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Legislatura IX - Commissione IV - Verbale del 10/02/2014 antimeridiano

     

     

     

     

     

    Verbale n. 3

    Seduta del 10 febbraio 2014

     

    Il giorno lunedì 10 alle ore 10,30 si è riunita in udienza conoscitiva presso la sede dell’Assemblea Legislativa in Bologna Viale A. Moro n. 50, la Commissione Politiche per la Salute e Politiche Sociali, convocata con nota prot. n. 3288 del 28 gennaio 2014.

     

    Partecipano alla seduta i Consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    DONINI Monica

    Presidente

    Federazione della Sinistra

    2

    presente

    PIVA Roberto

    Vice Presidente

    Partito Democratico

    5

    presente

    VECCHI Alberto

    Vice Presidente

    Forza Italia - PDL

    5

    presente

    BARBATI Liana

    Componente

    Italia dei Valori – Lista Di Pietro

    1

    presente

    BARBIERI Marco

    Componente

    Partito Democratico

    2

    assente

    CARINI Marco

    Componente

    Partito Democratico

    5

    presente

    CORRADI Roberto

    Componente

    Lega Nord Padania Emilia e Romagna

    4

    presente

    DEFRANCESCHI Andrea

    Componente

    Movimento 5 Stelle Beppegrillo.it

    1

    presente

    FIAMMENGHI Valdimiro

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    GRILLINI Franco

    Componente

    Gruppo Misto

    4

    assente

    MANDINI Sandro

    Componente

    Italia dei Valori – Lista Di Pietro

    1

    assente

    MARANI Paola

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    MAZZOTTI Mario

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    MUMOLO Antonio

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    NALDI Gian Guido

    Componente

    Sinistra Ecologia Libertà - Idee Verdi

    2

    assente

    NOÈ Silvia

    Componente

    UDC - Unione di Centro

    1

    assente

    PARUOLO Giuseppe

    Componente

    Partito Democratico

    2

    presente

    POLLASTRI Andrea

    Componente

    Forza Italia - PDL

    3

    presente

    SERRI Luciana

    Componente

    Partito Democratico

    2

    assente

    VILLANI Luigi Giuseppe

    Componente

    Forza Italia - PDL

    2

    presente

     

    È presente il consigliere Roberto MONTANARI in sostituzione di Marco BARBIERI.

     

    Sono altresì presenti i consiglieri: Luca BARTOLINI, Andrea LEONI, Marco MONARI.

     

    Hanno partecipato ai lavori della Commissione: C. Cicognani (Serv. Informazione e comunicazione istituzionale);

     

    Presiede la seduta: Monica DONINI

    Assiste la Segretaria: Nicoletta Tartari

    Resocontista: Nicoletta Tartari

     


     

    UDIENZA CONOSCITIVA

    del 10 febbraio 2014

    sul progetto di legge oggetto:

     

    4739 - Progetto di legge d'iniziativa della consigliera Marani: "Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare" (14 11 13).

     

    Relatrice consigliera Marani.

     

    Partecipano alla seduta:

     

    Susanna Antolini                            Istituto di Montecatone

    Melissa Antonelli                            AUSL Romagna

    Oreste Baldassari                            Presidente AVIUSS

    Ivana Barlati                                          IRST – IRCSS Meldola

    Maria Grazia Bedetti              Presidente Collegio IPASVI Bologna

    Bruna Bellotti                            Presidente Associazione Diritti senza barriere

    Alberto Bellelli                            Assessore Comune di Carpi

    Marianna Beltrambini              AUSL Romagna

    Daniela Bortolotti                            CGIL Emilia-Romagna

    Giuliana Caselli                            Cooperativa sociale Zerocento onlus

    Concetta Capogreco              AUSL Romagna

    Fulvio De Nigris                            Amici di Luca onlus

    Maurizio Falzoli                            Ordine dei Medici Parma

    Simona Ferlini                            Provincia di Bologna

    Simone Gamberini                            Sindaco Comune di Casalecchio di Reno

    Lalla Golfarelli                            CNA Emilia-Romagna

    Loredana Ligabue                             Associazione Caregiver Emlia-Romagna

    Enrico Liverani                            FP – CGIL Emilia-Romagna

    Maura Malossi                            Gruppo Parkinson Carpi

    Maria Filomena Martino               ANIOMAP

    Maurizia Martinelli                            CISL Emilia-Romagna

    Giovanni Melli                            Forum Terzo settore Emilia-Romagna

    Carlo Mestitz                                          Presidente coordinamento regionale AISM

    Maurizio Mineo                            Fondazione ANT Italia onlus

    Gianluca Mingozzi                            Confcooperative Emilia-Romagna

    Pietro Moggi                                          Presidente Forum Ass. Familiari Emilia-Romagna

    Bruno Moretto                            Associazione Diritti senza barriere

    Enrico Morganti                            Famiglie Insieme onlus

    Paola Neri                                          Presidente Gruppo Parkinson Carpi

    Maurizio Piccagli                            SPI – CGIL

    Dianora Randi                            Cooperativa sociale Il Cerchio Ravenna

    Eloise Righi                                          ASP Cesena Valle Savio

    Venier Rossi                                          ANAP - Confartigianato

    Maria Cristina Salomoni              Istituto di Montecatone

    Sonia Serra                                          Consigliera Comune di Budrio

    Anna Tedesco                            Forum Ass. Familiari Emilia-Romagna

    Catia Toffanello                            Legacoop Modena

    Alice Turci                                          AUSL Romagna

    Giuseppe Urbinati                            ANFFAS provinciale Bologna

    Cristina Zoffoli Vincenzi              Associazione Insieme si può - Casa S. Chiara


    L’udienza conoscitiva inizia alle ore 10,40.

     

    Presidente DONINI

    Siamo in condizioni di poter iniziare i lavori di questa nostra seduta della IV Commissione tutta dedicata all’udienza conoscitiva sull’oggetto 4739, progetto di legge d’iniziativa della consigliera Marani “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”. La collega Marani che è al mio fianco è anche la relatrice della proposta di legge.

    Noi utilizziamo lo strumento che il Regolamento ci dà a disposizione che è quello dell’udienza conoscitiva per aprire un confronto tra tutti coloro che sono interessati a partecipare formalmente all’iter di questa proposta di legge in Commissione: dopo questa udienza conoscitiva noi accoglieremo formalmente tutte le eventuali osservazioni, contributi, sollecitazioni, interventi che possono essere mandati via mail, anzi gradiremmo che al di là di quello che viene detto oggi, che accoglieremo con piacere, dando spazio a tutti quelli che decidono d’intervenire, noi vorremmo anche che fossero inviati in formato elettronico i materiali e i documenti, le osservazioni, le eventuali proposte emendative all’indirizzo che è lo stesso col quale vi è stata inoltrata la convocazione di questa udienza conoscitiva.

    Sulla base delle richieste d’intervento, dopo la veloce presentazione dei contenuti della legge che farà la relatrice Marani, stabiliremo all’inizio i tempi, in modo tale di non subire decurtazioni di tempi in corso di svolgimento, perché questo mortificherebbe gli ultimi rispetto ai primi. Invito coloro che ancora non hanno segnalato la loro intenzione d’intervenire, di farlo attraverso la compilazione del foglietto che vi trovate nel tavolo all’ingresso. Non aggiungo altro per cui passo la parola alla collega Marani per la sua illustrazione.

     

    Consigliera MARANI (relatrice)

    Buongiorno a tutti, cercherò di raccogliere l’invito della Presidente ad essere molto veloce anche se ovviamente questa è un’occasione importante, spero ne avremo altre per capire il senso di questa proposta di legge. Una legge di principi e quindi una legge che avrà bisogno poi di avere degli strumenti attuativi laddove, nell’ambito dei distretti socio-sanitari, si opera nella programmazione, nell’organizzazione dei servizi.

    Ma è una legge che s’inserisce in un tema: credo che la stampa di questi giorni su questo abbia aperto un dibattito molto importante, sul tema che riguarda l’innovazione del nostro sistema socio-sanitario e soprattutto il tema che riguarda l’assistenza alle persone più fragili e non autosufficienti. È questo un tema reso ancora più drammatico da dati di carattere socio-demografico che tutti ben conosciamo e che non è il caso di riprendere, perché siamo tutti informati rispetto a ciò che sta accadendo e alla previsione legata all’invecchiamento della popolazione e anche alle conseguenze che su questo invecchiamento determinano le patologie che si cronicizzano e che rendono sempre più fragile la nostra popolazione. Abbiamo un tema legato più in generale alla non autosufficienza, alla disabilità che comporta continuamente una revisione e una verifica sullo stato di adeguatezza dei nostri servizi al rispondere appunto a bisogni che crescono e bisogni che cambiano. Per questo, questa legge ha una particolarità, dato che si rivolge a quella parte di cittadini, che sono tantissimi, che si fanno carico direttamente di questi bisogni, svolgendoli loro direttamente in forma talvolta esclusiva e altre volte invece avvalendosi di chi può aiutarli in questo: le assistenti famigliari - quelle che noi chiamiamo le badanti - sono un fenomeno che ben conosciamo quali dimensioni abbia assunto.

    Quindi questi cittadini di fatto assolvono un pezzo di assistenza con un impegno molto alto, nella nostra Regione si stima che siano 289 mila, un numero altissimo, e corrono il rischio - proprio perché quest’attività di assistenza è un’attività che viene svolta da loro, talvolta 24 ore su 24 - di essere esclusi e di non avere delle possibilità di essere inseriti nell’ambito della rete dei servizi con quegli ausili, quelle attenzioni, quelle possibilità di aiuto e di sollievo e quell’integrazione anche alla loro attività di cura che certamente li aiuterebbero nello svolgere al meglio questa attività di cura che scelgono liberamente di svolgere e anche, ovviamente, oltre che a svolgere al meglio questa attività, ad avere la possibilità di conciliare meglio l’attività di cura con la loro vita personale e relazionale lavorativa.

    Ecco, perché ci si rivolge a questi cittadini? Perché sappiamo bene come la condizione di chi assiste persone in una situazione di grave non autosufficienza sia spesso una condizione che determina solitudine, affaticamento fisico e anche psicologico, talvolta impoverimento perché in taluni casi vi sono situazioni per le quali c’è l’allontanamento dal lavoro e quindi anche situazioni che incidono fortemente sul reddito famigliare, e poi anche difficoltà nel reinserimento successivo nel mondo del lavoro. Non siamo certamente soli, non è un invenzione occuparsi dei caregiver perché abbiamo una normativa che parte dall’Europa nella quale si sollecitano i Paesi membri della UE ad assumere provvedimenti rispetto al sostegno dei caregiver, vi è stato un impegno dell’Europa alla predisposizione della Carta europea dei diritti del caregiver. In Italia l’ultimo decreto in ordine di tempo, del marzo 2013, del nostro Governo, nell’andare a ripristinare seppur parzialmente il Fondo non autosufficienza, richiama la necessità che si vada verso il sostegno dell’attività svolta dai caregiver.

    Nella Regione Emilia–Romagna questo tema è stato ampliamente affrontato in diverse misure: dal Piano socio-sanitario 2008, fino all’aggiornamento del Piano 2013, alle varie azioni nei confronti dei progetti rivolti alla popolazione anziana; insomma, ci sono moltissimi provvedimenti che richiamano la necessità di inclusione nell’ambito del sistema dei servizi delle persone che svolgono attività di cura e quindi la possibilità di un sistema integrato che parta anche da questi bisogni. Ecco che cosa sostanzialmente propone la legge rispetto alle azioni; leggevo prima un volantino che è stato distribuito stamattina che dice “non ci sono azioni concrete e non c’è nulla di nuovo rispetto a ciò che non c’è già oggi”, ma io credo che ci sia invece davvero un grande bisogno di far sì che quelle che molto spesso sono enunciazioni e quelle che sono situazioni che determinano oggi l’esclusione di tante persone dall’offerta dei servizi, possano, attraverso una serie di azioni che non siano azioni sporadiche, che avvengono solo in talune parti della regione, essere omogeneizzate sulla scala regionale, diventare invece davvero una modalità di operare che tenda ad includere coloro che sono esclusi e a far sì che attraverso questo tipo d’inclusione si possa valorizzare anche quel lavoro di cura che oggi è qualcosa d’informale, ma che ha la possibilità di entrare fortemente nell’ambito della rete dei servizi e quindi di creare una collaborazione fattiva fra servizi formali e i cosiddetti servizi informali.

    Ci tengo molto a questo concetto perché questo è il concetto base di questa proposta di legge: questa non è una legge che proponga un welfare sostitutivo, familistico e che sostituisca il sistema dei servizi; questa è una legge che offre un’occasione di leggere un bisogno di chi oggi faticosamente riesce ad esprimere questo bisogno entrando in una relazione stretta e strutturata coi servizi, quindi è una legge che fa esattamente il contrario, che non vuole escludere ma che vuole includere coloro che oggi hanno difficoltà ad essere inclusi. Quindi la chiave con la quale noi dobbiamo leggere le proposte che sono contenute nella legge è proprio questa: come si a fa a capire perché oggi il sistema dei servizi ricco che noi abbiamo non riesce ad includere tante migliaia di cittadini che, o per volontà loro, quindi volontariamente, per scelta, si occupano direttamente della cura, o talvolta sono obbligati a farlo per altre questioni e altre situazioni; come facciamo a fare in modo che l’opportunità di poter essere sostenuti in questa attività possa essere più fortemente strutturata.

    La legge fa riferimento al fatto che comunque per fare questo occorre che i caregiver vengano inseriti nella programmazione distrettuale delle attività di carattere socio-sanitario, che ci sia questo riconoscimento del ruolo sociale di queste figure, che ci sia un’informazione e anche una formazione. Informazione di quelli che sono i servizi di cui possono disporre e anche formazione rispetto a quelle che sono le pratiche di assistenza, per le quali molto spesso diciamo che chi fa questo tipo di attività è costretto ad essere un autodidatta, quindi apprenderle non attraverso una formazione adeguata. Mettere a conoscenza di quelli che sono i servizi disponibili, anche perché la solitudine del caregiver fa spesso sì che non ci sia la possibilità anche concreta di poter accedere a tutte le opportunità di aiuto e di sostegno che possono esserci per una questione legata all’assorbimento totale nell’attività di cura, ma anche perché sappiamo bene quanto la frammentazione dell’offerta renda spesso difficile riuscire ad accedere, in modo che si concili con le difficoltà che soprattutto queste persone hanno, in modo celere all’offerta dei servizi che sono necessari.

    Quindi un sistema strutturato e organizzato che possa facilitare anche la possibilità appunto di accesso ai servizi che sono necessari alla persona assistita. Questo è non solo una possibilità per sburocratizzare il rapporto coi servizi, per renderlo più celere, per avere anche dei canali che favoriscano quindi una accessibilità più immediata, una risposta più immediata ai tipi diversi di bisogno, siano queste prestazioni sanitarie, siano ausili, siano tutte le necessità che le persone hanno, ma anche la possibilità che comunque ci sia un supporto concreto rispetto a momenti nei quali si ha bisogno d’integrare l’attività di cura che viene offerta da un famigliare o da chi aiuta. Oggi abbiamo la possibilità di avere i cosiddetti interventi di sollievo sia domiciliari che nelle strutture, questo però è una possibilità che deve fare i conti con le disponibilità concrete che ci sono mentre sappiamo bene che nella vita ci sono delle evenienze, dei fatti, delle emergenze che comportano la necessità di avere la tranquillità che nel momento in cui un familiare o un amico non possa assistere una persona di cui si occupa abbia la possibilità però di pensare che esiste un servizio che è in grado di poterlo sostenere in questo, quindi deve esserci la possibilità di avere questo tipo di conoscenza, di aver attivato questo tipo di percorso, oltre che avere anche la possibilità che questa forma di sollievo possa essere programmata.

    Si discute molto in queste giornate di domiciliarità e dell’adeguatezza dell’assistenza domiciliare ai bisogni delle famiglie: è evidente che la difficoltà che l’assistenza domiciliare possa soddisfare le esigenze di cura continua e intensa di una persona con gravi problemi di non autosufficienza si scontra molto fortemente ancora di più quando un organizzazione famigliare o amicale ha già un proprio progetto di carattere assistenziale, quindi l’intervento della tradizionale assistenza domiciliare una o poche ore al giorno non può certamente essere soddisfacente per famiglie che hanno a carico quasi totalmente questa persona e che avrebbero forse bisogno di un’assistenza domiciliare più legata a momenti della settimana o del mese, nei quali possa essere effettivamente utile per riuscire a conciliare le esigenze della vita quotidiana e famigliare con le esigenze di cura della persona non autosufficiente.

    Per questo - e chiudo - questa legge si occupa della rivisitazione anche, in qualche modo, dei bisogni e dei servizi e quindi è un occasione, perché inserisce nel piano di assistenza individualizzato tutte le persone che hanno bisogno di aiuto a carattere assistenziale, quindi non solo coloro che sono in carico oggi ai servizi, ma anche coloro che hanno appunto un’assistenza informale e che avrebbero quindi la possibilità di poter partecipare direttamente alla costruzione di questo piano di assistenza individualizzato relativo alla persona della quale si prendono cura. Quindi questa legge da una possibilità di rivisitare, come dicevo prima, il tipo di risposta che i servizi possono dare in questo caso, cercando di non limitare l’apporto che oggi l’intero sistema dell’offerta potrebbe dare, anche attraverso forze, energie e risorse sociali che possono essere meglio messe in campo. A fronte di un’assistenza domiciliare rigida o che non è in grado di rispondere a pacchetti personalizzati di assistenza mirata a quel bisogno, oggi abbiamo una crescita di quella che viene chiamata l’economia sociale, quella che è l’offerta che ci viene dal Terzo settore di proposte che possono andare in questa direzione, quindi coinvolgendo altri soggetti che possono di fatto offrire questo tipo di risposta. Così come non dobbiamo dimenticare come l’apporto del volontariato è qualcosa di straordinariamente importante, e non è importante soltanto pensandolo come un’attività integrativa, che può esserci o non esserci: quando si parla non solo dei bisogni della persona assistita ma si parla dei bisogni del caregiver e si dice il rischio dell’isolamento non solo di chi è assistito ma dell’isolamento anche di chi assiste, bisogna pensare a come è importante strutturare, per esempio, nei piani individualizzati la possibilità che ci sia un volontario che partecipa a questo progetto assistenziale portando momenti di sollievo, di compagnia, di relazione e anche di aiuto concreto - il giornale, piuttosto che non un momento di presenza - quando la persona che assiste ha bisogno di rivolgersi ad altre necessità ed attività; quindi in qualche modo un piano di aiuto su quella persona, su quella famiglia, che in qualche modo veda fortemente strutturato anche l’apporto del cosiddetto Terzo settore che sempre di più deve diventare un elemento di programmazione strutturata di attività in grado davvero di personalizzare sempre di più e di adeguare sempre di più i nostri servizi ai bisogni delle persone.

    Mi fermo qua e mi auguro che anche queste poche parole di lettura soprattutto dei principi contenuti nella legge diano la chiarezza del fatto che si tratta di una legge che avrà delle modalità attuative che si concretizzeranno nell’ambito delle programmazioni distrettuali, ma ha però, io credo, il pregio di riuscire in qualche modo a sistematizzare e a mettere ordine nei principi che sono contenuti in moltissimi provvedimenti ma che oggi non costituiscono una modalità generalizzata di operare e soprattutto non costituiscono la conoscenza di possibile opportunità che i cittadini possono avere se si struttura in questo modo l’organizzazione dei servizi.

     

    Presidente DONINI

    Grazie collega Marani, se rimaniamo qui e ci ascoltiamo tutti reciprocamente ci sarà alla fine degli interventi degli ospiti la possibilità eventualmente di interloquire per riprendere il filo di alcuni ragionamenti sulla base delle sollecitazioni che riceveremo durante l’udienza conoscitiva. Al momento sono pervenute tredici richieste d’intervento e invito coloro che non hanno ancora prenotato l’intervento se desiderano farlo di procedere alla prenotazione, in questo modo riusciamo a programmarci. Propongo 5-6 minuti per intervento - poi è chiaro che facciamo finire la riflessione senza tagliare e togliere il microfono a metà di una frase - perché altrimenti rischiamo di non consentire a tutti di esprimersi con la presenza di tutti e vi invito a rimanere.

     

    Loredana LIGABUE (Associazione Caregiver Emilia-Romagna)

    Un momento quello di oggi per l’associazione che rappresento, l’associazione Caregiver dell’Emilia-Romagna, particolarmente importante, perché questa legge è una legge che conosciamo pienamente, una legge che è certamente di principi, che certamente dice per la prima volta nel sistema giuridico italiano che c’è una figura che è quella del famigliare che si prende cura e che questa figura ha dei diritti, riconosciuti in altri Paesi europei ma che non hanno ad oggi riconoscimento nel nostro Paese. Quindi partire da qui, da questa regione, da questo sistema di welfare per portare evidenza, importanza, significatività, riconoscimento a un ruolo che tutti i santi giorni migliaia di cittadini di questa regione compiono, è per noi un atto, un momento di grande significatività.

    Una cittadinanza che ha alle spalle le problematiche che sono state richiamate e che chiede con forza di essere ascoltata dalle istituzioni, di avere dalle istituzioni un punto di riferimento, un punto di informazione, la possibilità di avere degli strumenti per svolgere un ruolo che non è famigliare tout-court, assistere una persona non autosufficiente, una persona fragile, richiede di avere una “cassetta degli attrezzi” per poter fare in modo positivo tutto ciò che va oltre: aspetti di relazione, di comunicazione di affettività e che sono sempre più rilevanti e importanti di fronte alle tematiche di una non autosufficienza che dura nel tempo, che ha esigenze di continuità, in cui il famigliare sente pesantemente di dover giocare un ruolo primario. Un ruolo che ad oggi nel nostro sistema italiano - veniva richiamato anche in un incontro la settimana scorsa - il caregiver famigliare è l’unico soggetto nel nostro sistema che fa davvero integrazione socio-sanitaria, che fa conoscenza profonda del caso e che si rapporta faticosamente ai servizi. Con questa legge chiediamo che davvero nella programmazione dei distretti ci sia questa attenzione, questa capacità di ascolto, di dare strumenti di base e di mettersi al fianco, con opportunità di forme di cittadinanza attiva a tutti questi famigliari che sono in sofferenza acuta e che sempre di più, anche con la crisi che stiamo vivendo, rischiano di cadere in un isolamento profondo, in un impoverimento economico, in una grande difficoltà di rientro lavorativo quando le tematiche della cura cessano di esistere. Tutta questa valenza, tutto questo significato, questa legge comincia a metterlo sul piatto; certo tanto altro ci sarà da fare, è indubbio che chi vive queste situazioni tende a dire “tutto questo non basta”, ma è un primo importante passo di sistema in un’attenzione che può essere posta, in una significatività che può essere agita da parte dei servizi di questa nostra regione a sviluppare una capacità d’inclusione diversa, a fare in modo che non siano più soltanto quelle persone e i loro famigliari che oggi sono dentro al sistema delle strutture accreditate e dei centri diurni, ma una capacità profonda di rapportarsi a tutti quei famigliari e ai loro cari che vivono nella realtà del loro domicilio, per dare alla domiciliarità un senso profondo di qualità di vita per la persona assistita e per chi lo assiste, per i famigliari e per i nuclei famigliari che complessivamente vive gli impatti di queste situazioni. Quindi esprimiamo in questa ottica il nostro pieno sostegno a questa proposta di legge.

     

    Alberto BELLELLI (Assessore Comune di Carpi)

    Grazie per questa occasione: ci troviamo di fronte, per me, a una legge di cittadinanza, una legge dovuta, a un momento di inclusione per figure che non vengono viste come formalmente presenti in un sistema che è quello oggi dei nostri servizi. Guardate, noi in questi anni a Carpi stiamo programmando il quinto anno della giornata del caregiver come momento di riflessione nostro per capire un po’ il ruolo di questa figura e devo dire che in questi anni ho avuto modo, celebrandola a Carpi - poi non sono celebrazioni, sono incontri, momenti di riflessione - di confrontarmi con altre realtà anche europee, laddove ci sono welfare di stampo molto diverso: penso al modello anglosassone basato su trasferimenti e meno su servizi, ma dove il caregiver è diventato una figura centrale, capace di cambiare le politiche urbanistiche e non solo, di programmazione, il caregiver è diventata una figura che oggi propone, ha un ruolo, è riconosciuta.

    Qua, nella nostra realtà ovviamente ciò non accade, e devo dire che in queste riflessioni che ho incontrato ho visto anche l’opportunità di tirare via un po’ un velo d’ipocrisia. Noi spesso nei piani sociali di programmazione parliamo della domiciliarità come un obiettivo, ma diciamocelo: la domiciliarità non è un obiettivo, è un esigenza perché rimanga in piedi il nostro sistema. Il problema è che se chi è l’interprete di quel livello di domiciliarità non è incluso, non ha cittadinanza nel sistema, noi perdiamo non soltanto l’assistito nelle opportunità che ha in quel lavoro di cura di essere oggetto di un lavoro di cura vero, formato (permettetemi una battuta: all’interno delle nostre strutture residenziali per cambiare un sondino naso-gastrico abbiamo bisogno di figure preparate che siano lì presenti e non sappiamo cosa accade dentro le situazioni domestiche, e questa è una di quelle cose che soltanto sul lavoro di sicurezza avrebbe la necessità di un approfondimento, di una preparazione importante), ma alla fine di quel lavoro di cura rischiamo di avere un ulteriore caso di fragilità sociale: quel caregiver che ha bruciato tutti i propri rapporti che è andato in burnout, che nel lavoro di cura non ha potuto trovare magari quei supporti che erano presenti in alcune programmazioni di servizi ma che non ha conosciuto - qua c’è il problema dell’informazione - oppure che non ha contribuito a modellare su quelle che sono le proprie esigenze.

    Questa che io reputo una legge di cittadinanza è anche l’opportunità per fare riflessioni su un welfare che qua da noi non deve essere un welfare residuale. Se noi ci mettiamo nelle condizioni d’immaginare che all’interno della crisi economica, quella che ci troviamo ad affrontare, non cambi o anche se domani mattina la crisi economica finisse perché il capo di tutte le banche si presentasse alla televisione a dirci che abbiamo passato la nottata, come si suol dire, non saremo quelli del giorno prima dell’inizio della crisi, non lo saremo come qualità della vita, saranno cambiate le nostre esigenze, sono cambiati anche i ruoli come quello del caregiver. Oggi il caregiver non è una scelta, è un’esigenza legata al mutamento della condizione economica, non è che uno sceglie di stare a casa da lavorare ad assistere, dunque questa legge non ha la valenza pro attiva di creare un welfare diverso, basato sulle famiglie, d’incentivare a stare a casa dal lavorare; è il contrario, è l’opposto. Dobbiamo però prendere atto che se non cogliamo in questo determinato momento, questo cambiamento sociale, faremo come abbiamo fatto sulle badanti, ce ne accorgiamo dieci anni dopo e se ce ne accorgiamo dieci anni dopo proliferano tutte le situazioni in campo della formazione, informazione, sicurezza del lavoro di cura, eccetera, che penso oggi in un qualche modo stiamo cercando di recuperare. È un’occasione importante, io penso sia importante, anche per evolvere poi dei ragionamenti che avranno a che fare con la life after care: per essere estremamente concreti, noi stiamo parlando dei caregiver, stiamo parlando di donne dai 50 ai 64 anni (ci sono anche gli uomini e ci sono anche i più giovani però voglio prendere la fetta grossa di chi oggi sta svolgendo il lavoro di caregiver all’interno della famiglia), che quando finirà quel lavoro di cura non avranno occasione di reinserimento nel percorso del mondo lavorativo. Allora cominciamo a strutturare qualcosa o a riconoscere quella competenza di quel lavoro massacrante che si fa H24 all’interno delle proprie mura e lo utilizziamo come strumento di reinserimento. Anche questo penso sia guardare avanti e anche questo penso sia un’occasione importante per cominciare a immaginare quel welfare che – ribadisco, con la centralità dei servizi - in un qualche modo assume però sulle proprie spalle i cambiamenti sociali che lo stanno caratterizzando nel momento di crisi.

    Mi auguro che la legge, quando stabilisce una cittadinanza, abbia anche tutta la forza e l’opportunità di essere tradotta negli strumenti di programmazione e in quelle che sono le risorse che oggi servono per fare programmazioni, anche per convertire un pezzo di questo sistema e per trovare una maggiore capacità di programmare nell’ambito della domiciliarità con i suggerimenti che possono arrivare direttamente da chi oggi fa questo lavoro di cura. È una parte che manca, anche all’interno dei piani assistenziali: il medico di medicina generale non ha oggi una vera corrispondenza con il caregiver, seppure è il caregiver che dà le medicine, che si accorge quotidianamente dei cambiamenti dell’assistito, di quello che può essere un elemento fondamentale nella costruzione del piano assistenziale e il caregiver può essere una figura che, assieme al medico di medicina generale e ovviamente all’assistente sociale, può tarare un piano assistenziale vero.

    Penso siano obiettivi concreti, ma penso che sia l’inizio di un nuovo modello capace di dare cittadinanza reale e ovviamente anche al Terzo settore a tutti quelli che possono dare una risposta a questa fragilità di sistema.

     

    Bruna BELLOTTI (Associazione Diritti senza barriere)

    Mi dispiace molto, la mia sarà una nota fuori dal coro perché chi mi ha preceduto ha osannato questa proposta di legge; purtroppo noi - cioè i soci dell’associazione che rappresento - l’abbiamo letta, studiata approfonditamente ed abbiamo diffuso questo volantino, quindi chi ce l’ha credo abbia avuto il tempo di dare una scorsa, quindi non sto a riprendere quanto sta scritto qua e per chi tra i presenti non lo possiede ne abbiamo ancora da fornirvene.

    Riprendo alcuni passaggi dei due interventi precedenti per chiedere, dal momento che soprattutto la signora ha detto che finalmente stabilisce dei diritti, bene, allora io le chiedo cortesemente se mi dice qual è il punto da cui lei ha trovato questa definizione di diritti. Non è che voglia spacciare il mio curriculum di studi, non è questa la sede e il caso, però ho abbastanza conoscenza quindi io avrei piacere se lei mi aiuta di trovare dov’è che io in sede di giudizio possa appellarmi a questa proposta di legge dire “no, qui c’è un diritto esigibile”; io non ne trovo l’ombra. Come me, tutti i soci con i quali ci siamo confrontati per stendere questo volantino. Poi la legge richiama anche il Piano socio-sanitario, anche questo ce l’ho e mi sono documentata, non solo io, ci siamo documentati: bene anche qui non ci sono dei diritti esigibili. Allora, nella proposta non ci sono, nel Piano sanitario nemmeno; non bastasse, il ragazzo che è seguito fa riferimento a delle formazioni.

    Tra l’altro il problema del caregiver l’ho vissuto e ci sto ancora male, ho avuto entrambi i genitori non autosufficienti per tantissimi anni, una madre affetta da Alzheimer che i primi sintomi li ha avuti nel’88 ed è deceduta nel 2002, gli ultimi otto anni li ha passati totalmente allettata, afasica; quindi potete immaginare la sofferenza che mi fa studiare questa proposta di legge, non solo io, ma altrettanto i soci che rappresento, sono persone che - non tutti, fortunatamente, alcuni - vivono direttamente la problematica. Quindi purtroppo ci siamo molto irritati a leggere questa proposta di legge, perché non troviamo nessun aiuto concreto. Si parla di volontariato, ma io cosa faccio? Vado a bussare alla vicina accanto che mi venga ad aiutare, che non so muovere mia madre? Ma questa qua dirà “ma dove siamo?”. Non solo, ma io chiedo a voi dove vivete, che nel palazzo a mala pena ci conosciamo e poi con i problemi economici che ci sono ora, che solo chi ha la fortuna di essere un consigliere regionale, o chi ha la fortuna di vivere in ambienti sicuri, protetti, può avvalersi di un aiuto economico, ma chi non appartiene a questa categoria, la stragrande maggioranza, che lo dicono ormai anche i sassi che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, va a bussare a una vicina accanto che mi venga ad aiutare? Questo è il sostegno che mi dà la Regione? Scusate se mi accaloro, ma io sto male, molto male e la mia sofferenza è data dal fatto che ai soci non riesco a dare un aiuto come associazione e cosa posso fare quando vedo proposte di legge del genere? Poi oltre tutto la cosa più precisa è questa: la giornata del caregiver. Ma andiamo, ma siamo almeno seri? Andiamo a fare la giornata del caregiver quando ci sono persone che soffrono terribilmente, vivono sole, perché vivono sole, perché non hanno nemmeno il tempo di lavarsi i capelli? Ma io chiedo a voi se qualcuno dei presenti ha vissuto sulla propria pelle questa situazione drammatica; Io che l’ho vissuta ne porto ancora il peso sulle spalle, non è possibile una proposta di legge del genere. Scusate, finisco qua, Grazie.

     

    Fulvio DE NIGRIS (Amici di Luca onlus)

    Non è facile intervenire ora. Il problema è molto sentito a livello nazionale perché i familiari vivono una condizione di solitudine, sofferenza, rabbia e drammaticità, legate anche alla mancanza di risorse economiche.

    Detto questo, trovo che questa proposta di legge sia molto valida e interessante perché ha delle buone intenzioni: il caregiver è un ruolo non riconosciuto, a livello nazionale molte famiglie si sono unite per fare una class action contro le istituzioni e il Governo per far valere questo diritto, e quindi è un passo avanti. L’aspetto più difficile è rendere sostenibile questa legge. Guardiamo anche altre leggi: la legge sull’amministratore di sostegno, per esempio, che è una buona legge, fa fatica ad essere applicata a livello nazionale. È chiaro che dalla Regione, come da altre istituzioni, ci si aspetterebbe che si arrivasse con una concretezza che oggi non ci può essere perché si parla di sistema.

    Il caregiver non è soltanto il familiare, non è un operatore socio-assistenziale, non sono dell’avviso che si debba professionalizzare tutti questi ruoli che sono ruoli di relazione emotiva e la relazione emotiva ha a che fare con la persona che conosce meglio quella patologia, che ne capisce i bisogni e le richieste, che ha anche un linguaggio di comunicazione che altri non capiscono. Penso allo stato vegetativo che è l’ambito cui ci rivolgiamo noi della Casa dei risvegli Luca De Nigris e in altre realtà. La gente non capisce la relazione che c’è tra questi familiari e altri che rimangono in una fase di cronicità. Secondo me il problema è sicuramente quello di fare intanto un tavolo non soltanto con i Distretti, i Comuni, le Asl, ma con le associazioni che rappresentano i familiari e i familiari che vivono sulla loro pelle i problemi, attraverso questo tavolo di sostenibilità, di ricerca sostenibile, perché di là di quello che fanno i politici, quello che manca oggi è che la politica non entra nella praticità, non entra in contatto con coloro che vivono direttamente questa condizione.

    Capisco la signora di prima che chiede rispetto alla legge “su di me, se devo andare dalla vicina o devo alzare mia madre quale è il vantaggio?”. È chiaro che il vantaggio domani non c’è ancora, ma dopodomani ci potrà essere perché sicuramente rendere fisico, possibile, giusto questa figura è una cosa che non c’è mai stata. Ma attenzione: se noi professionalizziamo queste figure facciamo un errore, noi dobbiamo formare queste figure, fargli capire che loro non sono votate, perché vivono in una prigione senza barriera e non sono carcerate come i loro congiunti; loro sono persone libere e questa libertà noi dobbiamo permettere che la possano agire. Perché la persona che vive questa patologia la vive con un senso di colpa, di emarginazione, di inadeguatezza sociale ed economica e alla fine arriva quello che io chiamo la depressione; il burnout non è altro che la depressione, verso qualcuno o qualcosa che non capisce quello che stai vivendo e quello che tu cerchi.

    Perciò bene questo progetto di legge, ma per renderlo sostenibile diamoci degli strumenti di maggiore coinvolgimento, non solo oggi delle persone che sono qui e fuori di qui e non sono potute venire, ma per rendere attiva questa legge, per renderla propositiva, per rendere il prepensionamento utile, perché chi ha bisogno di giorni di lavoro li abbia pagati, perché i soldi che vengono dati non siano dati come economia familiare ma per questo preciso problema: diamo dei soldi sul caregiver perché tu fai quel tipo di attività, che non è un lavoro ma è una tua esigenza, una tua richiesta, un tuo modo di vivere, altrimenti queste persone non potrebbero vivere.

     

    Giovanni MELLI (Forum Terzo settore Emilia-Romagna)

    Le riflessioni che faccio rispetto a questa proposta di legge cerco di contenerle all’interno di ragionamenti non enfatizzanti, ma nello stesso tempo che guardano le questioni che possono determinare dei cambiamenti. La valutazione che facciamo come Forum è che la proposta di legge raccoglie principi che le associazioni in generale, soprattutto quelle impegnate sul versante della cura, ragionavano e proponevano già da una quindicina d’anni: il manifesto a sostegno di chi cura. Da un certo punto di vista questa proposta di legge, che speriamo si traduca in legge – perciò la valutiamo positivamente –, è un punto di arrivo e uno sforzo per affermare questi principi, aprendo un processo generativo di cose nuove. O meglio, riteniamo debba generare una cultura nuova rispetto al tema del prendersi cura: occorre far sì che il prendersi cura non sia solo un aspetto individuale o familiare, ma allarghi la propria presa di coscienza anche alla comunità, e ciò richiama processi formativi anche della scuola, come idee e sostegno.

    È una legge che va vista per i principi che afferma e deve essere chiaramente monitorata per essere sostenibile ed esigibile. Ciascuno deve fare del proprio per andare in questa direzione. Noi guardiamo a questa legge di principi, che deve tradursi in fatti concreti, sapendo molto bene che per il futuro del nostro welfare i principi dell’universalismo cui non vogliamo rinunciare debbono correlarsi in modo collaborativo, e non competitivo o alternativo, con la sussidiarietà. Questo è il nostro obiettivo e il nostro sforzo, per fare questo bisogna impegnarsi.

    Ci sono cose che vanno corrette e invieremo una mail: ad esempio, è meglio parlare di attività di cura anziché di lavoro di cura, per evitare confusione con il lavoro professionale e per evitare che questo passaggio, questi punti fermi fissati come principi, diventino un pretesto per abbandonare il ruolo della presenza e della risposta pubblica a questi problemi. Nella nostra visione delle cose, invece, queste sono integrazioni, che aumentano il livello di percezione e risposta, non di arretramento del pubblico. Semmai c’è bisogno di avere una risposta pubblica nuova che raccolga questi principi e li traduca praticamente, occorre che vi sia qualcuno che sappia leggere le risorse che ci sono nella famiglia, nel contesto abitativo, nella comunità, e le sappia correlare, perché il punto importante della legge è riuscire ad integrare, cosa che non c’è ancora (lo dico non solo per esperienza associativa, ma anche per esperienza personale perché sto assistendo i miei due genitori anziani e contemporaneamente, come nonno, bado i miei due nipoti, perché le famiglie si sono disgregate): bisogna integrare la famiglia con la rete dei servizi; c’è bisogno di chiamare in causa anche gli ordini professionali degli operatori per capire cosa fanno in queste situazioni.

    Ultima questione è leggere effettivamente il contesto: se in una famiglia c’è la fortuna di avere figli che hanno maturato competenza professionale perché non utilizzarli, mettendoli in relazione? Io ho toccato con mano tale situazione, in famiglia vi sono una caposala e un’infermiera andate in pensione: diventa difficile tradurre al domicilio prestazioni sanitarie professionali e altrimenti bisogna andare in ospedale, se ci sono competenze professionali in famiglia perché non coglierle? Ho fatto questo esempio non perché sia quello più diffuso ma per rendere più evidente che cosa significa saper leggere ciò che c’è e connetterlo.

    Un’ultima considerazione concerne il coinvolgimento dell’associazionismo familiare, noi come Forum ci abbiamo ragionato e ci ragioniamo. L’opportunità, la sfida è fare un passaggio ulteriore verso un riconoscimento sociale vero non solo del caregiver ma anche delle associazioni che lo sostengono, che lo promuovono culturalmente. Per fare questo c’è bisogno di formazione, di riconoscimento e di portare a coinvolgimento vero; per la rappresentanza dell’associazionismo familiare occorre misurarsi con le altre associazioni per aumentare il proprio tasso di visione anche generale e non solo specifico del problema che toccano con mano i propri soci che affrontano il problema. Distillando le questioni generali è possibile partecipare ai tavoli e soprattutto produrre quei cambiamenti che ancora oggi sono necessari per far sì che questa integrazione si sviluppi con aspetti positivi.

     

    Maria MARTINO (ANIOMAP)

    Il mio intervento sarà breve: noi ci occupiamo dei non vedenti, facciamo dei corsi per le autonomie della vita quotidiana (l’uso del bastone, uscire di casa, le autonomie domestiche). Sentendo un po’ i vari interventi mi sento un po’ un pesce fuor d’acqua perché tutte le altre associazioni sono concretamente impegnate più sul territorio.

    L’unica cosa che dico è sulla seconda parte della legge, sulla formazione dei volontari che avessero a che fare con persone non vedenti o con le loro famiglie: la mia proposta è pensare ad una formazione, seppur non specifica, tesa a dare delle linee guida per rapportarsi con una persona che ha dei problemi ed è anche un non vedente.

     

    Daniela BORTOLOTTI (CGIL Emilia-Romagna)

    Grazie per l’opportunità, cerco di stare rapida nei tempi. Aprirei così: abbiamo riflettuto al nostro interno su questo progetto di legge, che oggi discutiamo; noi condividiamo il principio e la necessità di affrontare il tema dei bisogni delle famiglie oggi, che sono ovviamente – come diceva Marani – di cambiamento e anche in gran parte cambiati, insieme però anche al tema necessario della innovazione nella rete dei servizi. Che è un tema naturalmente che ha diversi aspetti, innovazione e bisogni; fra i vari aspetti io penso che ci sia anche il tema risorse, che in questa proposta di legge non viene in qualche modo toccato, ma su cui in realtà una riflessione andrebbe fatta perché molte delle necessità che abbiamo di ridisegnare confini e contorni – dobbiamo ricordarcelo – deriva anche da scelte nazionali di taglio pesantissimo sulle spese di welfare, quando i bisogni invece sono radicalmente crescenti; per cui questo tema “risorse”, che è un po’ - diciamo - in secondo piano in questa discussione, in realtà io penso che dovrebbe avere un approccio un po’ più esplicito.

    Quindi, dicevo, comunque, convinti che è necessario tenere insieme bisogni e innovazione nella rete dei servizi, noi abbiamo in modo convinto chiesto e ottenuto di aprire un confronto con la nostra Regione sul tema del Fondo regionale per la non autosufficienza a partire dalla necessaria innovazione sulla domiciliarità, che così com’è non è sufficiente – è chiaro a tutti. E qui io penso che lo sforzo dovrebbe essere quello di tenere insieme questi terreni e non di costruire ipotesi che riguardano solo un pezzettino, perché si rischia di eccedere da un lato o dall’altro. Io ricordo che il Fondo regionale per noi è una grandissima risorsa, non ci sono altri strumenti di questo tipo nelle nostre regioni; il Fondo nazionale, in parte ripristinato, è di minore entità, quindi sul Fondo è necessaria una riflessione perché è uno strumento che c’è, perché ha sicuramente aumentato moltissimo la copertura dell’utenza, di persone anziane, fragili, a domicilio o nelle strutture, e però lo stesso, come dicevo, siamo convinti, c’è una necessità di innovazione e di inclusione su cui ovviamente siamo d’accordo.

    Però il punto è tenere insieme, dal mio punto di vista, l’analisi, la riflessione e soprattutto la proposta perché sennò si rischia di eccedere. Temo, penso che sia necessario tenere insieme questa riflessione: innanzitutto per evitare, anche senza volerlo, l’eccessiva istituzionalizzazione del cargiver; un rischio che in questa proposta, secondo me, in qualche punto c’è. Ci sono già molti provvedimenti che si occupano di assistenza ai familiari – l’avete ricordato voi – in ultimo il Piano socio sanitario regionale, su cui sono previste cose importanti, che ovviamente vanno applicate e praticate; poi naturalmente il cargiver non è solamente socio-sanitario. Quindi, prima cosa evitare l’eccessiva istituzionalizzazione; secondo, io penso che sia necessario evitare anche di dare l’impressione che si propone uno slittamento – magari anche senza volere – dalla rete dei servizi pubblici all’auto-organizzazione delle famiglie e quindi il tema da servizi a risorse economiche, che dal mio punto di vista non è una situazione augurabile in questa fase. Terzo, credo che sia necessario anche costruire nell’analisi di questi nuovi bisogni un’alleanza più marcata con i servizi, con le persone che lavorano nei servizi, che in questi anni hanno vissuto tutta la fatica di conciliare risorse calanti, vincoli organizzativi con bisogni in aumento esponenziale.

    Quindi in certi punti emerge, dal mio punto di vista, un giudizio quasi ingeneroso sui servizi, che invece bisogna avere alleati se si vuole costruire davvero innovazione. In questo senso io penso che era molto condivisibile e anche molto più equilibrato lo spirito della risoluzione presa dal Consiglio regionale di marzo 2012 su questo tema, intanto perché lì c’era un aspetto, che qui manca, di relazione anche alla necessaria legislazione nazionale, per esempio sugli aspetti fiscali o sugli aspetti delle polizze assicurative, che sono due temi che qui, in questa proposta, non ci sono - ovviamente - ma rendono debole, dal mio punto di vista, l’impianto. Poi perché la legge regionale è chiaramente uno strumento di supporto molto forte, ancorché di principi che poi vanno tradotti, ma è anche uno strumento che rischia di chiudere le donne, soprattutto le donne, dentro una situazione dalla quale fanno fatica ad uscire, all’età che abbiamo detto, con la perdita di lavoro. Questo è un rischio che viene segnalato da moltissimi lavori e studi anche molto recenti, il fatto che questa scelta delle donne poi le taglia fuori dal mercato del lavoro e in questo senso io credo che la proposta che qui stiamo guardando, nella parte che riguarda il rapporto con le associazioni datoriali per un rientro al lavoro, sia molto debole, francamente debole. Quindi bisognerebbe provare a capire se si può costruire qualcosa di più.

    Dal nostro punto di vista il cargiver non familiare – perché può essere chiunque anche il vicino e l’amico – è una persona che cura, presta la sua cura; è una risorsa del sistema; è una persona che deve mettersi sicuramente di più oggi in relazione col sistema dei servizi; è una persona che partecipa alla costruzione del piano di assistenza, in relazione coi servizi, ma non lo determina. Quindi è una persona che partecipa, ma non è lo snodo che fa partire il sistema: questo è un punto che in alcuni passaggi della legge può essere evocato. Inoltre, bisogna chiarire con altrettanta chiarezza che il cargiver deve essere libero di scegliere l’uscita dalla sua condizione, cosa che nella legge non c’è. Quindi io penso che siano questi i temi su cui bisogna riflettere ulteriormente e anche in termini emendativi. Va molto bene l’aiuto, il supporto, la relazione con la rete dei servizi, i presidi, va bene il tutoraggio dei servizi, va bene il tema della formazione e anche la proposta di certificazione delle competenze nel caso in cui la persona lo scelga: queste cose, dal mio punto di vista, sono positive perché rappresentano un passo avanti nell’inclusione. In ogni caso, lo ripeto, è fondamentale che questo tipo di innovazioni venga costruito con i servizi.

    Il Piano socio sanitario regionale in uno dei suoi capitoli delinea un ragionamento nuovo sul servizio sociale; io credo che bisognerebbe partire da lì a capire quali sono stati i limiti e le difficoltà che gli operatori in questi anni hanno vissuto; poi, permettetemi, ma l’episodio che abbiamo vissuto poco tempo fa’ nelle zone terremotate in cui mille anziani, sconosciuti ai servizi, in tempo di pochissime ore sono stati presi in carico e sistemati, credo che dica che i nostri servizi avranno certamente dei difetti, certamente delle rigidità, ma certamente sono in grado di farsi carico.

    Nel testo ci sembrano eccessivi alcuni punti, quindi bisognosi di un notevole approfondimento e anche qui di proposte emendative. Per esempio va chiarito se il sostegno economico di cui si parla nell’art. 4, nell’ambito del Fondo regionale, a favore di chi è assistito da caregiver è una nuova forma dedicata, specifica e allora va chiarito con quali risorse viene coperta o se sono semplicemente gli attuali assegni di cura che prendono ovviamente in riferimento tutte le famiglie che ne fanno domanda. Questo è un punto da chiarire; così come è scritto nella legge apre confusioni che per noi non sono sostenibili.

    Secondo eccesso, dal mio punto di vista, l’idea che i Comuni e le Ausl si facciano carico in qualche modo della sostituzione emergenziale del caregiver è un tema che va molto oltre le previsioni delle relazioni tra famiglie e servizi; questo è un punto che a me dà l’idea della sostituzione del servizio pubblico con l’auto-organizzazione e quindi credo che sia un punto da discutere con molta attenzione dentro una cornice che è il piano di assistenza individualizzato, che può prevedere dei momenti di sollievo per la famiglia ma dentro una cornice.

    Poi la parte sull’associazionismo e la rappresentanza è una parte molto forte. Io credo che sia un tema molto aperto, che va tenuto aperto perché prevedere dentro la legge una specie di prelazione per le associazioni che poi non si capisce bene quanto sono associazioni e quanto e chi rappresentano, credo che sia un po’ forte. Penso che invece diverso sia ragionare di come anche queste famiglie hanno il diritto di partecipare in momenti di programmazione, ma partecipare è un conto, un riconoscimento per legge a priori mi sembra un tantino forte.

    Quindi, noi vediamo degli aspetti positivi, senz’altro necessari; vediamo degli aspetti che dal nostro punto di vista andrebbero riragionati e per questo motivo faremo pervenire al più presto le nostre osservazioni anche come emendamenti specifici al testo.

     

    Maria Grazia BEDETTI (Presidente Collegio IPASVI Bologna)

    Qualcuno ha nominato i collegi professionali, eccoli qua. Innanzi tutto cercherò di approfittare di questa opportunità di mandare le riflessioni più dettagliate sul testo, anche via mail, e quindi cercherò di limitare il mio intervento sostanzialmente a due riflessioni: una di carattere generale e quindi porto qui il parere favorevole del consiglio direttivo del Collegio degli infermieri della provincia di Bologna rispetto a questa proposta di legge, che ha visto in questa proposta accendersi sostanzialmente un riflettore su un fenomeno che ha le dimensioni che ci venivano dette prima e che se il trend demografico ed epidemiologico di questo territorio rimane quello che conosciamo, è destinato inevitabilmente ad aumentare nel futuro.

    Per quanto riguarda il mio gruppo professionale, avere la possibilità di interagire con persone che sono istituzionalmente e formalmente identificate ci dà la possibilità inevitabile e ineludibile di poter realizzare un piano assistenziale e quindi gli obiettivi assistenziali, che rischiano di diventare teorici, di concretizzarli, di declinarli nelle situazioni concrete. Il grande vantaggio è di togliere – sto parlando come professionista sanitario – l’intervento sanitario da quello che è l’intervento calato dall’alto, tecnicamente giustificato, evidentemente scientifico, di calare quell’intervento in situazioni specifiche, in contesti specifici e soprattutto tenendo conto di quelli che sono i bisogni sia dell’assistito ma anche di tutte le persone che gli viaggiano incontro. Quindi quel punto di vista e quella mediazione culturale che fanno dei servizi sanitari e dei professionisti sanitari una risorsa sì, ma all’interno di un contesto che si fa carico - e questo dal nostro punto di vista è il valore di questa legge - di un contesto che è capace di farsi carico dei bisogni dei più deboli perché forse dobbiamo anche incominciare a cambiare cultura. È vero e sono assolutamente d’accordo con chi mi ha preceduto che se non la pensiamo bene c’è il rischio di scivolare, formale ed informale, ma è anche altrettanto vero che qui stiamo sperimentando un po’ per problemi economici, ma anche e soprattutto per problemi culturali, che forse relegare la malattia alla cura solo nei servizi specialistici non funziona più, quindi il grande vantaggio è sicuramente questo.

    Un altro intervento un pochino più specifico è che nella rete di sostegno del caregiver vorremmo che fosse specificatamente menzionato l’infermiere di riferimento del caso di quel momento lì; abbiamo parlato del medico di famiglia, abbiamo parlato di tante persone, però ci piacerebbe che fosse menzionato anche l’infermiere; questo in funzione della 427 del 2009 (quindi una delibera regionale) che recita testualmente: “l’intervento infermieristico consiste nella messa in atto di attività pianificate dalle equipe dei nuclei di cure primarie e finalizzate a far sì che l’assistito assuma un ruolo centrale nella gestione della propria patologia; l’infermiere quindi dovrà essere in grado sia di trasferire informazioni a sostegno del processo di autocura sia di sostenere l’assistito nell’acquisizione delle abilità necessarie per ridurre o migliorare i problemi quotidiani derivanti dalla cronicità, quali ad esempio il controllo dell’alimentazione, la gestione delle condizioni di acuzie, la gestione della terapia farmacologica, lo sviluppo di stili di vita adeguati. L’infermiere dovrà inoltre esser capace di fornire le indicazioni utili per accedere ai diversi servizi e per trovare e utilizzare le giuste informazioni. È fondamentale in interventi assistenziali di questo tipo dare al paziente e alla famiglia la certezza dei punti di riferimento precisi all’interno delle cui che potranno essere contattate in caso di necessità”. Bene, se questa è una delibera regionale, che dà un mandato sociale di questo tipo agli infermieri, io credo che gli infermieri non possano non essere menzionati nella rete. Anche perché guardiamoci bene, cioè quelli che contattano tutti i giorni i caregiver, quelli che quotidianamente sostengono, trasferiscono competenze, verificano il piano assistenziale sono gli infermieri. Grazie.

     

    Maurizio MINEO (Fondazione Ant Italia onlus)

    La posizione dell’ANT è che questa legge rappresenta sicuramente un passo avanti positivo in termini culturali e per il tipo di medicina che noi intendiamo. Cioè di fronte alla disgregazione della famiglia, a cui assistiamo da 25, 30 anni a questa parte, da quando abbiamo iniziato la nostra attività è diventata diversissima la platea delle persone a cui ci rivolgiamo. Ribadire che il centro motore dell’assistenza è il domicilio è fondamentale, con tutto il rispetto per le strutture residenziali, con tutto l’amore e la professionalità che si può avere nelle strutture residenziali, ma per anziani, per non autosufficienti e anche per malati gravi, come quelli che curiamo noi, stare a casa propria, ovviamente nelle condizioni di possibilità, vicino ai propri cari è impagabile, è assolutamente impagabile. Però c’è un problema. Diceva giustamente, mi pare, l’amico di Carpi prima: oggi la scelta domiciliare non è più una scelta libera, mentre quando noi cominciammo la nostra attività negli anni ’80 le famiglie arrivavano dicendo “io voglio stare a casa, voglio portar via la persona dall’ospedale”, oggi è l’ospedale che dice “cara famiglia prendi e vai a casa”. Questo è anche giusto perché l’ospedale non è il luogo deputato per le patologie croniche, anche gravi; però le famiglie hanno bisogno di sostegno, se non c’è questo sostegno – io lo vedo tutti i giorni, perché il mio lavoro è quello di entrare nelle famiglie – ha ragione la signora Bellotti, le famiglie sono spesso in gravi difficoltà.

    La nostra esperienza è di alta specializzazione di intensità assistenziale – lo dico alla signora della CGIL, e mi assumo la responsabilità di quel che dico – enormemente superiore all’ADI normale del medico di famiglia, enormemente superiore; nei casi che seguiamo noi, i ricoveri o in hospice, che costa per giornata 250-300 euro, o in ospedale, 500-1.000 euro al giorno, a seconda dei reparti in cui si va, mentre l’assistenza domiciliare costa fra i 30 e i 40 euro al giorno. Quindi anche da un punto di vista economico credo che si debba ragionare su questi termini. La famiglia se non ha un supporto di tipo economico ricorre alla soluzione della struttura residenziale, con ciò che questo comporta in termini di affetto e di cure per il malato, ma anche in termini economici. Certo, Paola, ne abbiam discusso tanto di questo tema, se la politica non è chiara su questo punto continuiamo a fare tavoli, riunioni, a non prendere decisioni coraggiose; ci vuole del coraggio: cioè i soldi che vengono spesi in un settore devono essere tolti avendo il coraggio di dire che tolgo posti letto, chiudo reparti, chiudo ospedali, taglio amministrativi, impiegati, dirigenti, di cui spesso non se ne può più, perché a questo ci ha abituato la politica, e investo in soluzioni che sono migliori per i malati, migliori per le famiglie, a patto che abbiano gli strumenti, i soldi. Io non sono un esperto di giurisprudenza, di contratti, non so come si fa: date dei soldi alle famiglie e questo rappresenterà un enorme vantaggio anche per le casse dello Stato. Questo è il punto, è ovvio che questo scardina un sistema: allora o la politica ha il coraggio di farlo oppure continuiamo a parlarci perché tanto i fondi non ci sono. E questo è l’altro grande equivoco e mi fa piacere che lei abbia detto quello che l’ANT dice da trent’anni: ci vuole un sistema sussidiario, altro che tutto pubblico, il pubblico da solo non andrà più da nessuna parte. E allora bisogna essere chiari e dire: io pubblico per te posso fare 100, per te posso fare 30, tu famiglia sei molto benestante ti arrangi, ti farai un’assicurazione, fai quello che vuoi e io proteggo le persone fragili, lo faccio in parte io e in parte alleandomi con chi è presente sul territorio, perché non importa nulla che il medico sia dell’ANT o il medico di famiglia; l’importante è che il servizio che ai malati viene dato sia buono. Questo è il punto fondamentale. Ci vuole del coraggio. Questa è la seconda parte fondamentale. T’aspettiamo al varco.

     

    Maurizia MARTINELLI (CISL Emilia-Romagna)

    Non era facile intervenire anche dal punto di vista emotivo neanche per me rispetto ad una legge di questo genere, essendo stata caregiver io stessa (bambini, anziani), però in rappresentanza dell’associazione noi abbiamo una posizione, come dire, articolata; sono un po’ in imbarazzo perché è difficile farsi comprendere in cinque minuti, oggettivamente, però ci proverò. Articolata perché: vado a parole chiave. C’è la piena condivisione rispetto ad un intervento che si prefigge di aiutare chi cura; parole chiave di Melli: la nostra società non riconosce il lavoro di cura, lo riconosce per i bambini, tuttalpiù, ma ci fermiamo lì, non lo riconosce per altri target e quindi è veramente molto importante, forse non dovrebbe essere arginato solo ad un settore. Vediamo una piena coerenza rispetto al Piano socio-sanitario, soprattutto il Piano socio sanitario 2013-2014. Parole chiave: il Piano socio-sanitario parla di coinvolgimento pieno di tutto il capitale sociale, quindi tutta la rete; ammette che i nostri servizi oggi sono abituati a dare delle prestazioni e dobbiamo passare da una cultura della prestazione ad una cultura di chi è in grado di organizzare e gestire i processi, quindi di saper coinvolgere tutte le reti, i capitali sociali compresi i caregiver.

    Vado velocemente sui punti che noi problematizziamo un po’ di più: il fatto che la norma scelga, per stabilire questi concetti in termini di principio, il caregiver è una cosa in se’ non poco significativa, perché il caregiver, soprattutto rispetto all’ambito nel quale si confina la legge, che è la domiciliarità che poi rappresenta il vero problema e la vera sfida del domani, quindi anche la scelta di campo che noi condividiamo, perché di fatto è la sfida che ci aspetta su tutti i servizi e non solo per un problema di sostenibilità economica: la sussidiarietà è necessaria anche per ricostruire la comunità, non è solo un problema di starci dentro coi soldi, è che la sfilacciatura della rete familiare nella società ha bisogno di interventi che in qualche modo la supportino. Quindi anche la scelta della figura, di colui che si prende cura è uno snodo che è assolutamente importante.

    Ora dicevo, qual è la questione problematica sulla quale noi avremo sinceramente bisogno di un attimo di riflessione in più, che non è un singolo emendamento; mi dispiace dirlo, ci son molti caregiver presenti, però noi leggiamo, aldilà delle intenzioni degli estensori, un po’ una fissazione del caregiver come cosa buona; io questo aspetto mi sento di problematizzarlo. Io ho avuto esperienze anche di carattere diverso per il mestiere che facevo prima: a volte dire che il caregiver è colui che sostiene il rapporto psico-fisico dell’utente è, come dire, buono di per sé, abbiamo tanti tipi di caregiver, anche sulla non autosufficienza; ma a volte i caregiver fanno parte del problema, e questo lo dobbiamo pur dire.

    Perché dico questo? Non tanto per dire che c’è l’altra faccia della medaglia, perché è vero che oggi svolgere la funzione del caregiver non è solo un elemento di libertà di scelta, è un elemento di costrizione determinato da tantissimi fattori esterni e le persone si devono sentire libere anche rispetto ai loro familiari; è coraggioso e difficile intervenire sulle relazioni familiari, perché questo è un aspetto importante. Ma io non sto costruendo con questo ragionamento un sofisma, sto dicendo che la centralità del nostro intervento deve rimanere l’utenza, i caregiver e la comunità conseguentemente, ma è l’utenza che deve rimanere al centro del nostro intervento. Perché se non assumiamo questa ottica noi rischiamo di professionalizzare eccessivamente una comunità che dà risorse in quanto risorse gratuite, e dobbiamo lasciare le persone nella loro libertà, nel scegliere la gamma dei servizi.

    È evidente che questo è un problema molto delicato: cioè lo snodo fra il rapporto tra i caregiver e utenti, che sono il centro dei nostri servizi, e i servizi della rete è un rapporto determinante. Ve lo voglio dire in termini personali per farmi capire perché rischia veramente di sembrare un’argomentazione fumosa: anche nella mia esperienza, un rapporto negativo col servizio determina una involuzione del caregiver; un rapporto positivo dove io al servizio suggerisco dei comportamenti, ma i servizi suggeriscono a me caregiver dei comportamenti, diventa centrale perché a volte le persone sono inserite in dinamiche relazionali molto potenti e lo sguardo professionale del servizio deve essere conservato ad illuminare quella situazione. È vero che oggi abbiamo servizi, e lo dicevamo, che sono più legati alle prestazioni che a questo sguardo e quindi ben venga una legge che incentivi questi termini, ma attenzione stabilire bene i rapporti.

    C’è un altro aspetto che noi vediamo in modo un po’ più critico, che è proprio quello della rappresentanza: io non lo so francamente se una legge possa promuovere rappresentanza, sostenere rappresentanza tout court. Il problema però è un altro: quando si crea una rappresentanza come quella del caregiver così larga, cioè un contenitore con confini così labili, dobbiamo essere molto precisi perché allora, per parlarci chiaro, le associazioni sindacali, le associazioni dei disabili, le associazioni di tutto il mondo si possono iscrivere a questa associazione dei caregiver, perché per forza di cose ognuno di noi ha dei pezzi dentro che sono dei pezzi di associazionismo che si prestano a questa lettura. Dobbiamo stare attenti a quello che stiamo costruendo e la proposta che noi invece ci sentiamo di fare è quella di strutturare la legge in modo tale, in analogia a quello che avviene sui servizi educativi per i genitori sui bambini (quelli sono minori, questi sono non autosufficienti o comunque persone fragili), di avviare un percorso per cui la Regione si fa carico di essere luogo organizzativo nei distretti, là dove esistono i caregiver reali e familiari reali, perché in quel modo e senza assolutamente nessun timore di strumentalizzazione od altro si potrà gestire insieme quella che è l’organizzazione rispetto a dei bisogni che vengono espressi realmente su dei contenuti che sono di carattere concreto, esattamente là dove si realizzano. Per dire che non è un problema della rappresentanza di per se’, ma del come si crea questa rappresentanza, come si attiva questa rappresentanza: può fare la differenza quando i contenitori son troppo larghi e non si capisce più il rapporto che c’è tra rappresentanza e rappresentati e il filo non viene tenuto insieme.

    L’ultima cosa, mi pare che il dibattito anche stamattina, le comunicazioni l’abbiano evidenziato bene: io toglierei, e poi lo vorrei spiegare, dalla legge, all’art. 4, i riferimenti agli aspetti economici, non perché sia giusto o sbagliato ma perché questa non è una legge costitutiva. Cioè un ragionamento è, come si sta facendo sulla rete ospedaliera, cioè trasformare i posti letto in assistenza territoriale, quindi realizzare potenti risorse economiche per poter fare delle cure intermedie un elemento costitutivo del nostro sistema socio sanitario; una cosa è agire su confini molto ristretti creando – l’abbiamo visto dal volantino – delle aspettative di ritorno economico che sappiamo già non essere realizzabili.

    Ultimissimo punto: preferiremmo che nella legge ci fosse anche un elemento rispetto all’emersione dei caregiver e di tutte le attività che vengono fatte sui territori; non diamolo per scontato perché i distretti non lo stanno facendo. Non ci sono solo le persone che hanno il PAI, quindi possono entrare in questo sistema, ci son persone che, come si è detto, sono fuori dai servizi completamente.

     

    Simone GAMBERINI (Sindaco Comune di Casalecchio di Reno)

    Volevo dire tre cose: la prima è che penso vada valorizzata la novità di questa legge; lo dico da amministratore che spesso si è rapportato in modo critico alla riorganizzazione dei servizi. Chi mi ha preceduto ha sottolineato un tema io penso fondamentale, che è quello dell’emersione dei caregiver. Oggi noi abbiamo un sistema che è orientato ad accogliere solamente chi si presenta davanti alla porta dello sportello sociale, quando c’è. È un sistema che non è capace di intercettare e far emergere una parte enorme del nostro sistema. Io penso che questa legge toglie dall’invisibilità ciò che in realtà è oggi qualcosa di straordinariamente forte nell’organizzazione della nostra comunità e fa fare un salto di qualità ad un percorso che però ha la necessità di essere immesso in rete con un insieme di altre cose.

    Se vedo un limite in questa proposta di legge, non nel suo contenuto, ma in generale, è il tema del contesto; con Paola ne abbiamo parlato spesso quando abbiamo parlato di nuova domiciliarità e di come si costruisce anche un sistema nuovo di domiciliarità. Oggi noi siamo di fronte a un tema io penso fondamentale: ci stiamo troppo spesso raccontando come è realmente il sistema e come oggi le famiglie si auto-organizzano per risolvere il loro problema e non ci dotiamo degli strumenti, anche in termini finanziari, per riuscire a evitare che le famiglie si auto-organizzino e basta, e abbiano invece a disposizione la possibilità di scegliere anche quali percorsi costruire o come essere preso in carico. Su questo io penso occorra fare una serie di riflessioni: in alcuni casi le abbiamo fatte sul tema delle badanti quando abbiamo accettato che ci fosse una parte intera del sistema che si auto-organizzava ma doveva emergere e quindi abbiamo cercato di pensare anche a un sistema per riuscire a costruire questa emersione. È paradossale che in realtà il sistema dei servizi si sia occupato prima dell’emersione del tema delle badanti che di quello dei caregiver; questo dovrebbe farci riflettere nel capire come oggi forse dobbiamo disegnare il sistema in un modo un po’ più completo, non solo con questi strumenti.

    Io non sono così convinto che il tema delle risorse sia poco fondamentale e che le risorse non ci siano. C’è una riflessione che penso la Regione Emilia-Romagna potrebbe fare in modo forte, anche nei confronti della Conferenza Stato-Regioni per porsi alla guida di un percorso anche sperimentale che abbiamo verificato in varie occasioni, in quello spazio ci potrebbe essere; nella relazione con l’Inps per riuscire a capire come effettivamente lo strumento dell’assegno di cura può fare da volano ad un percorso diverso su cui noi facciamo ruotare la nuova domiciliarità. Penso che questo ruolo, questo spazio la Regione Emilia-Romagna possa prenderselo nel costruire un percorso sperimentale nel quale con l’Inps si chiede di costruire questa sperimentazione. La stiamo facendo sotto altri temi con Inps, collegata all’emersione delle badanti nella relazione con enormi risorse che hanno a disposizione per il sostegno al welfare. Oggi penso che una parte rilevante della rivoluzione che possiamo costruire su questo sistema passi dal rendere attive quelle risorse che oggi spesso finanziano o lavoro nero o sostegno economico alle famiglie; poi guardiamoci dentro, io sono disponibile, però occorre provare a fare quel salto di qualità. E allora la riflessione, che io condivido pienamente, sull’assegno di cura e sulla filosofia che potrebbe avere darebbe un senso più complessivo anche al sistema, perché diventerebbe un tassello fondamentale di una ridefinizione del sistema dei servizi, facendolo ruotare attorno alla domiciliarità, in un’ottica nella quale la rete sta in piedi, ha le risorse per essere finanziata, ha tutti i soggetti che sono emersi, ha il pubblico che fa anche da regia.

    Io penso che questa legge sia uno strumento che va verso la giusta direzione, può agire insieme ad altri piccoli tassellino. Mi rendo conto c’è molto lavoro da fare, perché non sempre c’è una discussione, condivisione su questi temi, ma sulla domiciliarità io penso si potrebbe fare - in Emilia-Romagna molto più che in altre realtà - un passo in avanti che potrebbe diventare un punto di riferimento a livello nazionale.

     

    Oreste BALDASSARRI (Presidente AVIUSS)

    Io sono in un’associazione, l’AVIUSS, che da tempo pone il problema sui servizi che ci sono e, come oggi abbiamo sentito, la ricchezza e la quantità di associazioni che ci sono sul territorio, per tentare di fare rete con tutte le associazioni che c’erano assieme all’ente pubblico e di trovare delle soluzioni maggiori di quanto non ci fossero in quel momento. Non siamo riusciti ad andare avanti su questa strada: facciamo assistenza, facciamo servizi alle persone anziane e bisognose segnalate dalle assistenti sociali di quartiere e facciamo tele-compagnia.

    Su questa questione del tutor, credo che noi abbiamo di fronte e credo che oggi sia stato giusto porre un problema ma non deve fermarsi qui, deve continuare perché questo è un problema culturale, non è un problema di leggi, è un problema culturale. Sento parlare di famiglia: noi facciamo tele-compagnia a signore sole, tutte donne dagli 88 anni in su, che si lamentano di avere i figli a Verona, a Torino, e queste non hanno la famiglia, queste vivono da sole finché possono andare avanti e noi ogni settimana gli diciamo di cosa hanno bisogno, se hanno bisogno di qualcosa, dove si devono rivolgere se hanno certe necessità, anche noi interagiamo per trovare un numero di telefono, una persona che loro cercano, quindi gli facciamo da assistenza. Attenzione però che il problema del tutor, e noi lo sentiamo per telefono quando loro ricevono le persone, non è la parte essenziale: è tutta la rete di servizi pubblici e di volontariato, privati, che devono raccordarsi per tentare di vedere e di portare questa persona, con l’impegno assoluto del medico di base, che non può essere più quello che è oggi ma deve diventare veramente la persona che affronta assieme al paziente, alla persona, perché noi dobbiamo tenere al centro di tutto la persona e a fargli ruotare intorno tutto quello che la persona ha necessità. Il medico di base è il punto nodale di tutto il resto della rete, perché se il medico di base diventa veramente il medico che fa informazione, riceve, dà consigli, fa il medico che parla col paziente, non che scrive le ricette, come oggi purtroppo è, e non per colpa sua.

    Però il sistema oggi va integrato tra sanità e sociale e tutti gli attori devono essere in campo con al centro la persona: la famiglia se c’è la famiglia, la persona se la persona è ancora autosufficiente. Queste signore che noi assistiamo come tele-compagnia vi posso garantire che hanno una dignità che io credo che non si possa trovare da altre parti, la dignità di queste persone sole, fanno veramente tenerezza e noi quando parliamo con loro siamo contenti anche noi. Questa cosa non può diventare solo di un’associazione, deve essere la rete che attorno a queste persone agisce interessandosi tra loro ma non mettendo le persone nella facoltà di dire “adesso ho bisogno di questo”, è la struttura che deve intervenire. Certo questo bisogna farlo alle persone che sono fragili economicamente, che sono fragili fisicamente, perché quante volte noi riceviamo delle telefonate di persone che dicono “si può pagare? Guardate che io posso pagare, io non so dove rivolgermi, ma io posso pagare” e questo bisogna accoglierlo come una volontà del cittadino di dare la sua disponibilità di contribuire anche a quello che è il costo dell’assistenza che lui ha.

    Queste sono le cose che noi dobbiamo mettere assieme e credo che non lo risolviamo con una legge, lo risolviamo se tutti noi - e ci metto tutti quanti: politici, operatori - ci mettiamo in testa che noi dobbiamo cambiare strada, dobbiamo cambiare il nostro sistema di ragionare attorno a questi problemi, che è un sistema culturale nuovo che deve avvenire e che bisogna proprio dimenticarsi quello che fino a adesso abbiamo fatto, che è andato avanti come ha potuto. Oggi invece bisogna aiutare veramente, perché questo è uno dei drammi delle società: l’invecchiamento della popolazione. Noi ci siamo arrivati adesso vicino, ma è già 10/15 anni che si pensa, qualcuno ha cominciato a pensare che questa cosa arrivava, il nodo arrivavano al pettine.

    Questo è il mio piccolissimo contributo, non smettiamo di trovarci e di affrontare questi temi, che hanno bisogno di una continuità, hanno bisogno di un’organizzazione; assolutamente è la persona al centro di chi gli ruota attorno, è la persona quella che deve avere il beneficio da tutte le operazioni che noi portiamo avanti in quanto singoli cittadini o volontari o operatori, perché siamo tutti pari, siamo lì per aiutare chi ne ha bisogno.

     

    Cristina ZOFFOLI VINCENZI (Associazione Insieme si può - Casa S. Chiara)

    Sono la mamma di un ragazzo disabile, nato disabile che ha 28 anni, quindi vivo questo problema dal momento della nascita, la disabilità è grave e continua ad esserlo. In questi 28 anni per fortuna la mia famiglia è rimasta unita e abbiamo avuto l’opportunità di far sì che io rinunciassi alla mia attività, al mio lavoro: ero farmacista, non facevo niente di particolare, però potevo continuare a farlo perché era una cosa che mi piaceva. Sempre la mia famiglia mi ha permesso, organizzandosi in maniera particolare, di avere una cosiddetta badante, quindi ho sempre avuto per mio figlio una persona che mi ha affiancata ed ha permesso a mio marito di lavorare e a noi anche di cercare altri figli e infatti abbiamo un’ altra figlia. Nel mio percorso di vita ho avuto per due occasioni l’opportunità di assistere mio figlio e contemporaneamente a dover assistere ad un altro disabile grave, prima la nonna di mio marito, successivamente il marito della badante stessa, si è ammalato con emiparesi, era in Italia, è stato preso in casa. Di esperienza ne ho abbastanza, volevo dire questo e conosco questi problemi da sempre. Contemporaneamente rappresento anche i genitori dei ragazzi che frequentano Casa Santa Chiara, c’è questa associazione che si chiama “Insieme si può” e che riunisce tutti noi genitori di ragazzi disabili. Non voglio fare delle differenze, però le malattie a cui noi famigliari di disabili gravi dobbiamo andare incontro, hanno qualitativamente nessuna differenza però quantitativamente ci sono delle differenze: l’anziano che sta bene tutta una vita, il genitore poi si ammala e per un anno, dieci anni devi assisterlo, però almeno ha fatto la sua vita e ti ha dato l’essere genitore, ha lavorato, quindi quantitativamente è un po’ più leggera come malattia; il malato di tumore non ci nasce col tumore, quando insorge ti dura e si spera che passi; ma un genitore che si ritrova fin dalla nascita un figlio disabile è un problema che coinvolge non solo l’ammalato ma coinvolge il genitore stesso. Quindi quando voi vi rivolgete a noi dovete pensare che avete a che fare con delle famiglie difficili, delle famiglie ammalate, non avete a che fare con degli ammalati; cioè noi abbiamo il problema della malattia e non abbiamo avuto la gratificazione e mai l’avremo di rapportarci al nostro famigliare perché la sua patologia non gli permetterà mai di fare questo. Questo per noi sono mortificazioni, sono dolori continui, che ci fanno essere genitori difficili.

    Per la legge che voi proponete, mi meraviglio che si debba riconoscere l’attività e il valore di noi che assistiamo gli ammalati. Gli assistenti sociali sono quelli con i quali ci rapportiamo, più tutto il resto che consegue per l’assistenza, decisioni, progetti; parliamo del punto di partenza: l’assistente sociale che si rapporta a te famigliare e decide - abbastanza - con te con te il piano. Ci hanno sempre raccontato che noi eravamo importanti, poi negli anni ci siamo accorti che invece le decisioni venivano comunque prese dall’alto; abbiamo sempre cercato di sostenere la sussidiarietà, sembrava dicessimo parolacce, bestemmie. Finalmente è arrivato il momento, finalmente, che con questa proposta di legge si cominci un po’ a pensare che noi siamo fondamentali e quindi mi meraviglia questo ritardo, questo doverlo riconoscere adesso, mi sembra un excusatio non petita e quindi accusatio manifesta. Non è un offesa ma è una constatazione, perché sono 28 anni che cerco di raccontarlo.

    Sappiate che per le famiglie - lo sapete, lo avete detto - che preferiscono assistenza domiciliare, ci sono due problemi fondamentali: il volontariato e il supporto economico. Il volontario chi lo trova? Il volontario, lo dice la parola stessa, per sua propria volontà decide di dare una mano gratuitamente; chi lo trova, lo dovremmo trovare noi? Chi lo forma? Forse voi, le scuole d’infermieri, eccetera, e questa sarebbe una soluzione. Quindi noi ci cerchiamo i volontari nel momento in cui ci viene proposta una rosa di offerta, però almeno che questa legge preveda l’onere della formazione. L’assistenza domiciliare, che è preferibile per mille motivi, però a volte non è adeguata, quindi che venga proposta e non imposta: a volte ci sono famiglie già talmente disperate che non vogliono più l’aiuto domiciliare, abbiamo dei genitori o dei fratelli che hanno già dato tutto, sono esauriti, quindi chiedono che il famigliare ammalato che hanno per 40 anni assistito venga messo in una residenza e che lui possa andare a trovarlo, non avrà più sensi di colpa perché 40 anni, 20, 30 di assistenza farà sì che quando non ha più in casa l’assistito lo andrà a trovare, i sensi di colpa non li sentirà, giustamente. Parlava prima la signora rappresentante della CGIL dello slittamento delle decisioni che non devono slittare e dal sistema dell’assistenza non deve slittare alle famiglie: no, è vero il contrario, siamo noi famiglie che nel momento in cui abbiamo in carico i ragazzi dobbiamo partecipare al 50 per cento alla determinazione dei piani per la gestione dei nostri ragazzi ammalati. Siamo noi molto importanti e a meno che non siamo inabilitanti o interdetti voi dovete ascoltarci perché abbiamo un peso fondamentale uguale al vostro, quindi non crediate di poterci mettere da parte perché non arrivereste a determinare delle soluzioni positive per i nostri ragazzi senza i nostri consigli. È inevitabile, ho detto una banalità ma l’ho dovuta dire perché questo non avviene.

    Parlando dei fondi economici: questa legge parla sempre usando il modo condizionale, ma dovrebbe usare il modo non dico indicativo ma il modo imperativo, nel senso che non deve essere sub condicio la possibilità di realizzare un programma rispetto alle risorse. So che voi le potete trovare, farete voi la fatica di trovarle, noi per la nostra economia famigliare le cerchiamo, dove ci sono le troviamo e ci spremiamo da tutti i punti di vista, ma quelle che dovete trovare voi le trovate. Se volete dei suggerimenti uno ve l’ha dato il dottore dell’ANT prima, l’altro ve lo do io ed è una faccenda ancora aperta: le ditte sono obbligate per legge ad assumere oltre al quindicesimo dipendente un ragazzo disabile, se non lo assumono pagano una multa. Abbiamo accumulato decine, non so che cifra, so che erano tanti di milioni e quelli voi dovreste farvi carico di prenderli e di riversarli su questi piani che state proponendo alle nostre famiglie. L’ultima cosa: una bellissima idea è quella di trovare la maniera di riconoscere dei crediti formativi. Io per esempio nella mia professione - adesso non lavoro - avrei dovuto fare giustamente dei crediti formativi, come tutti i medici, veterinari; non li ho potuti fare, se mi venissero riconosciuti come forma di assistenza a mio figlio e agli altri ammalati a cui ho assistito mi ritroverei a tenermi al passo con i miei colleghi fortunati che hanno invece potuto continuare a svolgere la loro professione. Ringraziandovi e in attesa di avere chiarimenti su questa proposta.

     

    Enrico MORGANTI (Famiglie insieme onlus)

    Grazie di poter dare un contributo anche se ci vorrebbe qualche giorno in più per riflettere sullo spirito che sta dietro a questo progetto di legge, che, per il poco tempo che abbiamo avuto, forse non farà né male né bene.

    Si potrebbe forse dire “sì, sono d’accordo”, come molti hanno detto questa mattina qua, ma sulla base della nostra esperienza… Io parlo non tanto come Famiglie insieme, che da 20 anni ci occupiamo di famiglie con anziani che vengono a chiedere la colf o la badante, ma cominciai tanti anni prima. Quando il giovane, il secondo che ha parlato, diceva “ci siamo accorti troppo tardi delle badanti”, io ero in quell’epoca nella presidenza regionale ACLI, ci occupavamo di badanti e di colf anzi inventammo l’acronimo: per non parlare più di serve, di cameriere, inventammo “collaboratrici famigliari”, per dire da quanto tempo ci occupiamo... Non è che qualcuno non l’ha voluto affrontare l’argomento, ma ciononostante ancora adesso, mi dicono i miei amici che sono nel patronato ACLI, sono decine le persone che assistono al giorno, sia come famiglie che chiedono ,sia come colf e badanti. Può darsi che qualcuno non sia d’accordo, anzi ho avuto l’impressione che una bella fetta di politica non fosse d’accordo che ci fosse questo mondo: parliamone, affrontiamolo. Per dire che quindi non cominciamo da adesso a studiare questo. Ma lo dico non da Famiglie insieme o proveniente dall’ACLI, lo dico come membro, come la dott.ssa Bellotti, che da molti anni partecipa al Comitato consultivo misto - e guardo te Baldassarri, ti ricordi? - inventati con Ardigò 20 anni fa, perché c’erano dei consiglieri regionali che ascoltavano. I Comitati consultivi misti a Bologna noi da anni siamo in prima linea a studiarli; io divento matto perché voi non ci crederete ma in media c’è una riunione a settimana in quello del Distretto socio-sanitario di Bologna.

    Le cose che avete detto prima sono scritte qui dentro nel caso nostro, quindi se alcune persone le avessero almeno lette una volta, vi dico solo il titolo del documento che stiamo studiando, ristudiando e discutendo e devo dire in un contesto molto positivo. Noi volontari con i colleghi dell’AUSL facciamo un grosso lavoro ma vi anticipo la conclusione: dov’è il tallone di Achille che voglio tirare fuori anche questa mattina e che mi aspettavo che la Regione, che non è pressata da elezioni, dopodomani affrontasse, aldilà di questo progetto di legge? È il nodo che nel Comitato consultivo misto c’è anche un rappresentante del Comune, e allora arrivo subito al nocciolo. Quindi, c’è questo documento “Assegni di cura: approvazione del nuovo regolamento aziendale per l’erogazione di contributo alle famiglie disponibili a mantenere l’anziano non autosufficiente nel proprio contesto e contributi aggiuntivi finalizzati alla regolarizzazione delle assistenti famigliari”: noi fummo contenti perché si trattava di mettere a posto persone validissime, le conosciamo da molti anni e per fortuna hanno avuto questa possibilità, non vi cito gli altri documenti per dirvi che cosa studiamo, qualche mese fa, sempre nel distretto di Bologna, ipotesi di lavoro per un nuovo modello di assistenza domiciliare; ma noi lavoriamo, studiamo su queste cose.

    Qual è la faccenda che sta capitando: che a me personalmente andrebbe bene una legge che ha questo spirito sul quale la maggior parte di voi ha spezzato la lancia a favore, se prima si risolvessero due o tre piccole cose: parlo di Bologna, da noi in questi anni c’è stato un ribaltone col trasferimento del sociale dagli assessorati ai quartieri. Secondo ribaltone: la storia infinita dell’ASP unica. Terza storia infinita è che la stessa riforma dei quartieri è un calvario. Ma queste cose vanno a calarsi su un tessuto istituzionale che contiene già forme di partecipazione come dice questa legge, lo contiene già, basta applicarle e perseguirle, la partecipazione non te la regalano, la devi ottenere. Allora ecco il punto debole, per noi: è il raccordo tra sanità e Comune, nonostante ci siano stati momenti in cui siano venuti rappresentanti molto validi, per cui abbiamo prodotto anche documenti molto buoni nel Distretto socio-sanitario di Bologna. Però, mi fa meraviglia che non l’ha detto il rappresentante della CGIL, come spiegate voi l’articolo della settimana scorsa su la Repubblica? Perché nel 2010 l’AUSL e il Comune han fatto il giro di vite, cioè hanno sprecato troppo, hanno speso troppo dall’assegno di cura, allora hanno fatto il giro di vite e chi di voi ha letto la Repubblica la settimana scorsa, per due volte la CGIL dice “com’è che sono avanzati 10 milioni?”. E allora che cosa stiamo a discutere, tutte quelle cose lì vanno bene, però bisogna che ci siano le premesse istituzionali e di vissuto quotidiano.

    Mi avvio alla conclusione: io penso che avere il coraggio di guardare in faccia queste cose ci può aiutare a superare la disaffezione dei cittadini verso le istituzioni perché quest’anno non si vota per la Regione, ma non manca mica tanti secoli e dopo può darsi che qualcuno da 5 passi a 6 stelle, quindi pensateci bene prima di fare le cose così senza risolvere a monte gli altri problemi.

     

    Paola NERI (Presidente Gruppo Parkinson Carpi)

    Sono d’accordo con quello che ha detto il sig. De Nigris sull’importanza delle associazioni, perché tutti coloro che partecipano attivamente all’associazione possono diventare dei caregiver. Io ne parlo personalmente perché ho la malattia di Parkinson da diciassette anni, il mio caregiver è mio marito che mi aiuta nei momenti di difficoltà. Ben venga questa legge che dà un po’ di chiarezza in questa giungla.

    Il Distretto di Carpi, l’Unione delle Terre d’argine, ha attivato dei corsi ai quali ha partecipato anche mio figlio, che ha voluto fare questi corsi per aiutarmi nei momenti di difficoltà e per essere sicuro di far bene certe cose. L’associazione aiuta in questo senso i malati. Il mio neurologo mi ha insegnato nei momenti di blocco a pormi un ostacolo davanti ai piedi, con un ostacolo davanti ai piedi la persona malata di Parkinson parte. È molto difficile parlare dalla parte del malato, delle difficoltà che trova, perché anche quando vai in certe commissioni se sei nel pieno del farmaco non hai dei grossi problemi e quindi a volte danno dei giudizi che non combaciano con la realtà. La malattia di Parkinson ti dà dei problemi a livello emotivo, infatti io ero tranquillissima seduta, adesso mi comincio un po’ a muovere perché mi agito, è una malattia molto strana che ti pone dei problemi esistenziali. Spero che con la proposta di legge che è stata fatta possa venire chiarezza per il malato e per il caregiver.

     

    Simona FERLINI (Provincia di Bologna)

    Io sono entusiasta di questa legge perché non contiene solo un riconoscimento di principi, come è stato detto in alcuni interventi, ma definisce degli interventi abbastanza precisi. È vero che non c’è una precisa esigibilità di questi interventi, però per me è già un grosso passo avanti che la legge dica: azioni a supporto dei caregiver, forme di sostegno economico, informazione ed orientamento, formazione e soprattutto interventi per evitare l’isolamento.

    È questo il punto che mi preme di più. Alcuni anni fa come Conferenza territoriale sociale e sanitaria di Bologna, preparammo un programma di interventi sulle assistenti famigliari e in questo programma dicemmo che uno dei problemi da affrontare è il rischio di una follia a due tra assistente e assistito. Io credo che questo problema si ripresenti oggi in una forma che dobbiamo cominciare a vedere. Nei servizi sociali stiamo vedendo ad esempio che le richieste per i nidi sono in calo, questo secondo me è il segnale di un ritorno obbligato alla famiglia. La gente perde il lavoro, non ha né più bisogno del nido, né voglia di spendere per tenere il bambino al nido. Questo per me potrà significare un calo del fenomeno badanti, su cui noi stiamo lavorando molto negli ultimi dieci anni, ed invece una crescita del fenomeno caregiver - donna soprattutto - a casa da solo con il proprio assistito.

    Questa legge a me piace moltissimo, penso che il diavolo sia nei particolari e quindi dovrà essere seguita molto bene l’attuazione e soprattutto andranno sostenute le Conferenze e i Distretti nella definizione dei progetti locali. In questi progetti locali secondo me il punto centrale dovrà essere come evitare che fra dieci anni le donne che sono ritornate a casa perché non avevano un lavoro, o l’avevano perso, o non l’hanno cercato per assistere ad un famigliare, si ritrovino isolate e senza prospettive. Questa rischia di essere una bomba sociale, in prospettiva. La legge prevede già un riconoscimento delle competenze acquisite nel lavoro di assistenza al famigliare, forse sarebbe possibile integrarla con dei sistemi per portare i caregiver fuori di casa almeno un giorno alla settimana per prepararli alla vita di dopo, anche in altri settori; semplicemente della formazione su come si rientra nella società e nel mondo del lavoro una volta finito il lavoro di caregiver.

     

    Lalla Golfarelli (CNA Emilia-Romagna)

    Mi occupo di politiche di welfare in un’associazione d’impresa e qualche tempo fa, su fortissima pressione delle imprenditrici e dei pensionati, abbiamo attivato un percorso per cercare di capire cosa stava succedendo nelle famiglie che fanno riferimento al nostro milieau associativo, perché vedevamo dei percorsi abbastanza preoccupanti, che riguardavano le imprenditrici in modo particolare, ma anche segnali di disagio, di difficoltà molto forte da parte di artigiane e artigiani pensionati. Abbiamo fatto un lavoro che ha riguardato fondamentalmente il tema del lavoro di cura e dell’assistenza familiare diretta, intendendo per diretta quel che significa ora spesso famiglia: famiglia, l’amica di famiglia, l’amica del cuore, perché vedete il termine dell’assunzione del carico di cura si è molto esteso, ma il nodo resta ancora dentro le reti che in modo lato si possono definire familiari, non familiare perché bollata da qualche vincolo matrimoniale, ma familiare nella continuità relazionale. Per questo, credo, la legge dice sensatamente “familiari e”, per partire dal dato di realtà che è quello e il peso della continuità riguarda spesso ancora le mamme, i papà, i figli, le figlie, le sorelle. Lo dico per la necessità di laicità che un’associazione, come la nostra, ha posto quel tema. Noi abbiamo avuto segnali di grave preoccupazione, le imprenditrici smettevano di fare impresa perché avevano un compito diverso che premeva su di loro. L’analisi che abbiamo fatto è stata impressionante perché è emerso che nei casi di non autosufficienza o quando era continuativa purtroppo l’abbandono dell’impresa era quasi immediato, e sentire la mamma di Casa Santa Chiara mi ha rimandato a racconti, ma anche nel caso di persone anziane o molto adulte, quello che accadeva era una presa in carico per il 70% del tempo e per una continuità che riguardava spesso anni, in relazioni familiari che spesso diventavano complesse e dove - lo dico in modo che non vi siano fraintendimenti, lo dico a Martinelli, che penso sia diventata una mia amica su questi temi - l’obbligo, l’affetto, la necessità, l’amore e l’ira si mescolano.

    Uno dei temi che per noi è diventato vitale è che nominare l’azione di cura significa nominare i soggetti, quali che siano, che lo svolgono e toglierli dalla solitudine che spesso si realizza, riconoscendo voce e riconoscendo una qualche forma di rappresentanza. Lo dico così perché spostare l’attenzione e portarla anche sul luogo di possibili momenti collettivi di scambio di parola, non a caso le famiglie che stanno nei diversi luoghi, quelli che decidono di fare perno in un lavoro associativo, sul lavoro di cura, sul caregivering, sono utili per aprire un punto: che è possibile per queste persone avere una voce pubblica, non solo una voce privata. Avere una voce che porta l’esperienza al di là dell’esperienza materiale: ho fatto il caregiver ma resto nell’associazione perché so delle cose che posso mettere in campo. Attivare un punto di forza, una leva: mi sembra che la proposta di legge ci provi, non so - è sempre difficile dire - se ci riesce, la proposta di legge fa quel che può, poi tocca a tutti noi dove siamo, di cercare di farla rendere al meglio. La prima cosa che secondo me è abbastanza utile è capire che la definizione di una soggettività, una lettura dell’esistente non è individuare questi soggetti che ci sono già in una disorganizzazione molto forte e in una solitudine molto forte, quindi penso che intanto la legge fa una prima cosa, dice che c’è, esiste e ha il diritto di essere sentito, ha la possibilità di potere collaborare, perché anche la possibilità non è un obbligo ed è differente, è vero, ci possono essere situazioni differenti, ma il mio paradosso è questo: la possibilità di collaborare forse potrà rendere meno drammatico anche quei momenti nei quali non se ne può proprio più, si sta molto male, quella relazione diventa pesante perché c’è l’obbligo; in questa cosa spesso l’alternativa non si trova e quindi questo ce lo dobbiamo dire.

    L’altra cosa che voglio sottolineare è questa perché non può far parte della legge, ma certo la legge la evoca, lo diceva prima di me il collega dell’ANT: la domiciliarità adesso è una necessità, nel senso che non è che uno lo sceglie liberamente sempre, delle volte forse farebbe delle altre scelte sia come famiglia, a volte, ma anche come utente, perché non è detto, può star meglio l’utente a casa sua, ma non è detto che dal punto di vista emotivo quando è molto grave viva tanto bene il fatto di essere così presente nella sua famiglia, perché ne avverte le difficoltà. Quindi prendiamo questo fatto della domiciliarità come difficoltà/opportunità come è e cerchiamo di far sì che i soggetti che stanno lì dentro, che sono persone che hanno bisogno di cura, persone che danno cura, soggetti pubblici o privati che danno cura professionale - secondo me l’osservazione dell’infermiere è centralissima, la sposo pienamente - perché noi dobbiamo descrivere, questa legge ci prova, una rete che ha nomi, cognomi, e non esclude nessuno.

    Fin qui il potenziale escluso, poi meno nelle situazioni di continuità c’è più storia, ma nelle situazioni di caregivering acquisito negli anni, magari per i pochi anni dalla malattia alla fine della malattia, questa figura rischiava di essere una figura quasi sopportata ed è una delle motivazioni per cui questa rete fa fatica a vivere. Sono convinta che nella realtà comunitaria se si soggettivizza anche in termini più collettivi, cioè più associativi - ci sono già alcune associazioni, ma anche altre, grazie alla legge - diventerà più semplice costruire le parti istituzionali della legge. Io ne cito solo due: la prima, quella che mi sta più a cuore per la mia storia e perché sono un’associazione di impresa, è che alle donne e agli uomini che hanno fatto per anni caregivering e che per questo non hanno potuto lavorare o non hanno potuto continuare a fare impresa o hanno lavorato malamente facendo una cosa che non è più così forte perché la passione, l’apprendimento, sono stati dentro quella funzione di caregivering, bene quel lavoro di cura venga riconosciuto come competenza. Secondo me questo è centrale, lo dico da 15 anni, quando ho sentito dire questa cosa che c’è nella legge, questo deve essere un punto sul quale noi appoggiamo un piedone, perché diamo valore vero al lavoro di cura, anche a quello informale. Questo riguarda anche le assistenti familiari per un altro verso ed è una sollecitazione che abbiamo già fatto e che rinnoviamo alla Regione: quei percorsi vanno riconosciuti dal punto di vista del percorso professionale. L’ultima cosa è questa: dove si trovano i soldi? Ho sentito qui un’osservazione che condivido pienamente: quando dei denari vengono messi in un bidone pubblico perché non si fa una funzione e quindi si paga un obolo invece di svolgere una funzione - ognuno di noi su questo pensa quello che crede, io non penso bene ma è così - penso che quei denari debbano essere vincolati in modo diverso da quello che sta facendo la Regione ora, proprio per lo sviluppo del sostegno di queste pratiche che sono pratiche ormai vitali. La dico così perché è una sollecitazione a mettere mano a un altro strumento normativo.

     

    Presidente DONINI

    Grazie. Con la signora Golfarelli si sono chiusi gli interventi prenotati. Torno a sottolineare l’importanza di questa modalità che l’Assemblea legislativa ha con gli iter partecipativi, che va praticata, oltre ad avere potuto parlare, anche attraverso l’inoltro formale, se lo ritenete, delle vostre osservazioni, all’indirizzo mail della Commissione che è lo stesso dal quale è partito l’invito. Vi saluto e vi ringrazio moltissimo per la partecipazione e do la parola per pochi minuti alla relatrice  per l’intervento conclusivo.

     

    Consigliera MARANI (relatrice)

    Pochissimi secondi davvero perché è tardissimo e mi dispiace non poter cogliere le tante suggestioni, suggerimenti e anche critiche che sono venute nel corso di questa mattinata, che ritengo sia stata davvero ricca soprattutto per la vostra presenza, la presenza di chi probabilmente in questa sede regionale non ha moltissime occasioni per esprimere il proprio punto di vista, soprattutto perché molti di voi sono intervenuti rappresentando associazioni o comunque esperienze territoriali sul tema che è contenuto nella legge e quindi anche con un contributo molto preciso rispetto al quadro nel quale tutti voi avete puntualizzato deve inserirsi questa legge, che non deve essere una legge spot, ma deve essere una legge che in qualche modo diventa di sistema, che ci aiuta ad affrontare questo tema partendo da questo tassello, ma che non sia l’unico ed esclusivo rispetto alla necessità, come avete detto, di un cambio culturale e di una modalità nuova di operare dei servizi, di nuova idea del lavoro di cura, della domiciliarità e dell’impegno delle persone che si prendono cura.

    Le cose che avete detto tutti questa mattina le discuterò in modo anche molto preciso e spero di poter raccogliere molti dei suggerimenti che sono venuti. Rispetto a chi è intervenuto in modo più critico, più esasperato, più deluso, credo che bisogna pensare comunque che queste sono sempre occasioni nelle quali si può buttare un seme anche rispetto a una difficoltà che si è vissuta negli anni nell’essere compresi rispetto a un dolore personale, a una sofferenza nell’attività di cura, come quella che ho sentito nelle parole di chi era più accorato. Per cui non dobbiamo rinunciare a questo, noi dobbiamo pensare che non è un singolo provvedimento che ci risolve i problemi però da un provvedimento può partire anche una possibilità di ascolto e di lavoro. Quindi fateci avere le osservazioni per iscritto che avete fatto, oltre che quelle di chi non è potuto intervenire e sicuramente questo arricchirà la discussione in Commissione della proposta di legge, che non abbiamo ancora avviata, perciò ci sono ancora settimane di lavoro che ci consentiranno di tener conto anche dei vostri contributi. Grazie.

     

    La seduta termina alle ore 12,55.

     

    Approvato nella seduta del 4 marzo 2014.

     

     

    La Segretaria

    La Presidente

    Nicoletta Tartari

    Monica Donini

     

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