Espandi Indice
Legislatura X - Commissione IV - Resoconto del 14/10/2016 antimeridiano

    Resoconto integrale n. 34

    Seduta del 14 ottobre 2016

     

    Il giorno 14 ottobre 2016 alle ore 10,00 è convocata in udienza conoscitiva, con nota prot. n. AL.2016.46519 del 10/10/2016, presso la sede dell’Assemblea legislativa in Bologna Viale A. Moro n. 50, la Commissione Politiche per la Salute e Politiche sociali.

     

    Partecipano alla seduta i consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    ZOFFOLI Paolo

    Presidente

    Partito Democratico

    5

    presente

    CARDINALI Alessandro

    Vicepresidente

    Partito Democratico

    4

    presente

    SENSOLI Raffaella

    Vicepresidente

    Movimento 5 Stelle

    2

    presente

    ALLEVA Piergiovanni

    Componente

    L’Altra Emilia Romagna

    1

    presente

    BAGNARI Mirco

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    BERTANI Andrea

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    BIGNAMI Galeazzo

    Componente

    Forza Italia

    2

    assente

    BOSCHINI Giuseppe

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    CALIANDRO Stefano

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    CALVANO Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    CAMPEDELLI Enrico

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    DELMONTE Gabriele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    2

    presente

    FABBRI Alan

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    2

    assente

    FOTI Tommaso

    Componente

    Fratelli d’Italia Alleanza Nazionale

    1

    assente

    GIBERTONI Giulia

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    MARCHETTI Daniele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    5

    presente

    MARCHETTI Francesca

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    MORI Roberta

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    PARUOLO Giuseppe

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    SASSI Gian Luca

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    assente

    SERRI Luciana

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    SONCINI Ottavia

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    TARASCONI Katia

    Componente

    Partito Democratico

    1

    presente

    TARUFFI Igor

    Componente

    Sinistra Ecologia libertà

    2

    presente

    ZAPPATERRA Marcella

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

     

     

    È altresì presente la Vicepresidente Assessore alle Politiche di welfare e politiche abitative Elisabetta GUALMINI

     

    Presiede la seduta: Paolo ZOFFOLI

    Assiste la segretaria: Nicoletta Tartari

     


    UDIENZA CONOSCITIVA

     

    Esame abbinato degli oggetti:

     

    3023 - Progetto di legge d'iniziativa Consiglieri recante: "Misure di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito". (28 07 16)

    A firma dei Consiglieri: Taruffi, Caliandro, Torri, Calvano, Marchetti Francesca, Prodi, Mori, Mumolo, Rossi Nadia, Lori, Iotti, Poli, Serri, Ravaioli, Campedelli, Bagnari, Sabattini, Zoffoli

    TESTO BASE

     

    680 - Progetto di legge d'iniziativa Consiglieri recante: "Misure regionali denominate Reddito di cittadinanza". (28 05 15)

    A firma dei Consiglieri: Gibertoni, Bertani, Piccinini, Sassi, Sensoli

     

    (Relatore consigliere Stefano Caliandro; relatrice di minoranza consigliera Giulia Gibertoni)

     

    Partecipano:

     

    Federico Alessandro Amico - Portavoce Forum Terzo Settore Emilia-Romagna

    Marina Balestrieri - Segretario confederale CGIL Emilia-Romagna

    Alberto Bellelli - Sindaco Comune Carpi – ANCI Coordinamento Welfare

    Chiara Bertolasi - Portavoce Forum Terzo Settore Ferrara

    Daniela Bortolotti - SPI-CGIL Emilia-Romagna

    Riccardo Breveglieri - Direttore Forum Terzo Settore Emilia-Romagna

    Stefano Casanova - Capo servizio Area disabili, adulti, anziani - Unione Romagna Faentina

    Edgarda Degli Esposti - Presidente Consulta contro l’esclusione sociale Bologna

    Antonella Di Pietro - Dipendente AUSER

    Raul Duranti - ANCI regionale

    Giancarlo Funaioli - Presidente VOLABO – Centro servizi per il volontariato

    Roberta Ibattici - Assessore servizi sociali Comune Albinea

    Sergio Maccagnani - Sindaco Comune Pieve di Cento

    Maurizia Martinelli - CISL Emilia-Romagna

    Massimo Masetti - Assessore Comune Sasso Marconi

    Martina Masi – Campagna Come minimo un reddito

    Luisa Mestola - Assessore servizi sociali Comune San Felice sul Panaro

    Carmelo Massari - Dirigente sindacale UIL

    Luigia Massimo - Referente regionale UECOOP Emilia-Romagna

    Luigi Pasquali - Funzionario AUSER Bologna

    Lucia Pieratelli - Presidente regionale ANCESCAO

    Walter Raspa - Segretario ACLI Emilia-Romagna

    Venier Rossi - Responsabile regionale ANAP – CONFARTIGIANATO Emilia-Romagna

    Christian Ruiu - Segretario regionale UIL FPL

    Giuliana Sabattini - Assessore Comune Molinella

    Alessandro Tortelli - Presidente Associazione Amici di Piazza Grande

    Loris Vergolini - Ricercatore Istituto FBK-IRVAPP Trento

    Filiberto Zecchini - CISL Emilia-Romagna

     

    DEREGISTRAZIONE INTEGRALE CON CORREZIONI APPORTATE AL FINE DELLA MERA COMPRENSIONE DEL TESTO.

     

    Presidente ZOFFOLI

    Diamo inizio ai lavori di questa Commissione Politiche per la salute e politiche sociali che è stata convocata in udienza conoscitiva per l’esame abbinato dei due oggetti n. 3023, il cui primo firmatario è il consigliere Taruffi, poi c’è l’altro testo n. 680 che ha come prima firmataria la consigliera Gibertoni. Ho qui al tavolo con me il relatore di maggioranza, il consigliere Stefano Caliandro e la vicepresidente Gualmini; la consigliera Gibertoni ha detto che stava arrivando, appena arriva le daremo la parola.

    A questo punto, lascio la parola al consigliere Stefano Caliandro, relatore della legge n. 3023.

     

    Consigliere relatore CALIANDRO

    Grazie Presidente. Il tema del quale noi questa mattina discuteremo e vogliamo confrontare con voi, la nostra proposta che ha come primo firmatario il consigliere Igor Taruffi (che, insieme a me, ha spinto molto perché ci fosse questa discussione e ha avuto dal confronto tra l’Assemblea legislativa e la vicepresidente Gualmini un confronto costante per identificare quali dovessero essere le priorità per un tema così importante), nasce da una prima grande consapevolezza: l’Italia insieme alla Grecia è l’unico Paese in Europa che ancora non si è dotato di una legislazione complessiva sul tema della lotta alle povertà. Vale a dire che rispetto a questa problematica le difficoltà che abbiamo riscontrato sia nell’analisi che nelle proposte che hanno portato a questa discussione, sono essenzialmente legate ad alcuni aspetti che sono caratteristici del nostro Paese. Ho molto apprezzato l’impegno, la dedizione con la quale Caritas ha elaborato il proprio report relativo alla povertà nel nostro Paese. Nel dato diffuso, che corrisponde anche a quelle che sono state le nostre verifiche fatte sullo stato di povertà del Paese Italia e della nostra regione, emergono dei dati assai allarmanti. Un primo dato è che nel 2007, quando possiamo in maniera apocrifa stabilire che inizia la crisi con il suo stato di difficoltà maggiore, le persone indigenti, quelle che vivevano nello stato di povertà assoluta, erano 1,8 milioni; oggi quel dato è aumentato esponenzialmente al punto che siamo arrivati a 4,6 milioni impegnando oltre un milione e mezzo di famiglie. Si tratta di un dato attorno al quale abbiamo il dovere di confrontarci, e la richiesta di confronto non nasce soltanto da un impegno civico o da un impegno di rappresentanza, che pure abbiamo il dovere di dare, ma soprattutto per cercare di identificare il concetto di povertà non in uno stato passivo, non in uno stato definitivo, ma in un ruolo e in una determinazione che permetta alle persone di uscire dal proprio stato di disagio sociale rispetto alla propria fragilità. Credo infatti che il legislatore, noi come Consiglieri regionali, come proponenti abbiamo dovuto confrontarci con questo e penso anche alle riflessioni fatte con il consigliere Taruffi su questo aspetto, sono essenzialmente figlie di un dibattito che va oltre la dichiarazione del problema. Io credo che il punto centrale e nodale con il quale noi cerchiamo di illustrare la ratio legis che porta questo legislatore regionale a fare questa proposta, sia nella necessità di un allineamento normativo. C’è un vuoto con il quale il Governo nazionale e i Governi regionali devono confrontarsi, e sotto questo punto di vista sento di poter dire con una schiettezza che di solito non appartiene alla politica, che il tema dell’allineamento normativo, quello della creazione di un’unica task force di interventi legislativi sia l’unico modo in cui noi possiamo combattere le fragilità, perché la definizione di povertà non è qualcosa di scalfito e di inesorabile, è un processo di denigrazione, un processo di svilimento degli individui che li rende meno cittadini e questo renderli meno cittadini rende ancora maggiore la sconfitta di chi si occupa di rappresentanza civica, di rappresentanza istituzionale. Da qui la scommessa: io apprezzo moltissimo l’idea che ci sia, nel nostro modo di vedere le cose, la consapevolezza che nel corso degli anni si è creato un esercito di poveri inimmaginabile, e allo stesso tempo penso che l’impegno che il Governo ha preso, e del quale peraltro anche Caritas dà conto nel proprio rapporto – e Poletti lo ha detto in una recente dichiarazione – di arrivare ad un reddito di inclusione sociale dal 2017 è la testimonianza che l’iniziativa presa dalla Regione Emilia-Romagna è l’iniziativa corretta.

    Quello che ci viene chiesto dagli attori sociali fino ad oggi, è stato quello di creare una misura nazionale e una ricaduta territoriale e allora prima di entrare nei dettagli di questa normativa, forse corre l’obbligo di comprendere quali sono le difficoltà che oggi abbiamo per affrontare questo problema. Non vi è dubbio che l’allineamento normativo sia il problema di gestione, ma poi c’è un problema anche amministrativo. Fra poco mi concentrerò su quello che è il SIA, questo provvedimento con il quale noi ci accompagniamo anche nella nostra legge regionale. Il SIA ha un grande problema di fondo: parte come poco conosciuto, è per gli addetti ai lavori, probabilmente soltanto quelli che sono presenti in quest’aula sanno benissimo tutti i passaggi che stanno accompagnando, ma chi fa l’operatore sociale ha la piena consapevolezza che anche nella fase di sperimentazione che c’è stata in alcune città importanti, tra cui Bologna per esempio, c’è stato un dato del 2014 intorno al quale si è costruito un effetto tra domanda e offerta. Faccio queste premesse, perché sono necessarie a comprendere quanto complicato sia il percorso che stiamo avviando e quanto complicata sarà anche la fase attuativa del regolamento, che poi la Giunta dovrà mettere in campo, e soprattutto quanto complicato sarà il ruolo che come attori sociali dobbiamo mettere in campo. A Bologna, quando c’è stata la parte sperimentale di questo primo strumento di lotta alla povertà, sono state presentate, sulla base dei criteri, che elencherò tra breve, del SIA, 475 domande, delle quali ne sono state accettate soltanto 221, per una copertura di persone pari a 812. Sono dei numeri inquietanti, perché rappresentano un quarto del bisogno della città di Bologna, delle persone che si trovano in uno stato di povertà, e rappresentano quindi anche il monito intorno al quale i legislatori hanno il dovere di confrontarsi. Io penso che per esempio – e qui forse l’Emilia-Romagna potrebbe giocare un doppio ruolo sia con la legislazione regionale che con il ruolo che svolge il nostro Presidente nella Conferenza Stato-Regioni – ci sia la necessità di amalgamare una strumentazione legislativa che rischia di essere strabica. Lo strabismo legislativo crea dei vuoti che, se colpiscono le persone più deboli, colpiscono chi non è in grado di difendersi.

    Allora arriviamo al dunque: questa regione ha visto passare tra il 2009 e oggi le famiglie in stato di povertà assoluta dalle 44 mila del 2009 alle 70 mila odierne. Si tratta di un fenomeno che colpisce le persone nella loro integralità; penso, per esempio, al caso dell’adulto single che viene interpretato nel concetto di povertà assoluta: si tratta di una persona che mediamente ha un reddito mensile che si attesta intorno agli 800 euro e che chiaramente vive in uno stato di indigenza; o di una famiglia che ha a carico un solo figlio da zero a tre anni che ha un reddito di 1.200 euro. Sono dei dati intorno ai quali la prima riflessione che viene in mente è senza dubbio il concetto di solitudine. Esiste una solitudine di cui il legislatore ha il dovere di farsi carico, rispetto alla quale l’emarginazione sociale e la sofferenza portano un decadimento culturale oltre che alla mancanza di lavoro. Da questo punto di vista, trovo uno stimolo in una riflessione, che ho pensato di condividere questa mattina, in un intervento che Papa Francesco fece nel 2014 nell’incontro mondiale dei movimenti popolari, in cui disse: “Non esiste peggiore povertà materiale di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile, l’informalità, sono l’opzione sociale di un sistema economico che mette benefici al di sopra dell’uomo; se il beneficio economico è al di sopra dell’umanità, al di sopra dell’uomo, sono effetti di una cultura dello scarto che considera l’essere umano di per sé come un bene di consumo che si può usare e poi buttare”. Considerate che queste parole sono state dette senza la necessità di confrontarsi evidentemente con i dati statistici, con cui invece il legislatore deve confrontarsi, ma la tragedia di questa vicenda è che per esempio nella nostra regione le giovani famiglie con meno di trentacinque anni rappresentano il 31 per cento di chi vive in povertà assoluta, e quelle che hanno tra i trentacinque e i trentanove anni rappresentano il 42 per cento. Stiamo costruendo un esercito di poveri, non di poveri economicamente, di poveri di speranza; per questo motivo, io trovo di grande importanza l’utilizzo delle parole oltre che degli interventi economici. Il SIA è l’acronimo di “Sostegno per l’inclusione attiva”, mentre il RES, il nostro provvedimento che oggi presentiamo, è un reddito di solidarietà. Entrambi però hanno e decidono di avere un ruolo proattivo: un ruolo di intervento per cui non diamo un sostegno tout court, ma diamo alle persone la possibilità di uscire dal loro stato di fragilità. Sotto questo punto di vista - e torno sempre come se fosse una lettura condivisa, ma in realtà questa Regione ha una tradizione che veniva prima di questo mandato, che anche in questo mandato è stata rispettata - potremmo dire che il reddito di solidarietà ha un primo genitore forse anche della cultura che ha portato al SIA, ed è la nostra legge n. 14 del 2015, che ha introdotto nel nostro sistema di regole, nel nostro sistema legislativo un provvedimento che è l’inserimento lavorativo dell’inclusione sociale delle persone che sono in condizioni di fragilità e ha introdotto una dimensione lavorativa, sociale e sanitaria della quale bisogna farsi carico.

    In buona sostanza, noi oggi non parliamo soltanto di contributo economico, per quanto sia importante, ma parliamo di un vero e proprio strumento di welfare che si accompagna, e non è in concorrenza ma ha un ruolo additivo, alle altre forme di welfare che hanno caratterizzato questa conduzione amministrativa, e con il consigliere Taruffi non ci saremmo mai permessi di avviare questo percorso se avessimo pensato che questo strumento potesse essere in concorrenza per esempio con il fondo sulla non autosufficienza. Noi pensiamo invece che la cultura della dignità delle persone, la cultura del welfare debba essere una cultura a trecentosessanta gradi. Per questo motivo, il patto di attivazione sociale, l’inserimento lavorativo è il punto nevralgico del nostro intervento. Non v’è dubbio che la proposta che avanziamo qui oggi sia una proposta che ha una forte matrice di sinistra, perché noi pensiamo ad un provvedimento universalistico, pensiamo ad un provvedimento che vada oltre anche i limiti che, in parte Anci e in parte altri attori che si occupano dei temi legati all’accesso, alla conoscenza e alla fruizione dei fondi, hanno ravvisato anche negli incontri che abbiamo avuto nella fase auditiva che ha preceduto questa consultiva, ovverosia siamo consapevoli che il sostegno di inclusione sociale così come è stato strutturato, è un imbuto strettissimo proprio perché presuppone due strumenti importanti: la conoscibilità, e sarete probabilmente anche voi a farci notare oggi che è scarsa; la possibilità di risposta alle problematiche. È vero, il Governo ha stanziato una cifra di grande importanza, ha stanziato oltre 780 milioni di euro per questo intervento, probabilmente come Caritas dice, servirebbero 2 miliardi di intervento, ma se non sbaglio nel provvedimento della prossima finanziaria sul reddito di inclusione sociale è previsto lo stanziamento di 1,2 miliardi, quindi è un processo di avvicinamento. Il vero punto forte di questo meccanismo, a nostro giudizio, sta nel progetto di attivazione sociale che si rivolge sia a chi vi accede, soprattutto si rivolge a noi comunità politica, a noi comunità sociale, perché i fondi che sono stati stanziati per il SIA sono dei fondi di grande importanza, non v’è dubbio, ma sono allo stesso tempo dei fondi che per l’Emilia-Romagna rappresenteranno 37 milioni di euro che rischiano però di non essere spesi tutti e che, di conseguenza, avendo fatto noi una scelta di intervento legislativo diverso, rischiano di ricadere integralmente sui costi della Regione Emilia-Romagna. Per questo, parlo di allineamento normativo, di necessità di creare all’interno di un dibattito che parte oggi e che vedrà l’approvazione della legge tra la fine di novembre e i primi di dicembre, un percorso che sappia integrare i sistemi legislativi nazionali e regionali. Il cortocircuito per esempio che c’è stato e che c’è in Friuli rispetto a questa modalità è legato al fatto che in Friuli sono partiti prima del provvedimento nazionale e non hanno potuto correggere il tiro, evidentemente dovranno correggerlo adesso. Anche la richiesta di accessi, di cui vi ho parlato, della fase sperimentale bolognese è la testimonianza del fatto che occorre ripensare un modello di welfare che è molto diverso da quello che era stato programmato originariamente. Passare da 1,8 milioni poveri a 4,5 milioni, significa anche rivedere come noi ci approcciamo a questo. Per questo credo, e questo lo dico con l’ottimismo della volontà, che i fondi stanziati per il PON (Programma operativo nazionale) sull’assunzione di personale da adibire ai nostri servizi sociali, che sono 487 milioni di euro, di cui 10 milioni poi saranno per la nostra Regione, sia uno strumento che possa essere d’aiuto ai nostri servizi sociali, quegli stessi servizi sociali che non devono conoscere da zero i poveri, purtroppo, ma che sono già in carico. C’è un problema evidentemente sia di risposta allo stato di crisi, sia amministrativo e di gestione dello stato di crisi. D’altro canto anche la strumentazione in corso di modifica dei centri per l’impiego, delle agenzie regionali, dello strumento con il quale si crea la lotta alla fragilità, è uno strumento che necessita un ripensamento generale. Per questo, l’intersettorialità anche del nostro provvedimento legislativo, che si dà una scheda tecnica attuativa che evidentemente dovrà essere monitorata dai lavori di Giunta, dai lavori di Consiglio, ma che si propone un’idea che interagisce rispetto al nostro funzionamento. Vado al punto: a mio giudizio il punto è chi può fare cose.

    Se è vero che il SIA, del quale auspico un miglioramento e che però sta dando delle risposte, necessita di una cittadinanza residente che è omogenea alla nostra proposta di legge, i ventiquattro mesi, e allo stesso tempo necessita di una composizione di un nucleo familiare che invece noi non abbiamo tenuto in carico, ci ha permesso però questa modalità, questo conteggio, questa modalità fatta dal SIA, di poter fare una proiezione di cui siamo grati alla Cgil regionale, perché ci ha dato dei dati con i quali cercare di confrontare in che cosa consiste, a chi ci rivolgiamo rispetto a questa problematica, tale per cui il riferimento che diamo nella nostra normativa, cioè Isee di 3 mila euro, che è esattamente identico al provvedimento nazionale, ci spiega a chi si rivolge questo provvedimento. Evidentemente sul nostro dovremmo fare delle integrazioni che con l’Assessorato cercheremo di affinare, ma questo primo nucleo di valutazione ci permette di dare questi dati. Il punto di riferimento è l’Isee sotto i 3 mila euro: nucleo composto da genitori con figlio maggiore disabile, due pensioni minime senza trattamenti di famiglia, per una capacità di guadagno di 13 mila euro all’anno (la pensione di invalidità e gli assegni di accompagnamento non rientrano nel calcolo Isee) e la casa di abitazione in affitto con un canone annuo di 3.600 euro. C’è un pezzo che stabilisce in virtù di cosa con il SIA tu riesci ad accedere a quello strumento. E ancora rientrano nel provvedimento al di sotto di questo, un nucleo composto da genitori con figlio maggiorenne disabile, solo un lavoro dipendente senza trattamenti di famiglia da 14 mila euro all’anno; pensione di invalidità e assegno di accompagnamento non rientrano nel calcolo Isee e la casa di abitazione viene sempre calcolata intorno ai 3.600 euro. È evidente che i numeri di cui vi ho parlato non sono di persone che abitano fuori porta San Mamolo, parliamo di persone che sono in grande difficoltà. Però parliamo anche di esempi e di persone che hanno una percezione della presenza sociale dell’intervento.

    Quello che presentiamo noi, il progetto universalistico di intervento vuole cercare di confrontarsi con un’aspettativa sociale ulteriore rispetto a questo, e il tema della composizione del nucleo, dei criteri e dei punteggi non è entrato a far parte della nostra proposta di legge: noi non abbiamo scelto di attribuire quell’imbuto che sta facendo riflettere anche il Governo nazionale, perché pensiamo – come abbiamo già fatto con la legge n. 14 e come pare di leggere dalle prime bozze di stesura del testo del reddito di inclusione sociale che viene proposto dal Governo, dal ministro Poletti – che la valutazione multidimensionale del bisogno, o meglio, della fragilità delle persone, sia lo strumento con il quale noi possiamo cercare di tenere insieme più cose. Le valutazioni che sono emerse nel corso di questa nostra prima verifica sono essenzialmente legate a comprendere chi nei prossimi anni sarà in grado anche di avere un ruolo attivo nella società. Non siamo sufficientemente ingenui da pensare che tutti possano essere in condizioni di uscire dallo stato di povertà. Ci sono delle situazioni oggettive rispetto alle quali nascondersi dietro un dito credo che non serva a nessuno. Come del resto anche fare dei ragionamenti e delle proposte che rischiano di non avere un sostegno economico e un margine di fattibilità sarebbe un atteggiamento di grave irresponsabilità rispetto alle persone fragili. Non crediamo infatti che la battaglia di civiltà che deve accompagnare questa stagione di riforme della nostra legislazione regionale, si debba accompagnare alla demagogia. Per questo motivo, abbiamo pensato di fare una proposta che, nella piena consapevolezza che le fasce di bisogno sono altissime, ha cercato di dare una sua differenziazione pensando che non esistono povertà di serie A e di serie B, ma esistono delle fasce intorno alle quali abbiamo una capacità di intervento. Quantomeno noi come legislatore regionale possiamo svolgere un ruolo di stimolo, ci impegniamo a svolgere un ruolo di stimolo, ma non possiamo permetterci certo di avere dei ruoli di individualismo o di piccolo cabotaggio politico. Il tema è molto più grande di noi, il tema è molto più importante di quello che rappresentiamo con le nostre individualità. Lo dico con una battuta “legislativa”: siamo in presenza di una legge regionale che si propone di essere una misura ponte tra il bisogno, le povertà e l’intervento legislativo complessivo nazionale, che ci permetterebbe di entrare a buon diritto, ma con un considerevole ritardo, tra gli Stati europei che sono già intervenuti da anni in tema di povertà. Questo strumento, questi requisiti, questa misura che proponiamo, sostanzialmente si rivolge anche ai nuclei unipersonali, ciò che è il grande punto di forza del nostro provvedimento, e propone anche un salto culturale. Io faccio mie le parole che l’arcivescovo Zuppi ha usato in un’intervista di quest’estate, perché penso che siano l’impegno con il quale gli attori del centrosinistra della Regione, anche della Giunta, hanno pensato di muoversi in una discussione come quella odierna. Il grande tema della solitudine e di come molte delle famiglie oggi siano composte da una sola persona, dice Zuppi, non si rivolge solo al concetto delle famiglie, ma riconosce anche il ruolo di famiglia unipersonale e invita la Chiesa a traguardare i propri confini e a ripensare il proprio rapporto con la città, le periferie, i luoghi della debolezza umana, il bisogno di protezione che ogni essere umano, in quanto tale, merita di ricevere, e di sigle di famiglia tradizionale intesa nei suoi tratti. Sono delle prese di posizione che non sono scontate da un’istituzione fondamentale nell’accoglienza degli ultimi, ma con la quale secondo me noi abbiamo il dovere di fare la nostra partita.

    Come funziona il SIA e come funziona il resto sono cose che sono state scritte, sulle quali abbiamo demandato a un intervento: possiamo dire che il ruolo importante dei nostri servizi sociali è quello di cercare di creare un network attraverso una piattaforma, che l’Inps ha il dovere di gestire, e attraverso la quale ci proponiamo di attingere sui bisogni delle persone una volta dal Fondo nazionale e una volta dal Fondo regionale, a seconda della possibilità di accesso. Le difficoltà che i servizi sociali quindi hanno nell’affrontare questo tema, sono la mancanza di assistenti sociali, di psicologi, di persone che possano fare front office e che possono dare, attraverso un nuovo ruolo che noi pensiamo di stimolare, le modalità di applicazione di questo. Lascio invece all’intervento magari della vicepresidente Gualmini rispetto a quello che sarà il regolamento in fieri che la Giunta ha intenzione di mettere in campo, ma ricordo che il ruolo che abbiamo attribuito al Consiglio regionale è quello di controllo di una Commissione apposita, che ogni anno verificherà lo stato di attuazione delle cose e cercherà di essere di stimolo rispetto a questo tema.

    In conclusione, quindi, il nostro è un provvedimento di solidarietà che si propone uno sviluppo collettivo, che vuole però traguardare dignità e libertà di ogni singolo individuo, così come la nostra tradizione amministrativa e di sinistra ci impone.

     

    Presidente ZOFFOLI

    Grazie consigliere Caliandro.

    Adesso la parola alla consigliera Gibertoni, relatrice di minoranza.

     

    Consigliera relatrice di minoranza GIBERTONI

    Grazie Presidente. Avevamo già cominciato a presentare ognuno il suo progetto di legge nella Commissione all’inizio, prima dell’udienza conoscitiva che abbiamo pensato di chiedere perché ci sembrava anche strano, a me personalmente, cominciare una discussione generale che coinvolgesse tutte le forze politiche senza prima procedere ad una udienza conoscitiva, come ci aspettavamo da regolamento. Quindi non posso che ribadire alcuni concetti in attesa della discussione generale, che sono già in realtà stati enunciati in questa Commissione, che sono le principali differenze rispetto al nostro progetto di legge, alla nostra proposta e anche al dialogo che poi ha preso forma dopo il deposito della nostra proposta di legge nel maggio 2015, rispetto al fatto che anche la maggioranza stava predisponendo una sua proposta rispetto a un reddito di inclusione, o reddito di cittadinanza come lo chiamiamo noi.

    Le perplessità sono rimaste le stesse e anche dopo aver ascoltato oggi la stessa relazione del consigliere Caliandro, le ribadisco: non ci convincono i dati Isee, la soglia di 3 mila euro non ci sembra una soglia in grado di delineare un provvedimento che è quello che il nostro presente richiede, anche in regione Emilia-Romagna. Le parole usate dal consigliere Caliandro anche aggiungono una perplessità, anche se effettivamente dette nell’ambito di una presentazione: da un lato un provvedimento di sinistra, dall’altro si dice che noi non dobbiamo nasconderci dietro un dito e pensare che da tutte le fasce di povertà ci si salva, se ho ben inteso, ma forse ho capito male. Dal mio punto di vista è adesso invece il momento del coraggio e di incidere anche con una misura ponte, certamente, che è quella che chiediamo anche noi, una misura ponte che poi se parte da tutte le Regioni complessivamente o nella stragrande maggioranza possa far partire anche a livello governativo, a livello nazionale, una misura importante, una misura più incisiva di quella che è stata delineata finora. Però è vero che già presentare una proposta di legge con un’idea deterministica secondo la quale dobbiamo pensare che non si riesce a rimediare a tutte le fasce di povertà, non si riesce a fare qualcosa per tutti, mi sembra di capire, credo che venga meno il nostro ruolo. Anche dire che il tema è molto più grande di noi, mi sembra arrendersi prima ancora di aver fatto partire una discussione generale, che mi auguro possa accogliere alcuni spunti già buoni che sono intervenuti da altre forze politiche: penso a L’altra Emilia-Romagna che porterà certamente sia le sue perplessità rispetto credo alla platea dei destinatari, che credo coincidano in parte con le nostre.

    Una platea di destinatari del progetto di legge della maggioranza troppo ristretta, una platea di destinatari che in qualche modo forse ha anche qualche contraddizione con la legge n. 14, ma ci interessa soprattutto ribadire che è il dato Isee che ci sembra insufficiente e che alla fine la misura rischia di ridursi effettivamente ad un buon proposito, un buon segnale, qualcosa che probabilmente ci auguriamo non farà la fine che poi ha fatto la misura analoga in Friuli, come ricordava anche il capogruppo Pd, che ha fatto emergere tutta una serie di confusioni o di difficoltà non so se sulle coperture, oppure sul fatto che il reddito fosse visto in una via di medio periodo e non soltanto sperimentale. Però è vero che adesso proprio perché abbiamo alle spalle già esperienze regionali che ci hanno fatto vedere dove potevano essere le criticità importanti, e abbiamo dei dati dalle notizie di cronaca che ci mostrano quanto è prioritario un intervento del genere e quanto debba esserlo anche rispetto agli sforzi di bilancio, credo che sia il caso di partire vedendo la misura non come quella degli 80 euro, premettendo che gli 80 euro sono comunque meglio di niente, ma che tenga in considerazione sia il fatto che non stiamo proponendo un assistenzialismo, ma anche il fatto che la platea aumenta evidentemente di semestre in semestre e nello stesso tempo noi ci stiamo calibrando su qualcosa che è particolarmente ridotto.

    Abbiamo invece valutato con favore l’accoglimento dell’universalismo, perché nei primi dialoghi che ricordo con la maggioranza l’anno scorso la misura sembrava prendere la forma di una misura per famiglie soprattutto, quindi non per individui, non per nuclei monofamiliari ma soprattutto per famiglie, quindi non ci sembrava che all’inizio l’universalismo fosse preso in considerazione, cosa che invece il Movimento cinque stelle sosteneva con forza: un accesso più universale possibile, senza misure di assistenzialismo, ma con politiche attive del lavoro, come poi sono state riprese, e con una riforma, un coinvolgimento forte tramite anche un rinnovo interno dei centri per l’impiego come strutture che potessero avvicinare chi aveva necessità di una riqualificazione, tramite un percorso formativo, e chi aveva necessità di una seconda, terza, quarta possibilità di rimettersi in gioco sul mercato del lavoro. Quello che noi abbiamo analizzato ci ha portato a pensare che in questo momento la misura identificata nel progetto di legge della maggioranza sia una misura insufficiente, sia rispetto al dato Isee ma di conseguenza anche rispetto al contributo che verrebbe poi dato a questi nuclei; quei criteri selettivi che sono stati presi in considerazione ci auguriamo che possano essere rimessi in discussione nella discussione generale in Commissione, allargata ad altre forze politiche, e poi in Aula.

    Noi presenteremo una serie di emendamenti che cercheranno di fare chiarezza e di fare in modo che si risolvano queste che sono le principali criticità che io vedo nel pdl, perché per il resto la struttura del nostro è stata essenzialmente accolta: quando l’abbiamo depositato, il nostro prevedeva politiche attive del lavoro da un lato; riforma dei centri per l’impiego e forte coinvolgimento; un’offerta di lavoro a fronte di un percorso formativo riqualificante; trentasei mesi massimo di sussidi di accompagnamento verso il lavoro non necessariamente continuativi. Credo che molte cose le abbiamo ritrovate, salvo la criticità maggiore: l’identificazione di una platea e di un impegno di bilancio che effettivamente sono risultati molto ridotti. Questa per me in questa fase è certamente una critica costruttiva, non è una presa di posizione negativa ancora rispetto ad un progetto di legge che noi vediamo in una fase ancora di discussione, quindi una fase potenzialmente di allargamento, di parziale messa in discussione. Abbiamo quindi un piano anche nel nostro progetto di legge per chi sottoscrive, per chi ha bisogno di riqualificarsi un piano che viene sottoscritto con la Regione previsto per i residenti in Emilia-Romagna da almeno trentasei mesi, non titolari di pensioni di anzianità ed è un progetto che introduce una misura che comunque al momento non esiste in questa Regione e che in parte riprende misure già presentate sotto altre forme, senza però quel necessario universalismo che finalmente si introduce qui e accompagna verso un percorso sociale, un percorso occupazionale, un percorso che in qualche modo, lo ribadisco, e questo resti sempre all’attenzione centrale anche della maggioranza, perché anche stamattina sono state dette parole che sembravano contrastare con l’idea che questo è un percorso che accompagna verso un reinserimento lavorativo, quindi verso una nuova partecipazione sociale pienamente attiva e pienamente autonoma in prima persona, mentre mi sembra di aver capito, si è detto che non possiamo pensare che tutti quanti possano per forza, ed è vero che probabilmente ci sarà…

    Credo che l’obiettivo che dobbiamo dirci noi, non è un obiettivo deterministico, è un obiettivo che per il nostro ruolo debba tendere a coinvolgere e a far uscire dalle fasce di povertà la maggioranza netta della popolazione emiliano-romagnola nel tempo e il coinvolgimento più ampio possibile nel lavoro e nel reinserimento in società. Quindi fatico un po’ a fare mia la posizione per cui partiamo già perdenti, con l’idea che partiamo già dovendo escludere a nostra volta, quando in realtà questo è un progetto di inclusione. Mi sembra difficile già nel momento in cui la presentiamo in pubblico, dover ammettere che il progetto fa quel che può, essenzialmente; non faccio mie queste parole, il progetto nostro invece è un progetto certamente ambizioso, ma credo che la politica sia anche cercare di delineare degli ambiti che poi, quando trovano il coinvolgimento più ampio delle maggioranze e delle opposizioni, consentano di raggiungere obiettivi che probabilmente fino a qualche tempo prima sembravano effettivamente non praticabili. Poi c’è il ruolo certamente dello stimolo rispetto ad un’azione più ampia da portare all’interno della Conferenza Stato-Regioni, quindi una azione più ampia che possa poi far sì che questa misura diventi una misura ponte e possa diventare, forse anche a partire dalla Regione Emilia-Romagna, una buona pratica in cui il welfare ritrova il suo spazio centrale, diventa un welfare più giusto, di accesso ampio, efficace e attraverso la partecipazione al mercato del lavoro sostenga anche un rilancio radicale di quelle strutture, i centri per l’impiego, che difficilmente riuscivano o sono riusciti in tempi recenti a favorire effettivamente la partecipazione attiva e responsabile di coloro che si rivolgevano a loro, facendo incontrare domanda e offerta, ma erano, e sono in parte ancora, strutture molto spesso che, a seconda del territorio, rispondono ad istanze, a regole, a potenzialità e capacità molto diverse.

    Noi crediamo che lo strumento che possa permettere a persone che a loro volta, se siamo deterministici noi, immaginiamo come nella società civile chi si trova, a volte sprofondandoci gradualmente, a volte improvvisamente, senza vedere all’orizzonte il suo entrare all’interno della fascia di povertà, il suo diventare povero, se cominciamo noi ad ammettere che per qualcuno di loro speranza non ce n’è, che questo progetto di legge comincia proponendosi obiettivi piccoli, in attesa di non so che cosa, credo che non esercitiamo la giusta responsabilità verso cittadini che saranno poi, a maggior ragione, coinvolti in una naturalizzazione del loro stato di poveri e quindi cominceranno a pensare che effettivamente devono accettare soltanto questa possibilità.

    Ringrazio il Presidente per aver fissato in tempi brevi l’udienza conoscitiva, ci sembrava infatti che i progetti di legge di iniziativa consiliare non avessero ancora percorso il confronto con tutte le parti sociali, anche se noi a dire il vero nella scrittura del nostro progetto di legge abbiamo interloquito con numerosi soggetti e ci stiamo ancora confrontando con i territori, oltre che con i nostri referenti a livello nazionale, per il reddito di cittadinanza, quindi credo che oggi sia doveroso anche raccogliere riscontri, raccogliere proposte, integrazioni e istanze che possono venire dagli interlocutori qui presenti e quindi siamo aperti a questo. Poi vedremo nel prosieguo della discussione generale in Commissione se sarà possibile – come noi auspichiamo – procedere verso un progetto di legge che effettivamente unifichi tutta l’Assemblea legislativa nella piena responsabilità e anche nella piena innovazione di una misura che al momento non è presente, ma che va secondo noi inaugurata nel modo più pieno e più ampio, più responsabile possibile, e anche più ambizioso.

     

    Presidente ZOFFOLI

    Completiamo l’illustrazione con la vicepresidente Gualmini.

     

    Vicepresidente della Giunta, assessore GUALMINI

    Grazie Presidente. Sarò breve perché questa mattina siamo qui per ascoltare voi ovviamente. Innanzitutto ringrazio sia il relatore di maggioranza che la relatrice di minoranza; uno degli aspetti positivi di questa nostra iniziativa è sicuramente la collaborazione Giunta-Assemblea, che dovrebbe essere ovviamente un dato di fatto in tanta parte dell’iter legislativo, però in questa occasione mi sembra che vada sottolineata. Al di là delle bandierine che ognuno di noi può eventualmente mettere su questa legge, mi sembra che l’intendimento trasversale, condiviso da tutti, sia quello di andare incontro ad un nuovo bisogno che ormai vediamo e che è presente sotto gli occhi di tutti, quindi l’interesse genuino è quello di fare il possibile perché si diano delle risposte concrete. Questo mi sembra esattamente il mestiere che dobbiamo portare avanti. Dico due cose molto veloci, parto da due premesse, vi dico le tre caratteristiche che mi convincono di più di questo strumento.

    Le premesse. In primo luogo, non c’è dubbio che nel nostro sistema di welfare, delle nostre politiche di protezione sociale, lo dico anche avendo insegnato per tanti anni politiche del lavoro all’Università di Bologna, ci siano degli anelli mancanti, ci sia qualche buco nero e il buco nero, insieme forse alla Grecia, è proprio la mancanza di un safety net, di un cuscinetto di ultima istanza che possa effettivamente includere, recuperare dentro ad un sistema democratico di diritti e proprio di cittadinanza attiva quelle persone che invece rischiano di essere completamente sbattute fuori. Quindi l’esigenza di introdurre degli elementi di trasversalità, di universalità dentro un sistema di welfare che nel nostro Paese è sempre stato di tipo categoriale con l’eccezione straordinaria, e per fortuna, della sanità: un welfare che di fatto costruisce la società secondo categorie di persone che hanno determinate caratteristiche, che hanno contribuito in un determinato modo e che quindi, sulla base di quelle caratteristiche, sono di fatto eleggibili per avere un provvedimento. Il problema riguarda quelle persone che invece stanno fuori da storie contributive continuative, quelle che magari hanno lavorato poco, o addirittura il primo impiego non l’hanno mai visto perché sono giovani e non riescono ad accedere al mercato del lavoro, o persone che sono in condizioni di disagio che non possono inserirsi in nessuna delle maglie del nostro sistema di welfare. Quindi che questo sistema vada spezzato con un intervento di natura orizzontale, penso che si possa essere assolutamente d’accordo.

    La seconda premessa è tuttavia il tipo di strumento a cui noi pensiamo, che si lega anche – ed è mio dovere dirlo – al concetto di sostenibilità. Questo non è un reddito di cittadinanza, perché il reddito di cittadinanza, nonostante gli elementi positivi che questo porta e presenta, presenta delle caratteristiche di richiesta di risorse finanziarie che non sarebbero in alcun modo sostenibili dal bilancio regionale. Pensiamo che su base nazionale si parla di circa 20 miliardi per soddisfare una richiesta di reddito di cittadinanza, rivolto a tutti in base al fatto che sono cittadini. Noi, a meno di non falcidiare altre misure che in Emilia-Romagna invece hanno funzionato molto bene, quindi a meno di non dimezzare il Fondo per la non autosufficienza, è chiaro che dobbiamo sperimentare una misura di inclusione che però sia sostenibile. Questo lo dico con molta forza, perché non possiamo fare promesse che poi non siamo in grado di mantenere. Adesso c’è un processo di negoziazione del bilancio in atto, quindi vedremo anche sulla base dei nuovi vincoli nazionali sul pareggio di bilancio che tipo di risultati avremo, ma il nostro dovere è quello di muoverci dentro ad una trasparenza di conti pubblici e ad una sostenibilità, chiaramente con tutto l’interesse a rivedere, ritoccare e riaggiustare.

    Detto questo, quali sono i tre elementi che ci convincono e mi convincono di più come Giunta? Noi da subito, appena insediati, abbiamo affidato uno studio all’Università di Modena per capire se effettivamente i dati tornavano e questi nuovi poveri, spesso poveri lavoratori - parliamo di working poor, un fenomeno tipicamente americano che sta riguardando anche la nostra società - effettivamente c’erano: girando per l’Emilia-Romagna, vi assicuro che ci sono. Ci sono sia famiglie con due o tre figli, sia straniere che italiane; c’è stato uno scivolamento nella povertà che ha caratterizzato indubbiamente anche la nostra regione.

    Ringrazio anche il Movimento cinque stelle, perché quando un tema entra nell’agenda politica bisogna anche fare un riconoscimento e dare un riconoscimento a quelle forze politiche che più hanno lavorato perché quella questione entrasse nell’agenda politica, perché non è automatico accorgersi che c’è un nuovo bisogno che emerge e far sì che quel bisogno entri nelle priorità di governo. Quindi pur con tutti i nostri limiti e le nostre cautele, va fatto un riconoscimento ad una forza politica che sicuramente ha fatto di questo tema la sua bandiera a livello nazionale e a livello locale.

    Quali sono i tre elementi su cui noi vorremmo insistere come Giunta, e che quindi saranno anche oggetto del regolamento sull’attuazione della legge che dovrà essere la più semplice e parsimoniosa possibile, sperabilmente, che ci accingiamo a redigere dopo l’iter legislativo? Il primo elemento è lo sforzo di andare verso una maggiore universalità di questo strumento. L’abbiamo detto, a livello nazionale siamo in presenza di una griglia di punteggi che è eccessivamente perversa ed eccessivamente rigida soprattutto per alcune regioni, in particolare quelle del Nord. Dico subito però che la Regione Emilia-Romagna non può compensare a queste mancanze di livello governativo: noi non siamo in grado di accogliere tutti quelli che rimangono fuori dal SIA, perché la griglia è troppo rigida. Posso anche dirvi pubblicamente che già come Giunta ci siamo mossi presso il Governo con il ministro Poletti e anche il Direttore generale Tangorra per chiedere di differenziare questi criteri così rigidi, che sono stati applicati in maniera uniforme sia in Calabria, in Sicilia che in Emilia-Romagna. Quindi ci siamo già mossi per premere affinché il sistema dei punteggi possa essere tolto dalla misura nazionale, perché altrimenti non ha senso stanziare una quantità di risorse significativa e nello stesso tempo sapere che non verranno mai spese. Quindi bisogna anche lavorare su questi paradossi e, se è possibile, scioglierli. L’integrazione regionale che ci chiede di essere particolarmente seri e trasparenti, perché mentre in alcune Regioni - penso in particolare alla Puglia, la Lombardia ma anche in parte il Friuli - è stato utilizzato il Fondo sociale europeo per poter finanziare l’integrazione regionale, noi il Fondo sociale europeo l’abbiamo destinato deliberatamente, e in gran parte, a misure di reinserimento e di inclusione e reinserimento lavorativo che riguardano perlopiù la legge n. 14, su cui c’è stato anche uno sforzo politico di costruzione di una nuova visione multiprofessionale di presa in carico di fasce grigie che stanno un po’ a metà tra quelle che riescono a muoversi bene dentro il mercato e quelle che non ci riescono. Quindi la scelta di utilizzare il Fondo sociale europeo è stata quella di legarlo prevalentemente alla legge n. 14, qui lo sforzo deriva proprio dal bilancio regionale ed ecco perché questo ci costringe ovviamente ad essere particolarmente rigorosi. Però il tentativo di allargare la platea va fatto, perché in Emilia-Romagna il tema dell’indigenza della povertà non tocca solo le famiglie con minori, abbiamo nuclei familiari di anziani, sia soli che in coppia, che hanno bisogno di una particolare compensazione da parte delle istituzioni pubbliche. Questo è il primo aspetto che ci convince, perché sul doppio binario: da un lato il patto per il lavoro, tentativo di creare crescita e occupazione, dall’altro una compensazione da parte delle istituzioni pubbliche, penso che questo sia il quadro che si completa e che possa dare la nostra visione di welfare come Regione Emilia-Romagna.

    Il secondo aspetto è la globalità di questo intervento. La nostra idea - e qui davvero viene fuori anche un cambio di paradigma che noi chiediamo agli enti locali, di cui poi gli enti locali sono perfettamente consapevoli, anche grazie alle risorse in più che ci saranno, circa 30 milioni nei prossimi anni, su personale da assumere a tempo determinato, e servizi esterni di cui i Comuni possono avvalersi - l’idea è quella che con questo intervento noi andiamo a coprire, direttamente o indirettamente, bisogni e forme di particolare fragilità. Quindi l’erogazione del reddito di solidarietà può andare indirettamente a coprire problemi che riguardano l’affitto, gli sfratti, l’iscrizione all’asilo nido, la pratica sportiva per i bambini, una forma di intervento trasversale che dovrebbe a trecentosessanta gradi permettere di dare una valutazione dei bisogni del nucleo familiare in tutte le sue diverse composizioni, che i servizi devono essere in grado di fare. Quindi non è un erogazione tout court di un sussidio, perché ti devo mettere un po’ di soldi in tasca, ma è l’erogazione di un sussidio che speriamo che, anche indirettamente, vada a coprire alcuni buchi che aumentano le condizioni di fragilità. Questo vuol dire per i nostri servizi sociali, per i nostri Comuni, non solo lavorare insieme ai centri per l’impiego, alle organizzazioni del terzo settore, a tutti quei soggetti che poi insieme possono scrivere il patto di scambio e di attivazione, ma vuol dire considerare il bisogno in maniera non sempre parcellizzato, ma in maniera orizzontale e trasversale. Almeno questo è il tentativo.

    Il terzo punto lo sottolineo con molta forza: il concetto di monitoraggio e sperimentalità della misura. È evidente che siamo all’inizio di un percorso, noi ci teniamo moltissimo a chiudere l’iter legislativo nelle prossime settimane, in modo da chiuderlo entro il secondo anno di mandato e avere tre anni a disposizione, perché questa misura o ha un minimo di strutturalità oppure non ha senso, per capire come effettivamente funziona. È evidente che se dovessimo registrare dei malfunzionamenti, il fatto che la misura non corrisponde con efficacia all’idea di politica attiva che abbiamo in mente (perché nessuno qui vuole fare assistenza), è chiaro che siamo – e questo c’è scritto già nella legge – disponibili a rivedere, ad aggiustare e a monitorare lo strumento in modo che si vada verso un utilizzo di risorse pubbliche che sia il più possibile concreto ed efficace. Quindi io sono convinta che il reddito di solidarietà permetterà a questa Regione anche di uscire con un po’ di coraggio e di spinta innovativa da un sistema di welfare che sicuramente ha funzionato molto bene, che ha fatto da traino a livello nazionale, ma che negli ultimi venticinque anni è sempre quello che guarda prevalentemente agli stessi target e alle stesse categorie; proviamo un po’ a scompaginare il quadro con un ammontare di risorse, che sicuramente è circoscritto rispetto a tutto l’impianto della sanità e del nostro sistema di protezione sociale, e vediamo cosa succede. Non abbiamo paura di vedere cosa succede, perché la gente, gente che lavora, nuovi poveri italiani che vanno a chiedere assistenza alla Caritas, stanno crescendo sempre di più. Non è ancora finita e vi assicuro che l’ho vista con i miei occhi. Quindi grazie a tutti e siamo pronti per ascoltarvi.

     

    Presidente ZOFFOLI

    Io ho sette iscritti a parlare, quindi una decina di minuti più o meno a testa.

     

    Loris VERGOLINI (Ricercatore Istituto FBK – IRVAPP Trento)

    Sono un ricercatore che lavora presso l’Istituto di valutazione delle politiche pubbliche che si trova a Trento. Il mio obiettivo oggi è quello di raccontarvi l’esperienza trentina, sia per quanto riguarda la normativa del reddito minimo di garanzia che abbiamo nella nostra provincia dal 2009, sia per quanto riguarda gli effetti che questa misura ha avuto su tutta una serie di outcome collegati ai livelli di vita delle famiglie coinvolte. Il secondo aspetto di questo mio intervento, invece, riguarderà quello di portare alcuni elementi di riflessione sulla base del disegno di legge che viene discusso oggi, sempre alla luce di quanto abbiamo visto all’interno della provincia di Trento.

    Per quanto riguarda il caso trentino, da noi il reddito di garanzia è stato introdotto nell’autunno del 2009 con l’idea di avere una misura sia di natura strutturale che di natura anticongiunturale: natura anticongiunturale naturalmente dovuta al fatto che nel 2009 la crisi cominciava a farsi sentire anche nella provincia di Trento e quindi il Governatore ha sentito la necessità di introdurre una misura che riuscisse in qualche modo a fungere da paracadute per quelle famiglie che si trovavano momentaneamente in situazione di difficoltà. Allo stesso tempo, però, la misura vuole essere strutturale, tanto che è ancora in atto e pare che lo sarà ancora negli anni a venire, con l’idea anche di coprire quelle fasce di popolazione che per natura intrinseca non sono in grado di uscire da sole dalle situazioni di povertà.

    Per quanto riguarda le principali caratteristiche della misura trentina, si può segnalare che si basa sul cosiddetto “universalismo selettivo”: la famiglia per essere beneficiaria di tale misura deve avere un reddito al di sotto della soglia di povertà, stabilito in 6.500 euro per famiglie unipersonali, e tutte le famiglie che si trovano al di sotto di questa soglia sono ammissibili alla misura, purché siano residenti all’interno della provincia da almeno trentasei mesi. Il beneficio viene calcolato secondo un cosiddetto “top up scheme”: il beneficio è dato dalla differenza del reddito della famiglia con la soglia di povertà. Negli anni però questo tipo di misura si è rivelata essere abbastanza costosa e quindi è stato posto un tetto massimo all’integrazione mensile posto a 950 euro. Anche per quanto riguarda il caso trentino è stata introdotta una misura di attivazione per il mercato del lavoro, quindi le famiglie beneficiarie al cui interno ci sono membri che possono essere attivi sul mercato del lavoro si impegnano ad iscriversi alle locali agenzie e, in caso di offerta di lavoro, non possono rifiutarla. Se la rifiutano, intervengono i servizi sociali per capire la situazione: cosa è avvenuto e cosa non è avvenuto, e se questa situazione si perpetua rischiano di perdere il beneficio. Assieme a queste misure di attivazione, è stato introdotto anche un incentivo: se io sono all’interno del reddito di garanzia, accetto un lavoro che mi porterebbe a perdere il beneficio, il Governo locale comunque mi concede due mensilità aggiuntive di reddito di garanzia, una sorta di incentivo positivo per facilitare l’uscita da uno stato di povertà. Sempre per la questione relativa ai costi e per mantenere comunque il budget non troppo elevato, e anche per evitare comportamenti di natura opportunistica, nel 2010 è stato introdotto anche un controllo presuntivo dei consumi: viene imputato alle famiglie che fanno domanda di reddito di garanzia una sorta di reddito base, che viene calcolato sulla base dei valori medi derivanti dall’indagine Istat sui consumi. Valori medi che sono adeguatamente ridotti per tenere conto delle situazioni di difficoltà in cui versano queste famiglie. Quindi a me viene calcolato un reddito teorico che dovrei avere solo per il fatto che comunque ho una casa, ho un tot numero di persone all’interno del nucleo familiare. Se questo reddito è al di sopra di quello che io dichiaro tramite modello Icef, che sarebbe il corrispettivo trentino dell’Isee, entrano in gioco i servizi sociali per valutare a cosa è dovuta questa differenza e una famiglia può decidere di autoridursi il beneficio o di ricorrere e vedere se effettivamente c’è una situazione reale di povertà, o se invece si tratta veramente di comportamenti di natura opportunistica.

    Allo stesso tempo la Provincia autonoma per poter capire anche se e come funziona questa misura, ha previsto fin dall’inizio che venisse valutata dal punto di vista proprio statistico. In questo modo, prevedendo questo tipo di analisi sin dall’inizio, ha permesso anche al mio istituto di poter designare in modo ottimale una ricerca che ha condotto alla valutazione dell’impatto di reddito di garanzia, facendo vedere sostanzialmente che questa misura è stata in grado di ridurre stati di deprivazione in particolare per i beneficiari che provengono da famiglie straniere, è stata in grado di incrementare sempre solo per le famiglie straniere anche la parte relativa ai consumi alimentari, e allo stesso momento per quanto riguarda invece le famiglie italiane, ha avuto un effetto positivo sull’indicatore di inclusione sociale: si è visto che, a seguito della misura, in particolare le famiglie italiane riuscivano ad avere un maggior numero di contatti sociali al di fuori delle reti familiari.

    Per quanto riguarda invece gli effetti della misura sul mercato del lavoro, sono degli aspetti critici che riguardano questo tipo di politiche, che sono collegabili come sempre al circolo vizioso del welfare, quello che abbiamo visto, è che sostanzialmente hanno un impatto zero. Il che vuol dire che, almeno da questo punto di vista, è comunque una notizia positiva perché almeno non ha avuto un effetto negativo. Quindi la misura di incentivi in qualche modo ha evitato la presenza di comportamenti di natura opportunistica. Quello che noi abbiamo visto anche andando oltre le mere indagini statistiche, ma parlando anche con gli operatori dell’agenzia del lavoro, che una delle grosse problematicità di questa attivazione lavorativa, in particolare per le famiglie migranti, è che molti di queste non parlavano neanche l’italiano. Quindi noi con questo tipo di misura magari andiamo ad attivare delle persone, quindi le spostiamo da non forza lavoro a forza lavoro, però sono persone che non sono assolutamente occupabili, perché mancano di competenze di base tra le quali la conoscenza della lingua italiana. Da questo punto di vista, infatti, sono meritorie le iniziative presenti nei disegni di legge dell’Emilia-Romagna proprio di accompagnare tutta una serie di tirocini e di corsi di formazione, che sono stati introdotti anche nella nostra provincia proprio a seguito di queste prime valutazioni. Quindi l’aspetto del training diventa fondamentale per evitare di andare ad attivare persone che dopo non sarebbero comunque in grado di trovare un’occupazione. Quindi sulla base di questi risultati, di quanto abbiamo visto accadere nella provincia di Trento, alcuni spunti di riflessione che vorrei portare relativamente al disegno di legge qui discusso, anche se può valere o meno la pena di pensare di fare dei controlli presuntivi dei consumi, anche sui possibili beneficiari del reddito di solidarietà in Emilia-Romagna, pensare anche in questo caso ad eventuali incentivi positivi in seguito ad una accettazione di un’offerta di lavoro e di dare molta attenzione, molto rilievo anche ai corsi di formazione, per quanto si diceva prima. Un altro elemento, chiaramente sempre compatibilmente con i vincoli di bilancio, che si può vagliare, è quello sia della soglia di accesso, che potrebbe essere un po’ bassa, sia quello del massimale dell’erogazione.

    Per quanto riguarda poi un ultimo elemento, visto che questo tipo di politiche solitamente hanno costi molto elevati e anche dal punto di vista politico sono particolarmente costose, quello che si può suggerire è di inserire in modo ancora più esplicito di quanto fatto nell’attuale disegno di legge il fatto di valutare, tramite indagine ad hoc, questo tipo di misura cercando proprio di capire quelli che potrebbero essere gli effetti di questa misura in Emilia-Romagna, e allo stesso tempo pensare di costruire un archivio di dati amministrativi molto ricco che possa permettere di monitorare l’andamento del reddito di solidarietà, in modo da poter intervenire eventualmente in futuro se si notano delle problematiche o dei malfunzionamenti della misura.

     

    Carmelo MASSARI (Dirigente sindacale UIL)

    Io qui sono in rappresentanza di un’organizzazione sindacale che quotidianamente, sia sui luoghi di lavoro, sia per quanto riguarda i nostri uffici, sia di assistenza fiscale per quanto riguarda i nostri patronati, ma anche l’ufficio immigrazione, quotidianamente ci confrontiamo con della gente che si trova ai margini della società. Lo diceva prima il relatore Caliandro, in Italia ci sono molto probabilmente quattro milioni di persone che sono al di sotto della soglia di povertà, o vicine alla povertà assoluta, molto probabilmente sono di più perché è sempre stato per noi difficile, e per tutte le associazioni del terzo settore, per chi si è confrontato su temi come questi, stabilire qual è la soglia di povertà giusta, utile affinché si possa definire uno povero e uno non povero. Se io prendo i dati dell’Istat, l’Istat ci dice che una famiglia monoreddito con 964 euro al mese con due bambini è povera in Italia. Perciò persone che superano quei criteri di soglia Isee, chiaramente. Pertanto, sono sicuramente lodevoli tutte e due le proposte, sia quella del reddito di cittadinanza, sia per quanto riguarda quella del reddito di solidarietà. Io ritengo in piena sincerità che l’impianto generale, così come è stato proposto il progetto di legge sul reddito di solidarietà, sia un progetto molto organico che tiene conto dei diversi aspetti e si avvicina parecchio o abbastanza a quella che è la nostra idea del reddito di inclusione sociale, che è una proposta che noi abbiamo sui tavoli nazionali, il cosiddetto REIS, che è una misura strutturale che noi proponiamo, insieme ad un’alleanza di altri soggetti insieme ad Acli, Cgil, Cisl e Uil, Arci, Anci ed altre organizzazioni del mondo del terzo settore, che ci ha messo di fronte a questo tipo di spaccato. Molto probabilmente tutto sta nell’indicatore che si usa, perché noi abbiamo registrato sempre un limite dell’indicatore Isee, che è quell’indicatore Isee, in Italia, presso i nostri uffici, tra quelli che si recano presso i nostri sindacati il 99,9 per cento di quelle persone che vengono da noi a lamentarsi per mille ragioni, non avrebbero diritto all’accesso del reddito di solidarietà. Anche il cassintegrato, anche chi ha un ammortizzatore in deroga non ha accesso a quel tipo di contributo, e non vuol dire che quelle persone o quei nuclei familiari non siano povere. Ci sono dei massimali che prevedono pari a 700 euro la cassa integrazione: qualcuno mi deve dire se uno ha la sfiga in questo caso di avere la casa di proprietà, se entra o non entra. Molto probabilmente non entrerebbe a prendere quel tipo di misura, ma deve vivere lui con la sua famiglia con 700 euro, paga un mutuo di 600, i conti sono drammatici.

    Poi ci sono alcuni aspetti più tecnici. Sicuramente per mettere a sistema un reddito di dimensione nazionale, da simulazioni fatte, servirebbero circa 6 miliardi, forse qualcosa in più che non in meno. Chiaro che qui la Regione fa chiaramente quel che può. I 15 milioni annui per un triennio, pari a 45 milioni, non sono sicuramente la somma necessaria per coprire quelli che sono i reali fabbisogni su questa regione, ma sono un primo inizio. Noi abbiamo calcolato che forse ne servirebbero 70 di milioni all’anno per poter avere una copertura di una platea che si rivolge a quelli a cui facevo riferimento prima. Poi ci sono alcuni aspetti tecnici sostanziali, come ad esempio l’indicatore Isee che sconta un limite: fa rientrare parecchi furbetti. Io ricorderò sempre il mio compagno di università, lui faceva le cento ore presso la biblioteca dell’Università di Siena perché risultava il terzo più povero di tutta l’università, il padre era nullatenente e nullafacente perché era tutto intestato al fratello. Lui facendo parte di quel nucleo familiare, aveva diritto alle cento ore, peccato che quell’azienda fatturasse oltre 4 milioni di euro perché il padre era un imprenditore, ma risultava non intestatario di nulla. Io che ero figlio di due impiegati comunali, risultavo un privilegiato. Perciò ecco perché noi sosteniamo che quel tipo di indicatore ormai abbia dei limiti sostanziali a livello nazionale e che prima o poi dovrebbe essere modificato per avere accesso a tutti i servizi legati al welfare. Noi abbiamo proposto in una di quelle misure di carattere nazionale come il REIS, invece, che il contributo monetario vada a coprire la differenza tra il reddito familiare e la soglia certificata di povertà assoluta dell’Istat, e non legarlo all’indicatore Isee. A chi si rivolge ad esempio la misura che noi proponiamo, insieme agli altri soggetti dell’alleanza? Il trasferimento monetario si accompagna naturalmente all’erogazione di servizi per l’impiego contro il disagio psicologico e sociale, per le esigenze di cura ed altro; cosa che reddito di solidarietà nel suo insieme fa, però con risorse naturalmente non adeguate. Chi lo fornisce il REIS? Lo forniscono in questo caso e viene gestito a livello locale grazie all’impegno condiviso di Comuni, terzo settore, centro per l’impiego e altri soggetti. Perciò siamo in linea con il suo strumento di carattere generale sui principi generali di quello che viene proposto dal progetto di legge presentato dal consigliere Caliandro, ma auspichiamo che nel tempo queste risorse possano cambiare e possano naturalmente coniugarsi al meglio con quelli che sono gli strumenti e gli ammortizzatori di tipo attivo e di tipo passivo a livello nazionale, perché quella è la vera sfida. Ci sono degli ammortizzatori sociali in Italia che calano sempre di più, la cassa integrazione in deroga ormai pochissime persone la riescono a prendere, però ci vuole. Tolta quella, c’è solo la NASPI, finita la quale non c’è proprio nulla. Molto probabilmente dopo la NASPI, dopo quel nulla, interverrebbe quel reddito lì. Ecco perché io ritengo che di per sé l’impianto possa essere un impianto meritevole, ma che deve tenere conto delle reali esigenze della nostra regione e dei fabbisogni dei cittadini e dei nuclei familiari che vivono all’interno di questa regione.

     

    Federico Alessandro AMICO (Portavoce Forum Terzo Settore Emilia-Romagna)

    Grazie di questa occasione che ci fornite per discutere di due provvedimenti così importanti, che ci vedono complessivamente come organizzazioni del terzo settore molto attente, tenendo conto che partiamo da una storia di circa due anni, due anni e mezzo fa, non tanto in regione ma a livello nazionale, su due iniziative distinte ma che hanno messo al centro dell’agenda politica complessiva il tema della povertà, che sono sicuramente “L’alleanza della povertà”, che è stata promossa inizialmente da Caritas e Acli, e un’altra campagna che si chiama “Miseria ladra”, che era stata proposta da Libera, che convergono oggi sia sul dispositivo legislativo, su misure intentate dal Governo, così come su queste due proposte di legge. È ovvio, e lo stanno dicendo tutti, che comunque sia il SIA, sia quella che è la ricaduta legislativa a livello regionale non saranno sufficienti nella loro prima attuazione a coprire quelli che sono i fabbisogni, vuoi per i criteri che vengono adottati dal punto di vista della misurazione delle soglie di reddito, e quindi bisogna capire quale sia la misurazione giusta, però sicuramente iniziano ad entrare nel vivo su una materia che è diventava particolarmente urgente.

    In particolare, mi vorrei soffermare su quelle che sono le ricadute a livello regionale. Non sto a fare dei ragionamenti di carattere nazionale su quelli che sono gli intendimenti governativi e dello Stato. Di certo, quello che noi abbiamo riscontrato è di una prospettiva emancipativa che entrambi i provvedimenti legislativi presentati presentano, vanno in quella direzione. Ci sembra, come Forum, che comunque l’organicità della legge di cui ha fatto l’illustrazione il consigliere Caliandro abbia un senso organico di intervento in una specie di combinato disposto, attraverso una serie di misure che non riguardano solamente l’elemento di reddito, bensì iniziano ad intervenire complessivamente sulle persone. Dopo di che le soglie sono purtroppo non ancora sufficienti per coprire l’intero fabbisogno, ma stanno all’interno di un percorso che invece tende a guardare la persona sotto i vari profili, in una chiave di attivazione positiva. Quello che io ho trovato invece come problematico ad esempio nell’altra proposta di legge, è quella dell’inserimento attraverso le strutture del terzo settore e del volontariato, dei cittadini che usufruiscono di queste misure, in una maniera quasi forzosa, mentre continuiamo a credere che volontariato e impegno civico delle persone debba essere fatto su base strettamente volontaria e che gli interventi possono essere strutturali per quanto riguarda la parte dell’inserimento lavorativo, quegli altri aspetti devono essere di accompagnamento. In questo, vorremmo lanciare una suggestione rispetto comunque ai disegni di legge che andranno in discussione poi in Assemblea, di tenere conto di come, non solo per quanto riguarda l’impegno dell’assunzione lavorativa delle persone, i soggetti del terzo settore possono essere elemento di accompagnamento per quanto riguarda l’inclusione attiva, che possono essere anche elementi di contrasto ulteriore alla fragilità, reinserendo le persone all’interno di contesti sociali che la marginalità, la povertà materiale rischia di traslare anche sulla povertà invece immateriale. La ricchezza delle attività di terzo settore, di volontariato e associazionismo nella regione Emilia-Romagna ci consente di vederci come attori protagonisti di questo tipo di meccanismo, quindi o nel monitoraggio o nella promozione anche delle misure che si diceva, dato che uno dei problemi per il SIA, ma immagino anche per il RES, sarà quello di far sì che queste misure possano essere in una qualche maniera conosciute a coloro che possono esserne i beneficiari. Non credo che basterà una pagina Facebook per proporre questo, visto che parliamo di persone che probabilmente quell’accesso non ce l’avranno; essendo le associazioni sul territorio, così come i sindacati attraverso i loro sportelli, possono essere elemento di diffusione per far sì che questa misura possa essere conosciuta e quindi usufruita.

    Credo che lo sforzo che comunque venga fatto congiuntamente in regione Emilia-Romagna sull’ampliamento della platea di quella che è la misura nazionale, sia una cosa comunque molto positiva, e mi unisco all’auspicio dell’estensione delle dotazioni economiche non solamente regionali ma anche quelle nazionali, perché la soglia dei 6/7 miliardi che ci servono a livello nazionale non possono sicuramente essere integrati solamente dalle Regioni, però comunque è un carico di cui si fa portatore l’ente Regione che credo che sia positivo. Così come credo che sia molto positivo non confondere le mele con le pere, ovvero non utilizzare i fondi del Fondo sociale europeo per questa misura, bensì utilizzarli a potenziamento delle politiche di inclusione attiva e quindi dal punto di vista emancipativo, così come la questione della non autosufficienza. Perciò, bene sulla direzione; auspichiamo ulteriori miglioramenti, auspichiamo anche una più approfondita indagine su quelli che sono i meccanismi di calcolo di quelli che sono i beneficiari. Faccio mia la sollecitazione dell’Assessore, nel senso che tutto ciò deve essere sostenibile per poter essere pensato in chiave permanente in un prossimo futuro.

     

    Marina BALESTRIERI (Segretario confederale CGIL Emilia-Romagna)

    Noi come organizzazione sindacale, come Cgil Emilia-Romagna apprezziamo e condividiamo il progetto di legge sul RES. È un progetto di legge che si inserisce a nostro avviso dentro il progetto, disegno di legge nazionale del reddito di inclusione sulla povertà, con risorse importanti di 1 miliardo per il 2017 - forse, se sono vere le cose, speriamo e auspichiamo, che dice la presidente Gualmini, di 1,2 miliardi. Sono risorse importanti ma non sufficienti per definire meglio e coprire la platea dei quattro milioni, purtroppo, di persone in condizione di povertà, che in questi anni di crisi da questo punto di vista sono notevolmente aumentate. Apprezziamo il provvedimento perché, a nostro avviso, si inserisce a pieno titolo all’interno del patto per il lavoro. Nel patto per il lavoro ci sono due elementi fondamentali: il tema del lavoro e il tema del welfare, e in questi il RES è, insieme a tantissimi altri provvedimenti, uno degli strumenti perché nella nostra realtà regionale si possa provare ad avere una società più equa. Non a caso il collegamento che nel RES c’è con la legge n. 14, è a nostro avviso un elemento qualificante, perché insieme alla legge n. 14 il RES per noi è un provvedimento universale e orizzontale, che tiene insieme politiche attive e passive. Questa è la differenza con la carta acquisti che veniva evidenziata, che ha avuto un riscontro nelle aree metropolitane, che sta provando a fare il SIA rispetto alla misura ponte che dovrebbe diventare il reddito di inclusione: tenere insieme politiche attive e passive e leggere il bisogno delle condizioni di fragilità e di povertà delle persone. Quello che noi apprezziamo molto del RES, a differenza del SIA, che il SIA per ora per noi è ancora un provvedimento - seppur unico provvedimento strutturale per la prima volta in questo Paese - che guarda alle categorie. È ancora un provvedimento categoriale, purtroppo lo definiamo così, che guarda alle famiglie con minori, con invalidi e con disabili. Questo il RES non lo fa, pur nella compatibilità delle risorse economiche (poi anche noi diremo alcuni elementi di criticità e di perplessità che abbiamo rispetto a questo).

    Altro elemento che vogliamo sottolineare con importanza: non è un provvedimento assistenziale, perché tenere insieme politiche attive e passive, e quindi contributo economico con un progetto individualizzato, la presa in carico, un progetto individualizzato che cerca di farti uscire dalla tua condizione di povertà e di fragilità, è un provvedimento non assistenziale, per cui da parte della nostra organizzazione è molto apprezzabile, ma come dicevo prima si inserisce all’interno di una condivisione che abbiamo avuto con il patto per il lavoro.

    Altro elemento che voglio sottolineare, che anche noi apprezziamo fortemente: io non so alla fine a regime quante saranno le risorse, alla conferenza stampa avevano detto 35/40 milioni, la cosa importante per noi è che siano strutturali, risorse di bilancio, perché è evidente che questi provvedimenti che devono portare a far uscire da condizioni di povertà devono avere una continuità nel tempo. I poveri oggi possono diventare meno poveri domani se c’è un progetto di inclusione sociale, se c’è il lavoro. Quindi è evidente che, come purtroppo altre realtà regionali hanno utilizzato i Fondi sociali europei, sono fondi che finiscono e quindi hanno una temporaneità. Detto questo, quindi gli elementi da questo punto di vista che noi valutiamo sono molto positivi, quindi assolutamente apprezziamo.

    Vogliamo evidenziare alcune osservazioni e alcuni suggerimenti e nei prossimi giorni valuteremo anche la presentazione (su due punti essenzialmente, un punto essenzialmente) di un eventuale emendamento al testo presentato, in particolare sull’articolo 3 (Beneficiari) e le soglie Isee. Come dicevo, assolutamente okay perché sia unipersonale e quindi non si categorizza la povertà; noi apprezzeremmo di più che rispetto ai beneficiari non si facesse riferimento alla n. 159, che individua i nuclei familiari rispetto all’Isee, perché potrebbe comportare alcuni elementi di criticità. Faccio solo un esempio: il decreto nazionale del SIA non prevedeva i migranti che hanno protezione internazionale nel testo legislativo, poi nello schema di domanda assolutamente sì, e dal nostro punto di vista per evitare la criticità e quindi eventuali problemi si dovrebbe evidenziare (come la stessa Assemblea legislativa ha fatto nella deliberazione n. 15 sui beneficiari degli alloggi Erp), elencare i possibili beneficiari: gli italiani, i comunitari e, anche in questo caso, le persone migranti. Le sentenze europee, la Corte europea hanno detto delle cose, c’è anche un refuso, rispetto a quello che l’Europa dice, nel SIA, non sono più permessi Cee ma sono permessi Ue. La deliberazione n. 15 negli alloggi Erp ha messo in modo molto preciso i possibili beneficiari.

    C’è un elemento che però noi qui sottolineiamo: che per la nostra organizzazione vale il principio di non discriminazione, come dicono naturalmente le direttive europee, noi facciamo riferimento alla direttiva europea n. 98/2011, soprattutto in termini di migranti, quindi la possibilità di allargare il beneficio anche a coloro, in questo caso sono stranieri, che sono titolari di permesso di soggiorno di almeno un anno. Stiamo parlando del permesso unico di lavoro: voglio ricordare a tutti che per avere il permesso unico di lavoro, devi avere almeno un reddito Irpef di 5.824 euro annui, altrimenti non hai il permesso di lavoro. Le Corti europee, sentenze europee, ma anche molte sentenze di tribunali italiani, evidenziano che nel momento in cui non deve prevalere la differenza tra stranieri o comunitari piuttosto che italiani, perché vale il principio di non discriminazione, soprattutto in caso di prestazioni assistenziali o in questo caso provvedimenti di welfare. Quindi questo è un elemento che noi mettiamo all’attenzione della Commissione come elemento di approfondimento rispetto a questo.

    Altro elemento che noi vediamo in modo critico e auspichiamo che si possa alzare la soglia nel percorso anche di valutazione, di monitoraggio, che la normativa avrà, è la soglia dei 3 mila Isee. Caliandro ha dato dei dati, ma noi valutiamo in modo importante – valutazione che voi potrete ulteriormente fare rispetto a questo – la criticità che noi vediamo è rispetto alle persone sole. Da due componenti in su, poi non è sempre così facile valutare come si arriva ai 3 mila Isee, dato che la scala di equivalenza tiene conto dell’Isee, tiene conto delle persone, del nucleo familiare, la presenza di disabili, figli minori, tiene conto di tante cose… Ma le persone sole, che siano anziani soli, che siano donne sole o che siano quello che anche noi come organizzazioni sindacali vediamo come lavoro precario, lavoro povero, quello che ha il voucher, cioè al di sotto dei 750 euro di lavoro dipendente o al di sotto di questa cifra per i pensionati (l’assegno sociale è quasi di 5.824, questa è la cifra dell’assegno sociale), se abiti in una casa Erp con assegno sociale, con tutti gli abbattimenti, le persone sole probabilmente qui dentro non ci stanno. Questa è la preoccupazione che noi evidenziamo all’Assemblea, con una valutazione, naturalmente al netto delle compatibilità economiche, di poter valutare anche nel corso del provvedimento un allargamento alle persone sole, perché altrimenti si rischia di coprire solo da due persone in su, e non lo diciamo noi, ma lo dice l’elemento dell’Isee.

    La vicepresidente evidenziato due o tre elementi rispetto al regolamento, quindi io in questa fase dico solo che auspichiamo il confronto con le parti sociali rispetto al tema del regolamento attuativo. Pongo due punti, che noi vediamo e crediamo che la Regione, in sinergia con Anci, deve fare propri. Il RES, il SIA, la legge n. 14 che sono provvedimenti molto importanti per la nostra realtà regionale, vedono nell’integrazione dei servizi, nella presa in carico attraverso l’equipe multiprofessionale (perché questa è la vera sfida di questa Regione che ha probabilmente influenzato anche giustamente il livello nazionale), nei servizi sociali e nelle equipe multi professionali,  quindi agenzia regionale per il lavoro, sociale, sanitario ma soprattutto nei servizi sociali e nel distretto, il vero elemento di attuazione delle politiche attive e passive che si mettono in campo. Per questo noi crediamo che la Regione tramite il Presidente della Conferenza Stato-Regioni, nel suo ruolo nazionale in questo caso, debba fare di tutto perché a livello nazionale si possa sbloccare il tema del blocco del turnover degli enti locali. Ieri il Presidente del Governo all’Assemblea nazionale dell’Anci ha detto delle cose, però se sono vere le cose che ho sentito alla televisione, giustamente lui ha parlato di forze di polizia, di sanità e quindi di medici e di infermieri, ma la vera sfida per questi provvedimenti del reddito di inclusione passa dagli enti locali. Enti locali che sono in condizione di non poter assumere, per il blocco del turnover, psicologi, assistenti sociali, educatori professionali: è evidente che c’è un gap tra un provvedimento importantissimo e la sua realizzazione, quindi lo diciamo qui al Presidente quale Presidente della Conferenza Stato-Regioni. Nel contempo però crediamo che ci siano comunque delle possibilità anche a livello regionale e locale nella nostra regione di strumenti, anche normativi, per mettere in sinergia e per aiutare e contribuire da parte della stessa Regione verso i Comuni; penso alla possibilità che la Regione ha delle facoltà assunzionali rispetto alle assistenti sociali – lo dico in modo molto chiaro – che possono anche essere comandate, prestate, assegnate al Comune, se questa è la sfida; poi c’è anche la discussione sul nuovo Piano sanitario sociale integrato, quindi è una cosa importante. Credo che questa cosa debba essere fatta valutati tutti gli strumenti, perché il PON è importantissimo, sono 3,5 milioni sul 2016, sono 10 milioni totali, ma i 10 milioni del PON non sono sufficienti, poi ricordiamo tutti che sono a tempo determinato, perché sono risorse che non sono strutturali. Quindi noi sollecitiamo anche una discussione in Consiglio e la Regione sia sul terzo livello nazionale ma anche in sinergia in un confronto a livello regionale.

    Ultima cosa che voglio dire anche qui: credo che l’Assemblea, il Consiglio, rispetto a questo provvedimento debba anche sollecitare, insieme alla Regione ma anche il Consiglio, un ragionamento rispetto all’Inps. Questo provvedimento, come il SIA, passa dalla gestione operativa dell’Inps, nel senso che la verifica sull’Isee o sui requisiti sul SIA nazionale (poi vedremo il RES, ma se sono in armonia probabilmente sarà anche per questo), ma anche l’Inps è profondamente sotto organico. Questo è un ulteriore rischio, non lo diciamo noi, lo dice il direttore regionale; lo diciamo noi come organizzazioni sindacali che a volte non siamo creduti, ma il direttore regionale dell’Inps, nella presentazione del bilancio sociale, ha lanciato un grido d’allarme rispetto alla potenzialità delle attività fatte, e naturalmente SIA e RES sono due attività che sono ulteriori rispetto alla gestione.

    Chiudo dicendo che il provvedimento da parte nostra è apprezzato, ne condividiamo l’impianto con quegli elementi di perplessità e di criticità e con quella valutazione politica finale rispetto alla realizzabilità.

     

    Presidente ZOFFOLI

    Ricordo a tutti che chi volesse dare dei documenti, dei contributi, può mandarli alla email dalla quale avete avuto la convocazione, possibilmente entro venerdì della settimana prossima.

     

    Alberto BELLELLI (Sindaco Comune Carpi - ANCI Coordinamento Welfare)

    Anche noi come Comuni per rappresentare la soddisfazione per un progetto di legge di questo tipo. Devo dire che abbiamo avuto modo di incontrarci preventivamente con gli estensori, Caliandro e Taruffi, ai quali abbiamo sottolineato alcune esigenze che ritroviamo nella proposta di legge: in primis il tema dell’universalità del provvedimento. Erano i giorni quasi di entrata in vigore del SIA, quindi avevamo la fotografia dello strumento nazionale e da subito abbiamo cercato di costruire un impianto che permettesse di dare ai Comuni l’opportunità di avere un ruolo strategico in questa visione. Lo dico perché, e poi riprenderò alcuni interventi che sono stati fatti che mi trovano completamente d’accordo, però lo dico perché di fatto una delle maggiori preoccupazioni in questo momento è legata al funzionamento e all’attuale incidenza del SIA rispetto a quel meccanismo che l’assessore Gualmini prima citava, che sta determinando una certa ricaduta rispetto al raggiungimento dei punteggi a livello nazionale. Qui sapere che c’è un impegno ad andare a ricercare una rinegoziazione rispetto al raggiungimento dei punteggi a livello nazionale, che permettono di fotografare le differenze che ci sono in questo Paese: avere questo indice di povertà o essere inquadrati da questo punto di vista a Carpi (il mio Comune) o a Catania crea delle prerogative totalmente diverse e secondo me non va ad attuare quello che invece è il senso più ampio di uno strumento come il SIA. Troviamo tutte le cose che abbiamo richiesto come Comuni e questo è importante, le voglio sottolineare. La richiesta di avere uno strumento che permettesse di completare l’universalità va nell’ottica di dire prendiamoci il ruolo strategico come Comuni da qua in poi; lavoriamo noi su quelli che sono fuori dalla coorte SIA-RES, lo dico in maniera molto evidente. E guardate che in questi anni i Comuni hanno lavorato molto nella direzione degli strumenti oggi legati – uso un bruttissimo termine, però ormai è diventato di uso comune – alla fascia grigia delle nuove fragilità sociali determinate dell’andamento occupazionale. Si chiamano bandi anticrisi, si chiamano sperimentazioni a vari livelli che hanno tutte cercato, nei limiti normativi, legislativi presenti oggi, di cominciare tra l’altro a costruire i prodromi di quello che vediamo già all’interno di questo provvedimento; meccanismi che fossero di inclusione sociale spesso costruiti con il terzo settore, perché laddove non si poteva arrivare ovviamente con strumenti che coinvolgessero anche da un punto di vista legislativo quella multidisciplinarietà che oggi vediamo, sono stati interpretati in maniera artigianale sul territorio. Sapere che l’organizzazione anche delle future risorse, a fronte di un intervento orizzontale, assicurato, io mi auguro sinergico (perché questa è stata la volontà o vuole essere la volontà di qui in poi, fatto salvo i criteri di sostenibilità che abbiamo compreso benissimo), vuol dire dare l’opportunità in programmazione di distretto agli enti locali di giocare un ruolo attivo all’interno di quella dimensione multidisciplinare nella costruzione dei rapporti che possono permettere ai tre provvedimenti - perché adesso li citiamo tutti: SIA, RES e legge n. 14 - che sono il pezzo rivoluzionario per i servizi sociali, permettono però poi anche di fare un altro esercizio, quello di completare la filiera degli interventi, le dotazioni che oggi sono presenti.

    Io lo sottolineo questo, perché l’intervento precedente mi ha rubato metà delle cose che volevo dire rispetto alle figure degli assistenti sociali e alle dotazioni in essere. Lo dico perché oggigiorno stiamo assistendo ad un cambio effettivo di quello che è il ruolo degli assistenti sociali; sono sempre più case manager e sempre meno bancomat, se mi passate la definizione, e il ruolo del case manager significa avere una serie di percorsi che si possono attivare nella tastiera più complessiva di quelli che sono i percorsi sociali, tra l’altro ognuno dei quali contiene degli elementi che sono elementi che definirei “generativi” che lasciano in quel termine dell’inclusione un empowerment della persona, dell’individuo, del nucleo familiare e non si traducono in un puro intervento assistenziale. È l’evoluzione che stiamo vedendo in tutti gli strumenti sociali, non soltanto in questi tre che portano questo grande portato di innovazione. Io voglio ricordare che in questi mesi tutti i Comuni stanno agendo per cambiare i propri regolamenti sulla contribuzione economica e compaiono all’interno di quei regolamenti oggi i piani assistenziali individualizzati, il patto con la persona assistita, la costruzione di una serie di rapporti che spesso coinvolge anche percorsi costruiti con il terzo settore, la corrispondenza all’impegno rispetto a: ricevo un aiuto, mi comporto in un certo modo, mi vedo in una rete che mi riporta ad un livello di inclusione sociale. Oggi è un piccolo momento rivoluzionario, perché riuscire a chiudere questo ambito universalistico, riuscire a dare questo nuovo compito agli enti locali, significa anche rimettere al centro quella logica di programmazione che avviene a livello distrettuale e che noi dovremmo andare a rafforzare con l’altro provvedimento, cioè quello della costruzione dei nuovi piani. La costruzione di nuovi piani non è avulsa da questo contesto, ma deve dare di nuovo quella centralità forte, posso assicurare messa anche un po’ in difficoltà: il tema delle Province, le CTSS, il rafforzamento più complessivo dell’architrave istituzionale che non ci sta dando, rispetto al modello precedente, una linearità e una capacità di scorrere così veloce rispetto soprattutto, per esempio, alla definizione dei fondi e degli ambiti di programmazione, ma in realtà può essere uno degli elementi fondamentali della costruzione dei nuovi piani. Cioè questo concetto, questo elemento di multidisciplinarietà, della capacità di leggere il problema coinvolgendo quelle che sono tutte le risorse e gli attori all’interno della società, rimettendo la centralità del distretto, ovviamente imputano al distretto stesso nelle proprie componenti di andare ad attivare tutti quelli che sono i rapporti che rendono agibile la legge n. 14, rendono veri, capienti i percorsi che si costruiscono all’interno dei percorsi di inclusione sociale del SIA e del RES, un percorso che io reputo interessante e rivoluzionario. Tutti gli strumenti sociali vanno nella dimensione di essere sempre più strumenti codificati e meno a pioggia, ma più legati al target, che permettono una rendicontazione anche delle attività rispetto a quello che si è ottenuto dando una mano e sono strumenti sempre più progettuali. Nelle varie dotazioni oggigiorno, se togliamo per esempio le politiche abitative, sto parlando dell’Erp in particolare, che rimane codificato e scarsamente progettuale, nonostante ci siano alcune riflessioni, tutti gli altri interventi stanno andando nella logica di essere codificati, quindi molto chiaro il target, molto misurabile la conseguenza dell’azione sociale che faccio, e dall’altro punto di vista misurabile anche il fatto che mi lascia qualcosa di più rispetto ad avere pagato una bolletta, un canone o un determinato momento legato all’affitto o qualcos’altro, ma mi lasciano anche un processo di empowerment effettivo. Questo lo trovo di grandissimo interesse.

    Come costruiremo gli altri strumenti della filiera, potrà essere un argomento da mettere dentro i nuovi piani, perché pensare cosa accade dai 3 mila euro Isee ai 10 mila e da lì in poi, volendo cercare di costruire delle tappe e non delle categorie, è tutto un percorso in divenire che ci vedrà molto interessati. Per fare questo però, è ovvio, sono necessarie alcune figure: non possiamo immaginare di costruire l’ambito della multidisciplinarietà, semplicemente immaginando che le forze attuali legate al blocco del turnover degli enti locali, consentano, anche in un cambio culturale, di riuscire ad accompagnare questo procedimento come se nulla fosse. So che non tutte forse le risposte si trovano a livello regionale, anche se qualche riflessione è stata buttata sul tavolo, però il tema c’è tutto, è un tema penso che sia fondamentale che non interessa soltanto gli enti locali, ma le figure più in generale legate all’interno del mondo della sanità che è un altro attore fondamentale, sulla legge n. 14, penso ai centri per l’impiego per dare gli altri mansionamenti. Ovviamente si tratta di un elemento importante da mettere in campo; il PON ci potrà dare una risposta nel breve periodo, penso non esaustiva ma una risposta nel breve periodo importante. Contiamo anche sul fatto che io penso si stiano profilando di fronte a noi anche delle figure che non sono solo e soltanto quelle degli assistenti sociali, cioè la dimensione occupazionale. Oggi noi qua stiamo mettendo in piedi, all’interno di alcune dinamiche, delle politiche del lavoro dal punto di vista occupazionale; per fare questo non possiamo immaginare di arrivarci con le figure professionali oggigiorno presenti all’interno degli enti di riferimento. È chiaro che cominciare a mettere in campo l’opportunità di avere alcune figure strategiche aggiuntive, penso sia fondamentale.

    Chiudo con due riflessioni velocissime che sono degli impegni o delle richieste che faccio. Un coordinamento forte dal punto di vista della tempistica, che ci consenta di leggere il provvedimento, prepararlo e costruirlo anche all’interno dell’impianto che oggi vede i servizi sociali essere travolti da un ambito lavorativo estremamente importante anche dal punto di vista delle richieste che sono arrivate sul SIA, che sono comunque ancora poche: lo strumento comunicativo è stato molto debole, questo va detto, nonostante dal livello regionale alle Province, financo ai distretti abbiamo cercato di coinvolgere tutti i soggetti, sindacati e terzo settore per permettere le segnalazioni, ma il lavoro è stato abbastanza debole. Mi auguro che sul RES non sia così ma che ci sia una campagna comunicativa ad hoc importante. L’ultima cosa: vigileremo sul regolamento, affinché l’impianto burocratico sia snello nei controlli e nella certezza, ma che ci permetta di non appesantire ulteriormente le nostre strutture.

     

    Maurizia MARTINELLI (CISL Emilia-Romagna)

    Anche noi come Cisl vogliamo esprimere apprezzamento per questo intervento legislativo. Le ragioni sono state già dette: l’universalità, il fatto che si vada verso una politica attiva dell’inserimento lavorativo dei soggetti che sono in condizioni di povertà. Quindi taglio questa parte per fissare l’attenzione su alcune criticità, sulle quali vi chiediamo di intervenire rispetto all’intervento legislativo. In particolare, quello che ci preoccupa è il fatto che il regolamento – e anche sul regolamento vi chiediamo che sia assolutamente quantomeno confrontato con le organizzazioni e con le parti sociali – perché sulla parte del regolamento credo che si possano trovare diverse soluzioni ai problemi che vediamo. Il primo è sicuramente il rapporto fra SIA e reddito di solidarietà, cioè tutto l’elemento di raccordo, perché si possono creare delle sperequazioni sia in eccesso che in difetto: non è che possiamo far perdere tutto alla gente perché si superano i 600 euro, per essere molto chiari. Quindi questo è un primo elemento di raccordo assolutamente stringente. L’altra questione: sugli extracomunitari lungo soggiornanti diceva già la mia collega della Cgil, quindi mi adeguo per brevità.

    L’altro problema grosso è definire la nozione di trasferimenti monetari alla fine del raggiungimento dei 600 euro, perché sulla definizione di trasferimenti monetari dobbiamo essere molto chiari: abbiamo appena discusso recentemente la suddivisione del fondo di morosità incolpevole, non è che se a una famiglia diamo i soldi per pagare le rate dell’affitto pregresso o futuro, pur essendo in condizioni di povertà non ha diritto a... Era solo un esempio per farvi capire che la nozione di trasferimento ai fini del raggiungimento anche sui 600 euro se non si può stemperare quello che avete detto, sul regolamento io penso che dovremmo trovare delle regole. Se c’è un tema che la SIA nazionale non affronta è di fatto il raffronto fra i 600 euro massimi e la composizione del nucleo familiare. Vi faccio un esempio, così ci capiamo perfettamente, anche al di là degli esempi che avete fatto sui quali avrei qualcosa da dire: se ho un disabile con assegno di accompagnamento che con l’assegno di cura supera i 600 euro, se sono in una famiglia con due persone, magari due anziani, ci sta, ma se sono una famiglia con madre, padre e bambini, quindi relativamente alla composizione del nucleo, non ci sta più, perché quella è una famiglia in povertà, che senza quel disabile sarebbe in povertà. Quindi, attenzione: voi siete stati molto prescrittivi sui 600 euro, o stabiliamo nel regolamento delle deroghe, altrimenti le disequità possono essere abbastanza profonde. Mi ero segnata “superamento del sistema punti”, prendo atto di questa cosa e vi ringrazio perché sarebbe stato pesantissimo. Ho sentito con molto piacere parlare di valutazione multidimensionale del bisogno, perché è il nostro valore aggiunto, è evidente però che quando il regolamento andrà a definire le modalità, dovremo comunque stabilire e precisare delle regole in questo senso. L’importante è che non si ripercuota questa questione del sistema a punti che è veramente perversa.

    Sulla soglia voglio dire questo: la Regione dice di anno in anno noi possiamo alzare la soglia. Naturalmente se aumenta tanto meglio, ma sulla soglia non apro le battaglie prima di tutto perché vorrei dire – e vi ringrazio veramente per questa interessantissima audizione – alla Gibertoni che l’Emilia-Romagna da questo punto di vista non lascia solo nessuno, perché c’è il combinato disposto legge n. 14, SIA e reddito di solidarietà, dove sulla legge n. 14 non abbiamo vincoli di Isee, perché è evidente che questi nuclei si intrecceranno, non stiamo scoprendo l’acqua calda, nel senso che ci sono delle povertà che sono intersecate fra di loro, e non essendo questo un reddito di cittadinanza ma un reddito che guarda alla povertà estrema, sarà solo credo il primo anno che ci dirà effettivamente fra applicazione della legge n. 14, SIA e reddito di solidarietà quale tipo di povertà noi riusciamo a cogliere. Povertà e fragilità perché è questo il valore aggiunto dell’aver costruito il combinato disposto… È un pacchetto di misure che sostanzialmente cerca di costruire una gamma di intervento, che è complessiva.

    Due invece questioni che secondo me sono determinanti, sulle quali noi probabilmente non ragioniamo abbastanza. Si dice che il regolamento stabilirà la modalità di distribuzione dei 400 euro massimi: il problema vero è il come sarà questa distribuzione, perché nella prima fase quando noi abbiamo interloquito con i due relatori della legge, avevamo capito che si faceva riferimento alla card. È evidente, non è che noi siamo contro i trasferimenti monetari, però c’è una povertà che è una povertà finanziaria ed economica, sulla quale il trasferimento monetario è la risposta giusta; c’è una povertà che è la fragilità sociale, per cui il trasferimento monetario non è la risposta giusta o perlomeno va valutata, ma va valutata caso per caso. La legge n. 14 sulla fragilità, quando io ho a che fare con tutta una serie di dipendenze che abbiamo, dargli la card da spendere negli alimentari all’alcolista, o a quello che recupera i soldi per gli alimentari e li va a spendere nelle macchinette dei giochi d’azzardo, attenzione, perché noi dobbiamo prevenire anche tutti quei comportamenti ai quali non risponde esattamente il trasferimento monetario. Quindi una riflessione sulle modalità con le quali noi vogliamo operare i trasferimenti monetari, visto che non sarà distinguibile la platea. Io ricordo a tutti che chi si inserisce nella profilazione sulla legge n. 14, chi fa domanda di SIA e chi fa domanda di reddito di solidarietà, può essere lo stesso nucleo familiare, non è che c’è in questi provvedimenti qualche elemento ostativo. Quindi questa è una discussione che secondo me dobbiamo fare: essendo un provvedimento da bilancio regionale, una quota parte secondo me di trasferimenti può essere data – lo dico in modo brutale – direttamente ai Comuni rispetto ad un certo tipo di popolazione che rappresenta alcune caratteristiche di fragilità, perché bisogna responsabilizzare ma nello stesso tempo accompagnare le persone.

    L’ultima questione che volevo dire l’ha già detta chi mi ha preceduto, però io la dico in modo diverso: non si può teorizzare – lo dico in modo severo – un welfare diverso da quello che abbiamo, e quindi costruire delle norme legislative che noi abbiamo, come sindacato, ampiamente sostenuto perché ne abbiamo visto tutta la valenza rispetto alle politiche, attive e non preoccuparsi dell’infrastruttura sociale che le regge. Questo è il tema, perché le politiche attive si fanno solo con un’organizzazione, una governance del personale che governa questo provvedimento, non si fanno solo con i trasferimenti monetari o anche con gli accompagnamenti, tra l’altro a bando, di tutti i tirocini, contratti di formazione professionale, eccetera. Noi abbiamo nell’agenzia per il lavoro povertà di personale con un mucchio di personale ancora da sistemare, perché è assolutamente precario, abbiamo, a parte i Comuni capoluogo e i Comuni più importanti, una povertà assoluta di personale che può sorreggere questo tema. Non sto facendo, che è già nobile di per sé, la battaglia per l’occupazione: bisogna proprio che assumiamo la consapevolezza che l’infrastruttura, l’accompagnamento della fragilità e della povertà diventa determinante rispetto al risultato. Diventa determinante, perché il lavoro non si inventa per legge. È vero, non è per tutti perché non potremo dare lavoro a tutti perché non c’è, ma potrà essere assolutamente una legge inclusiva se sul territorio, sul distretto noi avremo una struttura pensata, governata, sostenuta che è in grado di fare inclusione anche con il terzo settore, fino in fondo, attraverso le startup e attraverso tutti gli altri strumenti che ci potremo inventare e naturalmente attraverso il lavoro per chi avrà la possibilità di trovarlo, perché anche questo bisogna essere molto realistici. Noi su questo, indipendentemente dalle cose che sono state dette qui, quindi sblocco del turnover, assunzioni, abbiamo fatto una proposta sul piano sociosanitario per creare un’infrastruttura distrettuale in grado di reggere tutti questi provvedimenti giustissimi; non la dico perché non sono venuta qui a fare questa pubblicità, però dico che questo è il tema.

     

    Martina MASI (Campagna Come minimo un reddito)

    La campagna “Come minimo reddito” è stata sottoscritta e portata avanti da diverse associazioni tra cui Ailes, Filt, Piazza grande, Naufragi, e altre associazioni. Volevo innanzitutto dire che vediamo con favore l’introduzione del reddito di solidarietà come un primo passo verso un futuro possibile reddito minimo, che sicuramente non è questo. Vediamo con favore innanzitutto perché si prevede uno stanziamento pluriennale in ambito di welfare, mentre in questi ultimi anni si è andati sempre più verso un restringimento del welfare. La vediamo come una misura importante, perché definisce una soglia minima al di sotto della quale c’è una sorta di diritto ad un intervento pubblico e anche perché è l’inizio di una sperimentazione, un primo passo. Si parla però di un intervento universale, universalistico, mancano però diversi interventi per poter parlare effettivamente di una misura universalistica. Innanzitutto, come altri hanno detto, sarebbe necessario iniziare già a ragionare fin d’ora per incrementare la soglia del reddito, se non ora bisogna comunque cominciare a ragionare per incrementare la soglia di povertà, per evitare che questa misura sia destinata ai poverissimi (per non usare altri termini). Un altro elemento importante sarebbe quello di definire come residenza minima dei beneficiari nella regione il tempo di un anno e non di più, perché un anno è già sufficiente per evitare il turismo sociale, per evitare che persone da altri Paesi, da altre regioni vengano qua per ottenere il reddito minimo. Un anno è sufficiente, incrementarlo vuol dire anche qui restringere la categoria di persone - per cui intervento categoriale - che può accedere a questa misura.

    L’ultimo elemento, forse quello a cui teniamo di più, è evitare la discrezionalità dell’erogazione della misura, la discrezionalità dell’assistente sociale, la discrezionalità inserita anche nel regolamento. Infatti, visto che il progetto di inclusione sociale è concordato con un assistente sociale, con un servizio sociale, è importante dare la possibilità ai beneficiari di fare ricorso per far sì che la misura sia il più possibile distribuita in maniera uguale in tutta la regione. Penso che questa misura sia stata applicata anche a Trento, nella misura sul reddito di garanzia, questa misura di un ente a cui il soggetto beneficiario può ricorrere.

    L’ultimo aspetto sempre rispetto al discorso della discrezionalità: sarebbe importante definire una durata fissa, non dire questa misura viene erogata per un tempo massimo di un anno, poi ci sono sei mesi, poi di nuovo prorogabile. Non dovrebbe essere tempo massimo di un anno, bensì il tempo di un anno, perché altrimenti qui si è in mano ad un servizio sociale, poi in realtà te lo do per un mese, poi vedo se hai adempiuto a questo adempimento e alla fine diventa una misura coercitiva, nel senso che uno dice tu devi assolutamente fare questa cosa, altrimenti non proseguo nel reddito minimo.

     

    Walter RASPA (Segretario ACLI Emilia-Romagna)

    Brevissimo, anche perché le cose dette sono in larga parte condivisibili dai colleghi che mi hanno preceduto. Io ricordo quattro o cinque anni fa, quando il professor Gori consigliò alla Caritas il progetto di alleanza contro la povertà, Caritas, con altre associazioni del forum del terzo settore, con i sindacati, con le cooperative hanno dato vita a questa grande alleanza. In Emilia-Romagna quindi ci siamo subito organizzati, credo sia stata la prima Regione a partire subito sull’alleanza contro la povertà, e voglio ringraziare tutte le associazioni che hanno partecipato, dai sindacati, dal forum, alle cooperative a livello regionale, perché in quegli incontri noi abbiamo prodotto dei documenti che poi abbiamo consegnato alle forze politiche e anche ad altre forze sociali. Il Presidente della Regione, ma anche l’Assessore, avevano promesso sia in campagna elettorale che dopo questa legge contro le povertà e finalmente diciamo che ci siamo, quindi siamo contenti e siamo soddisfatti.

    I due disegni di legge, presentati da Caliandro e Gibertoni, sono molto validi, credo che la relazione di maggioranza poi ha recepito molte cose di quella della minoranza, quindi c’è un clima veramente che aiuta molto questo progetto contro le povertà. Io mi permetterei soltanto di dire l’auspicio che poi nei futuri lavori che ci saranno si possa migliorare su molte cose dette e suggerite, in modo particolare nella vigilanza e sui controlli. Nella relazione di Caliandro io suggerirei all’articolo 9, mi sembra, di ampliare un po’ la parte della gestione anche ad altre forze sociali: si parla solo della scuola, dei Comuni, di ampliarla anche al forum del terzo settore, la Caritas e anche ad un rappresentante sindacale. Così anche nell’articolo 10 del suo disegno di legge presentato, il controllo solo sul massimo di dieci è troppo poco, anche quello va reso illimitato proprio per prevenire alcune cose. Comunque, il lavoro è stato ottimo e io nel ringraziarvi, vi saluto.

     

    Presidente ZOFFOLI

    Vista l’ora, pochi minuti ai due relatori per le conclusioni.

     

    Consigliera relatrice di minoranza GIBERTONI

    La nostra critica è una critica costruttiva: siamo i primi ad essere qui per lavorare in modo che davvero l’Emilia-Romagna non lasci indietro nessuno per quelle che sono le sue competenze. Lo vedremo; al momento non è ancora così, non sempre per oggettiva responsabilità della Regione Emilia-Romagna. Lo vedremo nel momento in cui verrà approvato il progetto finale, ci auguriamo che questo non sia il progetto finale, abbiamo detto così, ci auguriamo che sia un progetto ancora estendibile, che già ha accolto, come è stato detto prima di me, alcune delle migliori, secondo noi, idee che hanno – come riconosceva anche l’assessore Gualmini, che ringrazio – fatto in modo che nell’agenda politica di questa Regione entrasse questo tema. La maggioranza delle strutture portanti di quelle che erano per noi le buone idee, le buone proposte da fare, anche dalla maggioranza sono state accolte. Ora se siamo tutti d’accordo che la giornata di oggi, la discussione generale che partirà, allargata anche alle altre forze politiche che non hanno presentato un loro pdl, ma che recepiscono la priorità di questi nostri due pdl adesso e che parteciperanno senz’altro attivamente con le loro proposte – già alcuni si sono fatti avanti – e l’Aula siano i luoghi dove questi pdl possono trovare una fusione ancora più virtuosa e prendere forma, se no dovremmo dire che chiudiamo oggi, approviamo il pdl della maggioranza ma non è così, abbiamo per fortuna ancora diversi passaggi. Il recepimento di ciò che è stato detto da tutti voi oggi, che prendiamo senz’altro in considerazione, e che io come Movimento cinque stelle ricorderò anche alla maggioranza, perché tante cose, tante integrazioni buone, tante buone pratiche sono state ricordate anche da altre Regioni, da sindacati, associazioni, eccetera. Quindi ribadisco, siamo qui davvero per far uscire dall’Aula il progetto migliore possibile, a mio avviso, nell’anno 2016 dalla sponda regionale Emilia-Romagna. Questa è la mia preoccupazione, nient’altro. Non siamo qui per fare altro, sicuramente in questo caso non è nessun tipo di polemica, ma anzi fare in modo che la priorità siano effettivamente i cittadini più numerosi possibile che potranno avvalersi di questo reddito di inclusione e di cittadinanza.

     

    Consigliere relatore CALIANDRO

    Solo per dire che sono rallegrato dagli interventi che ci sono stati oggi e che adesso riprenderò, però senza alcun dubbio, visto il motivo per il quale ci siamo spinti a fare questa proposta, posso dire che l’apertura di dialogo che il Movimento cinque stelle mostra rispetto a questo tema ha dei punti di non contatto rispetto al testo che hanno presentato.

    Penso infatti che noi non alzeremo, come viene proposto nel testo del pdl, la data di residenza a trentasei mesi ma rimarremo sui ventiquattro, non siamo disposti ad accettare questa mediazione. Come penso anche che sia irricevibile il fatto che quel testo, quella proposta proponga che vengano tagliati fuori i pensionati che non rientrano nel raggiungimento dei limiti della soglia di povertà relativa: questo non possiamo accettarlo rispetto a quello che è il nostro modo di vedere e di proporre il provvedimento. Come sempre, con quel testo non abbiamo punti di contatto rispetto al fatto che non si tenga conto di una multidimensionalità che tiene conto invece, come nel nostro testo, di scuola, lavoro e minori e non può essere soltanto finalizzata al lavoro. Noi pensiamo che l’emancipazione culturale dell’uscita dal bisogno passi attraverso questo meccanismo. Un altro punto di una certa criticità è che non si può presentare un testo di legge che non ha una scheda finanziaria.

    Quindi io credo che bisogna certamente essere animati da buone intenzioni, ma avere anche buone priorità. Le priorità che ho visto in alcuni interventi che si sono susseguiti oggi, dei quali vi ringrazio, rispetto alla mission di equità sociale che dobbiamo perseguire, che ho colto e che trovo nella grande alleanza come occasione di confronto con il quale, a mio giudizio, tanto il legislatore quanto il regolamento dovranno confrontarsi, come attori sociali e quindi anche di interlocuzione, rispetto alle modifiche che avete in qualche modo proposto (abbiamo tempi e modalità per cercare di rendere efficace questo intervento) e che rientrano in quella che è stata la mia premessa ai lavori di questa mattinata ovvero l’allineamento normativo tra le varie fonti di regolamentazione, strumento indispensabile per una norma equa, altrimenti rischia di essere una norma che sta nel nirvana e invece noi dobbiamo stare tra la gente, tra i bisogni.

     

    Presidente ZOFFOLI

    Chiudiamo qui i lavori di questa mattinata. Ricordo a tutti: chi ha dei contributi, di farli avere entro venerdì prossimo. Grazie a tutti.

     

     

    Espandi Indice