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Legislatura VIII - Progetto di legge (testo presentato : concluso/decaduto)

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Oggetto n. 2077
Presentato in data: 22/12/2006
Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli Istituti penitenziari della regione Emilia-Romagna (22 12 06).

Presentatori:

Borghi Gianluca Verdi per la pace
Piva Roberto Uniti nell'Ulivo - D.L. MARGHERITA
Mezzetti Massimo Uniti nell'Ulivo - D.S.
Bortolazzi Donatella Partito dei Comunisti Italiani
Nanni Paolo Italia dei Valori con Di Pietro
Zanca Paolo Uniti nell'Ulivo S.D.I.
Masella Leonardo Partito della rifondazione comunista

Relazione:

 Da alcuni anni in Europa il  mondo  dell'esecuzione
penale attraversa una fase di intensi mutamenti,
quantitativi e qualitativi. La popolazione detenuta
e quella sottoposta a misure restrittive
alternative al carcere è in progressiva crescita;
in molti Paesi è addirittura raddoppiata in dieci
anni.
L'area del controllo penale si estende in
continuazione, comprendendo anche le nuove forme di
sorveglianza elettroniche, sofisticate sul versante
tecnologico, ma rinunciatarie ad un qualunque senso
rieducativo o riparativo della pena. Spiccano per
la loro quantità i detenuti per reati connessi alla
droga e quelli provenienti da Paesi
extracomunitari.
Questi mutamenti riflettono il modificarsi della
domanda di controllo penale e mostrano la crisi di
un modello di reinserimento basato sul superamento
dello svantaggio sociale, ponendo in evidenza due
problemi: 1) quale sia oggi la finalità della pena
nei singoli Paesi e 2) quale risposta sociale e
quindi preventiva fornire alla domanda di sicurezza
che si esprime nei contesti metropolitani
dell'Europa, culla di politiche sociali avanzate.
A questo proposito l'Osservatorio Europeo
sull'esecuzione penale tenta di far emergere
dall'analisi delle condizioni socio-demografiche
dei detenuti i nuovi bisogni d'intervento per il
loro reinserimento sociale .
In molti Paesi europei negli ultimi 10 anni la
popolazione carceraria è raddoppiata.
Il tasso di detenzione italiano precedente
all'indulto è di 95 detenuti ogni 100.000 abitanti,
e l'incremento negli ultimi anni si situa in linea
con gli altri Paesi dell'Unione. Per fare qualche
confronto:
il Portogallo è il primo della classifica con 132
detenuti ogni 100.000 abitanti, l'Inghilterra ne ha
126, la Spagna 117, la Germania 95, e via via fino
ai 58 della Danimarca;
gli U.S.A. detengono in carcere 700 persone ogni
100.000 abitanti (sono quasi due milioni i
detenuti, oltre ai milioni in area penale esterna),
la Russia 671 (quasi un milione di detenuti).
In ogni caso, in tutto il mondo si assiste ad un
aumento del numero dei detenuti.
Con i suoi 129 detenuti ogni 100 posti, l'Italia
era, prima dell'indulto, il secondo Paese
dell'Unione Europea nella graduatoria del
sovraffollamento carcerario, seconda solo alla
Grecia (158). Per quanto riguarda il nostro Paese,
i detenuti sono più o meno triplicati nell'arco
dell'ultimo ventennio, passando dai 29.334 del 1990
ai 53.340 del 2000, ai 59.523 del 2005, ai 61.264
del 30 giugno 2006, andando a sovraffollare
strutture carcerarie capaci di contenerne 42.000. A
questi vanno aggiunte circa 20.000 persone
sottoposte a misure alternative al carcere.
Questi dati precedono l'indulto, concesso proprio
per ridurre un sovraffollamento tanto elevato da
rendere la vita in carcere durissima sia ai
detenuti che agli operatori, e da non consentire lo
svolgimento delle attività di rieducazione e
reinserimento sociale, che rappresentano la
finalità principale del carcere secondo la nostra
Costituzione.
Va detto comunque che se il trend di ingressi
rimane inalterato, basterà un anno o due per
tornare ai livelli precedenti. Alcune recenti
iniziative legislative inoltre, oggi per fortuna in
discussione, quali la legge Cirielli (o ex
Cirielli), la legge Bossi-Fini, la legge Fini sulla
droga, costituiscono ulteriori aggravanti riguardo
al sovraffollamento e alla carcerizzazione del
disagio sociale.
Nelle carceri di molti Paesi manca lo spazio,
mancano i letti, mancano le cure mediche adeguate.
Le condizioni igieniche sono scadenti ed i
programmi di reinserimento lavorativo
limitatissimi. Se guardiamo alla distribuzione dei
detenuti secondo il reato principale, l'Italia
spicca per l'alta percentuale di persone in carcere
per reati attinenti alla droga (il 37%), superata
dal Portogallo (42%) e vicina alla Spagna (30%).
Per quanto riguarda la mortalità in carcere, il
tasso italiano non mostra valori preoccupanti
rispetto agli altri Paesi dell'Unione, anzi, è più
basso che in altri (30 su 10.000). Lo stesso vale
per quanto riguarda il tasso di suicidi.
In questa situazione, i principali investimenti
previsti dai governi europei riguardano l'edilizia
carceraria, mentre ovunque sono diminuite le misure
atte a contenere il numero dei detenuti (quali le
misure alternative).
Su un altro versante le politiche della cosiddetta
tolleranza zero producono nuove leggi repressive
e proibizionistiche, e naturalmente nuovi clienti
ai futuri carceri privati: in Europa non c'è Paese
che non abbia adottato legislazioni d'eccezione per
combattere il terrorismo internazionale, il
traffico di droga o l'immigrazione clandestina e
non abbia creato o esteso il regime di carcere di
massima sicurezza, con pericolose derive verso
sistemi dove i diritti umani possono essere
sospesi.
La tipologia dei detenuti europei ed italiani si
colloca sempre più nell'area del disagio sociale o
addirittura della malattia mentale: in Europa gli
immigrati in carcere sono fra il 6% e il 45%, le
donne fra il 3,7% e l'8,2%, i minori fra lo 0% e il
3,3%, i malati mentali sono variamente calcolati da
ricerche italiane e di altre nazioni attorno al
30%; si tratta di quella che Margara definisce la
detenzione sociale .
Per quanto riguarda l'Italia, varie ricerche hanno
evidenziato l'elevato numero di analfabeti e
persone dotate di bassissima scolarizzazione,
nonché la presenza di un'alta percentuale di
disoccupati e di tossicodipendenti (che
costituiscono il 30% del totale dei detenuti).
È evidente che si tratta di detenuti che
necessitano di misure specifiche e differenziate,
che vanno dalle cure sanitarie all'assistenza
sociale; interventi che avrebbero un costo molto
inferiore rispetto a quello dei dispendiosi sistemi
carcerari e della cosiddetta sicurezza .
L'insieme di questi processi genera una crescente
ansia sociale, i cui effetti sulla salute mentale
delle popolazioni non sfuggono alle analisi
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che ne
traccia un fosco quadro. Purtroppo gli stati
emotivi di ansia generalizzata vengono convogliati
sul piano internazionale nella diffusione delle
guerre e sul piano economico nella produzione di
armamenti; in ciascuna nazione si diffondono poi
politiche sicuritarie per le quali la parola
sicurezza non significa più scuola, previdenza
sociale, sanità e servizi sociali come diritti
universali, ma significa aumento del controllo
sociale, repressione ed esclusione per chi ha
problemi di inserimento nella società. In termini
monetari significa anche che si preferisce spendere
200 o 300 Euro al giorno per tenere una persona in
carcere piuttosto che una cifra senz'altro
inferiore in azioni di prevenzione sociale
primaria: casa, borsa lavoro ed eventuale sostegno
psicosociale costerebbero molto meno.
Anche in Italia ancora oggi il carcere, nonostante
le avanzate leggi in materia di misure alternative
alla detenzione, non è un elemento residuale ma
costituisce l'ossatura centrale del sistema delle
risposte penali.
Ruolo degli Enti locali nell'esecuzione penale
degli adulti Il corpus legislativo nazionale e
regionale che definisce e regolamenta il ruolo
dell'Ente locale nella materia penitenziaria fa
sostanzialmente riferimento agli interventi di
supporto alle famiglie dei detenuti e soprattutto
al periodo post-penitenziario.
In particolare, il DPR 616/77 e la vecchia Legge
354/75 stabilivano che i Comuni si occupano:
a) dell'assistenza economica in favore delle
famiglie dei detenuti e delle vittime del delitto;
b) dell'assistenza post-penitenziaria.
Il decreto del Presidente della Repubblica n. 230
del 30 giugno 2000, concernente: Regolamento
recante norme sull'ordinamento penitenziario e
sulle misure privative e limitative della libertà ,
introduce invece la figura degli accordi con gli
Enti locali per quanto attiene alle attività di
carattere sociale, culturale e ricreativo,
sostanzialmente miranti alla reinclusione sociale
dei detenuti.
Per quanto riguarda l'azione post-penitenziaria e
in genere le azioni che devono puntare al
reinserimento sociale dei detenuti, sarebbe
opportuno far riferimento, oltre alla Legge 354/75,
anche a quanto espresso dagli atti internazionali
in materia (Regole minime ONU 1955 e C.E. 1973),
dai quali si deduce un particolare interesse a che
l'operatore, impegnato nell'intervento
post-penitenziario, partecipi alle scelte di
trattamento individualizzato effettuate per ogni
detenuto, poiché esse, fra l'altro, hanno il loro
naturale sbocco proprio nel momento del
reinserimento sociale post-detentivo, attività che
potrebbe essere agevolata se fosse attuato il
principio della territorializzazione della pena.
In generale sembra evidente che gli interventi
all'interno delle carceri e gli interventi
successivi devono essere strettamente correlati in
quanto il reinserimento sociale è frutto di
un'integrazione fra l'opera svolta durante il
periodo della penalizzazione e quello da svolgere
successivamente. Pertanto è auspicabile una stretta
collaborazione fra gli operatori impegnati
nell'attività all'interno degli Istituti, siano
essi appartenenti all'amministrazione
penitenziaria, dipendenti da Enti locali, o
volontari, e gli operatori che seguiranno i casi,
dopo la dimissione, nel territorio di appartenenza.
Culturalmente il tema carcere ed Enti locali o, in
altri termini, dei rapporti fra società civile e
carcere, è stato sollevato con una certa rilevanza
in Italia per la prima volta agli inizi degli anni
Settanta, nel momento centrale del dibattito
politico-parlamentare sulla riforma penitenziaria
del 1975. Esso prende le mosse dalla dimostrazione
(operata da Guido Neppi Modona) della storica ,
separatezza della istituzione penitenziaria. Nel
clima riformatore di quel tempo la critica alle
istituzioni totali viene articolata politicamente
anche come lotta a questa separatezza, prendendo
corpo attraverso il tentativo di attribuire agli
Enti locali nuove competenze in materia. Il
processo di decentramento avviato in quel periodo,
e concretizzato dal DPR n. 616 del 1977, lasciava
intravedere nuovi orizzonti di
corresponsabilizzazione del governo locale anche in
questa materia. La legge di riforma penitenziaria
354/75 però sostanzialmente tradisce queste
speranze: le aperture normative concesse agli Enti
locali in tema di esecuzione penitenziaria sono
limitatissime (come abbiamo visto: formazione
professionale, problematiche post-penitenziarie e
una timida breccia in tema di sanità).
La stagione successiva è caratterizzata dalla legge
Gozzini (la Legge n. 663 del 1986), che esprime la
volontà politica di decarcerizzare attraverso le
misure alternative alla pena detentiva. Essa viene
tuttavia nella pratica affossata, poiché è
utilizzata quasi esclusivamente come controllo
sociale più che come possibilità
risocializzatrice .
In questo periodo si inserisce il primo Protocollo
stipulato dalla Regione Emilia-Romagna con il
Ministero della Giustizia nel 1987, poi seguito da
molte altre intese fra lo Stato ed altre Regioni. I
Protocolli d'intesa del 1987 e del 1998: dai
comitati carcere-città ai Comitati Locali per
l'Area Penale Il Protocollo del 1987, come si è
appena detto, veniva stilato all'indomani della
legge Gozzini che, considerando l'endemico
sovraffollamento degli Istituti penitenziari
italiani, prevedeva un ulteriore alleggerimento del
numero di detenuti, che nel 1986 era già calato di
10.000 unità a seguito di un'amnistia e indulto
concessi in quell'anno.
Il primo punto di quella intesa era rappresentato
da quella che con termine burocratico venne
chiamata territorializzazione.
In diversi comuni sedi di carcere cominciavano
infatti a crearsi dei comitati carcere-città ,
utili ad impostare collegamenti e percorsi comuni
per una programmazione partecipata fra Istituzioni
diverse. Grazie a tali comitati le iniziative
rivolte ai carceri cominciano ad essere discusse e
vagliate a livello interistituzionale. L'Ente
pubblico locale per la prima volta entrava in
carcere, per garantire due diritti fondamentali: la
salute ed il lavoro. Sull'organizzazione del
collocamento dei detenuti al lavoro, i Comuni hanno
continuato a lavorare, attraverso numerosi
strumenti di cui si sono andati dotando, i tutti
questi anni.
Un altro punto di rilievo del Protocollo era la
diversificazione tipologica degli Istituti
presenti, che avrebbe dovuto consentire un grado
più elevato di presa in carico dei detenuti. Anche
questa non si realizzò, mentre la nuova edilizia
carceraria costruiva, sull'onda dei timori
suscitati dal terrorismo, carceri di massima
sicurezza. A questo proposito, la ricollocazione,
prevista nel Protocollo del 1987, dell'Ospedale
Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, fu fatta
in modo inadeguato, poiché esso fu collocato
proprio in una di queste strutture di massima
sicurezza.
Gli altri punti del Protocollo riguardavano
l'assistenza sanitaria e la salute in carcere, e
portarono alla firma di successive convenzioni con
le Aziende USL, principalmente sulla base della
necessità di continuità sanitaria, e
dell'attenzione per i problemi epidemiologici.
Si prevedeva infine di operare comunemente nella
formazione degli operatori, cosa che fu fatta in
particolare riguardo alle tossicodipendenze.
In Emilia-Romagna, anche grazie a quell'accordo, le
problematiche penitenziarie hanno sempre visto
attivamente impegnate le forze sociali e il
volontariato, la Regione e gli Enti locali, che in
un confronto costruttivo con le strutture
decentrate del Ministero e le Direzioni degli
Istituti hanno attivato percorsi positivi di
collaborazione volti a migliorare l'integrazione
sociale delle realtà penitenziarie, nonché ad
individuare percorsi formativi, occupazionali e
culturali per i detenuti e le detenute presenti sul
territorio emiliano-romagnolo.
Il successivo passaggio di questo percorso è stato
il Protocollo d'Intesa tra il Ministero della
Giustizia e la Regione Emilia-Romagna per il
coordinamento degli interventi rivolti ai minori
imputati di reato e agli adulti sottoposti a misure
restrittive della libertà , del 5 marzo 1998. Esso
individua a livello territoriale, in modo
innovativo, una comune strategia di politiche di
integrazione sociale tra adulti e minori in
difficoltà. Rispetto al precedente Protocollo del
1987 si inseriscono temi nuovi che rispecchiano i
mutamenti nella realtà carceraria e la maturazione
delle attività del territorio rivolte ai carceri,
quali: la mediazione culturale per immigrati;
l'assistenza alle donne detenute e ai loro figli;
l'area penale esterna; le attività trattamentali
nei settori educativo, ricreativo, sportivo; la
formazione professionale e l'inserimento nel mondo
lavorativo; la formazione dei detenuti; la
formazione congiunta del personale penitenziario,
di quello socio-sanitario e del mondo del
volontariato.
Anche questa intesa, nonostante gli scarsi
risultati ottenuti dall'intesa precedente, poggia
sul principio generale di territorializzazione
dell'esecuzione penale al fine di tentare, per
quanto possibile, di destinare agli Istituti
penitenziari della Regione Emilia-Romagna i
detenuti di residenza e/o di provenienza regionale,
nonché di favorire il rientro degli stessi da
Istituti di altre Regioni.
Il Protocollo del 1998 ha prodotto e continua a
produrre un insieme di progetti ampiamente
condivisi. I luoghi deputati alla concertazione
degli interventi per la reinclusione sociale dei
detenuti sono individuati nei Comitati Locali per
l'Area Penale, cui si sono aggiunti negli ultimi
anni i tavoli programmatici dei Piani di Zona
(derivati dalla Legge 328/00). È da menzionare
infine la Commissione regionale per l'Area Penale
(sempre istituita con il Protocollo del 1998), che
determina gli orientamenti, programma le attività e
coordina le iniziative per l'integrazione degli
interventi di rispettiva competenza delle
Amministrazioni interessate, anche in base a
criteri di partecipazione allargata ai
rappresentanti delle parti sociali e ai
rappresentanti dell'associazionismo e del
volontariato.
Deve essere ricordato conclusivamente che nel 2003
la Regione ha approvato il Programma finalizzato a
contrasto della povertà e dell'esclusione sociale ,
che promuove specifici interventi rivolti alle
persone sottoposte a limitazione della libertà
personale. Dall'insieme delle norme e degli accordi
che si sono menzionati, emerge che attualmente
l'attività della Regione Emilia-Romagna si svolge
nei seguenti ambiti:
1) sportello informativo per detenuti e attività di
mediazione culturale in carcere;
2) miglioramento delle condizioni di vita dei
detenuti;
3) formazione dei detenuti e formazione congiunta
del personale;
4) sostegno all'attività di volontariato
all'interno del carcere;
5) mediazione penale e giustizia riparativa;
6) qualità del vitto e sopravvitto ;
7) sostegno alle madri detenute.
L'insieme delle risorse regionali erogate dal 1995
al 2005 in questo settore è pari a Euro 4.5 milioni
di Euro.
Il testo del progetto di legge Disposizioni per la
tutela delle persone ristrette negli Istituti
penitenziari della Regione Emilia-Romagna
Il PDL Disposizioni per la tutela delle persone
ristrette negli Istituti penitenziari della Regione
Emilia-Romagna si pone quindi in piena continuità
con questa tradizione di impegno della Regione a
favore delle persone private della libertà
personale. Esso infatti interviene in tutti i
settori già oggetto delle precedenti intese con lo
Stato: tutela della salute; attività socio
educative; sostegno alle donne detenute; istruzione
e formazione professionale dei detenuti; formazione
professionale degli operatori penitenziari;
prestazione di attività lavorativa da parte dei
detenuti. Tutti gli interventi sono disciplinati
nel rispetto del riparto di competenze fra organi
statali e organi locali, con una continua
attenzione nei confronti del ruolo svolto dalle
associazioni di volontariato riconosciute ai sensi
della legislazione regionale vigente.
Passando all'esame dettagliato dell'articolato,
l'art. 1 individua le finalità del PDL, stabilendo
che la Regione si impegna a tutelare la dignità dei
detenuti, tramite azioni volte a favorire il minor
ricorso possibile alle misure privative della
libertà, nonché il recupero ed il reinserimento
nella società dei detenuti stessi.
L'art. 2 fa salvo il riparto di competenze fra
organi statali e regionali in materia ed inserisce
l'intervento regionale nell'ambito della
pianificazione sociale integrata.
L'art. 3 impegna la Regione a tutelare la salute
dei detenuti, sulla base di accordi con le
competenti autorità statali, attraverso le Aziende
USL. Una particolare tutela è riservata agli
internati dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di
Reggio Emilia.
L'art. 4 è dedicato alle attività socio educative
intra ed extra murarie. Innanzitutto la Regione si
impegna a svolgere un ruolo di promozione e
coordinamento degli interventi indirizzati a
sostenere il percorso di reinserimento sociale dei
detenuti ed a rafforzarne i legami con la famiglia
di origine; in particolare, essa coordina le
attività svolte in tale ambito dagli Enti locali e
dai competenti organi statali. La Regione si
impegna poi a sostenere l'attività degli operatori
penitenziari, ed in particolare gli interventi di
mediazione culturale per i detenuti stranieri.
Con l'art. 5 la Regione si impegna invece a
promuovere interventi di sostegno per le donne
detenute.
L'art. 6 è dedicato al settore dell'istruzione e
della formazione professionale; la Regione si
impegna a realizzare percorsi formativi integrati,
collegati alle esigenze del mercato del lavoro,
secondo le modalità già definite dalla legislazione
regionale vigente.
L'art. 7 si pone in stretta connessione con l'art.
6, prevedendo la realizzazione di percorsi di
aggiornamento interdisciplinari rivolti sia agli
operatori dell'amministrazione penitenziaria sia
agli operatori delle associazioni di volontariato.
L'art. 8, dedicato all'attività lavorativa dei
detenuti, impegna la Regione a realizzare
interventi di orientamento, consulenza e
motivazione al lavoro, finalizzati a favorire, tra
l'altro, la partecipazione di persone detenute alle
attività di imprenditorialità sociale. Particolare
attenzione è dedicata al reinserimento di coloro
che sono ammessi al lavoro esterno.
L'art. 9, con una previsione di chiusura, specifica
che il ruolo principale della Regione è quello di
coordinare i diversi livelli istituzionali operanti
nel settore; in particolare i rapporti con il
Ministero della Giustizia devono essere
disciplinati da un apposito protocollo di intesa.
La disposizione assegna poi alla Giunta il compito
di illustrare annualmente all'Assemblea, tramite
una relazione periodica, lo stato delle iniziative
rivolte alla popolazione carceraria della regione,
specificando analiticamente i contenuti di tale
relazione.
L'art. 10, infine, assegna provvisoriamente al
difensore civico la funzione di garante dei
detenuti.
L'art. 11 reca la norma finanziaria.

Testo:

 Art. 1 Finalità
1. La Regione Emilia-Romagna concorre a tutelare,
di intesa con il Provveditorato regionale
dell'amministrazione penitenziaria e il Centro per
la giustizia minorile, i diritti e la dignità delle
persone adulte e minori private e limitate
legalmente della libertà. In particolare promuove
le azioni volte a contenere le misure privative
della libertà, nonché si impegna per il
reinserimento sociale delle persone ristrette negli
Istituti penitenziari della Regione, coinvolgendo a
tal fine gli Enti locali, le Aziende Unità
sanitarie locali, (ASL), il terzo settore, le
associazioni di volontariato iscritte nei registri
di cui alla legge regionale 21 febbraio 2005, n. 12
e ogni altro soggetto pubblico o privato
interessato alle azioni di inclusione sociale dei
carcerati.
2. Gli interventi regionali di cui al precedente
comma si ispirano ad dettato costituzionale che
vuole che la pena sia finalizzata alla
risocializzazione del reo; sono volti poi alla
realizzazione della riforma penitenziaria del 1975
n. 354 e successive modificazioni nelle parti in
cui vengono attribuite competenze agli Enti locali
in materia di esecuzione penale sia entro che extra
muraria per quanto attiene, in particolare,
l'istruzione, la formazione professionale,
l'avviamento al lavoro, l'affettività, la sanità e
la fase post-penitenziaria.
3. Gli interventi regionali di cui alla presente
legge sono volti a favorire le condizioni di
uguaglianza tra cittadini privati e limitati nella
libertà per ragioni legali e cittadini liberi per
quanto concerne i diritti non direttamente
compromessi dalla privazione e limitazione della
sola libertà personale.
Art. 2 Sistema integrato di intervento
1. La Regione, al fine di favorire il reinserimento
sociale delle persone di cui all'art. 1 e ridurre
il rischio di recidiva, di intesa con il
Provveditorato regionale dell'amministrazione
penitenziaria e il Centro per la giustizia
minorile, promuove interventi e progetti
nell'ambito della pianificazione sociale integrata,
in particolare attraverso i Piani Sociali di Zona.
Art. 3 Tutela della salute
1. La Regione, ritiene che la reale tutela della
salute delle persone di cui all'art. 1, possa
essere garantita solo dall'effettivo trasferimento
di ogni competenza in capo al Servizio Sanitario
nazionale della sanità negli Istituti penitenziari.
2. La Regione garantisce, secondo modalità
concordate con il Provveditorato regionale
dell'amministrazione penitenziaria e il Centro per
la giustizia minorile, nelle more dell'attuazione
del DLgs n. 230 del 1999, l'assistenza farmaceutica
e specialistica, attraverso le Aziende USL e le
Aziende Ospedaliere. In particolare, nelle modalità
concordate si definiscono le risorse finanziarie,
tecnologiche e professionali che il Provveditorato
regionale dell'amministrazione penitenziaria e il
Centro per la giustizia minorile mettono a
disposizione, nonché le risorse regionali.
3. Nell'ambito della tossicodipendenza la Regione
indirizza e promuove la realizzazione, presso le
Aziende USL, sedi di Istituti penitenziari, di
équipe integrate, assicurando le prestazioni di
assistenza ai detenuti ed agli internati, anche
attraverso la definizione di protocolli operativi
omogenei. Nei confronti dei soggetti in area penale
esterna, la Regione indirizza e promuove
l'intervento dei servizi territoriali per le
dipendenze delle Aziende USL.
4. La Regione garantisce altresì gli interventi di
prevenzione sanitaria ivi compresi gli interventi
di profilassi delle malattie infettive.
5. La Regione, di intesa con il Provveditorato
regionale dell'Amministrazione, i Dipartimenti di
Salute Mentale delle Aziende USL ed il
coinvolgimento delle associazioni di volontariato,
promuove iniziative e progetti finalizzati alla
presa in carico degli internati dell'Ospedale
Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, al fine
di facilitare la revoca anticipata della misura di
sicurezza stessa, la cura dell'infermità psichica
degli internati in ambiente libero o in strutture a
custodia attenuata, al fine di favorire il
reinserimento nella comunità della nostra regione,
se residenti nel nostro territorio, o facilitarne
il rientro nelle comunità di provenienza, se
residenti in altre.
Art. 4 Attività trattamentali e socio educative
1. La Regione promuove interventi e progetti, intra
ed extra murari, volti al sostegno ed allo sviluppo
del percorso di reinserimento sociale e finalizzati
a mantenere e rafforzare i legami dei detenuti con
la famiglia, con particolare attenzione alla tutela
del ruolo genitoriale e della relazione
figli-genitori, e con la comunità esterna; nonché a
favorire gli interventi di alloggio sociale e altri
a carattere strutturale nell'area penale,
coordinandoli e integrandoli con i progetti
pedagogici adottati dai singoli Istituti
penitenziari e dai servizi del Centro per la
giustizia minorile.
2. Per una efficace realizzazione degli interventi
di cui al comma 1 del presente articolo, la Regione
promuove e sostiene l'azione sinergica dei Servizi
sociali degli Enti locali, del Provveditorato
regionale dell'Amministrazione penitenziaria e il
Centro per la giustizia minorile, dei servizi
territoriali, delle associazioni di volontariato e
di altri soggetti pubblici e privati interessati
alle politiche di inclusione sociale dei detenuti,
anche attraverso la formalizzazione di protocolli
finalizzati a favorire le intese per la
realizzazione di una proficua azione integrata.
3. La Regione, promuove l'attività degli sportelli
informativi già attivi o da attivarsi all'interno
degli Istituti penitenziari della regione, al fine
di garantire maggiormente i diritti dei detenuti,
nonché di agevolare il lavoro degli operatori
penitenziari, e per dare realizzazione agli
interventi di mediazione culturale di cui all'art.
1, comma 5, lettera p) della legge regionale n. 5
del 2004, oltre a quelli di mediazione socio
sanitaria e per favorire le attività di
accompagnamento e di accoglienza dei detenuti
oramai prossimi al fine pena.
4. La Regione, al fine di porre maggiore attenzione
alle problematiche relative alle vittime del reato
e per favorire ulteriormente alcuni circuiti di
alternatività alla pena privativa della libertà,
sostiene in via sperimentale l'organizzazione e la
realizzazione di interventi e di progetti di
mediazione penale con particolare attenzione
all'area dei minori, anche attraverso specifici
provvedimenti della Giunta regionale.
Art. 5 Attività di sostegno alle donne detenute
1. La Regione promuove iniziative e progetti
finalizzati alle esigenze specifiche delle donne
detenute.
2. La Regione, nell'affermare la propria ferma
volontà a fare si che nessun bambino o minore sia
costretto a vivere in carcere solo perché la
genitrice deve scontare una pena detentiva, si
impegna, di intesa con il Provveditorato regionale
dell'amministrazione penitenziaria e attraverso il
coinvolgimento degli Enti locali, delle Aziende
USL, delle associazioni di volontariato iscritte
nei registri di cui alla legge regionale n. 12 del
2005, a sostenere quelle iniziative atte a favorire
misure alternative alla detenzione per le donne
detenute con figli minori, in armonia con la Legge
8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla
detenzione a tutela del rapporto tra detenute e
figli minori).
Art. 6 Attività di istruzione e formazione
1. La Regione, d'intesa con il Provveditorato
regionale dell'amministrazione penitenziaria e il
Centro per la giustizia minorile promuove il
diritto di accesso ai percorsi di istruzione e
formazione professionale sia all'interno degli
Istituti penitenziari che all'esterno, con
particolare attenzione ai corsi di lingua italiana
rivolti alla popolazione straniera.
2. La Regione concorre, d'intesa con il
Provveditorato regionale dell'amministrazione
penitenziaria e il Centro per la giustizia
minorile, alla programmazione di interventi
formativi integrati; assicura il coordinamento fra
gli attori dei diversi sistemi coinvolti
nell'offerta di istruzione e formazione
professionale così come previsto dalla legge
regionale n. 12 del 2003.
3. La Regione, nel processo di istruzione e
formazione professionale, assicura il
coinvolgimento dei soggetti istituzionali pubblici,
delle associazioni di volontariato e dei privati
comunque interessati, perseguendo strategie e
realizzando progettazioni capaci di cogliere e
valorizzare le esigenze e tendenze del mercato del
lavoro.
Art. 7 Formazione congiunta degli operatori
1. Ai sensi dell'art. 40 della legge regionale 30
giugno 2003, n. 12, la Regione sostiene, di intesa
con il Provveditorato regionale
dell'Amministrazione penitenziaria e il Centro per
la giustizia minorile, percorsi di aggiornamento a
carattere interdisciplinare rivolti agli operatori
dell'Amministrazione penitenziaria, della giustizia
minorile, dei servizi territoriali pubblici e
privati, nonché delle associazioni di volontariato,
come previsto dall'art. 8 della legge regionale 21
febbraio 2005, n. 12.
Art. 8 Attività lavorativa
1. La Regione d'intesa con il Provveditorato
regionale dell'amministrazione penitenziaria e il
Centro per la giustizia minorile e con il
coinvolgimento degli Enti locali, delle Aziende
USL, delle associazioni di volontariato e di altri
soggetti pubblici e privati interessati, sostiene
l'avvio e lo sviluppo di attività di orientamento,
consulenza e motivazione al lavoro dei soggetti di
cui al comma 1 dell'articolo 1, prevedendo forme di
integrazione con i servizi per l'impiego già
presenti sul territorio, così come previsto dalla
Legge 22 giugno 2000, n. 193 (Norme per favorire
l'attività lavorativa dei detenuti), dalla legge
regionale 1 agosto 2005, n. 17 (Norme per la
promozione dell'occupazione, della qualità, della
sicurezza e della regolarità del lavoro).
2. La Regione, in particolare, promuove progetti
specifici, anche sperimentali, al fine di favorire
la partecipazione di persone sottoposte a misure
privative e limitative della libertà personale ad
attività di imprenditorialità sociale.
3. La Regione, tramite gli strumenti di cui
all'art. 9 della legge regionale n. 17 del 2005,
sostiene il reinserimento sociale delle persone di
cui all'art. 1 ammesse al lavoro esterno ex art. 21
ordinamento penitenziario o ad altre misure
alternative che richiedano il lavoro come elemento
fondamentale del trattamento. Eroga altresì a
favore dei loro datori di lavoro gli incentivi di
cui all'art. 10 della legge regionale n. 17 del
2005.
4. La Regione si impegna, altresì, a sostenere,
attraverso la stipula di convenzioni-quadro su base
territoriale, da definire con apposito
provvedimento della Giunta regionale, il
conferimento di una quota parte di commesse di
lavoro delle imprese aderenti, nonché a destinare
una quota parte delle proprie commesse.
Art. 9 Funzioni di coordinamento e di controllo
1. La Regione promuove il coordinamento tra i
diversi livelli istituzionali per l'attuazione
delle disposizioni della presente legge.
2. Giunta regionale attiva procedure volte alla
stipulazione di un protocollo di intesa con il
Ministero della Giustizia nel quale siano
individuati le azioni e gli interventi che la
Regione ed il Ministero realizzano a favore dei
minori imputati di reato e degli adulti sottoposti
a misure penali restrittive e limitative della
libertà, nonché le procedure di collaborazione e
coordinamento tra le due Amministrazioni.
3. Annualmente la Giunta regionale presenta
all'Assemblea legislativa, previo esame della
Commissione competente, una relazione contenente lo
stato delle iniziative specificamente rivolte alla
popolazione carceraria della regione, in cui
illustra lo stato delle infrastrutture carcerarie,
gli indici di affollamento, le diverse tipologie
dei reati, lo stato di salute dei detenuti, con
particolare riferimento alla casistica delle
patologie più gravi, la provenienza dei detenuti,
il livello di alfabetizzazione, le problematiche
del lavoro e le emergenze di carattere sociale
rilevate.
4. Le iniziative di cui al comma 3 riguardano in
particolare:
a) l'entità e l'origine delle risorse utilizzate;
b) le misure adottate a sostegno della possibilità
dei detenuti di fruire di regimi alternativi alla
detenzione;
c) le politiche svolte in campo sanitario;
d) le misure effettuate, con fondi propri e con
risorse comunitarie nel campo delle politiche
formative, del lavoro dell'integrazione culturale e
sociale dei detenuti;
e) l'entità e la tipologia delle commesse regionali
riguardanti il lavoro svolto dai detenuti
all'interno e all'esterno delle strutture
penitenziarie e gli interventi attuati nel campo
dell'edilizia penitenziaria.
Art. 10 Il garante dei detenuti
1. La Regione conviene sull'opportunità
dell'istituzione del Garante regionale dei diritti
dei cittadini privati e limitati legalmente della
libertà.
2. Il difensore civico regionale, in attesa della
istituzione del Garante regionale dei cittadini
privati e limitati legalmente della libertà,
assolve alle funzioni di garante dei detenuti.
Art. 11 Norma finanziaria
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della
presente legge si fa fronte con i fondi stanziati
nelle unità previsionali di base e relativi
capitoli del bilancio regionale, anche apportando
le eventuali modificazioni che si rendessero
necessarie o con l'istituzione di apposite unità,
previsionali di base e relativi capitoli, che
verranno dotati della necessaria disponibilità ai
sensi di quanto disposto dall'art.37 della L.R. 15
novembre 2001, n. 40 recante Ordinamento contabile
della Regione Emilia-Romagna, abrogazione delle
L.R. 6 luglio 1977, n.31 e 27 marzo 1972, n. 4 .
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