua i dati sugli spazi e sulle postazioni rilevate, ma avrebbe dovuto ottenere dalla direzione organizzazione i dati sugli addetti. Non era una cosa tecnicamente complicata, noi l’abbiamo fatto nel giro di qualche ora, visto che eravamo in contatto con tutte e due le strutture e stavamo chiedendo dati agli uni e agli altri.

    C’è un problema, su cui il consigliere Bignami mi ha chiesto un chiarimento, che riguarda la presenza di addetti nelle sedi fisiche della Regione che però non sono dipendenti regionali. Effettivamente in questo caso abbiamo constatato che non c’è un’informazione completa, immediata, perché anche ai fini della normativa sulla sicurezza nei posti di lavoro, le informazioni sono acquisite - da quello che abbiamo capito - non centralmente dal responsabile della sicurezza, ma da ciascun direttore generale. Quindi abbiamo chiesto a ciascuna direzione attraverso il responsabile della sicurezza di ottenere queste informazioni, ma sono arrivate in maniera frastagliata, forse incompleta, quindi abbiamo adottato un indicatore. A volte bisogna fare così: prendere quello che c’è. In questo caso, con il servizio informatico abbiamo identificato una misura che è appropriata, che pare appropriata, però anche considerando questa misura, i risultati sono quelli che abbiamo detto.

    La questione del coordinamento dei fondi comunitari sarebbe una questione da approfondire, so che siamo già molto in ritardo rispetto ai vostri tempi, quindi mi concentro soltanto su poche altre domande ed eventualmente, mentre parla Padovani, verifico se c’è qualcosa che mi sono perso. Lo dico rapidamente alla fine se sia sostenibile il riordino su quattro direzioni generali e qual è il tipo diverso di rapporto che rischia di prodursi tra assessori, direttori generali e responsabili di servizi. La nostra impressione è che questa sia un’operazione sostenibile: non è detto che esattamente le quattro scatole, che noi abbiamo identificato, siano le uniche possibili. Può darsi che anche una riflessione su quanto personale viene trasferito in alcuni settori a seguito del trasferimento di funzioni dalle province possa generare qualche aggiustamento a quella definizione delle quattro direzioni generali, ma è sostenibile soprattutto se si considera che questo può mettere capo ad una diversa definizione dei ruoli e dei rapporti tra assessori, direttori generali e capi servizio, perché è chiaro che questo potenzia o accresce la responsabilità dei direttori di servizio, potrebbe spingere a dare un senso alla figura dei cosiddetti responsabili dirigenti super come coordinatori di aree, che quindi diventano i naturali interlocutori dell’assessore in settori di politica pubblica più definiti. Il direttore generale certo non avrà tutte le competenze, ma questo potenziamento del ruolo e delle responsabilità dei direttori di servizio dovrebbe in un certo senso contemperare il fatto che non sarà sempre il direttore generale l’interlocutore unico che deve accentrare tutte le decisioni. Può darsi anche che questo metta un po’ più di ordine al rapporto tra gli assessorati e le strutture amministrative, perché è possibile che dentro ciascuna direzione ci siano due o tre assessori al massimo, che non ci siano assessori che hanno rapporti a scavalco con più direzioni generali. Mi pare difficile che il direttore generale assuma un ruolo politico più rilevante. Anzi, lo vedrei attenuato il suo ruolo politico, sia perché questo presuppone un rapporto diretto più intenso tra gli assessori e i responsabili di servizio, e proprio perché si tratterebbe di direttori generali che hanno il controllo su temi che riguardano più assessorati. Quindi dovrebbe avere un peso politico, per stare all’ipotesi evocata dal consigliere Bignami, più forte di due o tre assessori. E questo è anche nella pratica un po’ difficile da immaginare. Vi ringrazio e passo la parola al prof. Padovani.

     

    Professor Emanuele PADOVANI – Dipartimento di scienze aziendali

    Per quanto riguarda il controllo di gestione e il controllo strategico, secondo me la chiave di volta è quella che è stata espressa alla fine rispetto a tutti gli altri commenti. Il controllo di gestione se andiamo a leggerci quello che abbiamo fatto I documenti che provengono dal controllo di gestione e dalla valutazione dei dirigenti, ci accorgiamo che chi tecnicamente si occupa di questo tema, come nel caso del sottoscritto, non ci sono nella stragrande maggioranza indicatori che possono essere misurati. La misurabilità manca completamente. Il problema della soggettività verso l’oggettività. Cioè il rischio è che siano solamente soggetti che sulla base di percezioni valutino l’operato di persone, dei dirigenti e dei direttori.

    Per tornare all’ultimo intervento e anche la questione della balance call card che molto spesso è considerata una moda, poi nella fase pratica di applicazione ci si scontra con delle realtà molto pesanti. La balance call card è più utile probabilmente per Fca o grandi imprese. È una grande impresa? No, Regione Emilia-Romagna è una grande azienda, comunque. Si tratta però di bilanciare l’aspetto soggettivo con l’aspetto oggettivo ed è quello che avviene in molti enti. Come esempio prendo molti enti. Ci sono molti enti, Amministrazioni comunali che si sono già spostate in questa direzione da qualche anno a questa parte. In Regione ce ne sono alcuni che sono stati anche modello per il Dipartimento della funzione pubblica dal 2009 fino al 2011 per la sperimentazione dei sistemi di misurazione: leggi decreto Brunetta a suo tempo. Quindi si tratta semplicemente di bilanciare i due. Quindi assolutamente non svalutare la valutazione soggettiva del capo verso i sottoposti, perché questo vale a cascata non solamente per i direttori generali e i dirigenti, ma per tutto il personale. Ma mettere insieme a questo una valutazione oggettiva. È possibile misurarla oggettivamente? Sì. Sappiate che a livello Mef e Sose, che è la società degli studi di settore che ha fatto i famigerati fabbisogni standard - e anche lì c’è una diatriba: sono fabbisogni standard e non costi standard - ha pensato durante lo scorso anno di fare una rilevazione sistematica sulle Regioni, così come l’ha fatta per gli enti locali. In Corte dei conti - sono dentro la sezione autonomia come esperto esterno a Roma - stiamo già valutando l’ipotesi di introdurre una valutazione dell’efficienza sugli enti locali, perché i dati ci sono, sono disponibili. È una cosa diversa rispetto alla valutazione dei fabbisogni standard. E anche per le province. La stessa cosa la si può fare per le Regioni. Sono molte di meno e hanno tanti processi standardizzati amministrativi al loro interno. È ovvio che poi ci sono una serie di procedimenti, di processi di attività di output - se vogliamo entrare nei termini tecnici - difficilmente standardizzabili, ma una buona parte è standardizzabile. Ecco il benchmarking, il confronto, il paragone si può fare. Quando? Da domani. Quindi le cose sono fattibili, si tratta di mettersi in gioco.

    Il controllo di gestione non può esistere in assenza di controllo strategico: quindi partire dall’alto. Quindi se non si misurano gli impatti in termini di obiettivi, qualcosa di misurabile, io non riesco a misurare la performance strategica complessiva. Il problema della Regione è che non produce servizi direttamente, ma li fa fare a qualcun altro. Però ovviamente esplicita politiche. Quindi obiettivi di policy che poi devono essere tradotti in obiettivi concreti di che cosa fanno gli uffici amministrativi. Il problema che ha avuto l’Amministrazione comunale di Genova sui dirigenti di qualche tempo fa, c’è stato lo scandalo. Nel piano esecutivo di gestione, il Dup, cioè il documento di programmazione, il budget, erano individuati degli obiettivi tecnicamente a mio avviso assolutamente validi, perché dimostrabili; il problema è che non c’era con ogni probabilità un collegamento con le strategie. Quindi non si capiva se quei dirigenti stavano contribuendo affinché non ci fossero più inondazioni, pericoli mortali per i cittadini. Quindi una cosa è la responsabilità tecnica, un’altra è la responsabilità politica.

    Io opero come OIV in due Amministrazioni comunali e una Camera di commercio, Camere di commercio delle quali bisognerebbe rivalutare moltissimo il lavoro che è stato fatto di analisi comparata: loro ce l’hanno da dodici anni. L’unico set di enti - chiamiamoli locali italiani, anche se non è corretto chiamarli così - che hanno un sistema di misurazione comparata dell’efficienza degli atti amministrativi e dei tempi. Così come nelle università è stato possibile raggiungere la misurazione della qualità didattica e di ricerca, così si può fare anche all’interno di un’Amministrazione regionale. È più difficile però introdurre invece sistemi di feedback rispetto alla popolazione, cioè di analisi della percezione della popolazione di quanto fa la Regione. Può essere in effetti fuorviante. Però vedete come, se pensiamo a questa strumentazione anche di analisi delle policy, andiamo sul dibattito politico. Però espresso attraverso i numeri e non concezioni fumose, che però sono presenti anche nei documenti di valutazione dei dirigenti. Questo è chiaro. Io come OIV nei Comuni dove sono, cerco di stare molto lontano da dare io giudizi al personale.

    Sulla questione partecipate, perché c’è stato un piccolo passaggio anche su queste, la Corte dei conti, ma lo stesso MEF le vede solo ed esclusivamente finanziariamente, purtroppo. Tant’è vero che la lista, che a suo tempo il commissario spending review ha fatto, è una lista sulla base di un indicatore di uno dei nostri che abbiamo messo in tabella, che è il primo. È il ritorno sul capitale investito: è corretto? A nostro avviso, non è corretto in termini assoluti per le cose che sono state dette prima. È possibile misurare la performance in termini di efficienza e di capacità di offrire un servizio? Sì, anche per le società in house, perché per lo stesso motivo per cui un’attività interna può essere misurata, anche per una in house che fa attività interne, c’è la possibilità di misurare.

     

    Professor VASSALLO

    Volevo dire che non ho citato gli interventi dei consiglieri Boschini, Bertani e Sabattini perché in parte mi sembra di aver risposto ad alcune delle questioni poste, poi perché comunque ho preso nota di indicazioni molto utili per l’eventuale sviluppo del lavoro riguardo al rapporto tra semplificazione e digitalizzazione di cui ha parlato il consigliere Boschini, riguardo al telelavoro segnalato dal consigliere Bertani, e all’analisi da fare sull’efficienza dell’Unione dei Comuni. Il quesito sull’eventuale internalizzazione, se non ho capito male, di strutture come quella di Ervet è un’altra cosa che abbiamo presente e che, se dovesse andare avanti il lavoro sulle partecipate, dovremmo sicuramente approfondire.

    Così come riguardo al riordino delle funzioni - tenendo conto del trasferimento di competenza dalle Province - ho detto, ma quella è una cosa su cui presumo la Giunta stia riflettendo anche in ragione delle scelte che deve fare a breve sul ridisegno organizzativo.

    Detto questo, passerei solo per poche altre considerazioni al professor Piperata riguardo alle norme relative al riassetto delle partecipate.

     

    Professore Giuseppe PIPERATA – professore di diritto amministrativo presso l’Università IUAV di Venezia

    Anch’io desidero innanzitutto ringraziare la Commissione per averci invitato e la grande attenzione che è stata data al nostro lavoro. Solo due battute per riprendere alcune richieste di approfondimento fatte dai Consiglieri, in particolare tre punti.

    Il primo, perché è un lavoro 1.0 sul tema delle partecipate che è il tema che ho seguito in particolare. È un lavoro 1.0 perché il processo di riorganizzazione delle partecipate anche delle Regioni italiane è un fenomeno che non è nell’esclusiva sovranità delle Regioni. Sono delle variabili organizzative che dipendono dal legislatore statale. Pochi giorni fa le riviste specializzate e anche la stampa specializzata hanno dato notizia di uno schema di decreto legislativo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri sta per approvare, si parla di fine gennaio 2016 proprio per organizzare nuovamente tutta la questione delle società pubbliche. È evidente che lì troveremo dei nuovi criteri di riorganizzazione, nuovi paletti, nuovi obblighi anche. E quindi abbiamo pensato da questo punto di vista che si poteva già avviare una prima riflessione, sapendo che da lì a poco avremmo dovuto ritornare su questi temi.

    Secondo punto. Il consigliere Bignami giustamente indica la parte centrale della costruzione scientifica che noi abbiamo fatto, la selezione dei criteri. Perché tanta enfasi sull’efficienza? Anche qui, purtroppo, noi siamo stati molto condizionati dalla posizione che in alcuni casi il legislatore italiano ha assunto rispetto ad un fenomeno che caratterizza moltissimo il governo regionale e locale che è: il fenomeno delle organizzazioni in forma privata delle pubbliche amministrazioni. Qui non solo abbiamo una situazione un po’ paradossale. Fino a pochissimi anni fa era lo stesso legislatore che imponeva alle Regioni e agli enti locali di trasformare strutture pubbliche in strutture private. Pensate a quello che è successo con i trasporti, dove le aziende municipalizzate obbligatoriamente sono state trasformate in società per azioni. Ma spesso il legislatore italiano, forse influenzato da questa visione poco politica ma molto economicistica di spending review, ha preferito un approccio estremamente formale e meccanicistico ai processi di razionalizzazione. Basta sfogliare la legislazione in materia per vedere che spesso il legislatore ci dice – faccio un esempio – le società che per tre bilanci consecutivi hanno un passivo devono essere obbligatoriamente sciolte. Questo è un fattore che cozza moltissimo con quello che è il momento di valutazione politica che sempre accompagna queste operazioni. Non solo, ma c’è anche un momento di rigidità estrema della scelta legislativa statale. Faccio un esempio. Se non sbaglio, il consigliere Boschini citava l’esempio dei territori terremotati. Cosa succede se quei tre anni di passivo della società pubblica sono dovuti al fatto che il legislatore stesso ha chiesto di sospendere la riscossione per quei territori? Abbiamo mandato a livello economico che mi porta una passività e una negatività che fa scaturire delle conseguenze dal punto di vista giuridico, ma sappiamo benissimo che questo è dovuto a situazioni che oggettivamente non hanno a che fare per niente con il malfunzionamento della società pubblica. Quindi noi abbiamo cercato di ripresentare dei criteri che il legislatore impone. C’è poi ovviamente anche la scelta politica, ma a quel punto noi siamo stati rispettosissimi dell’Amministrazione regionale, perché abbiamo segnalato che in queste particolari decisioni è necessaria una valutazione da parte di un ente che è dotato di autonomia anche sui fini, e quindi è l’unico soggetto deputato a scegliere quelle che sono le società non indispensabili. L’unico criterio non meccanicistico, non formale, che il legislatore statale pone, implica un giudizio di non indispensabilità. E come facciamo a dare un giudizio di non indispensabilità in una Amministrazione come quella regionale, che è un’Amministrazione che non ha un obiettivo specifico? Non siamo l’Inps che sappiamo si occupa di pensione. Non siamo un’altra struttura amministrativa che ha una finalità specifica, stiamo parlando dell’ente regionale che può avere enne finalità.

    Infine il terzo punto, anche qui richiamo un passaggio dell’intervento del consigliere Bignami, quando dice perché no anche inserire il criterio della customer satisfaction. In effetti è molto interessante, ma noi abbiamo pensato di non tenerlo in questa fase, non prenderlo in considerazione non solo per alcune difficoltà applicative. Faccio un esempio. Alcune società della Regione, che abbiamo mappato, sono società strumentali, quindi lavorano per la Regione. Altre sono società che invece lavorano con una utenza. La customer satisfaction io la posso fare rispetto all’utenza, ma avrei difficoltà a farla per le società regionali che invece lavorano per la Regione. Ma c’è un altro dato di difficoltà. A chi chiedo la soddisfazione? O meglio, qual è la soddisfazione? Quella che ha percepito l’ente Regione come socio di riferimento della società o quella che ha percepito la società stessa dialogando con i destinatari della sua azione? Ma poi alla fine abbiamo pensato di non recuperare in questo momento questo criterio, perché quello schema di decreto legislativo di cui parlavamo prima, - cioè attuativo della legge Madia proprio in materia di società partecipate - recupera il criterio della soddisfazione dell’utenza, e quindi abbiamo aspettato un attimo per vedere - anche dal punto di vista legislativo - quali saranno le scelte fatte a livello di disciplina generale.

     

    Presidente POMPIGNOLI.

    Bene. Prego, consigliere Bignami.

     

    Consigliere BIGNAMI

    Ringrazio evidentemente i professori per le risposte, poi anche per come è costruito lo studio, avremo, abusando della loro disponibilità e cortesia, spero altre occasioni di confronto: rimangono due o tre temi, uno sulle agenzie, uno sulla sede unica e uno su un’operazione di benchmarking che dovrebbe essere introdotto.

    Una domanda specifica invece mi permetto di rivolgere al professor Padovani rispetto alla risposta: trovo molto corretto il criterio della valutazione che - come illustrava bene il collega Sabattini - genera anche una difficoltà nell’individuazione dei rapporti soggettivi. Forse ho fatto un allungo, nel senso che in quello che ho detto, do per acquisito il fatto che il nodo cruciale per l’efficacia dei processi valutativi interni è determinato da quella che io chiamo relazione delle strutture.

    Non so se nella sua esperienza ha avuto ruoli di amministrazione attiva, il problema grosso - quando sei dentro le strutture pubbliche - è banalmente che la persona che valuti, la incontri; adesso capisco che può essere una banalizzazione, ma siamo comunque persone, quindi dobbiamo considerarle queste componenti umane prima di ogni altro tipo: li incontri in ascensore, li incontri a prendere il caffè, gli devi chiedere lo svolgimento della pratica, gli devi dare riscontro e ti relazioni quotidianamente con loro. Il ragionamento su cui mi inserisco nella sintonia espressa, lo do per acquisito, la domanda che ponevo: Lei dice che c’è la possibilità, però quali? Quando Lei dice che c’è la possibilità di introdurre criteri oggettivi, o anche misti, però temo non per una questione di coraggio, non per una questione di cattiveria - perché è ben detto nello studio - non si sta a decidere se dobbiamo dare di più o di meno. Il problema è che, se tu dai un giudizio pari a zero a un tuo collaboratore, non puoi pensare che lui dica: mi ha dato zero, devo impegnarmi di più.

    È per questo che credo che la sottrazione dell’applicazione dei criteri soggettivi e l’introduzione di criteri oggettivi possa essere necessario più ancora che opportuno. Lei dice: si possono introdurre. Ora non le chiedo quali, ma esistono dei casi in cui sono già stati applicati? Questa domanda era un po’ quello che postulava la mia richiesta di chiarimento su quelle operazioni comparative svolte con altre Regioni; perché, se le altre Regioni- con cui noi invochiamo una comparazione - offrono gli stessi criteri soggettivi, abbiamo sì delle comparazioni ma sono sistemi fallati ugualmente. Se sono adattabili dei criteri oggettivi, se vi sono esperienze dove ciò è stato svolto, non le chiedo tanto quali, ma se mi può indicare quali sono i modelli da approfondire e con che esiti.

     

    Professor PADOVANI

    Faccio un esempio di un indicatore che non è un indicatore, e mi riferisco ad un’Amministrazione comunale, così è più semplice per tutti: migliorare la viabilità. Migliorare la viabilità non è un indicatore, quindi quando arrivo al termine dell’anno, per dire se miglioro la viabilità o meno, chi me lo dice? Me lo dice l’utenza. Posto che ha un costo l’informazione che prendo dall’utenza, questo generalmente non ce l’ho: arriva un nucleo di valutazione, fa un colloquio con il dirigente ed emette un giudizio sulla base del convincimento che gli è stato dato dal dirigente. Questo era quello che accadeva in un’Amministrazione, nella quale sono io come OIV, e ovviamente a me non stava bene, perché non è questo il modo di misurare la capacità di un dirigente.

    Ad un certo punto, abbiamo scisso quella che è la misurazione oggettiva da quella che è la misurazione soggettiva. La misurazione oggettiva. Mi devi dire cosa intendi per migliorare la viabilità. Può essere un miglioramento relativo alla costruzione di un certo numero di chilometri di marciapiede, oppure effettuare un certo numero di controlli da parte della polizia locale: e già vediamo che sono due cose molto diverse. Questo pone un’oggettività dell’obiettivo.

    La parte soggettiva però non viene a mancare. La parte soggettiva non può essere la domanda: fai bene il tuo lavoro? No, quindi soggettivo. Devo sapere se è collaborativo, se è una persona che sa stare con i propri colleghi, se è collaborativo con gli altri settori. Chi lo giudica? Anche lì non il nucleo di valutazione e nemmeno un organismo indipendente di valutazione. Chi lo giudica secondo voi? Gli altri colleghi, l’Amministrazione, se siamo in un Comune la Giunta, quindi il Sindaco probabilmente peserà un po’ di più su tutti i componenti di Giunta, e soprattutto chi sta sotto. Noi abbiamo messo insieme questi elementi, chi sta sotto le posizioni organizzative per intenderci, non proprio tutto il personale. Quindi il 50 % se costruisco un chilometro di marciapiede, 50 % le valutazioni ponderate da parte dei soggetti che sono valutazioni soggettive.

    Cosa salta fuori? Che una volta che abbiamo stabilito quello che è il metodo di valutazione, questi due metodi viaggiano a sé. Il primo metodo sarà la Giunta che determina il livello del numero dei chilometri di marciapiede da costruire. E se li costruisco o non li costruisco è un dato di fatto. Il secondo elemento sarà tutta una serie di altre persone che valutano il comportamento del dirigente, e se l’Amministrazione trova una coerenza in questo sistema. Questo è un sistema chiuso, non c’è nessuno, non c’è una guerra di nessuno nei confronti di nessuno. Semmai, nella parte soggettiva, che è una parte soggettiva democratica, c’è l’espressione di una capacità o non capacità o media capacità nei confronti di un dirigente.

    Questo ci ha concesso in due anni di lavoro in un Comune di medie dimensioni, quindi figuriamoci in un’Amministrazione più grande, probabilmente ci sarebbe più tempo, alla fine di fare davvero una differenza di valutazione fra i dirigenti, perché il dirigente che creava sempre dei problemi è stato scovato. Questo è un sistema che mantiene la soggettività, ma la rende “oggettiva”. In più, inserisce degli elementi oggettivi.

    L’elemento oggettivo in Regione: purtroppo non costruite chilometri di marciapiedi, però fate degli atti amministrativi, ci sono degli ambiti di attività che sono uguali: si tratta di misurarli. Quindi questa è la misurazione che rende possibile il confronto tra la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Veneto e anche la Calabria. Quello che non è possibile, è fare comparazioni rispetto alle valutazioni dei dirigenti. Questo no, perché derivano dalla capacità di raggiungimento degli obiettivi. Quindi sono due elementi concettualmente diversi. Tant’è vero che, se ci pensate, nella prima c’è una responsabilità della Giunta che stabilisce gli obiettivi dei dirigenti apicali, e un modello di valutazione interno sul comportamento organizzativo, in modo tale da mettere insieme capra e cavoli. Però non è la valutazione dei dirigenti che mi serve, perché se tutti i dirigenti della Lombardia prendono A, tutti i dirigenti della Calabria pigliano A, tutti i vostri dirigenti prendo A, nel vostro sistema di valutazione tutte e tre le Regioni sono uguali. Però quello non è, e non può essere, il metro di comparazione, anche perché la traduzione fra raggiungimento degli obiettivi oggettivi e soggettivi, e la valutazione del dirigente nel caso che ho in testa, è una traduzione che fa poi la Giunta, di cui si assume la piena responsabilità. Quindi se vuole dare tutti A, però sotto la valutazione che ha fatto il nucleo di valutazione OIV, è una valutazione che fa vedere che ci sono differenze.

     

    Professor VASSALLO

    Posso essere molto telegrafico sul punto. Il primo è la comparazione tra Regioni.

    Il problema, a mia conoscenza, è stato posto nella sede nella quale tecnicamente sarebbe possibile mettere a punto dei sistemi di valutazione comparativa, che è la Conferenza delle Regioni, e per quel che so è stata fatta la scelta deliberata di non procedere in questo senso. Ma lo stesso dato di fatto che a un certo punto il quesito sia stato posto, lascia intendere che non sarebbe impossibile. Sono abbastanza convinto che non sarebbe impossibile, soprattutto se si trovano degli indicatori semplici e rappresentativi. E la cosa che vorrei segnalare, è che ci sono molti più dati utili già disponibili teoricamente per fare analisi di questo tipo, di quanto non si immagini, perché pensate al sistema sanitario. Noi abbiamo un dato, che peraltro viene usato nel caso del sistema sanitario: è quanta gente si sposta da una regione all’altra per farsi curare. Non c’è bisogno di fare un sondaggio, c’è un dato già codificato presente che può dare una misura dell’efficienza comparativa di diverse Regioni. E questo si può fare in tanti settori, anche interni. Pensate a settori nei quali ci sono pratiche amministrative standard. Non è mica difficile sapere quante pratiche si fanno con quanto personale, impiegando quante risorse in termini di costo del lavoro, strutture, tra quindici Regioni che più o meno fanno la stessa cosa.

    Il secondo punto. Sulle agenzie effettivamente noi non abbiamo acquisito dati, perché è complicato, perché già fare queste aggregazioni qui o quelle della tabella 1, ci ha costretto ad interagire con diverse direzioni amministrative. In particolare in questo caso, le agenzie non potevano essere considerate, perché ci sono agenzie che sono in sedi proprie ma hanno personale della Regione, che stanno in sedi della Regione ma hanno personale proprio, e quindi i dati non sono tutti uguali e tutti accessibili attraverso un’unica fonte.

    Ultima questione, sede unica. L’argomento che esponiamo è molto semplice, se volete proprio addirittura banale. Però c’è una norma che dice che è razionale prevedere che il rapporto tra spazio e addetti sia 20 o 25 metri quadrati per addetto in vecchi edifici, e sia 12 o 20 metri quadrati per addetto in nuovi edifici o edifici che possono essere facilmente rimodulati. Il caso degli edifici nei quali noi siamo, qui, è quello di edifici non nuovissimi ma fatti apposta per essere rimodulati. Ora o questo parametro è completamente sbagliato, e allora va ridiscusso, bisogna spiegare a chi ha fatto la legge o il decreto attuativo che ha messo dei dati insostenibili. Oppure, se lo si prende sul serio, gli stessi dati che ha a disposizione oggi la Regione Emilia-Romagna nelle sue diverse articolazioni, dicono che sarebbe plausibile che tutti gli addetti della Regione Emilia-Romagna intesa come Amministrazione, che svolgono la loro attività nella città di Bologna, stanno dentro gli spazi delle strutture che hanno sede nel Fiera district. Perché il numero totale degli addetti, avendo calcolato per eccesso sulla base di quell’indicatore gli addetti esterni fa 2.196 più 409, e le postazioni di lavoro rilevate dalla stessa Amministrazione regionale nel Fiera district fa 2.559, senza considerare che mettendo insieme i dipendenti e gli addetti stimati sovramisura, il rapporto tra addetti e spazio nel complesso del fiera district fa trenta, dove se la norma relativa alla spending review ha senso, dovrebbero essere 12 o 20.

    Banalmente da questi dati deriva la nostra considerazione conclusiva. Può darsi che abbiamo fatto degli errori macroscopici nell’aggregazione dei dati? Dubito. Siamo stati abbastanza accurati nel rimettere insieme i dati che abbiamo ricevuto esclusivamente da diversi settori, che non si erano mai incrociati, dell’Amministrazione regionale? Oppure che la norma sottostante sia irragionevole? Però se la norma sottostante non è irragionevole e questi dati non hanno errori macroscopici, ci sono ampi margini per puntare a mettere tutti i dipendenti nella sede del Fiera district.

     

    Presidente POMPIGNOLI

    Direi che sono state chiarite tutte le varie domande, quindi dichiaro conclusa la seduta della Commissione. Ringrazio ancora il professor Vassallo e i suoi colleghi.

     

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