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Legislatura X- Atto di indirizzo politico ogg. n. 2186

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Oggetto:
Testo presentato:
Risoluzione per impegnare la Giunta ad attivarsi, anche presso il Governo, per chiedere l’accorpamento del voto referendario a quello delle prossime elezioni amministrative, favorendo in tal modo la partecipazione dei cittadini ed evitando un inutile spreco di denaro pubblico. (18 02 16) A firma dei Consiglieri: Sassi, Bertani, Gibertoni, Piccinini, Sensoli

Testo:

RISOLUZIONE

 

L’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna

 

premesso che

 

ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione e sulla base delle disposizioni di cui al Titolo II della legge 25 maggio 1970, n. 352, recante “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”, i rappresentanti dei Consigli regionali di dieci Regioni - Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise - hanno depositato presso l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte Suprema di Cassazione, sei quesiti referendari aventi ad oggetto disposizioni normative contenute nel decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 e riguardanti il settore energetico;

con due ordinanze del 26 novembre 2015 l’Ufficio centrale per il referendum ha dichiarato conformi alla legge le sei richieste referendarie depositate;

la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di Stabilità 2016”, entrata in vigore il 1° gennaio 2016, con i commi dal 239 al 242 ha apportato modificazioni alle norme oggetto delle richieste referendarie;

lo ius superveniens, introdotto da tali modifiche, ha indotto la Corte Suprema di Cassazione – Ufficio centrale per il referendum a riesaminare le sei proposte referendarie, ponendole a raffronto con le norme di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 208;

con ordinanza del 7 gennaio 2015 la stessa Corte ha ritenuto che le suddette modifiche abbiano soddisfatto alcuni dei quesiti referendari depositati, posto che il Parlamento Italiano ha abrogato le disposizioni oggetto degli stessi, ragion per cui la Corte Suprema di Cassazione, a norma di quanto disposto dall’articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha dichiarato non abbiano più corso le relative operazioni relative a cinque delle sei richieste referendarie presentate;

le disposizioni abrogative di cui alla Legge di Stabilità 2016, che di fatto soddisfano solo tre dei sei quesiti referendari, riguardano le norme sulla strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività petrolifere, la previsione del vincolo preordinato all’esproprio e il potere sostitutivo riconosciuto al Governo, nel caso in cui le Regioni avessero omesso di addivenire ad una intesa per la realizzazione di opere strumentali allo sfruttamento degli idrocarburi;

uno dei quesiti è stato considerato ammissibile dalla Corte Suprema di Cassazione, nonostante lo ius superveniens, si tratta, in particolare, del quesito avente ad oggetto il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro le dodici miglia marine, infatti, si è ritenuto che la formulazione introdotta dal comma 239 dell’articolo 1 della Legge di Stabilità (“All’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il secondo e il terzo periodo sono sostituiti dai seguenti: “Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale”) non soddisfacesse pienamente la richiesta referendaria;

la Corte Costituzionale, dal canto suo, ha quindi dichiarato la legittimità della proposta referendaria stessa;

 

considerato che

 

due quesiti rimangono ancora insoddisfatti, si tratta, nello specifico, del quesito riguardante le durata dei permessi e delle concessioni in terraferma e del quesito sul “piano delle aree” (strumento di pianificazione delle trivellazioni che prevede il coinvolgimento delle Regioni);

al fine di rendere omogenea e realmente efficace l’intera proposta referendaria, sei Consigli regionali hanno promosso dinanzi alla Corte Costituzionale due conflitti di attribuzione su altrettanti quesiti referendari che sarebbero stati elusi dalla Corte Suprema di Cassazione nell’ordinanza dello scorso 7 gennaio;

tali conflitti di attribuzione fanno riferimento a un “eccesso di potere legislativo” che ha portato all’approvazione di norme volte non ad evitare il referendum, bensì ad eluderlo;

nell’ipotesi in cui la Consulta dovesse ritenere ammissibili i suddetti ricorsi, i cittadini sarebbero chiamati a pronunciarsi non solo sulla durata delle concessioni per le trivellazioni in mare, ma anche sul “piano delle aree” e sulla durata dei titoli concessori per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma;

ciò vorrebbe dire che la decisione della Corte, che verosimilmente dovrebbe pervenire il 9 marzo p.v., potrebbe comportare la riviviscenza delle norme sulle quali erano stati presentati i due quesiti referendari esclusi e sulle quali erano state apportate le modifiche dalla legge di Stabilità 2016, con la conseguenza che il Governo si troverebbe costretto a rivedere la data del referendum, posto che bisogna che siano garantiti quarantacinque giorni di campagna referendaria;

sarebbe stato quanto mai opportuno, visto l’odierno stato dei fatti, che il Presidente della Repubblica, conscio degli effetti dannosi che una duplice consultazione referendaria, peraltro a breve distanza di tempo, potrebbe avere anche e soprattutto sull’economia del Paese, avesse atteso la decisione della Consulta al fine di stabilire un’unica data di indizione del referendum;

sarebbe stato altrettanto opportuno che tale data coincidesse con il momento in cui si terrà il primo turno delle elezioni amministrative (6 giugno p.v.), posto che l’accorpamento di due importanti momenti, espressioni di democrazia e, nel caso del referendum, esercitata direttamente, permetterebbe un risparmio di circa 360 milioni di euro;

i costi imputabili direttamente alla consultazione referendaria oscillano tra i 170 e i 200 milioni di euro, tra cui rimborsi ai comuni, che vanno dalle spese per la propaganda elettorale, all’acquisto di materiale di consumo ritenuto indispensabile per l’installazione dei tabelloni, dalla remunerazione dei presidenti di seggio e degli scrutatori, al costo del trasporto delle schede, ai costi del personale di sicurezza per garantire il regolare svolgimento delle operazioni di voto, ad essi vanno aggiunti i costi indiretti che graveranno, altrettanto pesantemente, sul bilancio economico della consultazione, facendo aumentare il costo della stessa e che potrebbe raggiungere circa i 400 milioni di euro;

la decisione del Consiglio dei Ministri di fissare il referendum per la data del 17 aprile 2016, sembra non avere alcuna giustificazione, dal momento che affrontare una spesa di circa 400 milioni di euro, per chiedere agli italiani di pronunciarsi su un unico quesito referendario, appare scelta a dir poco scellerata, oltre che fortemente antidemocratica, considerato che potrebbe essere sostanzialmente azzerato questo costo;

questa scelta non farebbe altro che confermare la precisa volontà del Governo di impedire il raggiungimento del quorum previsto dalla legge per rendere valida la consultazione referendaria;

a nulla valgono le affermazioni, che si sono succedute negli ultimi giorni, secondo le quali il mantenimento di due diverse date sarebbe ampiamente giustificato dal fatto che il referendum popolare interessa l’intero corpo elettorale, laddove, invece, le elezioni amministrative coinvolgerebbero solo parte di esso, infatti, basti citare come, nel 2009, il referendum sulla legge elettorale sia stato accorpato con il ballottaggio alle elezioni amministrative, ed è appena il caso di ricordare che il ballottaggio coinvolge unicamente quei comuni, oltre una certa soglia, per i quali nessuno dei candidati abbia raggiunto la maggioranza assoluta dei voti in esito al primo turno elettorale;

si starebbe così per reiterare il grave errore già commesso nel 2011, quando non si accorparono le elezioni amministrative, tenutesi il 15 e 16 maggio in diverse regioni, con i referendum abrogativi del 12 e 13 giugno 2011, in quel caso, il mancato risparmio fu quantificato in circa 115 milioni di euro, in un periodo di crisi, quale è quello che attualmente vive l’intera nazione, tali ingenti somme potrebbero più proficuamente essere impiegate per altri interventi più urgenti;

 

L’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna

impegna la Giunta regionale

 

  • ad attivarsi, in tutte le sedi possibili, presso il Governo nazionale, chiedendo l’accorpamento del voto referendario a quello delle prossime elezioni amministrative, tenuto conto del fatto che un “Election Day”, oltre a favorire la partecipazione democratica dei cittadini, un bene da tutelare da parte di tutti, scongiurerebbe anche un inutile spreco di denaro pubblico.

 

Bologna, 17 febbraio 2015

 

I consiglieri

Gian Luca Sassi

Andrea Bertani

Giulia Gibertoni

Silvia Piccinini

Raffaella Sensoli

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