Testo
Verbale n. 10
Seduta del 15 giugno 2011
Il giorno 15 giugno 2011 alle ore 14,30 si è riunita presso la sede
dell'Assemblea Legislativa in Bologna, Viale A. Moro 50, la
Commissione Statuto e Regolamento convocata con nota prot. n. 18781
dell'8 giugno 2011.
Partecipano alla seduta i Commissari:
Cognome e Nome Qualifica Gruppo Voto
FAVIA Giovanni Presidente Movimento 5 Stelle 2 presente
Beppegrillo.it
MUMOLO Antonio Vicepresid Partito Democratico 6 presente
ente
POLLASTRI Vicepresid PDL - Popolo della 6 presente
Andrea ente Libertà
BARBATI Liana Componente Italia dei Valori - 4 presente
Lista Di Pietro
BERNARDINI Componente Lega Nord Padania 4 assente
Manes Emilia e Romagna
BONACCINI Componente Partito Democratico 4 assente
Stefano
CEVENINI Componente Partito Democratico 4 assente
Maurizio
DONINI Monica Componente Federazione della 2 presente
Sinistra
MONARI Marco Componente Partito Democratico 4 presente
MONTANARI Componente Partito Democratico 4 presente
Roberto
MORI Roberta Componente Partito Democratico 2 presente
NALDI Gian Componente Sinistra Ecologia 2 presente
Guido Libertà - Idee Verdi
NOE' Silvia Componente UDC - Unione di Centro 1 assente
VECCHI Alberto Componente PDL - Popolo della 4 presente
Libertà
VILLANI Luigi Componente PDL - Popolo della 1 assente
Giuseppe Libertà
Sono presenti i consiglieri: Roberto PIVA in sostituzione di Stefano
BONACCINI, Rita MORICONI in sostituzione di Maurizio CEVENINI,
Stefano CAVALLI in sostituzione di Manes BERNARDINI.
Hanno partecipato alla seduta: A. Busetto (Serv. Segreteria e affari
generali della Giunta, affari generali della Presidenza, pari
opportunità); V. Barbon (Serv. Legislativo e qualità della
legislazione); R. Ghedini (Serv. Informazione); M. Veronese (Resp.
Serv. Coordinamento Commissioni assembleari).
Presiede la seduta: Giovanni FAVIA
Assiste il segretario: Nicoletta Tartari
Resocontista: Enzo Madonna
Il presidente FAVIA dichiara aperta la seduta alle ore 14,40.
Sono presenti i consiglieri Cavalli, Montanari, Mori, Moriconi, Piva
e Pollastri.
- Approvazione dei verbali nn. 7 e 8 del 2011.
La Commissione approva all'unanimità dei presenti.
- Audizione delle prof. Antonella Picchio e Diletta Tega, docenti
esperte in materia di pari opportunità e discriminazioni, in vista
dell'esame del progetto di legge oggetto 597, concernente
Istituzione della Commissione regionale per la promozione di
condizioni di piena parità tra donne e uomini .
Il presidente FAVIA ringrazia le docenti intervenute e cede la
parola alla relatrice del progetto di legge, consigliera Mori.
Entrano i consiglieri Donini e Naldi.
La consigliera MORI si associa ai ringraziamenti del presidente
verso le docenti. La prof. Picchio è particolarmente qualificata
dato che, tra l'altro, insegna economia di genere e storia del
pensiero economico alla facoltà di Economia dell'Università di
Modena e Reggio Emilia ed è anche componente del Centro analisi
politiche pubbliche. Analogamente la prof. Tega che, oltre ad essere
ricercatore di diritto costituzionale presso la facoltà di
Giurisprudenza dell'Università di Milano Bicocca, è anche docente di
diritto pubblico in e tutela dei diritti fondamentali presso la
facoltà di Conservazione beni culturali a Ravenna ed è stata junior
expert dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali. È autrice di
testi sull'omofobia e quindi è un'esperta in tema di
discriminazioni.
Ricorda l'iter svolto e le prossime tappe: l'udienza conoscitiva già
convocata per il 20 giugno e l'esame in Commissione che, d'accordo
con il presidente Favia, sarà inserito all'ordine del giorno della
seduta del 22 giugno. Qualora non si rendessero necessari ulteriori
approfondimenti, è dunque ipotizzabile la trattazione in Aula nella
prima seduta assembleare che sarà convocata. Pertanto sono
rispettati i temi che la Commissione si era data.
Entrano i consiglieri Barbati, Vecchi e Monari, esce il consigliere
Pollastri.
La prof. Antonella PICCHIO svolge il seguente intervento:
Ringrazio di questo invito e sono anche contenta di avere avuto
modo di vedere il vostro percorso per arrivare alla nuova legge, che
mi sembra molto interessante, e spero di poter contribuire a questo
sforzo.
Io, come forse chi mi ha invitato sa, cerco nuovi nessi, perché
ormai ho una più che decennale esperienza di politiche di pari
opportunità - e voi lo sapete perché state modificando una legge che
era del 1986 - quindi siamo già su più di vent'anni di esperienza e
l'introduzione di una nuova legge credo che sia fatta proprio
tenendo conto di quella esperienza e di quelle difficoltà.
Come teorica dell'economia, insegnando storia del pensiero
economico, ho la grande fortuna di poter vedere una molteplicità di
strumenti, credo che ci siano dei problemi di prospettiva, proprio
di prospettiva analitica, non di narrazione in generale, ma proprio
di andare a vedere come si connettono i problemi. E il mio problema
è inserire nella visione del sistema economico ciò che sta al
fondamento delle diseguaglianze, in qualche modo della differenza
tra uomini e donne. Come farlo? Partendo dalla realtà, e vedremo che
la realtà ci aiuterà poi a svelare dei miti che sono molto
pericolosi, sia sulle donne che sul sistema economico.
La realtà con cui le donne fanno i conti è innanzitutto la realtà di
un lavoro, di attività e di un coinvolgimento responsabile sulla
qualità e la sostenibilità delle condizioni di vita delle persone
che gli stanno attorno, con cui hanno relazione.
Questa esperienza, che è a tutti nota, è ormai identificabile,
misurabile, quantificabile, esprimibile con dei dati che in qualche
modo ci consentono di prendere la distanza da un'esperienza molto
densa attraverso le indagini statistiche sull'uso del tempo.
L'indagine sull'uso del tempo che si fa in Italia ogni cinque anni,
e si sta facendo in molti Paesi del mondo, e si sta cercando di
estendere anche a Paesi che non la stanno facendo attraverso la
cooperazione internazionale - per esempio le Nazioni Unite -, è
un'inchiesta molto costosa, molto dettagliata, però è l'inchiesta
che ci porta più vicino alle condizioni di vita effettive, perché
attraverso dei diari ci dice cosa fanno tutti i membri del nucleo di
convivenza familiare ogni dieci minuti. Quindi, ci consente di dire
se i ragazzi sono veramente a scuola, anche se sono iscritti o cose
di questo tipo, che lavori fanno, che relazioni hanno e così via.
Ho pensato di presentare delle figure (documentazione depositata
agli atti).
Voi avete la prima figura che è in realtà un grafico statistico,
presentato dall'UNDP nel rapporto dello sviluppo umano del 1995, che
raffigura in modo grafico molto efficace, che rende visibile, un
concetto nuovo che è il lavoro totale. Si riconosce che i lavori
sono due: uno pagato e uno non pagato e quel rettangolo è l'area del
lavoro totale, è data dalla rilevazione in 14 Paesi industrializzati
(quindi il progresso, non l'arretratezza e quindi non è il passato,
anzi è sempre di più il futuro e il lavoro non pagato in realtà sta
crescendo, non diminuendo).
Questo grafico, che è diviso, la parte superiore rappresenta il
lavoro pagato e la parte inferiore è il lavoro non pagato e la
diagonale divide uomini e donne, ci fa vedere delle cose che
sappiamo tutti per senso comune, per cui non c'era molto bisogno di
fare un'inchiesta così costosa: le donne fanno meno lavoro pagato e
più non pagato in una proporzione di 1/3 a 2/3, più o meno; gli
uomini fanno più lavoro pagato e meno non pagato, ancora una volta
fra 1/3 e 2/3 e in realtà poi noi sappiano che non è più una
divisione tra donne casalinghe e donne emancipate, ma che tutte
fanno tutto e che si è casalinghe ormai non in una vita, ma in certi
periodi della vita. Su questa divisione si sono giocate e si giocano
- e voi vi state predisponendo a continuare a lavorare in
quest'ottica - le politiche di pari opportunità, viste in questo
senso: bisogna aumentare la fluidità, il passaggio delle donne dal
lavoro non pagato al lavoro pagato e possibilmente degli uomini dal
pagato al non pagato.
Voi che rappresentate una Regione seria, che fa delle politiche di
pari opportunità effettive, sapete che i risultati non sono un
granché. Basterebbe vedere l'ultima indagine sull'uso del tempo,
uscita da poco, che in realtà non modifica moltissimo le cose. Qui
cominciano le mie spiegazioni, diverse, perché possiamo inseguire
infiniti interventi nei rapporti, nelle politiche europee, li
troviamo tutti indicati nel dettaglio, separatamente: come si
aiutano le imprese delle donne, come si formano le donne a fare i
muratori o altre cose più maschili, come si invitano gli uomini a
fare lavoro non pagato, in cui la politica principe è il congedo
parentale - diamoglielo pagato perché sennò non lo chiedono - e così
via. Come racconto sempre, va poi detto che a una riunione dei
Ministeri del Lavoro europei, quando eravamo alla presidenza, quando
io ho fatto vedere questo grafico, uno svedese ha detto che da
un'inchiesta fatta per sapere quando i padri chiedono il congedo
parentale, è emerso che il picco è durante i campionati di calcio -
e questi erano gli svedesi, immaginatevi!
Voglio solo dire che credo che voi siate consapevoli che lo sforzo è
una specie di sforzo senza fine con pochi risultati. E io credo che
ci sia una ragione per questo: perché in realtà la politica di
eguaglianza su pezzi specifici (sui lavori, sulla formazione,
sull'istruzione), segmentata, non porta a grandi risultati perché
non si affronta la vera dimensione della questione. E cioè che in
realtà in questo grafico è evidenziata una cosa clamorosa, che
invece il senso comune non poteva sapere e che neppure io,
nonostante tutto il mio interesse per la questione, avrei mai
immaginato, ci volevano gli statistici: è che il lavoro non pagato -
l'area rappresentata in basso è quella del lavoro non pagato - è un
po' di più del totale del lavoro pagato.
Quindi se noi andiamo a misurare, come han fatto gli australiani,
quanto tempo si spende per cucinare, fare la spesa, lavare, altre
banalità, è equivalente a tutta l'industria, tutta l'agricoltura.
Stiamo dicendo che dentro le case si chiude una massa di attività
(chiamiamole in questo momento senz'altro lavoro) che è un po' di
più di tutto ciò che è stato indagato in inchiesta ormai da almeno
un paio di secoli, negoziato in conflitti sociali, negoziato in
costruzioni di istituzioni come i sindacati, che ha portato a
rivoluzioni, quindi ha trovato uno spazio pubblico per essere
trattato e anzi sappiamo benissimo che in questo momento dobbiamo
difendere quello spazio.
Invece quest'altro lo si considera negoziabile solo in spazi
domestici. È come una questione fra un uomo e una donna, fra
generazioni, pur essendo una massa tale che non a caso poi porta a
violenze forti, perché comandare un lavoro vuol dire richiedere un
rapporto che può essere di cooperazione, ma anche di violenza.
Perché è cosi? Ossia, visto che non è marginale nella quantità, non
è marginale nell'arretratezza, non è il passato, ed è una quantità
enorme e non solo è una quantità enorme, ma ha una qualità
incredibile perché è relazionale (si cucina in relazione con gli
altri, in relazione affettiva, come mostrano tutti gli spot
pubblicitari che vendono la carne in scatola insieme al piacere
della famiglia, alle relazioni familiari) ed è molto responsabile, è
comandato da un'interiorizzazione di responsabilità verso il
benessere degli altri. Quindi vuol dire che quando noi mettiamo
questa quantità di lavoro con questa qualità nella visione del
sistema economico, il sistema economico, la visione del sistema
economico deve per forza cambiare.
L'altra cosa che non si dice, ma che si può vedere è il nesso fra il
non pagato delle donne e il pagato degli uomini. Noi tutti quanti e
in tutti i documenti, dell'Europa e così via, diciamo: ma il lavoro
domestico e di cura è fatto per i bambini e adesso anche per gli
anziani. Ciò che si nasconde è che è fatto per i maschi adulti ed è
fatto per i maschi adulti perché sono un soggetto particolarmente
incapace, egoista, inetto. Segnalo che l'elenco dei difetti maschili
non mi ha mai riguardato molto: come non mi riguarda molto, non mi
appassiona molto la lista delle sconfitte femminili, dell'essere
vittima, non mi appassiona molto neppure la lista dei difetti
maschili, ci sono tutte e due.
Però, in realtà il problema non è un problema di maschi e femmine, è
anche un problema di maschi e femmine, ma è soprattutto un problema
strutturale perché quel soggetto che è considerato forte dalla
visione del sistema economico e probabilmente dall'idea di se
stesso, è in realtà un soggetto vulnerabile. Come tutti, è
umanamente vulnerabile perché ha un corpo, ha delle emozioni e per
questo deve sempre essere in relazione con altri perché sennò non
può vivere (qui la storia del pensiero economico mi consentirebbe
delle digressioni bellissime). Il problema è che quella
vulnerabilità non è collocata nello spazio pubblico ed è scaricata
nello spazio privato, è che quella vulnerabilità si trasforma in
debolezza quotidiana, che deve essere riprodotta, deve essere
sostenuta perché i lavori sono faticosi, perché i salari non
bastano, perché i tempi per andare a lavorare sono stressanti,
perché i nuovi lavori sono particolarmente intensi, bisogna dare
tutto se stesso, come ci raccontano quelli che raccontano i nuovi
lavori, bisogna metterci dentro tutto il proprio corpo, la propria
istruzione, la stabilità, le passioni, e mettere tutto come mezzo di
lavoro. Questo distrugge, per cui ogni giorno deve essere
ricostituita la possibilità di andare a lavorare.
Non a caso quando si è fondata l'economia politica, il salario
veniva visto come il costo sociale che mette in condizione di
lavorare e di vivere, e di mantenere i sentimenti teneri che servono
nella vita privata (così diceva Smith), quindi era chiaro che
l'essere umano, l'animale umano aveva un corpo, aveva delle
fragilità, che dovevano essere riprodotte come le macchine, come i
cavalli, per metterlo in condizione di lavorare, di convivere
civilmente.
Una definizione di salario così è chiaramente dirompente perché fa
vedere che il conflitto è direttamente fra il profitto e le
condizioni di vita nella loro effettività. Tutta quella teoria si è
persa - nel senso che erano Smith, Ricardo e Marx - è stata
abbandonata; è rimasta invece una teoria che si gioca sulla
concorrenza, la fluidità, l'incentivo, in cui le vite sono un
ingombro, un imbarazzo.
Questo mito della teoria ci dice che i soggetti sono astratti, che
sono infinitamente fluidi e se non lo sono, sono imperfetti, sono
rigidi, bisogna renderli sempre più fluidi, anche se poi anche il
mercato più fluido di tutti, che è il mercato finanziario, che non
ha materialità, non funziona neppure quello. In ogni caso l'idea è
che poi il mercato sistema tutto in modo automatico, ottimizza
l'individuo e anche la società per sommatoria e che quindi non
abbiamo problemi, a meno che non ci siano degli esseri imperfetti
che hanno un corpo, dei figli, invecchiano, si sentono responsabili
verso i genitori e così via.
Quindi il vero problema invece - se vogliamo fare politiche
efficaci, quindi non agendo per equità, ma per efficacia - è svelare
il fatto che per reggere le norme del mercato del lavoro, anche
quello forte, e non solo quello precario che abbiamo ora, ma anche
quello forte, i manager, i professori universitari, anche i lavori
stabili hanno bisogno di questa riproduzione. Bisogna vedere questo
nesso, quindi cominciamo a vedere che non ci muoviamo con tanta
facilità perché ci sono delle ragioni serie, dobbiamo andare più a
fondo. Se così facciamo la nostra visione del sistema economico
comincia a diventare già un pochino più complicata, non è più quella
di chi ha studiato macroeconomia che vede le famiglie che vendono
lavoro e comprano merci e le imprese che comprano lavoro e vendono
merci; tutto funziona attraverso il mercato e il consumo. Ma diventa
invece un circuito ed è fondamentale che sia circolare perché ciò
che si produce nelle condizioni di vita serve poi come capitale per
produrre, come ci dicevano Smith, Ricardo, e non ci vuole neanche
Marx per arrivare a dire questo.
Bene, allora facciamo un quadro della circolarità del sistema della
ricchezza dove ci sono le dimensioni di mercato e mettiamo anche il
non pagato, quindi mettiamo delle dimensioni non di mercato. Nelle
dimensioni non di mercato io ci metto la famiglia che intendo come
un nucleo di convivenza - siamo in Emilia-Romagna, possiamo dire che
sono nuclei di convivenza di vario tipo - dove si fa molto lavoro
non pagato, però c'è anche la società civile che fa lavoro
volontario.
Perché è importante far vedere che c'è dell'altro lavoro non pagato?
Perché questo lavoro volontario ha come obiettivo qualche dimensione
del benessere delle vite: o perché aiuta i soggetti esclusi, deboli
o con qualche handicap; o perché pensa alla musica, al teatro, ai
musei, alle polisportive; perché costruisce vita e piacere della
vita attraverso un associazionismo; o perché magari difende l'acqua
pubblica attraverso associazioni. Così come - e questo interessa le
donne dentro le famiglie - se il figlio fa un attività sportiva sta
meglio e quindi diventa meno faticoso, così il settore di produzione
di beni e servizi ha un settore privato per profit, ma ha anche un
settore no profit (l'Emilia-Romagna lo conosce bene).
Perché è importante dirlo? Perché la logica di efficienza del
settore no profit negli ultimi anni ha dimostrato grandi capacità
innovative, di efficienza, che spesso vengono assorbite poi dal
profit. Questo vuol dire che c'è un'economia della riproduzione
sociale, del benessere, che in qualche modo ha una sua logica, una
sua sostenibilità e che soprattutto non è minoritaria nelle
quantità, solo che non è vista, come non è visto il lavoro domestico
delle donne.
Perché è importante ragionare in questi termini? Perché io credo che
questo interessi il pubblico che si trova poi in mezzo fra il
settore profit, le vite e così via. Perché l'obiettivo costitutivo
del pubblico è il ben-essere della popolazione( infatti, ci sono le
politiche redistributive e la sostenibilità) e anche se non è
ben-essere, ma è solo la vita di un individuo che ha un corpo in un
territorio amministrato dal pubblico, sia che sia cittadino, sia che
sia residente, sia che sia clandestino, quel corpo impone una
relazione dei servizi, dei beni, delle repressioni. Dopodiché sarà
un centro benessere, un centro di accoglienza, una prigione, ma quel
corpo diventa oggetto di politiche pubbliche.
Quindi fare il conto con le persone come effettivamente sono, come
persone reali: questo vuol dire, innanzitutto, che se c'è un corpo
ci sono maschi e femmine, non perché non ci siano altre differenze,
ma innanzitutto c'è una differenza sistematica, trasversale,
fondativa, che è quella tra maschi e femmine. Dopodiché qualcuno
cercherà di cambiare identificazione, qualcuno le terrà tutte e due,
ma il dato è che sono due soggetti maschio e femmina. Questo è un
fatto della storia, della biologia umana e la biologia è una storia,
non è che c'è separazione fra biologia e storia: la biologia è anche
quella storia, solo ha dei tempi più lunghi, diversi.
Quindi questo partire dalla realtà delle donne al livello in cui si
colloca la loro esperienza vuol dire introdurre un principio di
realismo nella visione del sistema economico, che a chi fa politiche
pubbliche interessa perché questo livello di realismo impatta
continuamente sul risultato delle sue politiche, se non lo ha fatto
negli obiettivi.
In questo momento questo punto del ben-essere, ossia delle vite
effettive, della qualità delle vite effettive, è al centro di una
critica teorica; infatti quel famoso rapporto Sarkozy, in cui si fa
la critica del PIL, non a caso pone il lavoro non pagato dentro
all'analisi macroeconomica. Perché lo fa? Perché Sen è un economista
femminista e quindi ha chiamato due economiste femministe famose,
Bina Agarwal e Nancy Folbre, che hanno curato la parte sul lavoro
non pagato. Peraltro io ero nel rapporto dello sviluppo umano del
'95 e in un incontro con Sen e altri questa questione è stata un
punto di grande discussione ed è stata la questione poi fondamentale
di quel rapporto e mi sono conquistata molta considerazione sul
campo nel sostenere questa questione, così pure in delegazione
nazionale a Pechino. Perché è una questione fondante, è stata la
grande questione politica nella Conferenza di Pechino perché i Paesi
emancipati, la Svezia, i sindacati europei, la Danimarca non
volevano che si contasse questo lavoro e tanto meno che gli si
attribuisse un peso monetario, per poterlo confrontare su altro.
Questo nel 1995, e furono battuti a quella conferenza.
Ma dopo 15 anni la questione è emersa in tutta la sua dimensione,
non è più uno scandalo. La paura era che se noi parlavamo del non
pagato, le donne sarebbero diventate ancora più rigide negli
spostamenti perché si istituzionalizzava il non pagato e non
volevano più l'emancipazione. Oppure ancora più radicali: avrebbero
potuto chiedere reddito per quel lavoro e questo preoccupava
moltissimo. Voglio solo dire che la questione è una grande
questione: che appartenga alla banalità del nostro quotidiano e a
una densità che non riusciamo a vedere non vuol dire che non sia da
analizzare con strumenti scientifici che possano aiutarci a capire
la dimensione e gli spessori delle cose.
Ciò che dicevo vale soprattutto in questo periodo di crisi, che è
una crisi finanziaria, è una crisi che diventerà una drammatica
crisi sociale e anche qui la storia del pensiero economico mi aiuta
a sapere che ci sono ricorrenti crisi di riproduzione sociale
nell'abbondanza: non nella miseria, nell'abbondanza. Cioè: il
sistema capitalistico non riesce a tenere il suo ritmo, perché è
condannato ad accumulare e quindi a crescere in ragione progressiva,
e si ferma, pur avendo le risorse, e quindi prima la crisi si annida
nel mercato finanziario - che se poi lo si lascia andare per la sua
strada può crescere fino a dismisura - perché non può crescere. Non
perché non ci sono risorse: c'è lavoro inutilizzato, impianti
inutilizzati, risorse inutilizzate, ma non può trovare dei suoi
sbocchi. Siamo in una fase di questo tipo.
Il problema è che c'è anche una crisi teorica, che è stata
assolutamente riassorbita, nessuno ne parla più. Qual è la crisi
teorica? Che questo schema ha delle distorsioni di fondo perché si
gioca su dei miti e i miti sono l'ottimizzazione spontanea del
mercato, l'impersonalizzazione del mercato: i mercati son sempre
mercanti e sarebbe bene andare a cercare i mercanti, anzi ormai i
mercati finanziari sono circa 200, ma c'è il mito
dell'ottimizzazione spontanea e quindi togliamo tutto quello che è
una frizione. E c'è il mito che le donne sono infinitamente
sacrificali e onnipotenti: tutto ciò che non farà il sistema
riusciranno ad assorbirlo, dentro alle case, le donne. Questi sono
due miti da cui bisogna svegliarsi prima possibile in questa crisi,
perché le donne, innanzitutto, non sono sacrificali infinitamente;
sono generose, ma sono dei mostri come dei maschi molto spesso. Non
sono un soggetto salvifico, sono un soggetto storicamente
responsabile, quindi già vogliono meno sacrificio e vorrebbero la
libertà; in secondo luogo, non sono onnipotenti, non ce la possono
fare e quindi i maschi credo che dovrebbero capire che quella
soluzione non è una soluzione, come sanno già dagli infiniti
conflitti che hanno.
E come dico sempre ai miei giovani studenti maschi - non so perché,
ma ho un corso di economia di genere che ha più maschi che femmine -
il problema è che bisogna trovare dei modi per spostare le tensioni
distruttive tra maschi e femmine dentro alla famiglia in uno spazio
pubblico per salvare lo spazio intimo. Altrimenti lo spazio intimo
sarà dolorosissimo. È stato dolorosissimo per la mia generazione, è
doloroso assistere alle giovani coppie di figli che pur sembrano
amarsi. Scusatemi, come si fa a reggere il fatto che in un mese due
giovani padri, affettuosi sicuramente, forse avevano chiesto anche
il congedo parentale, hanno lasciato morire i bambini di due anni
dentro alla macchina? Allora io posso dire: è un mostro, ma forse è
meglio chiedersi: perché succede? Forse l'identificazione col lavoro
richiede questo interruttore per cui o io penso al lavoro o io penso
al bambino. E le donne, che hanno esperienza di questa tensione, te
la risolvono come possono, per saggezza, non per incapacità di
essere emancipate, perché sanno che un figlio è più importante della
loro carriera. Ma perché? Perché dobbiamo insegnargli a dire che
devono fare i mostri? Forse dovremmo insegnare anche ai padri ad
allenarsi alla conciliazione. Perché un bambino non lo si può
lasciare nella macchina, nel senso che io riesco anche a immaginare
che chiudo la porta col bambino dentro, ma non posso fare cinque
passi e di sicuro non posso stare cinque ore senza pensare che ho il
bambino in macchina.
Se arriviamo a questo punto, tralasciando la violenza domestica,
vuol dire che c'è qualcosa che non funziona su cui dobbiamo fare i
conti nella relazione. È perché i maschi sono mostruosi? Siccome i
maschi sono i soggetti a cui noi vogliamo bene a vario titolo
(figlio, fratello, padre, moroso, marito), non è che abbiamo
interesse alla loro infelicità, anzi; come dico sempre e andrò a
dire alla FIOM, ciò che schiaccia le donne è la debolezza maschile,
non la loro forza. È la responsabilità di sostenerli nella loro
debolezza. Se fossero forti ce li saremmo tolti di dosso da un
pezzo, le nostre relazioni sarebbero molto migliori. Vi nascondete
dietro ai bambini. Allora oltre a dire queste cose nell'ambiente
domestico, perché ve lo sarete sentiti dire, è importante dirle
nello spazio pubblico.
Allora quali difetti ha questa teoria economica su cui il pubblico
ha interesse a intervenire? Questa teoria economica ha un
pregiudizio, una distorsione monetaria, vede solo il monetario e noi
abbiamo fatto lo sforzo di vedere anche il non monetario; in questo
momento vede soprattutto il finanziario, che è un monetario molto
particolare, in cui la moneta è merce di riserva, di valore, e ci
devo speculare sopra, e le nuove pratiche speculative sono
direttamente sulle vite: sul consumo vitale, sulla casa, sulla
salute e sulla pensione.
E l'attacco al welfare è esattamente - come per l'Università -
spostare le vite da un piano pubblico di responsabilizzazione a un
piano privato di mercato. Ci saranno pensioni, ci sarà salute, ma
sarà la capacità di pagare (e voi sapete di che cosa sto parlando
perché il bilancio sulla salute ve lo state gestendo in quest'anno).
Quindi la crisi è finanziaria; è speculativa sulle vite; è
deflazionistica, perché la riserva di valore ha il terrore
dell'inflazione, quindi appena crescono i prezzi bisogna garantire
il valore della moneta nel tempo e quindi se cresce l'occupazione si
abbassa la borsa: era un fenomeno interessante da osservare come
vivibilità nel conflitto.
È strabica perché ha come soggetto di riferimento, di visione sulla
realtà, l'impresa. Per l'impresa le vite sono un costo perché o lo
si paga sul salario o lo si paga sulle tasse. Intanto deve essere
chiaro che non c'è contrapposizione tra le due, perché io devo
pagarmi la pensione: o mi han dato un salario con cui mi pago la
pensione privata o mi danno una pensione pubblica e qualcuno paga le
tasse, questo è chiaro. Non solo, ma non mi daranno soldi, mi devono
dare case, cibo, vestiti quando vado in pensione, perché coi soldi
non vivo, quindi devono essere soldi reali quando alla fine vado in
pensione. La prospettiva dell'impresa invece è di mettere al di
fuori dei costi per l'impresa tutte le vite.
Non è un caso che in certe nuove imprese (come in certe imprese di
software), si possa portare il cane ma non i bambini, si possa avere
la palestra, ma non andare a prendere il bambino. Le vite devono
stare fuori, anzi io credo che questa crisi sia stata causata dal
fatto che le negoziazioni sul salario sociale, non sul salario
monetario reale, ma sul salario sociale, fino agli anni '70 avevano
davvero spostato la distribuzione del reddito perché si erano
tradotte in istruzione, in sanità, in pensioni, in sicurezza sociale
e così via. E per le imprese, non per i soggetti, non per i
cittadini, ma per le imprese, quelle vite costavano troppo. Appena è
finita la concorrenza con i paesi socialisti, che si giocava su
questa mediazione, si è potuto ritirare il terreno da quell'elemento
che era il fatto che le vite costano troppo, e mentre
sull'istruzione e la salute posso dire che è come la macchina un
elemento di produttività, le pensioni per le imprese sono
chiaramente un lusso, un lusso non necessario perché quello è
senz'altro lavoro improduttivo, non è lavoro, non andranno più in
produzione per definizione.
Quindi quella è una detrazione dal sovrappiù, sempre usando le
teorie classiche, che è ciò che resta per il profitto; quindi è un
sovrappiù che va ai lavoratori che hanno negoziato un salario
sociale. E lì si è spostata la distribuzione dei redditi: dalla fine
degli anni '70, è quello che è sotto attacco, quelle condizioni di
vita devono diminuire, diventare più precarie e giocarsi solo sul
mercato.
C'è un vizio teorico etico: non c'è la catena delle responsabilità.
Io dico sempre che voglio arrivare al punto in cui riesco a far
vedere l'irresponsabilità totale degli speculatori finanziari,
comprese le banche, sulle vite delle persone e la densità di
responsabilità verso le vite delle persone, che passa sul sale della
minestra, sulla camicia pulita, sul farli sentire amati, sul
rassicurarli al futuro e così via, così densa che non si riesce
neanche a vedere e che cade sulle donne. Finché non riusciamo a
vedere la catena delle responsabilità, questa cosa non sarà chiara.
Ma perché vi riguarda nel pubblico? Perché in qualche modo il
pubblico ha una storia di responsabilizzazione rispetto alle
condizioni di vita.
Infatti quando vado a fare i bilanci di genere in approccio e
sviluppo umano il primo documento che leggo è lo statuto, per
sapere: ma questi chi sono? Cosa vogliono essere, oltre a essere una
Regione, una Provincia, e quindi la legge mi dice cosa faranno, ma
chi vogliono essere? E nel vostro statuto c'è tutto. C'è la dignità
della vita, c'è la differenza, ci sono le pari opportunità. Il
problema è che sono tutti in pezzi separati. Per esempio, io avrei
messo subito le donne e non le persone nella dignità delle persone;
non esistono né individui neutri, perché sono maschi e femmine, né
persone impersonali, perché tutti hanno una loro storia, una loro
biografia, la quale conta nel processo di conversione dei mezzi che
voi distribuite e cercate di costruire nelle effettive condizioni di
vita.
Conta molto anche la biografia e conta, come ci direbbe Sen, la
libertà ossia il pubblico ha il compito di aprire le pari
opportunità nelle potenzialità. Dopodiché le vite devono liberamente
scegliere come si compongono; il che vuol dire che è giusto tenere
conto delle differenze, dell'etnia, come fate voi, di tutte le pari
opportunità in quel senso di cui parleremo ora, ma deve essere
chiaro che c'è la libertà. Io ho una famiglia, ho una terra di
provenienza che è Venezia, che mi ha marcato, sono vissuta in
Emilia-Romagna e anche questo mi ha marcato e farò fatica a tornare
a vivere a Venezia. Tutto questo segna le esperienze della vita, ma
uno deve essere poi libero di decidere su quale pezzo si gioca,
proprio perché le vite sono multidimensionali.
E qui chiudo con l'ultimo aspetto metodologico: se io invece mi
occupo solo dei mezzi, o delle istituzioni che danno i mezzi, sono
dentro una logica allocativa, dentro alle istituzioni. Devo invece
riuscire a spostare l'analisi delle politiche pubbliche
sull'impatto, sulle vite: questo è quello che noi facciamo, sui
bilanci, sull'impatto, sulle vite.
Le vite invece hanno una logica integrativa perché non è che uno è
l'utente dei trasporti, a scuola, si prende cura, va al museo e son
tutti diversi: è la stessa persona che deve comporre la sua capacità
di essere istruito, la sua capacità di muoversi nel territorio, la
sua capacità di prendersi cura, la sua capacità - come l'abbiamo
chiamata anche alla Provincia di Bologna - di godere della bellezza.
Queste dimensioni deve tutte comporle, quindi le politiche devono
tenere conto che il loro obiettivo sono persone che devono mettere
insieme tutti i pezzi e che magari l'assessorato all'istruzione si
occupa di trasporti, si occupa di musei perché riconosce questa
cosa, ma appunto, non come progetto separato. Tutta
l'amministrazione si dovrebbe responsabilizzare alla composizione
delle vite, ossia le connessioni, senza limitarsi a dare dei mezzi
di cui poi non si va a vedere l'effettivo risultato sulle vite.
Quindi la visione teorica cambia molto a seconda di come poi si
fanno le politiche: non a caso è cambiata poi la visione teorica a
un certo punto, dopo che Marx aveva fatto vedere un po' troppe cose.
Questa trasformazione, secondo me, in questa fase, dopo vent'anni di
politiche sulle pari opportunità, mentre si discute di PIL, mentre
si misura il non pagato con statistiche ormai ricorrenti Non è che
queste statistiche sul non pagato devono diventare il grande
monumento alla sacrificabilità femminile, perché se noi non le
usiamo per negoziare sul pubblico, dobbiamo poi negoziare su due
piani: uno è la parità uomini e donne, che è parità di opportunità a
una buona vita e l'altra è la buona vita, la discussione pubblica su
che cos'è una buona vita, sostenibile, cos'è il benessere.
Perché questo riguarda il pubblico e per noi è necessario negoziare
su quel piano, che comprende anche la buona vita dei maschi, non
perché gliela dobbiamo risolvere noi, ma noi siamo contenti se
negoziano col pubblico la loro buona vita perché così, come per i
ragazzi che vanno alla polisportiva, sono meno faticosi, se non
altro, e la relazione è un po' migliore, forse.
E tutto questo costa molti mezzi, però, come dice Sen, la buona vita
deve essere discussa prima della logistica, della locazione dei
mezzi perché è il senso dei mezzi, è l'efficacia, è l'efficienza dei
mezzi.
E chiudo dicendo che su questo piano la partecipazione diventa molto
più ricca.
Noi abbiamo fatto diversi bilanci di genere in approccio sviluppo
umano per la Regione Lazio, il Comune di Modena all'interno del
progetto dell'Emilia-Romagna, la Regione Piemonte e poi varie
Province, la Provincia di Roma e così via. Son tutti dall'alto in
basso, è l'ente che ce lo chiede e noi glielo proponiamo così e così
via.
Invece per una scuola l'abbiamo fatto dal basso: gli studenti hanno
discusso prima di tutto le dimensioni della loro vita che il
bilancio della scuola attivava. Quindi si è creato uno spazio in cui
loro discutevano delle loro vite, della relazione con la scuola come
relazione responsabile rispetto non solo alle ore di didattica, ma
alla sicurezza dell'ambiente, addirittura alla bellezza
dell'ambiente, han detto che gli dava molto fastidio che sembrasse
la stazione, e varie altre cose.
E quindi diventa veramente un punto di partecipazione perché la
gente discute non tanto quali autobus, o i mezzi, ma discute quali
dimensioni della mia vita e come le collego e diventa uno spazio
collettivo. Per esempio, un gruppo di anziani ha cominciato a dire
che voleva cultura e mobilità perché quelle erano le dimensioni
della qualità della loro vita che gli mancavano molto.
Quindi ciò che trovo nello Statuto, che è il riconoscimento della
differenza, la vita degna, la partecipazione, la trasparenza,
diventa molto più facile ed efficace se si tiene conto che alla fine
dobbiamo arrivare sulle condizioni effettive di uomini e donne,
sapendo che sono uomini e donne e che c'è un'esperienza diversa del
vivere, della qualità della vita.
Escono i consiglieri Barbati, Piva e Cavalli.
La prof. Diletta TEGA svolge il seguente intervento:
Mi associo ai ringraziamenti che ha fatto all'inizio del suo
intervento la professoressa Picchio. È stato un grandissimo piacere
per me sentirla.
Io invece provo, anche in base a qualche suggestione che mi è
arrivata, a darvi un quadro del dibattito costituzionalistico
contemporaneo, poi, ovviamente, se avrete domande più specifiche,
sono a disposizione.
Recentemente il dibattito giuridico sul principio di eguaglianza
esemplificato, come sapete meglio di me, dall'articolo 3 della
Costituzione, si è sostanzialmente incentrato sulle modalità e sugli
strumenti più adatti a combattere le discriminazioni. Da un lato,
attraverso una riflessione sullo sviluppo delle clausole di divieto
di discriminazioni, che diventano sempre più sofisticate, ma anche
attraverso il ricorso a disposizioni normative identificate di volta
in volta come le cosiddette azioni positive . Apparentemente
parliamo di due direttive che possono apparire in contraddizione ma
sostanzialmente non lo sono. Quindi è importante cercare subito di
distinguere la differenza logica e concettuale che esiste tra il
divieto di discriminazione - che viene codificato nella nostra
Costituzione, in moltissimi documenti internazionali, in molti
documenti del diritto comunitario, che anzi praticamente è il volano
in questi ultimi anni proprio di una riflessione sul divieto di
discriminazione - e invece su quelle disposizioni giuridiche che
timidamente in Italia, ma invece magari in maniera più matura già in
altri ordinamenti, vengono definite azioni positive .
Per quanto riguarda le disposizioni che sviluppano, arricchiscono,
rendono contemporaneo il divieto di discriminazioni si è assistito,
proprio da un punto di vista giuridico, a una evoluzione, ad una
specificazione sempre più precisa e sempre più ricca di tutte quelle
cause di discriminazione che vengono vietate dai vari documenti.
È chiaro, noi partiamo dall'articolo 3 della Costituzione italiana,
che ha svolto una funzione di modello per molti testi costituzionali
successivi, per arrivare invece ai testi più contemporanei. Un
articolo che enuncia in maniera molto moderna, molto contemporanea e
anche specifica i divieti di discriminazione è per esempio
l'articolo 9 della Costituzione del Sudafrica, che è una
Costituzione recentissima, è del 1996 - per noi costituzionalisti è
ieri - in cui proprio vengono enucleate tante cause di
discriminazione. Esempio classico? Il colore della pelle,
l'orientamento sessuale, quindi proprio tutte quelle specificazioni
che probabilmente in un mondo contemporaneo, in una sensibilità
contemporanea, diventano importanti.
Allo stesso modo si può parlare dell'articolo 21 della Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, la quale Carta, ricordo,
viene citata, viene richiamata nel Trattato di Lisbona ed è quindi
da considerarsi diritto comunitario, non è più una dichiarazione
politica, come è stata fino a poco tempo fa, ma ha assunto proprio
il carattere di diritto comunitario.
Il secondo concetto invece, quello di azioni positive, rimanda in
qualche modo al secondo comma dell'art. 3 della Costituzione
italiana, in cui si dice: dopo avervi detto quali sono i motivi in
base ai quali non si può discriminare, vi diciamo anche che ci
rendiamo conto che ci deve essere forse qualcosa di più da parte del
legislatore, in quel caso in primis del costituente; cioè si prende
atto che non tutti i soggetti della società partono dallo stesso
livello e che quindi il programma più nobile da parte di un
legislatore sarebbe quello di riportare tutti quantomeno a un comune
livello di partenza. Il tentativo in questo caso è appunto quello di
introdurre dei programmi volti a rimuovere le condizioni di minorità
di certe categorie di soggetti. Ad esempio, si parla di
discriminazioni a rovescio, cioè abbiamo sempre detto che sono
vietate, ma vi diciamo che, invece, a certe condizioni e per un
certo periodo di tempo, possiamo immaginare che l'ordinamento svolga
una sorta di discriminazione a rovescio proprio per cercare di
favorire individui che partono in maniera discriminata e che molto
spesso appartengono a gruppi della società.
L'espressione azione positiva viene usata in Italia in maniera
piuttosto ambigua, per cui poi bisogna sempre andare a capire bene
qual è la definizione che noi accettiamo, perché è ovvio che il
diritto costituzionale (la Corte Costituzionale l'ha detto, se ci
fosse un mio collega maschio probabilmente lo avrebbe detto come
prima cosa) ci dice: attenzione, perché in particolare quando si
parla di azioni positive e rappresentanza politica - questo è un
grande tema -, la rappresentanza politica è un principio neutro.
Quindi, nel caso in cui si scelga, si decida di lanciare azioni
positive all'interno delle leggi elettorali - è questo un caso che
conoscete bene perché appunto alcune Regioni lo hanno fatto, abbiamo
la legge per l'elezione al Parlamento europeo che in qualche modo lo
fa - bisogna fare una riflessione molto attenta perché ci si muove
su un terreno particolarmente delicato, visto che la rappresentanza
non è una rappresentanza per gruppi, ma è una rappresentanza
neutrale che però, secondo me, leggendo anche le decisioni della
Corte Costituzionale, permette una sorta di possibilità di azioni
positive magari a tempo determinato. Ci sono molte legislazioni
straniere che prevedono una sorta di deadline, quindi si prevede uno
strappo, un'eccezione all'ordinamento che dura un periodo, una
finestra definita.
La Corte Costituzionale, mi fa piacere dirlo, nel 1993 definisce le
azioni positive come il più potente strumento a disposizione del
legislatore che tende a innalzare la soglia di partenza per le
singole categorie di persone socialmente svantaggiate e a superare
il rischio che diversità di carattere naturale o biologico, si
trasformino arbitrariamente in discriminazioni di destino sociale,
che è un'espressione molto significativa.
Questo è il panorama generale. Il diritto comunitario è il vero
volano anche per la legislazione italiana perché sostanzialmente,
con una serie di direttive, oltreché con le previsioni contenute nei
vari trattati istitutivi, crea quello che viene definito oggi nuovo
diritto antidiscriminatorio, perché impone poi ai singoli
ordinamenti degli Stati membri di adeguarsi alle direttive
comunitarie.
Due le direttive più importanti, ma non sono solo due, vi dico
soltanto le principali sul tema: la 43 del 2000 e la 78 del 2000,
che sanciscono in primis il principio di uguale trattamento delle
persone, senza distinzioni di origini etniche o razziali - quindi
non solo genere - e che poi inoltre sanciscono anche l'eguale
trattamento in materia di lavoro e di occupazione. Ora è chiaro che
ci si muove in primis sugli argomenti che attengono al lavoro e
all'occupazione perché parliamo sempre di trattati istitutivi di
un'Unione che nasce come Comunità economica e quindi, in primis,
richiede questo tipo di attenzione. L'ordinamento ha recepito queste
due direttive, poi vi chiarirò che ne ha recepito recentissimamente
anche una terza attraverso dei decreti legislativi, che sono
abbastanza noti perché sostanzialmente fanno un po' il punto della
situazione su che cosa si intenda per discriminazione diretta e
indiretta, sanciscono la nascita dell'Ufficio nazionale contro le
discriminazioni razziali che ancora non è noto, ma fungerebbe in
Italia, viene definito, un Equality Body . È importante perché
ciascun ordinamento deve averne uno, ci sono ordinamenti comunitari
che ne hanno uno solo che si occupa di tutte le discriminazioni,
etniche, razziali, linguistiche, religiose, di genere; noi al
momento abbiamo questo organo che nasce con una vocazione tutta
incentrata alle discriminazioni razziali ed etniche, ma credo che il
tentativo sia di allargare la sua mission. Questo è molto importante
perché lavorando come esperto indipendente per questa nuova Agenzia
europea dei diritti fondamentali, la prima cosa che loro ci hanno
chiesto è di fare una mappatura di chi in Italia, da un punto di
vista extragiudiziario, si occupa chiaramente non solo e non tanto
di risolvere le discriminazioni, ma soprattutto di promuovere una
cultura antidiscriminatoria. E guardate che la stessa Commissione
europea ci ha chiesto proprio un report sulle istituzioni che
promuovono la lotta alle discriminazioni, che evidentemente, in
particolare per il nostro Paese, rappresenta un tallone d'Achille. È
ovvio che l'Unione era secondo me interessata da un lato alle
discriminazioni di genere e dall'altro alla grande problematica
legata alle discriminazioni razziali. È stato anche richiesto uno
studio sui fenomeni legati all'omofobia.
Mi preme ricordare un po' che cosa si intende per discriminazione
perché forse vale la pena anche ripensare un momento, partendo dal
diritto comunitario, come il nostro ordinamento recepisce queste
definizioni. Vi posso dire che per discriminazione diretta si
intende qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto
pregiudizievole, discriminando lavoratrici e lavoratori - qui siamo
sempre in tema di diritto del lavoro - in ragione del loro sesso e
comunque preveda un trattamento meno favorevole rispetto a quello di
un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.
Esiste poi il concetto di discriminazione indiretta che è più
sottile, più sfuggente e chiaramente più pericoloso, che significa
che esiste una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un
patto, un comportamento apparentemente neutri, che mettono, o
possono mettere, i lavoratori di un determinato sesso in una
posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori
dell'altro sesso. Evidentemente qui però bisogna stare attenti:
salvo che riguardino requisiti essenziali connaturati allo
svolgimento di una determinata attività lavorativa , perché bisogna
anche cercare di evitare alcune esagerazioni, per cui la peculiarità
del lavoro che si va a svolgere va sempre considerata.
Dentro alle discriminazioni dirette o indirette, un decreto
legislativo del 2010, il numero 5, che recepisce una direttiva del
2006, la 54, quella terza direttiva che vi dicevo essere più recente
rispetto alle altre, ci dice poi che vengono inclusi tra i fattori
discriminanti i trattamenti di sfavore subiti da chi per esempio
rifiuta comportamenti indesiderati o molestie sessuali espresse a
livello fisico, verbale o non verbale, che violano la dignità di una
lavoratrice o di un lavoratore e creano un clima intimidatorio e
offensivo. Questo decreto legislativo fa sì che si allarghi anche la
sfera del divieto di discriminazione, che viene previsto anche per
ragioni connesse per esempio al sesso, allo stato di gravidanza, di
maternità o paternità anche adottive. Allora, il diritto comunitario
ci parla quasi sempre di mondo del lavoro, l'Italia recepisce queste
direttive basandosi sul mondo del lavoro, perché evidentemente per
quanto concerne invece altri campi ci muoviamo di più sul dettato
costituzionale, ma non solo, comunque abbiamo degli strumenti anche
normativi e legislativi che in qualche modo coprono anche altri
terreni di discriminazione.
Concludo ricordandovi quali sono, perché mi sembra abbastanza
significativo, tutte quelle discriminazioni che vengono vietate oggi
dalla Carta di Nizza, che appunto è diritto comunitario. Vi dicevo
prima di questa Carta approvata nel 2000, l'articolo che se ne
occupa è l'articolo 21 che prevede il divieto di qualsiasi forma di
discriminazione fondata sul sesso, sulla razza, sul colore della
pelle, sull'origine etnica o l'origine sociale, sulle
caratteristiche genetiche - vedete, questo è un documento del 2000,
è chiaro che la Costituzione italiana è entrata in vigore il 1°
gennaio del '48 e non poteva parlare di caratteristiche genetiche -
la lingua, la religione, le convinzioni personali e le opinioni
politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una
minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età,
le tendenze sessuali. Il divieto di discriminazione viene poi
completato da altri articoli, sempre di questa Carta di Nizza, che è
diritto comunitario da quando è entrato in vigore il Trattato di
Lisbona, e riguardano la parità uomo donna, i diritti del bambino, i
diritti degli anziani, l'inserimento dei disabili.
Quindi per concludere è evidente che c'è una crescita esponenziale
di documenti giuridici che ci dicono quali sono le discriminazioni
vietate; il problema è implementarli. È evidente che la Commissione
sulla quale voi state riflettendo va in questo senso. Il problema è
anche trovare un'applicazione per le norme giuridiche che vanno
sulla scia di questi divieti. Non è semplice perché poi i magistrati
stessi ci dicono che quando si trovano a dover eventualmente
prevedere un'aggravante di pena per i reati, per esempio penso alla
legge Mancino, che prevedono un'aggressione fisica o linguistica
motivata da odio razziale o religioso, è molto difficile nella
pratica riuscire a individuare questo tipo di comportamento. Quindi
questo è un tema difficile, complesso, anche sfuggente sia per chi
fa il teorico sia, secondo me, per voi che vi trovate ad applicare
questi principi, sia poi per l'autorità giudiziaria quando veramente
deve utilizzarli.
Ciò non toglie che ovviamente questa riflessione va assolutamente
fatta, anche perché il resto dei Paesi dell'Unione stanno
evidentemente quasi tutti molto più avanti; noi stiamo sempre
insieme a Malta, alla Polonia.
Ora non c'è tempo per approfondire, ma è chiaro che dalle
statistiche, sempre più desolanti, emerge che noi stiamo sempre con
quei Paesi. Grazie.
Esce il consigliere Monari.
Il presidente FAVIA rinnova i ringraziamenti alle docenti
intervenute e, in mancanza di richieste di intervento, passa la
parola alla consigliera relatrice per la chiusura.
La consigliera MORI esprime il vivo apprezzamento per gli interventi
svolti, anche a nome dei colleghi e, in particolare, delle colleghe.
L'idea che, assieme al presidente, l'aveva condotta a prevedere
questo appuntamento era proprio quella di riempire di pensiero e di
riflessioni l'iter di esame del progetto di legge, dato che
considera il tema delle politiche pubbliche e dell'importanza del
farsi carico delle condizioni del benessere della cittadinanza, è un
elemento fondamentale per la Regione Emilia-Romagna.
La seduta termina alle ore 15,50.
Approvato nella seduta del 29 giugno 2011.
Il Segretario Il Presidente
Nicoletta Tartari Giovanni Favia