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Legislatura X - Commissione speciale tutela minori - Resoconto del 12/09/2019 pomeridiano

    Resoconto integrale n. 6

    Seduta del 12 settembre 2019

     

    Il giorno 12 settembre 2019 alle ore 14,30 è convocata, con nota prot. n. AL.2019.19903 del 06/09/2019, presso la sede dell’Assemblea legislativa in Bologna Viale A. Moro n. 50, la Commissione speciale d’inchiesta circa il sistema di tutela dei minori nella Regione Emilia-Romagna

     

    Partecipano alla seduta i consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    BOSCHINI Giuseppe

    Presidente

    Partito Democratico

    4

    presente

    SENSOLI Raffaella

    Vicepresidente

    Movimento 5 Stelle

    2

    presente

    TARUFFI Igor

    Vicepresidente

    Sinistra Italiana

    1

    presente

    ALLEVA Piergiovanni

    Componente

    L’Altra Emilia Romagna

    1

    assente

    BARGI Stefano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    BERTANI Andrea

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    CALLORI Fabio

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    CALVANO Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    5

    presente

    DELMONTE Gabriele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    FACCI Michele

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    GALLI Andrea

    Componente

    Forza Italia

    1

    presente

    LIVERANI Andrea

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Daniele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Francesca

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MONTALTI Lia

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MORI Roberta

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MUMOLO Antonio

    Componente

    Partito Democratico

    4

    assente

    PETTAZZONI Marco

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    PICCININI Silvia

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    POMPIGNOLI Massimiliano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    PRODI Silvia

    Componente

    Misto

    1

    presente

    RAINIERI Fabio

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    RANCAN Matteo

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    SASSI Gian Luca

    Componente

    Misto

    1

    assente

    TAGLIAFERRI Giancarlo

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    TORRI Yuri

    Componente

    Sinistra Italiana

    1

    presente

    ZOFFOLI Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

     

    Sono presenti i consiglieri: Ottavia SONCINI in sostituzione di Lia MONTALTI per parte di seduta, Stefano CALIANDRO in sostituzione di Roberta MORI per parte di seduta, Katia TARASCONI.

     

    Partecipano alla seduta: Gino Passarini (Responsabile del Servizio Politiche sociali e socio educative), Mila Ferri (Dirigente Salute mentale e dipendenze patologiche del Servizio Assistenza territoriale), Gloria Soavi (Presidente del CISMAI, Coordinamento Italiano dei

    Servizi contro il Maltrattamento e gli Abusi all’Infanzia).

     

    Presiede la seduta: Giuseppe Boschini

    Assiste la segretaria: Annarita Silvia Di Girolamo


    DEREGISTRAZIONE INTEGRALE CON CORREZIONI E INTEGRAZIONI APPORTATE AI FINI DELLA MERA COMPRENSIONE DEL TESTO

     

    Giuseppe BOSCHINI, Presidente della Commissione. Buongiorno a tutti. Dichiaro aperta la seduta.

    Come vedete dalla convocazione, oggi abbiamo all’ordine del giorno l’approvazione del processo verbale n. 4, l’audizione del dottor Gino Passarini e della dottoressa Mila Ferri; la successiva audizione è quella della dottoressa Gloria Soavi, e come sempre, ci riserviamo un ultimo punto all’ordine del giorno, relativo ad eventuale dibattito e discussione.

     

    -     Approvazione del processo verbale n. 4 del 2019

     

    Presidente BOSCHINI. Procedo senz’altro all’approvazione del processo verbale n. 4, poi vi do alcune comunicazioni prima di iniziare l’audizione.

    Pongo in votazione il processo verbale n. 4. Chi è favorevole? Chi è contrario? Astenuti?

    È approvato all’unanimità.

     

    Vi do alcune comunicazioni conseguenti anche alla riunione che abbiamo tenuto oggi, dell’Ufficio di presidenza. La prima: ho il dispiacere, ma non dipende dalla mia volontà, di comunicarvi che contrariamente alla convocazione già effettuata, che avete ricevuto ieri, per lunedì, avremo soltanto l’audizione dell’avvocato Maria Cristina Tassi, in quanto è arrivata una comunicazione dal consigliere Facci, che era richiedente dell’altra audizione in calendario, quella dell’avvocato Pierfrancesco Rossi, che ci segnala che l’avvocato Pierfrancesco Rossi non parteciperà in quanto le competenze sono le medesime dell’avvocato Maria Cristina Tassi.

    Questa comunicazione mi è pervenuta dopo che la convocazione era già stata effettuata, quindi mi scuso con i commissari, avremo una sola audizione. Sicuramente questo fatto, cioè la motivazione non tanto per indisponibilità, ma per sovrapposizione di competenze, mi rafforza nella convinzione che abbiamo necessità di fare un punto insieme, come dicevamo ieri in chiusura di seduta, sulla opportunità di fare una revisione consensuale del calendario, delle proposte, delle audizioni. Per questo sono a proporre, se non ci sono particolari controindicazioni, che il giorno martedì 17 alle ore 13, quindi in pausa Assemblea, si svolga una riunione dell’Ufficio di presidenza, come dicevamo ieri, con i Capigruppo di tutti i Gruppi assembleari: la proposta è per martedì 17, alle ore 13, durante la pausa Assemblea. Ipotizzo che siamo tutti qua. La proposta che quindi fa l’Ufficio di presidenza è quella di riunire l’Ufficio di presidenza di questa Commissione con i Capigruppo di tutti i Gruppi assembleari.

    Se questa richiesta può essere assecondata, se non ci sono particolari obiezioni, per cui guardo anche i colleghi per scorgere qualche cenno di assenso o di dissenso, in questa occasione vorremmo provare ad affrontare insieme i problemi già più volte posti, di modalità di conduzione delle sedute (una domanda alla volta, due domande alla volta, eccetera), sia il tema di una revisione consensuale delle richieste fin qui pervenute, verificando se ci sono problemi, sovrapposizioni, accorpamenti per temi, quello che si riterrà eventualmente insieme di fare, naturalmente per il buon funzionamento della Commissione.

    Ci sono osservazioni, obiezioni su questa proposta dell’Ufficio di presidenza?

    Tutto tace. Chi tace acconsente… Chi tace non dice niente, però non mi pare ci siano dissensi. Riformulo la domanda: ci sono dissensi rispetto a questa convocazione dell’Ufficio di presidenza e dei Capigruppo per martedì 17? No. A questo punto darò indicazione alla segreteria della Commissione di convocare.

    Infine, volevo darvi notizia del fatto che a seguito dell’audizione della dottoressa Schianchi di ieri pomeriggio, la stessa dottoressa, in anticipo di seduta mi aveva verbalmente comunicato la sua intenzione di depositare documenti relativi al caso di cui poi lei ci ha parlato in seduta. Anche qui volevo anticiparvi che l’orientamento dell’Ufficio di presidenza è di richiedere la documentazione relativa. Fra l’altro, in seduta era anche pervenuta una richiesta a verbale, ma comunque agli atti, del consigliere Calvano, mi pare. Volevo anticiparvi, anche per risparmiarvi di fare, magari, lettere alla presidenza e cose del genere, che la presidenza procederà d’ufficio alla richiesta di eventuale documentazione, quella che la dottoressa Schianchi, che ci aveva preannunciato di lasciare, poi non so per quale motivo alla fine non ha provveduto a lasciarci.

    Queste le comunicazioni preliminari. Do lettura come sempre, prima di procedere alle audizioni, del nostro memento: so che non è sempre piacevole ascoltarlo, ma è doveroso.

    Ricordo ai commissari e ai nostri ospiti che la Commissione d’inchiesta istituita in ambito regionale non gode delle prerogative di cui all’articolo 82 Costituzione, ossia dell’equiparazione ai poteri e ai limiti dell’autorità giudiziaria. L’eventuale audizione da parte della Commissione di persone indagate in procedimenti penali, avviene esclusivamente in ragione del loro ruolo e della loro funzione, a prescindere dalla circostanza che essi siano coinvolti o meno in procedimenti. La nostra istruttoria, in tali casi, non mira quindi all’accertamento di eventuali reati, spettando l’azione penale esclusivamente al pubblico ministero.

    Gli esiti e gli atti della nostra inchiesta potrebbero tuttavia essere richiesti o messi a disposizione della magistratura. Ricordo ai collaboratori regionali che da parte loro non è opponibile alla Commissione d’inchiesta il segreto d’ufficio, ai sensi dell’articolo 60 del regolamento interno dell’Assemblea legislativa.

    Ricordo, inoltre, ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio presenti in Aula i doveri e gli obblighi derivanti dal loro ruolo in merito alla denuncia all’autorità giudiziaria, o ad altre autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, di un reato di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio, o a causa delle loro funzioni, ai sensi dell’articolo 331 del codice procedura di penale, nonché le eventuali sanzioni derivanti dalla omessa o ritardata denuncia, ai sensi dell’articolo 361 del codice penale.

    Ricordo altresì che ai sensi dell’articolo 70 della legge n. 184 del 1983, i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio sono tenuti a riferire alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio, e in caso contrario sono punibili ai sensi dell’articolo 328 del codice penale.

    Ricordo che la nostra attività è, come d’ordinario, soggetta alle norme vigenti in materia di trattamento dei dati personali, ed in particolare la normativa che tutela i dati sensibili dei minori, nonché alle norme in materia di offesa dell’altrui reputazione, come la diffamazione ex articolo 595 del codice penale.

    Infine si fa presente che l’audizione oltre ad essere verbalizzata integralmente in forma audio, e trascritta, è soggetta a diffusione in diretta tramite streaming sul sito istituzionale dell’Assemblea legislativa, salva diversa indicazione o richiesta. Pertanto, ricordo che la normativa vigente prevede sanzioni in caso di diffusione di dati sensibili e giudiziari, quali i nomi di minori o di persone sottoposte a indagine, o altri dati e informazioni che ne consentano anche in via indiretta l’identificazione.

     

    -     Audizione del dottor Gino Passarini (Responsabile del Servizio Politiche sociali e socio educative) e della dottoressa Mila Ferri (Dirigente Salute mentale e dipendenze patologiche del Servizio Assistenza territoriale)

     

    Presidente BOSCHINI. Tutto ciò premesso, procediamo all’audizione del dottor Passarini e della dottoressa Ferri, che invito – tanto sono abituati – a sedersi al tavolo, qui, sotto la presidenza. I temi per cui è stata richiesta la loro presenza sono i seguenti: ruolo e competenze della Regione nei servizi per i minori; attività rivolte alla tutela dei minori, svolti dai servizi regionali negli ultimi anni in ambito sociale e sanitario. Naturalmente stiamo audendo anche per dare risposta ad alcune richieste avvenute non in maniera nominativa. L’audizione è infatti richiesta anche da alcuni gruppi dei vertici dirigenziali apicali in ambito sociale e in ambito sanitario.

    Sentiti in fase preliminare, prima di iniziare la seduta, il dottor Passarini e la dottoressa Ferri, procederei come sempre attraverso domande. Magari cercherò di ridurne gli scaglioni in maniera da poter consentire le risposte più puntuali possibili, perché anche da parte loro c’è sicuramente una preferenza per procedere rispondendo a domande.

    Vedo che è già prenotato il consigliere Tagliaferri, a cui do quindi la parola per iniziare con la prima domanda.

     

    Consigliere Giancarlo TAGLIAFERRI. Grazie, presidente.

    In merito al primo livello, di fronte a questa Commissione, il dottor Masi ha testualmente asserito, e lo cito: “queste raccomandazioni sono state fatte alle Aziende sanitarie e ovviamente anche ai servizi sociali. Ci siamo preoccupati poi di sapere se queste venivano applicate. Abbiamo fatto una formazione regionale, innanzitutto, cui sarebbe dovuta seguire una formazione a cascata. Però poi ci siamo preoccupati di sapere che le singole Aziende avevano realizzato questi percorsi e questi protocolli. Abbiamo mandato delle check-list e abbiamo ricevuto le risposte. Nella maggior parte dei casi questi percorsi, almeno sulla carta, ci sono. Mettiamola così: almeno sulla carta ci sono”. Questo è quello che ha asserito il dottor Masi nel corso della sua audizione.

    Posto che la deliberazione di Giunta regionale n. 1102 del 2014 imponeva entro un anno, quindi entro il 2015, un’apposita verifica circa l’applicazione delle Linee di indirizzo regionali, seguita da ulteriori verifiche e monitoraggi periodici da parte dei servizi regionali competenti, al fine di consentire una visione dell’andamento delle attività e della sostenibilità economica. Da quanto illustrato dal dottor Masi, abbiamo appreso che la formazione è stata svolta solo a livello regionale; che la verifica circa il recepimento e l’applicazione di linee e raccomandazioni è stata fatta attraverso l’invio di check-list; che a distanza di quattro anni dal termine fissato dalla Giunta regionale vi sia stato un recepimento, almeno sulla carta, e solo, nella maggior parte dei casi dei protocolli. A questo punto vorrei porre delle domande alla dottoressa Ferri e al dottor Passarini – procedo alla lettura delle domande, che sono sei, e poi, per cercare di velocizzare ed evitare che dobbiate faticare a prendere appunti, vi ho preparato l’elenco delle domande scritte che vi darò al termine della lettura. La prima domanda è se condividete o meno l’asserzione del dottor Masi secondo la quale vi sia un’adesione soltanto formale sulla carta alle prescrizioni regionali all’interno dell’articolazione territoriale sanitaria dei servizi sociali. La seconda: chi è chiamato a svolgere i controlli in ordine all’applicazione di linee guida, protocolli o raccomandazioni regionali? Chi è responsabile del fatto che vengano svolti controlli rispettivamente a livello regionale, aziendale e distrettuale? Chiedo poi se i controlli attuati dalla Regione si limitano idealmente a semplici check-list, o piuttosto vengano svolti sul campo. Nel caso si tratti di mere check-list, chi ha materialmente sottoscritto quelle pervenute dall’AUSL di Reggio Emilia e dal distretto Val d’Enza? Esse soddisfacevano formalmente i requisiti di conformità previsti?

    Chiedo inoltre chi è responsabile della formazione che sarebbe dovuta seguire “a cascata”, così come definita? E soprattutto, sono a conoscenza del fatto se tale formazione sia stata svolta o meno a Reggio Emilia? Ed in caso affermativo, chi l’ha tenuta?

    Per quanto concerne poi la Val d’Enza, il centro La Cura di Bibbiano viene indicato quale “centro sperimentale”: in cosa consiste l’attestata sperimentalità? Chi è chiamato ad autorizzare eventuali sperimentazioni ed i relativi protocolli? Poi mi riservo di tornare a porre un ulteriore blocco di domande per quanto riguarda il secondo livello, e vi consegno la lista.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Tagliaferri.

    Provando ad accorpare di più, darei la parola al collega Calvano. Poi chiudiamo e facciamo dare un primo blocco di risposte.

     

    Consigliere Paolo CALVANO. Grazie, presidente.

    Ringrazio i dirigenti qua presenti. Avevo una domanda molto semplice, che in realtà parte dall’audizione che abbiamo fatto ieri con l’Ordine degli assistenti sociali. È stato rimarcato dalla rappresentante dell’Ordine regionale il fatto che l’impostazione che hanno gli assistenti sociali nelle loro linee di riferimento, nel loro modo di comportarsi, è un’impostazione finalizzata a far sì di creare tutte le condizioni perché il minore possa rimanere in famiglia. Laddove il minore venga allontanato dalla famiglia, c’è comunque sempre l’obiettivo di ricreare le condizioni per poterlo riportare alla famiglia originaria. Questa è una linea di indirizzo che hanno gli assistenti sociali, ci è stato riferito dall’Ordine, che hanno come indirizzo prioritario. Chiedevo anche, rispetto alle modalità con cui la Regione ha organizzato i propri strumenti, se è a vostro avviso un indirizzo presente anche in maniera esplicita nella normativa e nelle indicazioni regionali.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Calvano.

    Darei la parola alla dottoressa Ferri o al dottor Passarini, nell’ordine che ritenete e secondo le modalità che assolutamente liberamente potete organizzare, per cominciare a dare le risposte ai temi posti.

     

    Dott.ssa Mila FERRI, dirigente Salute mentale e dipendenze patologiche del Servizio assistenza territoriale. Grazie, presidente.

    Comincio col rispondere ai quesiti posti dal consigliere Tagliaferri. Il primo quesito è se condividiamo o meno l’asserzione del dottor Masi, secondo la quale vi sia un’adesione soltanto formale. Per spiegare come in generale attuiamo il monitoraggio delle nostre direttive, faccio una premessa. Nell’audizione del professor Masi abbiamo parlato delle nostre raccomandazioni su abuso e maltrattamento. Successivamente, come ha citato anche correttamente il consigliere Tagliaferri, è stata emanata una delibera di Giunta regionale che si chiama “Linee di indirizzo per la realizzazione degli interventi integrati nell’area delle prestazioni sociosanitarie rivolte ai minorenni allontanati o a rischio di allontanamento”, la cosiddetta 1102, che è uno dei tre atti principali della nostra Regione su questo tema, che prevede questo monitoraggio, come veniva ricordato.

    Il monitoraggio è stato effettuato. Lo dico perché quando noi siamo andati a fare il monitoraggio della 1102 abbiamo monitorato e valutato assieme alle Aziende sanitarie e agli enti locali, attraverso le conferenze sociali e sanitarie territoriali, i protocolli locali. Siamo andati a vederli tutti e tutti i protocolli locali citano le nostre direttive, la 1102, ma anche la 1677, che è quella, come dicevamo prima, su abuso e maltrattamento.

    Alla domanda precisa, quindi, se ci sia un’adesione soltanto formale, risponde no, perché noi questo monitoraggio l’abbiamo fatto sia sulla carta, quindi ricevendo i protocolli, sia con una serie di incontri che si sono svolti più recentemente, tra il 2017 e il 2018, con tutte le parti tecniche delle Conferenze sociali sanitarie territoriali, cioè, provincia per provincia. Abbiamo incontrato, io e la dottoressa Maura Forni, che ricopriva il ruolo che adesso ricopre il dottor Passarini, assieme ovviamente a dei tecnici, tutti i territori con i professionisti. Siamo andati a leggere assieme a loro i protocolli, e abbiamo valutato, assieme a loro, quali fossero i punti da implementare, i punti di difficoltà e i punti di forza. Lì quindi il monitoraggio è stato fatto, mi sento di dire, certamente non solo sulla carta.

    Quanto a chi è chiamato a svolgere i controlli in ordine all’applicazione delle linee di indirizzo è ovviamente l’assessorato competente, che è chiamato a svolgere non li chiamerei controlli, ma lo chiamerei più correttamente monitoraggio, come riporta, peraltro, la direttiva regionale. Questo perché la modalità di lavorare è quella appunto di chiedere i dati, rilevarli e confrontarsi con i professionisti sui vari problemi.

    Quanto ai controlli, se si limitano quindi a semplici check-list la risposta è no, viene già da quella che vi ho dato prima. Quella check-list a cui fa riferimento il consigliere Tagliaferri, che è stata citata dal professor Masi, è stata effettivamente richiesta alle conferenze sociali e sanitarie ed è stata utilizzata, però all’interno del gruppo di lavoro. Non c’è stato lì un report formale. Il monitoraggio è stato fatto perché già nel 2016 il Piano regionale della prevenzione ha fatto suo questo progetto con il progetto 3.7, denominato “Maltrattamento e abuso nei minori – Prevenzione, accoglienza e cura”. Avrete sicuramente avuto modo di vedere in altre situazioni questo piano, quindi saprete che questo Piano funziona proprio con obiettivi, indicatori e target, che a fine d’anno si verifica se sono stati raggiunti o meno. Ebbene, nei tre anni 2016, 2017 e 2018 è stato effettuato questo monitoraggio e si è visto quanto si discostavano i territori dall’obiettivo, un monitoraggio assolutamente formalizzato, che viene inviato anche al Ministero della salute, perché il monitoraggio del Piano regionale della prevenzione, a conclusione del triennio, viene monitorato dal livello centrale. Quindi, il monitoraggio c’è, sia informale sul campo, sia formale attraverso il Piano della prevenzione.

    Venendo alla domanda con cui si chiede chi è responsabile della formazione che sarebbe dovuta seguire a cascata e soprattutto se siamo a conoscenza del fatto che tale formazione è stata svolta o meno in Reggio Emilia e, in caso affermativo, chi l’abbia tenuta, i responsabili della formazione sono l’Assessorato, che dà l’obiettivo alle Aziende sanitarie e agli Enti locali, e le Aziende che la devono attuare. Dal monitoraggio del Piano regionale della prevenzione risulta che in tutte le Aziende sono stati effettuati eventi formativi. Ci sono i numeri e ci sono i dati, compresi quelli riguardanti Reggio Emilia. Su chi l’abbia tenuta in questo momento non so rispondere, ma naturalmente posso informarmi.

    Per quanto concerne la Val d’Enza e il centro “La Cura” di Bibbiano viene indicato da quale centro sperimentale. Non so chi indichi dove questo centro è sperimentale. Non è a nostra conoscenza che il centro “La Cura” di Bibbiano, per quello che è nostra conoscenza, sia stato riconosciuto dalla Regione come un centro sperimentale.

    Infine, con riferimento a chi è chiamato ad autorizzare eventuali sperimentazioni, direi che nella parte sanitaria di sperimentazioni si parla molto poco. Forse sulla direttiva 1904 (poi dirà meglio il collega Passarini) non ci sono tanto delle sperimentazioni quanto dei progetti innovativi, che vengono valutati da un apposito nucleo. Ma su questo dirà certamente meglio il dottor Passarini.

    Per ora mi fermo qua.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego.

     

    Dott. Gino PASSARINI, responsabile del Servizio politiche sociali e socio educative. Riprendo solo quest’ultimo punto citato dalla collega Mila Ferri. La direttiva 1904, che si occupa di affidamento familiare e accoglienza in comunità, per quanto concerne le comunità prevede la via ordinaria di rilascio di autorizzazione al funzionamento. Parlo delle diverse tipologie di comunità, residenziali o non residenziali. Esiste poi la possibilità di farsi approvare progetti sperimentali e un apposito nucleo sperimentale costituito, che ha approvato poche sperimentazioni, riguardanti perlopiù alcune tipologie di comunità che, nell’ambito di spazi attigui, attivavano moduli diversi. Quindi, ci è stato chiesto in alcuni casi – molto pochi – se diverse strutture che affacciano sullo stesso cortile (per intenderci) potevano attivare sperimentazioni riguardanti, per esempio, gli standard che la direttiva impone, standard rispetto ai rapporti educativi con i minori, standard rispetto agli spazi che accolgono i minori, dunque soprattutto la possibilità di considerare alcuni spazi comuni, per esempio, quali rispondenti agli standard. Si tratta di pochi casi, che certamente non riguardano il presunto centro specialistico sperimentale “La Cura”.

    Il consigliere Calvano ci ha chiesto riguardo alle direttive applicate dagli assistenti sociali o, comunque, dai servizi sociali rispetto agli obiettivi della ricostituzione anche di una genitorialità solo temporalmente compromessa. In questo senso devo dire che tutta la normativa, a partire dal livello nazionale (dalla legge n. 184 in giù) per arrivare alla nostra normativa regionale (la legge n. 14 e la direttiva 1904), afferma in più punti chiaramente il principio che in primo luogo il minore deve avere diritto a vivere nel proprio contesto familiare. Dopodiché, qualora fosse gravemente compromessa la possibilità del nucleo familiare, la prima ipotesi da considerare è l’affidamento familiare. Qualora anche questa misura non fosse sufficiente a trovare un riscontro adeguato per il superiore interesse del minore, l’ipotesi da considerare è il collocamento in comunità.

    Le nostre direttive, dunque, sono abbastanza chiare e ultra-allineate in questo senso. L’allontanamento assume un valore costruttivo solo se pensato come a una tappa di un più ampio progetto volto alla ricostruzione del benessere del minore e, se possibile, del suo nucleo familiare. Il collocamento del bambino al di fuori della sua famiglia naturale deve avere una funzione educativa, e non solo di protezione, nel senso che deve essere utilizzato principalmente come uno strumento per l’aiuto e il recupero della famiglia e per una riunificazione dello stesso con la sua famiglia.

    Questo principio ricorre in maniera molto estesa in molti punti della direttiva, che adesso non riprendo per non ripeterli, ma lo potete trovare ben delineato in tutti i punti della normativa regionale. Quindi, senza dubbio la normativa regionale prevede la temporaneità dell’affidamento, l’accompagnamento competente dei servizi sociali volto sia alla famiglia affidataria sia alla famiglia propria del ragazzo, nel tentativo di recuperare in tutte le forme possibili le capacità di cura e di educazione della famiglia, considerate in via prioritaria solo temporaneamente compromesse.

     

    Presidente BOSCHINI. Abbiamo, quindi, risposto alle prime domande.

    È di nuovo iscritto il collega Tagliaferri. Prego.

     

    Consigliere TAGLIAFERRI. Sinceramente sono un po’ sbalordito dall’asserzione della dottoressa Ferri, perché vi leggo ciò che l’assessore Gualmini, l’assessore allora competente, un anno fa mi rispose in occasione di un’interrogazione. Credo sia una fonte autorevole. Vi leggo la parte finale: “La legge n. 14/2008 “Norme in materia di politiche per le giovani generazioni” prevede, infine, all’articolo 18 l’istituzione di équipe specialistiche di secondo livello in materia di tutela di ambito provinciale o sovradistrettuale, attivate per scelta e indicazione delle conferenze territoriali, sociali e sanitarie, quale organismo di ambito provinciale. Al riguardo si precisa che la CTSS di Bologna ha regolamentato in tal senso individuando, da oltre dieci anni, nel faro dell’AUSL di Bologna il centro specialistico provinciale contro il maltrattamento e gli abusi dell’infanzia e che l’Unione della Val d’Enza ha attivato, a novembre 2016, un centro sperimentale, denominato “La Cura”, per l’accoglienza e il trattamento dei minori vittime di violenza, maltrattamento e abuso sessuale”. Ecco, non riesco a farmi rispondere da nessuno – e continuerò a domandarlo fino alla fine delle audizioni – in cosa consisteva questa sperimentazione e questa sperimentalità.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Do la parola anche al collega Pettazzoni.

     

    Consigliere Marco PETTAZZONI. Grazie, presidente.

    Due pillole, due domande velocissime. Si è parlato di controlli e di monitoraggi. Non mi pare di avere colto gli esiti dei controlli e dei monitoraggi. Che esiti hanno dato? Visto che avete parlato di controlli e monitoraggi capillari, sono state rilevate anche situazioni magari da qualche parte meno regolari? Ci sono stati casi, visto che avete girato tutto il territorio, che vi sono saltati all’occhio? Bibbiano è stato controllato? Per caso, era tutto a posto anche lì?

    Un’altra domanda. Si parla, in prima battuta, di affidamento familiare, dopodiché il minore viene prelevato e viene affidato ad altra famiglia. È un protocollo che mi pare sia ben noto, ancorché sia proprio un protocollo di base.

    A Bibbiano forse questo protocollo non è arrivato? È finito tra le spam? Non lo avete mandato? Perché mi pare che sia particolarmente fuori da ogni grazia di norma quello che è successo in quel luogo e probabilmente anche altrove.

    Dal lato formale, anche sentite le vostre relazioni, sentite altre relazioni, sembra che tutti i protocolli siano sempre stati attivati e controllati nel miglior modo possibile. La realtà dei fatti, però, è un’altra. Tutto il pregresso e tutto ciò che quotidianamente appare alle cronache rileva fatti assolutamente diversi. Quindi, visto che ogni giorno escono agli onori della cronaca, e non solo, casi nuovi, ci chiediamo cosa effettivamente bolle in pentola e cosa non è stato possibile o cosa non è stato semplicemente controllato.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Pettazzoni.

    Non avendo altri iscritti, darei di nuovo la parola alla dottoressa Ferri e al dottor Passarini per le due domande ora ricevute.

     

    Dott.ssa FERRI. Grazie, presidente. Per quel che riguarda la questione del centro sperimentale io ribadisco che l’assessorato alla sanità non ha certamente messo…

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa FERRI. No, ma io le credo. Ci mancherebbe. È la vicepresidente. Io rispondo naturalmente dal punto di vista tecnico. Non c’è una procedura presso l’assessorato alla sanità. Va anche rilevato che questo è un centro di un ente locale e quindi verosimilmente l’assessorato alla sanità non sarebbe stato coinvolto, ma non ci risulta che ci sia una procedura per autorizzare i centri sperimentali.

    Per quanto riguarda i protocolli, se sono stati controllati, è chiaro che i nostri sono protocolli che vanno a vedere la 1102 e la 1677 che cosa ci chiedono, di andare a monitorare se i territori hanno fatto i loro protocolli locali, se questi protocolli locali sono conformi a quelli regionali. La 1102 in particolare ci chiedeva anche di andare a valutare se erano state attivate le équipe territoriali integrate di primo livello e l’unità di valutazione multidimensionale di secondo livello.

    Naturalmente da qui sono stati fatti tanti altri approfondimenti, ma questo è il grosso. Il protocollo di Reggio Emilia e il protocollo della Val d’Enza non si discostano assolutamente dagli altri. Ci sono le unità di ETI, queste équipe territoriali integrate, che sono composte da un assistente sociale e da uno psicologo e c’è l’unità di valutazione multidimensionale dove, in particolare a Reggio Emilia, ma anche altrove, sono presenti neuropsichiatri infantili e al bisogno anche medici legali e i responsabili dei servizi sociali, che sono unità che validano il progetto e validano anche la suddivisione della spesa.

    Da questo punto di vista Reggio Emilia ha un protocollo che si allinea assolutamente con gli altri. Noi abbiamo valutato naturalmente anche le problematicità che ci sono state nell’applicazione della 1102, perché passavamo da un regime dove ogni territorio disciplinava la relazione azienda USL/ente locale in maniera diversa a una delibera che spiega e prescrive che vengano attivate queste équipe territoriali integrate, le unità di valutazione multidimensionali, che non c’erano dappertutto e che delinea il fatto che nei casi cosiddetti complessi, cioè minorenni allontanati o a rischio di allontanamento che abbiano una grave disabilità, che abbiano problemi psicopatologici o che siano vittime di abuso, maltrattamento o violenza assistita la spesa venga ripartita 50 e 50. Quindi, non è stato semplice per i territori muoversi da situazioni, ad esempio, dove a Modena compartecipava molto di più il Comune di Modena, magari invece in provincia…

    Questo ha dato un assetto uniforme e partendo dalla spesa, come è noto, quando si parte dalla spesa è un’occasione virtuosa per mettersi d’accordo. Questo ha messo in moto, a detta di tutti i territori, dei comportamenti virtuosi di confronto e anche delle difficoltà, non c’è dubbio, perché in territori dove storicamente il Comune contribuiva poco e l’Azienda contribuiva molto le cose sono andate in un certo modo, dove era viceversa sono andate in un altro. Il monitoraggio che, come ha letto il consigliere Tagliaferri, riguardava anche l’impatto sulla spesa, ci ha detto che certamente la spesa sanitaria è incrementata da questo punto di vista, ma questo ha comportato anche una assunzione di responsabilità da parte del Servizio sanitario regionale su questi percorsi e comunque è stato considerato un riequilibrio. La spesa totale naturalmente è rimasta sostanzialmente invariata. C’è stato un riequilibrio per mettere le basi per delle relazioni stabili.

    I problemi sono stati problemi organizzativi: decidere l’UVM, vedere il personale dell’UVM. Queste sono state le problematicità che sono state affrontate. È chiaro che un monitoraggio di questo genere arriva a questo livello dal punto di vista regionale.

     

    Presidente BOSCHINI. Dottor Passarini, prego.

     

    Dott. PASSARINI. Solo poche integrazioni, che forse in parte possono rispondere al consigliere Pettazzoni, comunque nel tentativo di aggiungere qualche considerazione utile al dibattito di questa Commissione circa i numeri in campo e il tema dei monitoraggi.

    Credo sia importante ricordare questa situazione in cui la Regione si trova a muoversi: da un lato titolare della potestà normativa in materia di servizi sociali, dall’altro nel confrontarsi con gli enti locali, che sono enti di pari dignità costituzionale.

    La potestà normativa della Regione deve incontrarsi con la considerazione che gli enti locali non sono soggetti subordinati alla Regione. In questo senso, come sappiamo la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato nella declinazione di un principio di sussidiarietà così importante da essere entrato in Costituzione e gli enti locali sono pienamente titolari, vorrei dire giustamente pienamente titolari, delle potestà finanziarie, regolamentari, statutarie e organizzative.

    Da un lato noi, attraverso le direttive regionali, possiamo indicare cosa è opportuno fare, ma non possiamo indicare in maniera coercitiva come organizzare la risposta sul territorio dei servizi sociali o perlomeno questo viene definito nell’ambito di un confronto continuo tra regioni ed enti locali che si richiama al sommo principio della leale collaborazione, cioè non possiamo imporre un’organizzazione.

    Anche da questo può derivare una differente applicazione nei diversi territori dei medesimi princìpi benché questi medesimi princìpi siano ribaditi in maniera direi sufficientemente chiara nella normativa regionale.

    Registriamo anche differenze nei dati che riguardano gli allontanamenti o la percentuale di allontanamenti con esito in affido familiare o con esito in comunità, che sono dovuti anche, credo, in misura significativa alla differente modalità organizzativa che ciascun territorio ha attuato, oltre che alla storia e alla realtà sociale, che da Piacenza a Rimini differisce, provincia per provincia.

    In questo senso, abbiamo alcuni dati che mostrano queste discrepanze, ma occorre leggerli con particolare attenzione. Ci sono territori in cui gli esiti sono più in direzione dell’affido familiare che non del collocamento in comunità. Ad una prima lettura, per dati aggregati, come possiamo fare noi in Regione, questo appare in termini di positività. Vuol dire che quel territorio è stato capace di utilizzare principalmente lo strumento dell’affido che ‒ come dicono le leggi nazionali e regionali ‒ viene prima del collocamento in comunità.

    Noi non possiamo entrare nella valutazione caso per caso, perché ovviamente quella della tutela è una competenza di merito assoluto degli enti locali, e non abbiamo il potere, credo doverosamente, di aprire fascicoli con dati personalissimi e sensibilissimi. Noi dobbiamo cercare di condurre ragionamenti sulla base dei dati aggregati. Questi dati aggregati ci mostrano che in Italia la propensione all’allontanamento è inferiore a quello che avviene in analoghi Paesi europei per importanza e consistenza, anche, dei servizi. Ci mettiamo a confronto con la Germania, con la Francia, con l’Inghilterra, con la Spagna. Parliamo di percentuali molto ridotte in Italia rispetto alle percentuali che caratterizzano quei Paesi contermini che ho citato. Per quanto riguarda il dato nazionale, la regione Emilia-Romagna si colloca leggermente sopra la media nazionale, sostanzialmente. Circa a metà. Anche questo è un dato da tenere in considerazione. Il dato che riguarda nello specifico la Val d’Enza non appare così abnorme rispetto alle medie a cui facevo riferimento. Sto parlando di dati che derivano dai flussi informativi.

    Aggiungo che, rispetto ai dati che riguardano l’affidamento, occorre fare alcune distinzioni. Come sapete, l’affidamento può essere giudiziale piuttosto che consensuale. Come sapete, l’affidamento può essere a tempo pieno oppure part time. Dobbiamo cercare, quindi, di non fermarci al dato del numero assoluto degli affidamenti, ma dobbiamo cercare di indagare anche sulla composizione della natura degli affidamenti. In questo senso ‒ la collega può darvi il dato ‒ non emergono nell’immediatezza dati aggregati, di cui siamo a disposizione, di particolare rilevanza.

    Non so se vuoi dire qualcosa.

     

    Presidente BOSCHINI. Un attimo. Procediamo alla cancellazione di chi era iscritto, però dopo cerchiamo di tenerli in ordine.

     

    Dott.ssa FERRI. Grazie.

    Per quanto riguarda i dati, quello che diceva il collega è molto importante. Nella nostra Regione il numero dei minori fuori famiglia, compresi i minori in affido e quelli in comunità, per il 2017, è di 2.970 minorenni, di cui in affido sono 1.529. Questo già è un dato che noi consideriamo buono, nel senso che ci sono zone d’Italia dove si va molto più in comunità che in affido. I dati ve li lasciamo, eventualmente.

    Il fatto di privilegiare l’affido ‒ come è già stato detto ‒ è un qualcosa che ci prescrive anche la legge. Comunque, intuitivamente, cercare di tenere il bambino in un ambiente familiare piuttosto che in un ambiente di comunità, quando si riesce, viene ritenuto un indice di buona qualità del servizio.

    Per quanto riguarda le tipologie di affido, abbiamo il tema dell’affido familiare consensuale, che è una cosa molto interessante. Le famiglie vengono aiutate in un momento di difficoltà e sono d’accordo a che il loro figlio, o figlia, viva per un periodo in un’altra famiglia. A livello regionale, i dati sono di 452 minorenni. Consideriamo anche l’affido parentale, quell’affido che viene fatto ai parenti fino al quarto grado. Anche questa è una tipologia d’affido diversa da quella a cui fanno riferimento tutti gli articoli di giornale che abbiamo letto quest’estate. Si tratta di un momento in cui, ad esempio, i nonni o gli zii tengono il bambino in un periodo di difficoltà della famiglia. Anche questo è un tipo di affido che non allontana il bambino dalla rete familiare. Poi c’è, invece, l’affido familiare giudiziale a tempo pieno, quello dove un decreto del giudice stabilisce che il bambino deve essere allontanato dalla propria famiglia e portato in un’altra. Anche qui, ovviamente, non è detto che vengano... Anzi. In generale, si cerca di tenere i rapporti, però non abbiamo i dati di quanti di questi minorenni, naturalmente... Diciamo che su 1.529 affidi, questi sono 735. Già dobbiamo fare questa considerazione sugli affidi giudiziali a tempo pieno, in cui il bambino vive stabilmente in una famiglia che non è la sua e non ha neanche un parente.

    Abbiamo anche degli affidi giudiziali a tempo parziale, ma sono molto pochi. Negli affidi consensuali, in cui la famiglia è d’accordo a che il loro figlio, o figlia, viva in un’altra famiglia, un certo numero, non irrilevante (quasi la metà), è a tempo parziale. Vuol dire che il bambino magari passa i giorni feriali con la famiglia affidataria e nel weekend va in famiglia. Addirittura sono situazioni in cui il bambino, o la bambina, passa il pomeriggio con la famiglia affidataria per essere aiutato a fare i compiti in situazioni di difficoltà.

    Queste sono situazioni che noi riteniamo virtuose e che sono propedeutiche al fatto che il minore non venga, poi, allontanato definitivamente. C’è una famiglia che si fa carico di un momento di difficoltà della famiglia originaria. In quel momento, quindi, si può lavorare anche per aiutare la famiglia originaria.

    Questi sono i dati regionali, che naturalmente sono declinati provincia per provincia.

     

    Presidente BOSCHINI. Do la parola al collega Facci.

     

    Consigliere Michele FACCI. Buongiorno. Ringrazio anch’io la dottoressa e il dottor Passarini.

    Pongo alcune domande, alla luce di quello che è stato detto e anche degli incontri precedenti. Premetto che trovo quantomeno sorprendenti le ultime affermazioni fatte dal dottor Passarini sul fatto che, fondamentalmente, mi pare di capire, e chiedo scusa se ho male interpretato, non esiste un’organizzazione uniforme su tutto il territorio regionale in questa materia. Lo trovo preoccupante, più che imbarazzante. Al netto del giudizio che possiamo dare sulla bontà delle linee di indirizzo regionale, sulle quali entrerò nel merito, se mi dite che, fondamentalmente, ogni territorio può organizzarsi come crede a prescindere da queste linee di indirizzo, debbo dire che ho dubbi forti sulla qualità, alla fine, di un’organizzazione strutturata in questa materia.

    Le linee di indirizzo prevedono una serie di monitoraggi, pongono in capo alla Regione un’attività di controllo – parlo delle linee di indirizzo di cui alla delibera di Giunta regionale 1677 del 2013 –, tutta una serie di compiti. Se voi mi dite che queste linee di indirizzo, fondamentalmente non sono in una sorta di autonomia che è riconosciuta agli enti locali, non sono prescrittive, ne prendiamo atto. Prendiamo atto di questa affermazione, ripeto: allarmismo più che giustificato di chi appunto oggi pone degli interrogativi su questo sistema.

    Chiusa questa parentesi, faccio delle domande un po’ più dirette, perché io credo che gli incontri che abbiamo avuto in queste sedute di Commissione abbiano evidenziato quella che secondo me è la vera e propria criticità di questo sistema, oltre, magari, ad altri aspetti. In materia di valutazione e anche di trattamento dei casi di presunto abuso e maltrattamento sui minori e tutto quello che poi ne consegue, emerge che vi sono delle modalità applicative differenti, di diverse vedute. Abbiamo la comunità scientifica che ha elaborato le linee guida nazionali, parlo del SINPIA, poi riprese dalla Carta di Noto, che indicano alcuni criteri comportamentali che debbono essere seguiti (parliamo di linee guida); abbiamo altri soggetti, verosimilmente autorevoli, che non condividono questa impostazione, primo fra tutti un organismo molto noto e molto diffuso che è il CISMAI, un’organizzazione privata, alla quale fanno riferimento però molte realtà del pubblico, come per esempio l’ASL Romagna o l’ASL Cesena. La discussione qui mi rendo conto che sia molto tranchant, perché le stesse Linee di indirizzo regionali pongono sullo stesso piano per alcuni aspetti indicazioni che vengono elaborate dal CISMAI, indicazioni che vengono elaborate dalla comunità scientifica con queste linee guida nazionali.

    Ora vorrei capire qual è il vostro giudizio rispetto a questa differente impostazione, e se anche voi ritenete che possano esservi delle indicazioni provenienti da soggetti privati che si pongono in contrasto con gli studi, le indicazioni e le prescrizioni della comunità scientifica maggiormente qualificata. Questa è la domanda di fondo.

    L’altra domanda, anche questa abbastanza diretta, così non giriamo troppo intorno ai temi è la seguente: noi ieri abbiamo ascoltato la presidente dell’Ordine degli assistenti sociali, la quale ci ha reso edotti di una serie di linee guida che appunto debbono essere seguite, elaborate dal Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali per quanto riguarda il sostegno e la tutela dei minorenni e delle loro famiglie. In queste linee guida, fra le varie indicazioni c’è una dichiarazione molto netta, come finalità perseguita. Secondo loro, appunto, l’obiettivo prioritario degli enti locali, dei servizi territoriali, deve essere quello di prevenire gli allontanamenti dei minori dalle loro famiglie. Quando questo non è possibile, quindi quando l’allontanamento è necessario, l’obiettivo dell’allontanamento è comunque rappresentato dal recupero della capacità genitoriale della famiglia originaria e dalla rimozione delle cause che impediscono l’esercizio della sua funzione educativa e di cura. Continuo a leggere testualmente: “il fine è garantire il rientro del minore in famiglia in tempi il più possibile brevi, nel rispetto del principio di continuità dei rapporti familiari parentali”. Le due domande sono queste: per la vostra esperienza, per la vostra casistica, queste finalità, anche dal punto di vista temporale e di garanzie del minore, ritenete che siano state sempre rispettate nei casi a voi noti? Seconda domanda: come secondo voi è conciliabile questo tipo di impostazione, questo tipo di garanzie che devono essere appunto mantenute, lo risottolineo, principio di continuità dei rapporti familiari parentali, con la prassi invalsa in numerose realtà territoriali di agevolare, teorizzando sicuramente, e in alcuni casi permettendo, le adozioni a coppie LGBT? Perché questo naturalmente contrasta con questo principio di continuità di rapporti familiari parentali che appunto in queste linee guida è espressamente indicato.

    È chiaro infatti che se la famiglia di partenza è una coppia LGBT, mi sta bene, si garantisce certamente una continuità anche in un affido temporaneo; ma se la famiglia di partenza è una coppia, chiamiamola così, tradizionale, uomo-padre e madre, un affido a una coppia LGBT stravolge e certamente non rispetta queste garanzie che in queste linee guida sono indicate. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Facci.

    Do la parola al collega Taruffi. Ricordo che l’ordine che vedete sullo schermo non è esattamente quello in cui vi eravate prenotati, per cui dopo procederemo con Piccinini, Pompignoli, Callori, Tagliaferri, Calvano.

    Cerco di salvaguardare l’ordine primigenio, non è solo una quesitone di essere veloci, è che quando diamo la parola adesso per esempio si cancellerà l’ordine, per cui ripartiremo dall’ordine originale. Cerco di essere preciso.

    La parola al consigliere Taruffi.

     

    Consigliere Igor TARUFFI. Grazie, presidente.

    Intanto, volevo ovviamente ringraziare la dottoressa Ferri e il dottor Passarini per la loro presenza e per i dati che ci hanno portato, che ci aiutano, insieme alle altre audizioni – ormai credo sia la sesta seduta che facciamo – a mettere insieme un quadro credo interessante.

    Proprio su questo, e anche riallacciandomi ad alcune considerazioni in merito allo svolgimento del servizio e all’organizzazione del servizio, che faceva il dottor Passarini, volevo chiedere alcune cose. Mi sono appuntato le questioni, ma volevo capire se sono stato attento e ho segnato bene i numeri. I minori allontanati dalle famiglie, complessivamente, in Emilia-Romagna sono 2.970; quelli che sono stati affidati a famiglie, che quindi non sono stati affidati ad una comunità, ma ad altre famiglie, sono 1.529. Di questi 1.529, una sostanziale metà è in affido presso altre famiglie, con il consenso della famiglia originaria, tra quelle che hanno espresso il cosiddetto affido consensuale e l’affido parentale, se non ho colto male. Invece, altri 700 circa sono stati allontanati dalla famiglia con un atto del giudice, che ha disposto l’allontanamento. Questo è il quadro di cui parliamo in Emilia-Romagna.

    Se ho capito bene, l’Emilia-Romagna si colloca sostanzialmente a metà, all’interno del quadro nazionale, per numero di allontanamenti di minori ogni 1.000 minori presenti. Quindi, tra le venti regioni italiane, più o meno ci collochiamo a metà. Inoltre, se non ho capito male, giusto per massima chiarezza, l’Italia, a livello complessivo rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Spagna o Gran Bretagna, presenta un numero di allontanamenti minore. Questo è il quadro in cui ci muoviamo.

    Lo chiedevo per avere conferma di aver capito bene. Dopodiché, chiedevo una specifica. Anche a costo di essere, ma credo ne abbiamo bisogno, persino elementare nei passaggi, intanto, la distinzione, che non vuol dire evitare di assumersi le responsabilità, ma semplicemente cercare di capire come allocare bene le competenze. Credo che questo sia un passaggio importante: la tutela dei minori, oggetto di profili di provvedimenti di aiuto e di sostegno. Questa competenza è in capo ai Comuni, i quali, da legge, esercitano e possono esercitare questo importante servizio attraverso, ad esempio, forme associate, delegando il servizio o a un’Unione di Comuni, come spesso capita, o anche, ad esempio – e guardo il consigliere Facci pensando alla nostra comune esperienza amministrativa in un non troppo recente passato – al Comitato di distretto, quindi all’azienda ASL. Chiedo al consigliere Facci un attimo di attenzione.

     

    (interruzione)

     

    Consigliere TARUFFI. Io aspetto. Grazie.

    Dicevo: rispetto ai passaggi e allo stupore che manifestava il consigliere Facci, volevo provare a interloquire chiedendo conferma ai tecnici rispetto al fatto che i Comuni esercitano questa competenza e possono farlo o svolgendole in proprio, oppure affidando la delega, come spesso accade, o all’Unione dei Comuni o, dicevo, come lei ben sa, consigliere Facci, anche, ad esempio, ed è il caso della nostra precedente esperienza amministrativa, affidando il servizio all’ASL, attraverso il Comitato di distretto.

    Già questa presenta ovviamente una differenza che non può non lasciarci immaginare che esistono realtà diverse da territorio a territorio, perché non tutti i territori esercitano quella funzione che è in capo ai Comuni attraverso lo stesso schema, ma esistono modalità diverse: c’è chi lo affida alle Unioni, c’è chi lo affida o lo ha affidato ai Comitati di distretto, quindi lo esercita attraverso il Comitato di distretto, quindi attraverso i servizi dell’ASL; c’è chi lo fa ad esempio anche direttamente o in proprio. Dico questo perché il secondo passaggio, molto importante, e cioè la Conferenza sociosanitaria territoriale, che è quella che deve applicare e dare applicazione alle linee guida regionali, altro non è che il soggetto composto dai Sindaci presidenti dei distretti socio-territoriali delle varie realtà. Nella provincia di Bologna, sempre per rimanere in una realtà che conosciamo, nell’area della Città metropolitana bolognese, ci sono sei Sindaci presidenti di distretto che si riuniscono nella Conferenza territoriale sociosanitaria. Ed è quella la sede che attua le Linee di indirizzo, in questo caso parliamo della tutela dei minori, ma potremmo parlare di qualsiasi altro servizio sociosanitario. Il livello di competenza amministrativa che dà attuazione è quello.

    Per cercare quindi di chiarirmi le idee, e se dico delle sciocchezze chiedo ovviamente ai tecnici di intervenire e correggermi, nel momento in cui purtroppo emerge un problema relativo ad un minore interviene l’assistente sociale, che è dipendente dell’Unione, dell’azienda o della realtà alla quale il Comune, che è titolare del servizio ha affidato la delega per lo svolgimento del servizio; quell’assistente sociale, insieme alléquipe territoriale individuata dal soggetto che esplica il servizio, decide come e in che misura intervenire applicando, tenendo conto ovviamente delle leggi dello Stato e delle Linee di indirizzo che in questo caso la nostra Regione, la Regione Emilia- Romagna ha approvato e ha definito come le linee guida da applicare, a cui attenersi.

    Se questo quadro che ho descritto è corretto dal punto di vista delle competenze, ripeto, se ho detto delle cose inesatte mi si corregga, il quadro che abbiamo di fronte suscita inevitabilmente un elemento. Quadro che è dato dall’insieme, dall’intercomposizione di leggi nazionali, leggi regionali e organizzazione del sistema sanitario nazionale e regionale. Detto quadro inevitabilmente produce degli elementi di differenza territoriale a seconda delle scelte che sui territori sono state fatte per occuparsi di questo importante servizio, quello della tutela dei minori, tenendo conto che le competenze sono quelle che ho ricordato, a partire dai sindaci, a salire fino ad arrivare a noi.

    Ho fatto questo excursus, che considero importante, perché, ribadisco, se le cose che ho detto sono vere – e se non sono vere, qualcuno mi smentirà –, non solo è inevitabile che ci siano differenze territoriali all’interno della Regione e all’interno del territorio nazionale; ma è persino in qualche modo corretto e inevitabile ripristinare l’ordine delle competenze.

    Riprendo, e concludo, una delle segnalazioni che è arrivata in queste audizioni: se gli assistenti sociali complessivamente intesi in territorio regionale sono 2.520, noi abbiamo già due cifre che ci dimostrano come banalmente, se il numero di minori allontanati è di 2.970 e il numero di assistenti sociali nella Regione è di 2.520, mettendo insieme i due numeri, un elemento ci fa dire che la prima preoccupazione di questa Commissione deve essere quella di stabilire se effettivamente a livello regionale il numero di assistenti sociali impiegati per fare questo tipo di servizio a carico dei Comuni, a carico delle Unioni di Comuni, a carico dei distretti che esercitano le funzioni, sia un numero adeguato o no. Questo io credo che sia un punto da mettere a fuoco. Mi permetto di dire, e lo dico con tutta la cautela del mondo, che credo sia molto più importante, e lo dico assumendomene tutte le responsabilità, per le competenze e per il ruolo concreto che abbiamo noi, che occorre mettere un focus su questo piuttosto che sulla definizione del punto di attacco della comunità scientifica rispetto a come si tratta un minore che necessita di aiuto.

    Io credo che qua dentro sia molto difficile, come commissari di questa Commissione, avere le competenze per stabilire quale sia, a livello scientifico, l’atteggiamento da tenere nei confronti di un minore che ha necessità di essere tutelato. Credo che sia molto più congruo e forse sarebbe anche molto più utile ragionare in termini di quello che possiamo fare noi, cioè destinare, eventualmente in modo diverso, risorse, o comunque puntare l’attenzione mettendo in correlazione le competenze e i numeri che io qui ho provato a ricordare. Chiedo ai tecnici, se ho detto delle sciocchezze in termini numerici o in termini di riepilogo delle competenze, di essere corretto.

     

    Presidente BOSCHINI. Facciamo un primo step, quindi do la parola alla dottoressa Ferri e al dottor Passarini se vogliono dare una prima risposta a questi due interventi.

     

    Dott.ssa FERRI. Grazie, presidente.

    Dico subito, rispetto all’intervento del consigliere Taruffi, che ha delineato quello che stavo un po’ per richiamare anch’io, vale a dire le differenti organizzazioni degli Enti locali e le deleghe che ancora permangono, che su quello mi sembra di poter concordare che l’excursus fatto dal consigliere Taruffi sia proprio quello che rende conto della diversa organizzazione in Regione. Inoltre, rispetto ai dati, confermo i dati che si è appuntato il consigliere Taruffi.

    Per quello che riguarda il tema linee guida, io vorrei provare a fare un ragionamento da tecnico sulle linee guida. Quando in sanità parliamo di linee guida, parliamo di documenti che sono stati validati con una determinata procedura, che è molto chiara e molto complessa, e sono stati, quindi, assunti da un organismo che, per quello che riguarda la sanità naturalmente, il cui tema certamente è attinente, in generale è l’Istituto superiore di sanità, che poi li trasmette al Ministero e li assume. Questa è la procedura per avere una linea guida che abbia il titolo di linea guida. Non lo dico io, lo dice la legge Gelli. Queste sono le linee guida per la sanità. Tant’è vero che oggi stiamo lavorando sulle linee guida nazionali sull’autismo, su cui abbiamo dibattuto molto – vedo il presidente – in Commissione IV, e c’è una procedura a livello di Istituto superiore molto complessa di consultazione delle società scientifiche, indubbiamente, ma anche dei cittadini e dei portatori di interessi. C’è una procedura complessa, che in questo caso si chiama GRED, che stanno portando avanti con audizioni e quant’altro. Quelle linee guida che usciranno in quel modo verranno validate e in quel caso i professionisti che, comunque, in scienza e coscienza decidono di non attenersi dovranno dimostrare perché non si attengono.

    Questo non significa che tutto il resto di produzioni che vengono fatte da società scientifiche non sia valido. È assolutamente valido. Il fatto che le linee guida a cui faceva riferimento il consigliere Facci, ovverosia le linee guida nazionali sull’ascolto del minore-testimone, vedano una serie di società scientifiche che le hanno redatte le rende certamente un punto di riferimento per il professionista, perché non su tutto ci sono le linee guida. Quindi, sono certamente un punto di riferimento importante.

    Nello specifico, voglio ricordare che queste linee guida a cui faceva riferimento il consigliere sono linee guida che vengono rivolte al perito in ambito forense. Torno qui a dire che i contenuti sono certamente contenuti di qualità, espressi da società scientifiche importanti, quindi sono certamente un punto di riferimento anche per chi non fa attività forense. Però, queste sono linee guida nazionali. Sono del 2010, quindi non c’era ancora la legge Gelli, per cui le chiamavano linee guida, e ci sta. Non è che dicessero il falso. Però, queste sono linee guida, punto di riferimento, rivolte espressamente al perito, all’esperto forense, quando decide se un minore è in grado di testimoniare e se la sua testimonianza è valida. Lo ripeto, i contenuti sono ripresi anche nella Carta di Noto e sono certamente frutto di un lavoro scientifico, tant’è che la Carta di Noto viene richiamata anche nelle nostre linee di indirizzo.

    Sul fatto che ci siano dei pubblici e dei privati, non lo condivido, perché queste società italiane sono società chiaramente di professionisti. Poi al CISMAI, dato che dopo ci sarà l’audizione, chiederete. Ma non è che queste siano linee guida validate da un livello nazionale. Detto questo, sono certamente un punto di riferimento importante, meno cogente sicuramente delle linee guida validate a livello nazionale.

    Questo ci tenevo a dirlo.

    Rispetto, invece, al tema delle garanzie del minore, dico solo che, rispetto al fatto che la maggioranza degli affidi non sia non consensuale, in Regione Emilia-Romagna si tiene conto del fatto di tenere i rapporti con la famiglia e di tenere un clima familiare, proprio perché si cerca, come dicevo prima, di fare affidi il più possibile condivisi, in un momento di difficoltà della famiglia originaria, all’unico scopo di supportare la famiglia, affinché il bambino poi rientri in famiglia.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego.

     

    Dott. PASSARINI. Anch’io tento di integrare la risposta ai quesiti.

    Mi sono limitato, nel mio precedente intervento, a dare per sommissimi capi un quadro costituzionale delle competenze. Dopodiché, immagino che questa Commissione audirà dei giuristi, che fanno questo di mestiere, che potranno, nel caso, essere sentiti rispetto anche ai cenni a cui ho fatto riferimento, che miravano sostanzialmente a mettere in rilievo il principio di leale collaborazione.

    Tanto più sono importanti le risultanze di un’operazione di codefinizione dei princìpi e delle linee di indirizzo, tanto più sono condivise. Non a caso i nostri atti, quelli che possono avere un impatto sull’organizzazione degli Enti locali, passano per la Conferenza delle Autonomie locali, anch’esso organo costituzionalmente previsto. Quindi, è la Costituzione che prevede che ci sia questa sorta di collaborazione sulla scorta del principio di leale collaborazione anche tra un’Istituzione, come la Regione, che ha potestà legislativa in determinati ambiti e i soggetti che si trovano a dover applicare le norme o le linee di indirizzo che la Regione approva.

    Dicevo prima che tutte queste norme di indirizzo, penso in particolare alla DGR n. 1904 sull’affidamento familiare e l’accoglienza in comunità, ribadiscono che l’allontanamento deve essere un’extrema ratio e ribadiscono anche, come mi pare abbia affermato ieri la presidente dell’Ordine degli assistenti sociali, che va ricercato il recupero delle potenzialità genitoriali in capo alla famiglia primigenia. Su questo mi piacerebbe dire qualcosa (lo farò fra poco) rispetto anche ad alcune iniziative seminariali formative che la Regione ha condotto in questi anni.

    Quanto alle linee guida, condivido quello che ha detto poco fa la collega. Dal versante sociale – la dottoressa Ferri ha parlato perlopiù dal versante sanitario – da pubblico funzionario tendo ad avere come snodo principale le linee guida emanate da pubblica autorità. Poi, ovviamente, confermo tutto quanto detto rispetto al fatto che anche le linee guida emanate dalla comunità scientifica sono importanti. Tuttavia, io tendo a privilegiare, come primo punto di riferimento, le linee guida emanate dall’autorità nazionale.

    Ebbene, in campo sociale sono tre sostanzialmente le linee guida di riferimento, emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (o del welfare, che dir si voglia) anch’esse costruite con un poderoso e lungo lavoro di concertazione con il livello regionale e con il livello degli Enti locali, perché sono tutte linee guida che passano attraverso un momento di condivisione nelle Conferenze interistituzionali (Conferenza delle Regioni, Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Unificata).

    Quali sono queste linee guida che costituiscono il punto di riferimento? Sono le linee di indirizzo per l’affidamento familiare, che risalgono al 2012, le linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni, che sono recenti, risalgono al 2017, e le linee di indirizzo per l’intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità, che risalgono anch’esse al 2017, che derivano dalla lunga esperienza del progetto “PIPPI”, di cui, se me lo consentite e se lo ritenete opportuno, vorrei parlarvi un momento senza rubare troppo tempo, ovviamente.

    Rispetto al sommario inquadramento che ho fatto prima, credo che valga la pena approfondire un po’ l’intreccio tra normativa nazionale e nostre linee di indirizzo, soprattutto per dare un senso ai dati che abbiamo letto prima, cioè le modalità dell’affidamento familiare, se consensuale o giudiziale, anche per dare un riscontro al riferimento che faceva mi pare il consigliere Facci rispetto al tema LGBT.

    Dicevamo dell’affidamento parentale a familiari entro il quarto grado che avviene in forma libera, con il consenso delle parti. L’affidamento familiare entro il quarto grado può avvenire senza necessità di un provvedimento scritto. Deve essere invece formalizzato attraverso un atto amministrativo formalmente assunto l’affidamento familiare nei due casi, consensuale e giudiziale. Se è consensuale, il provvedimento amministrativo che viene redatto dai servizi sociali va inviato al giudice tutelare per richiedere il visto di esecutività. Quindi, anche se c’è il consenso scritto della famiglia rispetto all’affidamento consensuale, va comunque formalizzato questo atto e va comunque richiesta la esecutività, la convalida da parte del giudice tutelare. Qual è la peculiarità in questo caso derivante dalla prassi giudiziaria? È che tale validazione da parte del giudice tutelare viene emessa ex post, cioè prima che in assunto il provvedimento relativo all’affido consensuale, poi viene mandato il giudice tutelare e lui lo convalida. Quindi, è un consenso ex post che l’organismo deputato della magistratura rende. È ex post nel senso che nel frattempo è avvenuto l’affidamento consensuale, il minore è stato affidato.

    Nel caso di affidamento giudiziale l’atto amministrativo del servizio sociale viene reso dopo il provvedimento dell’autorità giudiziaria competente, quindi il Tribunale per i minorenni sostanzialmente. Anche qui c’è poi un tema di prassi giudiziaria. Il Tribunale dei minorenni o il Tribunale ordinario nel caso che riguardi la separazione dei coniugi dispone il collocamento eterofamiliare. C’è un provvedimento del giudice competente che dispone il collocamento al di fuori della famiglia, delegando poi il servizio sociale all’individuazione della risorsa; risorsa accogliente che può essere una famiglia, che deve aver superato un percorso di informazione e formazione di cui se volete, se c’è tempo, possiamo anche parlare, oppure il collocamento in comunità. Rispetto al tema affidamento a chi può essere disposto, la norma 184, poi ripresa pari-pari anche dalle nostre normative regionali, prevede l’affidamento a coppie preferibilmente con figli, a single e a coppie di fatto, posto che costoro debbano aver superato un percorso di preparazione. C’è poi una sentenza della Cassazione civile, I Sezione del 2013, che ha esteso il concetto di nucleo familiare ricomprendendo anche le coppie costituite da persone dello stesso sesso ritenendo prevalente la Cassazione (non io perché non ho tale autorevolezza) il legame affettivo sul modello classico di nucleo familiare, di famiglia.

    In tal senso ha implicitamente chiarito che anche una coppia di fatto eterosessuale può essere una legittima risorsa affidataria. Quindi, estendendo il concetto oltre la famiglia tradizionale i giuristi ritengono, la dottrina ritiene che si sia esteso anche alle coppie di fatto. Questo per quanto io posso dare in risposta alla sollecitazione del consigliere Facci. Tanto è importante il principio di tentativo di recupero delle risorse della famiglia d’origine, ma ancor prima è importante l’attività di prevenzione dell’allontanamento, perché quando siamo all’allontanamento che l’esito sia l’affido o che l’esito sia la comunità siamo già in una situazione in parte compromessa, recuperabile, ma in parte compromessa.

    La prevenzione dell’allontanamento è la linea su cui in particolare la Regione ha lavorato in termini di seminari e di formazione. Ricordo la 184, che vado a pescare qua. Siamo ancora nell’articolo 1. La legge n. 184 è la legge “Diritto del minore a una famiglia” che prevede anche norme sull’affidamento e l’adozione, ovviamente. Questa legge dice che lo Stato, le Regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia nei limiti delle risorse finanziarie, i nuclei familiare a rischio e promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione, sostegno dell’attività delle comunità di tipo familiare; organizzano corsi di preparazione e aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione i minori.

    Da una parte si mettono in qualche modo sullo stesso piano, chiamati a una corresponsabilità effettiva, i diversi livelli istituzionali (lo Stato, le Regioni e gli enti locali). È introdotta questa clausola, che ormai conosciamo in tutte le nostre norme, che dice nella rispettiva autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili. In questo senso, per la propria parte, la Regione ha, nel corso degli anni, proposto e realizzato svariate iniziative di formazione. Ne cito alcune, poi se vorrete potremo anche fare un elenco dettagliato e approfondito. Intanto, anche recentemente in convenzione e collaborazione con l’Università di Bologna, Istituto delle scienze giuridiche, abbiamo il corso di alta formazione per esperti giuridici in materia di infanzia e adolescenza. Questa è una figura prevista dalla legge n. 14 in cui si parla anche della necessità di garantire la formazione. In verità, un primo corso di formazione per questa figura fu realizzato dalla Regione prima ancora dell’approvazione nel 2008 della legge n. 14. Però, a distanza di quasi un decennio, la Regione ha ritenuto di avvalersi del soggetto forse più preparato che abbiamo nella nostra Regione, cioè la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna – adesso non ci sono più Facoltà, chiamiamola scuola o come volete – per organizzare un corso di alta formazione. L’obiettivo è quello di dotare ogni distretto di una figura giuridica adeguatamente preparata nello specifico del diritto minorile per assistere le assistenti sociali che in prima linea si trovano a trattare problematiche di estrema delicatezza e complessità, avendo loro avuto una formazione più forte sul versante sociale che non sul versante giuridico. Sono stati fatti corsi di formazione per le assistenti sociali nel 2008, anno di approvazione della legge. Con la Fondazione Alma Mater la Regione ha organizzato il corso di formazione “Il lavoro sociale nel settore dell’infanzia e della famiglia”, un calendario molto cospicuo, di una decina di incontri, con interventi di docenti universitari o di ex presidenti di tribunali per i minorenni, di sicuro a livello nazionale.

    Ci sono state anche iniziative più brevi, ma più ricorrenti, seminariali, che hanno riguardato giornate di formazione relative a bambini, adolescenti e famiglie al centro del lavoro di équipe. Vi cito solo i titoli, perché non voglio rubare tempo, ma ci sono i programmi di questi corsi. Questo nel 2016. Nel 2015 “Lavorare in gruppo con genitori e bambini”; nel 2014 un seminario nell’ambito del progetto PIPPI, di cui se c’è tempo vorrei parlarvi, una giornata propedeutica alla formazione dell’équipe multidisciplinare; ancora nel 2014, sempre in attuazione del programma di intervento PIPPI, che è un acronimo che sta per “prevenzione dell’istituzionalizzazione”, il coinvolgimento dei diversi soggetti nel modello di intervento. I diversi soggetti hanno al centro, appunto, la famiglia, la famiglia cosiddetta “negligente”, intesa come una risorsa su cui lavorare per prevenire l’allontanamento.

    In alcune circostanze, si sono affiancati seminari di conoscenza di approcci diversi. Pensiamo, per esempio, all’approccio del family group conference, ancora un approccio che mette al centro la famiglia come risorsa, non con promessa “per sempre”, ma su cui investire. È uno dei modelli di presa di decisione familiare per favorire la diretta partecipazione della famiglia alla soluzione dei problemi che si trova ad affrontare. Questo è un modello che nasce in altre culture (Stati Uniti d’America, Nuova Zelanda). Ancora, il tema dell’approccio dialogico, che muove da esperienze originatesi in Finlandia. L’obiettivo è sperimentare soluzioni organizzative e professionali capaci di superare l’approccio burocratico.

    Non vi porto via ulteriore tempo. Se volete, possiamo approfondire tutti questi approcci. Quello che mi premeva sottolineare è la scelta della Regione di non privilegiare impostazioni monotematiche, ma di mettere a confronto approcci diversi con al centro proprio gli approcci che vedono nel coinvolgimento della famiglia momentaneamente in difficoltà lo snodo centrale delle politiche di prevenzione dell’allontanamento.

    Mi fermo qui, per il momento.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottor Passarini.

    Proseguo non con i nomi che si sono prenotati adesso, ma con quelli che registro su carta in base al vecchio ordine di prenotazione, visto che, come sapete, ogni volta che interrompiamo questo elenco si cancella.

    Io ho i consiglieri Piccinini, Pompignoli, Callori, Tagliaferri, Calvano e Prodi. Non c’è, quindi, necessità di iscriversi nuovamente. Garantisco questo ordine. C’è qualcuno che non ho citato e che vuole aggiungersi? Il consigliere Bertani, per esempio. Benissimo.

    Prego, consigliera Piccinini.

    A seguire, il consigliere Pompignoli.

     

    Consigliera Silvia PICCININI. Grazie, presidente. Ringrazio la dottoressa Ferri e il dottor Passarini.

    Vorrei ritornare sul tema del sistema informativo regionale. Sappiamo che uno dei problemi della Val d’Enza è stato il mancato controllo ‒ se così lo vogliamo chiamare ‒ dell’operato degli assistenti sociali, soprattutto dai livelli istituzionali superiori. Posto che, dal mio punto di vista, l’attuazione alla lettera o meno dei protocolli, un approccio piuttosto che un altro davanti a degli illeciti hanno il peso che hanno, la rilevanza che hanno, quello che, però, sappiamo è che, come Regione, noi abbiamo accesso ad alcune banche dati. Una è quella sui servizi sociali e un’altra è quella sulla neuropsichiatria infantile.

    La domanda l’ho già posta in altre occasioni. Intanto, mi piacerebbe capire se queste banche dati sono popolate anche dall’Unione dei Comuni, quindi anche dall’Unione dei Comuni della Val d’Enza. Come Regione, credo che da qui in qualche modo si debba partire e che queste possano essere fonti utili anche per fare monitoraggi del fenomeno sui maltrattamenti e fare approfondimenti ad hoc, per esempio per capire anche l’attuazione rispetto alle raccomandazioni che sono contenute nella famosa delibera di Giunta n. 1677 sulle linee di indirizzo, in cui, per esempio, si dice che è necessario sostenere la famiglia d’origine, in cui si dice che devono essere individuate figure genitoriali sostitutive solo in caso non sia possibile recuperare quelle naturali oppure ‒ prendo la dicitura originale ‒ in cui, per esempio, ossia quello che, stando all’indagine, sembra non sia stato fatto in Val d’Enza, si dice che è importante che venga raccolto il racconto spontaneo del minore documentandolo nel modo più corretto e testuale possibile, evitando l’induzione positiva o negativa, ponendosi il problema di non rivittimizzare il minore, evitando in particolare la richiesta di reiterare il racconto dei fatti.

    Quello che mi chiedo è se da queste banche dati, visti i numeri della Val d’Enza, che sono sotto gli occhi di tutti, non sia possibile ‒ parliamo della Val d’Enza in questo caso, ma il discorso vale in generale ‒ in qualche modo rilevare situazioni anomale e lì fare approfondimenti specifici, per esempio su tutte le raccomandazioni, che sono anche giuste. L’ultima che ho letto è sicuramente molto giusta. Bisognerebbe verificare se sono raccomandazioni applicate nella realtà oppure no. Nel caso della Val d’Enza, per esempio, l’ultima specifica raccomandazione che ho letto, evidentemente, stando all’indagine, non è stata applicata. Lì, ripeto, parliamo evidentemente di illeciti.

    Siccome il nostro compito è anche capire e soprattutto valutare, come Regione, quali strumenti mettere in campo per evitare che fenomeni di questo tipo si ripetano, mi chiedo se, partendo dalle banche dati, a cui come Regione abbiamo accesso, sia possibile in qualche modo rilevare determinate anomalie o presunte anomalie su cui poter fare approfondimenti per evitare situazioni come quelle che si sono verificate in Val d’Enza. Ripeto: lì ci sono, evidentemente, degli illeciti, ancora tutti da verificare sicuramente, però sarebbe opportuno, secondo me, come Regione, mettere in campo tutti gli strumenti che ci permettano di evitare storture di quel tipo.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Piccinini.

    Prego, collega Pompignoli.

     

    Consigliere Massimiliano POMPIGNOLI. Grazie, presidente.

    Sarò telegrafico. Vorrei ritornare sui numeri che sono stati dati in precedenza e ripetuti anche dal consigliere Taruffi sul 2017. 2.970 sono i minori affidati, sia volontariamente sia giudizialmente, in Emilia-Romagna. Faccio questa domanda: di questi 2.970 minori, quanti sono stati “restituiti” alla famiglia di origine? Se esiste, visto che si parla di temporaneità, cioè il criterio base è quello di affidarli temporaneamente vuoi al parente entro il quarto grado, vuoi a una famiglia diversa da quella di origine, vuoi quelli giudiziari, qual è il tempo medio in cui ‒ se avete questo dato, ovviamente ‒ il minore trascorre il tempo affidato fuori dalla famiglia di origine. Sono dati, secondo me, rispetto a quelli che sono stati richiesti in precedenza, importanti per capire se il sistema degli affidi in Regione Emilia-Romagna è un sistema celere nel dare l’impronta principale, cioè la temporaneità dell’affido, se cioè è celere nel cercare, nel tempo più stretto possibile, di far ritornare il figlio, il minore, presso la famiglia d’origine, ove sia possibile farlo ritornare, ovviamente.

    Queste le due domande per le quali vorrei la risposta.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Pompignoli.

    Visto che ho diversi iscritti e che vi sono domande abbastanza puntuali, darei la parola anche al collega Callori.

     

    Consigliere Fabio CALLORI. Grazie, presidente e grazie anche al dottor Passarini e alla dottoressa Ferri.

    Alcune considerazioni. Non mi trovo d’accordo su alcune cose che avete accennato: innanzitutto quando si parla di modello organizzativo, vorrei ritornare su quello. Prima il consigliere Taruffi ci ha reso edotti di come funziona il sistema sociosanitario provinciale; però da quello che sento da voi tecnici, state ribaltando il problema, come io dissi nella prima audizione, sugli enti locali.

    L’ente locale è vero che è l’ultimo anello. Però se l’ente locale ha delle linee di indirizzo chiare dai livelli superiori, agisce in un certo modo. Se la maglia è larga, dove c’è discrezionalità allora è chiaro che l’ente locale si muove in modo discrezionale. Questo è inevitabile. Anche perché, nelle linee di indirizzo del 2014 si dice chiaramente, nei primi punti, che “per garantire l’uniformità dei percorsi, le Conferenze territoriali sociali sanitarie promuovono gli accordi interistituzionali per la realizzazione degli interventi sociosanitari”. Quindi, si parla di “uniformità di percorsi”. Sempre nei primi punti, poi, si parla nel dettaglio di cosa definire in questi percorsi. Quindi, come capite, la norma è chiara; deve essere applicata. Ma soprattutto, io sono poco interessato al confronto fra Stati, fra Regioni. A me interessa un dato della Regione Emilia-Romagna, perché è qui che dobbiamo focalizzare: mi hanno fatto avere una tabella, dove si parla degli affidamenti in generale, non suddivisi. Il dato dal 2014 al 2017 è molto vario, nelle varie province, soprattutto anche a fronte di questa norma, che è di prima del 2014.

    A Bologna nel 2014 siamo al 2,2 per cento di minori affidati. Arriviamo al 2017 al 2,3. Forlì-Cesena: nel 2014 siamo al 3,2, nel 2017 al 3,3. Li leggo per dimostrare l’omogeneità e la disomogeneità dei dati. A Ferrara dall’1,6 del 2014 andiamo al 2 del 2017. A Modena abbiamo il 2,9 nel 2014 e andiamo all’1,8 nel 2017. Piacenza, che è al 2,8 nel 2014, arriva al 3,4 nel 2017.  Parma, che nel 2014 è a 1,4, nel 2017 è all’1,4 per cento. Ravenna, che è all’1,7 per cento nel 2014, è all’1,7 nel 2017. A Reggio Emilia, dal 5 per cento nel 2014 arriva al 5,2 nel 2017. Rimini, 4,4 nel 2014; 5,1 nel 2017.

    Ora, se c’è una verifica, un controllo, la norma è del 2014 e questi dati vanno dal 2014 al 2017 perché nessuno ha controllato? Oppure, se ha controllato, come mai non gli è balzato all’occhio questo dato anomalo?

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Do la parola al dottor Passarini o alla dottoressa Ferri per un altro giro di risposte.

    Seguiranno i colleghi Tagliaferri e Calvano.

     

    Dott.ssa FERRI. Grazie, presidente.

    Rispetto alla richiesta della consigliera Piccinini, sul tema del sistema informativo, io parlo per la parte sanitaria. Per la parte sanitaria abbiamo il sistema informativo, SINPIAER, che è quello delle neuropsichiatrie dell’infanzia e dell’adolescenza, che naturalmente tracciano i minorenni in carico alla neuropsichiatria infantile, quindi non tracciano necessariamente tutti i minorenni che hanno avuto… Potrebbe esserci, per assurdo, un minorenne che ha avuto un maltrattamento. Si fa una valutazione e si ritiene che non debba essere preso in carico. Comunque, i numeri li abbiamo e ci dimostrano sostanzialmente… Lei ha fatto anche un accesso agli atti che oggi pomeriggio le è stato spedito. Come vedrà, il dato è tutto sommato abbastanza stabile con un incremento lieve. Rispondendo però alla sua domanda, da questi dati noi evinciamo quello che le sto dicendo, cioè, il numero dei bambini che sono seguiti dalla neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza per abuso o maltrattamento, e per tutte le varie cause. Non andiamo in un dettaglio tale da poter dire che nel distretto… Anche perché a noi arrivano dati aggregati per Azienda sanitaria, non abbiamo un’analisi per distretto. Poi, se si dovesse verificare che è necessario, si può fare, però non sono dati da cui noi possiamo avere dei campanelli di allarme particolarmente forti. Certo – faccio un inciso in generale sulla neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza –, come abbiamo discusso molte volte in Commissione IV, è uno di quei servizi per i quali l’incremento numerico dei bambini assistiti negli ultimi sette anni è stato del 50 per cento. Abbiamo un segnale di incremento fortissimo di richiesta di trattamento per vari motivi, e certamente abbiamo un incremento notevole di richiesta per minorenni con problemi psicopatologici.

    Su questo stiamo lavorando. Abbiamo già un programma specifico che ho anche presentato in Commissione IV, per trattare in maniera… Le neuropsichiatrie infantili si stanno attrezzando per trattare in modo più efficace e competente la psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, trattandosi di servizi storicamente nati invece per il trattamento della disabilità. Da questo punto di vista i dati a noi servono molto per capire dove orientarci. Se cioè noi vediamo che incrementiamo molto, percentualmente, il numero dei minorenni che accedono per problemi psicopatologici, mettiamo in atto un’organizzazione che aiuti a trattare questi temi. Però nello specifico, secondo me questi dati ci aiutano fino a un certo punto.

    Quanto al modello organizzativo di cui diceva il consigliere Callori, sul tema del monitoraggio degli accordi interistituzionali, questo monitoraggio c’è, è stato fatto, sono stati raccolti tutti gli accordi della Conferenza sociale sanitaria. Come ho detto anche all’inizio, l’accordo vigente a Reggio Emilia ha tutti i crismi della 1677: ha l’équipe, ha le modalità con cui arriva addirittura a dire – adesso è in fase di rielaborazione, perché sapete che Reggio Emilia è diventata un’unica azienda sanitaria con Santa Maria Nuova, prima erano due aziende sanitarie. La stanno rifacendo, quindi, per riverificare tutti i protocolli che sono estremamente puntuali: chi deve chiamare, a che ora, come, se c’è un caso di abuso, se arriva un bambino con un sospetto abuso in pronto soccorso. Faccio questo esempio per dire che questi sono protocolli molto puntuali. Da questo punto di vista noi li abbiamo visti, recepiti e discussi assieme ai territori. Posso dire che il monitoraggio c’è stato e ha dato l’esito che ci aspettavamo, cioè che i territori si sono attivati.

    Quanto ai modelli organizzativi diversi, come diceva anche il consigliere Taruffi, proprio stamattina io incontravo i direttori della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Abbiamo ovviamente parlato anche di questo tema che è all’ordine del giorno. Ci sono alcuni distretti e alcuni territori, in cui l’Azienda sanitaria ha ancora la delega, perché l’ente locale non l’ha ritirata. Quindi, ad esempio, nel distretto di Rimini c’è una modalità organizzativa che è molto diversa, perché gli assistenti sociali rispondono all’Azienda sanitaria e non all’ente locale. Questo ha pregi e difetti, però in questo, indubbiamente, si può sostanziare un diverso modello organizzativo, ma non sul fatto che le conferenze sociali sanitarie non abbiano fatto gli accordi.

     

    Dott. PASSARINI. Anch’io do qualche risposta. Con riguardo per esempio all’intervento della consigliera Piccinini su banche dati e chi le popola: nell’ambito del sociale, la banca dati, che riguarda i minori, è quella costituita dal SISAM, Sistema informativo minori, sostanzialmente. Chi popola le banche-dati sono gli enti territoriali, sono gli enti locali, quindi Comuni, Unioni, a seconda di dove hanno deciso di tenere o collocare la delega con questo riguardo.

    Sono banche dati che vengono popolate con una certa difficoltà rispetto a tempi certi, e dirò anche perché, dal mio punto di vista, e che riguardano sostanzialmente dati numerici. Quindi i dati qualitativi non vengono rilevati attraverso queste banche-dati. Nell’ambito del sociale, dati qualitativi li possiamo riscontrare nei report di monitoraggio del Piano sociale e sanitario, report che per la prima volta è stato fatto quest’anno ed è anche stato presentato subito prima dell’estate in Commissione IV. Come sapete, il Piano sociale e sanitario regionale è affiancato da 39 schede puntuali sulle diverse tematiche. Da quella lettura possiamo trarre qualche elemento in più, sapendo che delle complessive priorità che la Regione assegna c’è ampia facoltà dei territori, proprio perché il Piano sociale sanitario regionale prevede che sui territori si conosca meglio la necessità territoriale, quindi si individuano le priorità, e quindi ciascun territorio può legittimamente sottolineare maggiormente questa o quella priorità a seconda della lettura locale che viene fatta dei bisogni preminenti.

    Dal punto di vista qualitativo, quindi, quel report che è questo poderoso volumone presentato in IV Commissione, per la prima volta dopo anni in cui il report dei servizi territoriali era meramente una rendicontazione pressoché quasi contabile con utilizzo delle risorse rispetto alle macro voci, adesso si è arricchito. È una prima lettura, quella che facciamo quest’anno. Credo che nel corso degli anni potremo ulteriormente approfondire anche questo aspetto.

    Sempre sulle banche-dati, il tema è oggetto di raccomandazione precisa sia delle associazioni, che puntualmente verificano nei diversi Paesi, con anche focus regionali, l’applicazione della CRC, la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, sia, molto recentemente, da parte del Garante nazionale infanzia e adolescenza. Non so se avete acquisito in Commissione questa raccomandazione molto cospicua emessa alla fine di luglio, che muove evidentemente anche da una lettura dei fatti della Val d’Enza.

    Si apre con una dichiarazione che fa riferimento generale a fatti assurti all’onore della cronaca negli ultimi mesi, quindi, certamente, essendo datata 29 luglio, tiene conto anche di quell’inchiesta. Tra le molte indicazioni – mi sentirei caldamente di raccomandarne,  prima di tutto a me stesso, la lettura e la rilettura – individua la necessità di istituire un sistema informativo unitario che contenga una banca-dati dei minorenni privi di ambiente familiare, basata su indicatori uniformi o comuni a tutto il territorio nazionale per monitorare il numero e le caratteristiche dei minorenni fuori famiglia, le tipologie del percorso di accoglienza, i tempi e le modalità di uscita dallo stesso; una banca-dati sul numero e la tipologia delle strutture di accoglienza; una banca-dati degli affidatari. Quello che avviene oggi, cioè, è che alcune regioni hanno flussi informativi degni di questo nome, benché perfettibili, come nel nostro caso. Alcune regioni sostanzialmente non ce l’hanno. Nel nostro caso certamente c’è da lavorare sul perfezionamento di questi flussi informativi, ma dobbiamo farlo uniformandoci in una prospettiva

    nazionale, in modo da evitare che ciascuna Regione implementi sistemi di rilevazione non confrontabili fra di loro, perché allora anche la lettura dei fenomeni diventa più difficile. Parallelamente a questa raccomandazione, è approdata in Conferenza Unificata, anche questa recentissimamente, proposta che proviene dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che va in analoga direzione. Si tratta del sistema informativo dell’offerta dei servizi sociali (SIOS), che contiene al suo interno flussi che riguardano l’affido e il collocamento in comunità.

    La Regione Emilia-Romagna sta lavorando - speriamo di arrivarci entro la fine dell’anno - ad una migliore leggibilità di queste banche-dati, mettendo on line la possibilità della statistica self service, cioè implementando un open data, per così dire, che quindi renda anche maggiormente trasparenti, al di là ovviamente degli accessi agli atti piuttosto che dei report che periodicamente riusciamo a produrre, in modo che siano pienamente disponibili. È importante il raccordo, a livello nazionale, perché altrimenti continuiamo a produrre dati non comparabili.

    Il consigliere Pompignoli ha evidenziato quello che a mio avviso è l’aspetto più problematico e di maggiore insuccesso del sistema degli affidi e dell’accoglienza nel nostro Paese. Noi non abbiamo dati precisi su quanti escono e in quali tempi. Il dato di stock a cui faceva riferimento, dei 2.970, sono tutti i minori fuori famiglia al 31.12.2017, a quel giorno lì, 31 dicembre. Quanti e quando usciranno è un tema che richiede davvero un incremento della funzione degli enti locali di nutrimento delle banche-dati.

    C’è poco da girare intorno al problema. Qui significa investire di più e rendere maggiormente cogenti quei dati. Per rispondere alla sua domanda, posso dire che anche in Emilia-Romagna, come nel resto d’Italia, la previsione normativa che l’affido dovrebbe durare 24 mesi si scontra col provvedimento della giustizia amministrativa che poi proroga di altri 24 mesi, o sine die, il provvedimento di affidamento.

    Ci sono anche casi che rientrano in famiglia, ma ci sono anche casi in cui l’affidamento familiare non ha risolto, e quindi il minore passa dall’affidamento alla comunità. Su questo non abbiamo dati sufficienti, il che significa che a livello nazionale come a livello regionale, come a livello degli enti locali, occorre investire maggiormente in figure dedicate alla puntuale immissione dei dati nei sistemi informativi. Qual è la difficoltà per come la percepisco io dal mio punto di osservazione e anche di contatto con i servizi sociali territoriali? La difficoltà è che abbiamo approvato – avete approvato, chi c’era allora – una legge molto ambiziosa, che è un unicum in Italia, la legge n. 14 del 2008. Si veniva da oltre mezzo secolo di crescita economica quasi ininterrotta, dunque anche i bilanci degli enti locali consentivano un’adeguata dotazione di personale, ma contemporaneamente in quell’istante eravamo alla vigilia della più grave crisi economica del mondo occidentale dal dopoguerra ad oggi. Dunque, i bilanci degli anni successivi degli Enti locali sono stati compromessi da tagli a tutti i livelli e da dieci anni di blocco delle assunzioni.

    Ci sono diverse cose che voi e noi potremmo mettere in campo per potenziare il sistema non solo sulla parte rilevazione dati, certamente, ma anche sulle dotazioni dei servizi sociali, piuttosto che sulle dotazioni organiche dei tribunali per i minorenni. Del resto, questo è l’altro corno del problema. Io ricordo, quando il presidente Spadaro giunse a Bologna qualche anno fa, che la prima dichiarazione fu di stupefacente presa d’atto della carenza di giudici togati presso il Tribunale per i minorenni di Bologna, competente per tutta l’Emilia-Romagna.

    La mia percezione, che lascio alle vostre valutazioni, è che noi possiamo perfezionare le direttive regionali. Ciò non ci salva forse da condotte eventualmente fuori dalla legge, come citava la consigliera Piccinini prima, cioè laddove si evidenzi un comportamento scorretto di un operatore sociale, e questo starà ovviamente alla magistratura accertarlo (devo fare necessariamente tutti i riferimenti alla presunzione di innocenza e quant’altro), però evidentemente se c’è un’indagine così cospicua della Magistratura che ha condotto a provvedimenti limitativi della libertà io immagino che ci sia un apparato di fatti in possesso della Magistratura, perché altrimenti non avrebbero prodotto elementi limitativi della libertà personale, bene se c’è un comportamento scorretto mi puoi falsare una relazione, mi puoi falsare anche il dato che mi comunichi.

    Allora si tratta, a mio avviso, di capire come perfezionare dal punto di vista regionale la cogenza di alcune previsioni, dal punto di vista della norma nazionale come migliorare una normativa che risale a un po’ di anni fa, penso all’articolo 403 del Codice civile, piuttosto che al procedimento presso il Tribunale minorile, che forse non è ancora stato investito da quella rivoluzione che è stata il giusto processo nei procedimenti ordinari. Anche questo è un auspicio che esprime il garante nazionale, e cioè i procedimenti inaudita altera parte forse sono il residuo di una visione che andrebbe aggiornata.

    L’articolo 403 (poi mi fermo, perché tendo un po’ ad allargarmi nelle risposte, e mi scuso) è centralissimo nella discussione che stiamo facendo, ed è centralissimo perché è l’articolo sulla base del quale chi ha una pubblica autorità, che in genere può essere l’assistente sociale, ma può essere anche l’operatore del pronto soccorso, piuttosto che l’agente di polizia che trova nottetempo un minore in situazione di pregiudizio, dispone l’allontanamento, e dispone l’allontanamento, come dicevo prima, dovendo però comunicare poi all’autorità giudiziaria questa disposizione.

    Come sapete, il Codice civile risale agli anni Quaranta e faccio anche fatica a pensare – non che non possa essere utile – che ciascuna normazione regionale in qualche modo limiti o delimiti l’applicazione dell’articolo 403, nel senso che non vorrei trovarmi a venti normative regionali che esprimono venti modi diversi di esecuzione di una norma che è del Codice civile. Insomma, da una parte la Regione è titolare della potestà legislativa sul sociale, dall’altra parte qui impattiamo con una norma civilistica. Quindi, secondo me – lo dico mestamente, non avendo la verità in tasca – non possiamo pensare di articolarne l’applicazione in maniera fortemente diversa sulla base di norme regionali.

    Io perlomeno conosco un progetto di legge depositato in Parlamento – forse ce ne sono anche altri – che parla di un’ipotesi di aggiornamento di quell’articolo per rendere più cogenti i tempi di notifica. Avevo sottomano anche il progetto di legge, ma adesso non lo trovo. Tra i firmatari mi pare ci sia Bonafede. Io non conosco la bontà di quel progetto di legge, magari ce ne sono altri che mi sfuggono, rilevo che il solo fatto che sia depositato un progetto di legge fa sì che si debba concentrare l’attenzione su quell’argomento, perché altrimenti vie di uscita localistico-regionali rischiano di aggravare, anziché migliorare, l’applicazione di una misura, che deve essere prevista perché ci sono i casi d’urgenza in cui occorre allontanare immediatamente il minore per non pregiudicarne la salute, con tutte le caratteristiche della necessità e dell’urgenza conclamata.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego.

     

    Dott.ssa FERRI. Grazie.

    Avevo dimenticato una risposta al consigliere Callori, che mi citava i dati. È vero che, guardando i dati che ci ha esposto, esistono difformità e diversi orientamenti nelle varie zone. Possiamo vedere questo, sicuramente. Però, se poi andiamo a fare un’analisi, che è quella che vi ho proposto all’inizio, rispetto alle tipologie degli affidi, vediamo che ci sono due territori che, come lei ha notato, hanno una percentuale elevata di affidi nel loro complesso, che sono Reggio Emilia e Piacenza. Però, andando a vedere la…

     

    (interruzione del consigliere Callori)

     

    Dott.ssa FERRI. Come?

     

    (interruzione del consigliere Callori)

     

    Dott.ssa FERRI. E anche Rimini. Però, adesso lei sta guardando la percentuale sul totale dei ragazzini assistiti. Io, invece, adesso sto guardando il tasso su mille minori. Lei, quando ha citato i dati, ha preso la colonna che dice “percentuale di minori in affidamento sul totale dei minori in carico ai servizi sociali”, ma questo ci dice quanti sono in affido su quell’incarico ai servizi sociali. Invece, il dato più confrontabile è alla colonna successiva, quando io vado a vedere i minori in affidamento per mille minorenni residenti, perché da un anno all’altro può essere che aumentino. Quello è il dato confrontabile. Del resto, se il mio confronto è sul numero dei bambini in carico, può essere che…

     

    (interruzione del consigliere Callori)

     

    Dott.ssa FERRI. No, no. Chiedo scusa…

     

    (interruzione del consigliere Callori)

     

    Dott.ssa FERRI. Guardi che anche quel dato non è mica tanto dissimile. Le disomogeneità vengono fuori bene anche lì. Se lei vede, Piacenza ha un 4,6 ed era un 4,1, quindi è in crescita. Sto guardando la tabella a cui si riferiva lei, però lei leggeva la percentuale sui minori in carico ai servizi sociali. Ecco, questo è un dato che può essere influenzato da vari fattori. Invece, il tasso è quello: Piacenza da 4,1 a 4,6, Reggio Emilia da 3,6 a 4,3, Rimini ce l’ha più basso. Ma se noi andiamo a guardare dentro a questo e facciamo…

     

    (interruzione del consigliere Callori)

     

    Dott.ssa FERRI. Per mille, chiedo scusa.

    Se noi andiamo a vedere la composizione di questi affidi, la parte di affido non consensuale, quindi giudiziale e a tempo pieno, non differisce tanto tra i vari territori. Ciò che fa la differenza è la propensione del territorio a utilizzare l’affido come strumento consensuale, anche a tempo parziale, come vi dicevo. La provincia che in questo senso fa più affidi di questo tipo è la provincia di Piacenza, seguita da quella di Reggio Emilia. La provincia di Piacenza ha una colonna di affidamento familiare consensuale a tempo pieno che è la più alta di tutta la Regione. Ed è un buonissimo dato.

     

    (interruzione del consigliere Callori)

     

    Dott.ssa FERRI. Come, scusi?

     

    (interruzione del consigliere Callori)

     

    Dott.ssa FERRI. No, no. Io credo che sia successo qualcosa, assolutamente.

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Callori, facciamola finire. Poi interviene.

     

    Dott.ssa FERRI. Sto solo dicendo che dai dati che noi rileviamo non emerge un dato che ci abbia potuto, in Regione, portare ad un allarme. Anche un solo caso in cui è stato allontanato quando non doveva essere allontanato è certamente un problema. Io non sto assolutamente minimizzando. Dico solamente che i dati in nostro possesso ci dimostrano quello che le sto dicendo, cioè che Piacenza e Reggio Emilia hanno uno stile di lavoro per cui utilizzano molto l’affido. I dati che vediamo noi sono questi.

    Nella stessa Val d’Enza, facendo il focus più ristretto possibile, al di sotto del quale non andiamo, non abbiamo un livello per comune, rispetto agli affidi, i minori fuori famiglia al 31.12.2017 erano 64, di cui 47 in affido, di cui, però, con la tipologia affido familiare giudiziale a tempo pieno 17. Il dato negli ultimi due o tre anni è rimasto abbastanza stabile. Non sto negando il problema della Val d’Enza. Non mi permetterei mai. Sto dicendo che i dati in nostro possesso non ci dimostrano... Questo non vuol dire che vada tutto bene. Ci mancherebbe. Dipende dalla lente che uno utilizza per leggere i fenomeni.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Se è per precisare la domanda...

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Okay. Anche perché, in effetti, oggi ci sono stati forniti dati diversi rispetto a certe affermazioni che abbiamo sentito in quest’aula, in particolare da parte dei commissari nei giorni scorsi. Quindi, una precisazione ci sta.

    Prego. Se vuole, può precisare la sua domanda.

     

    Consigliere POMPIGNOLI. Mi è stato risposto, prima, alla domanda che avevo fatto, cioè se c’era la possibilità di capire quanti minori sono stati “restituiti” alla famiglia d’origine, che non c’è un dato. Non si riesce a capire il numero effettivo.

    Prendendo, ad esempio, il dato che ha fornito adesso la dottoressa, se nel 2014 erano 17 a Piacenza e nel 2017 sono sempre 17...

     

    (interruzione)

     

    Consigliere POMPIGNOLI. In Val d’Enza. Vuol dire che non è mutato questo dato. Poi si può cercare di capire...

     

    (interruzione)

     

    Consigliere POMPIGNOLI. Non è entrato e non è uscito. Non sappiamo se non è entrato e non è uscito. È questo che voglio capire. È difficile non sapere se un minore affidato nel 2014 alla comunità ‒ ipoteticamente prendiamo ad esempio questo caso ‒ nel 2017 è uscito dalla comunità. Mi sembra strano che questo dato non possa essere reso noto. Se sono sempre gli stessi, vuol dire che uno esce e uno entra. Ipoteticamente. È questo che non riesco a capire.

     

    Presidente BOSCHINI. Dal momento che ho la parola, dico una cosa. La Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza che ha presentato la sua relazione nel mese di gennaio 2018 ‒ lo dico perché tutti noi stiamo facendo, credo, tanto lavoro di lettura e di documentazione ‒ si è posta la sua stessa domanda e con grande difficoltà è arrivata a stabilire che nella media nazionale il 60 per cento dei bambini fuori famiglia sono al di sopra dei ventiquattro mesi, cioè hanno avuto un rinnovo per altri ventiquattro mesi o a tempo indeterminato di quella che dovrebbe essere la durata standard dell’affido, che per legge nazionale è una misura transitoria perché destinata al reinserimento familiare.

    Possiamo annotare insieme anche questo dato: seppure in maniera molto generica, una Commissione parlamentare non è riuscita ad andare oltre questo dato del 60 per cento, che comunque è un dato molto alto, che testimonia sicuramente che l’affido come strumento di reinserimento familiare ha alcuni limiti. Anche quello non è un dato esatto di flusso come vorremmo, però ci dice che nello stock, nella fotografia di quel momento il 60 per cento era fuori dalla famiglia da più di ventiquattro mesi, al di là di dell’ordinarietà della previsione.

    Non volevo sostituirmi ad alcuna risposta. Prego, dottoressa Ferri

     

    Dott.ssa FERRI. Il rilievo del consigliere Pompignoli, ovviamente, è molto centrato. Oltre ad avere il dato puntuale di stock, è interessante vedere i flussi, vedere quello che in medicina noi chiamiamo o “prevalenza”, cioè tutti quelli che ci sono in quel momento, o “incidenza”, cioè i nuovi casi.

    Noi abbiamo fatto questa rilevazione. Per Reggio Emilia, visto che è la provincia, se il numero dei minori in affidamento al 2017, tolti in questo caso, è una rilevazione che toglie i minori stranieri non accompagnati (era 400 il totale e diventa 391; cambia di poco), su questi i nuovi casi nell’anno 2017 erano 66. Se andiamo a vedere i nuovi casi con affido familiare giudiziale a tempo pieno, i nuovi casi erano 18 in tutta la provincia di Reggio Emilia. Questo ci fa capire che il turnover non è elevato. Questo è indubbiamente un dato. Ci fa anche dire, però, che non c’è un boom di nuovi casi con affido familiare giudiziale a tempo pieno, perché 18 in tutta la provincia... Se ci fosse un problema grosso sarebbero di più nel 2017. Giusto? Sono 18 casi. Questi dati ci dicono due cose.

     

    Presidente BOSCHINI. Questo nel 2018?

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Nel 2017. Perfetto.

    Continuo con l’elenco originario delle parole richieste.

    Prego, collega Tagliaferri.

    Si prepari, poi, il collega Calvano.

     

    Consigliere TAGLIAFERRI. Grazie, presidente.

    Prima di passare alle domande in merito al secondo livello, volevo fare una piccola puntualizzazione sempre riguardo alle dichiarazioni precedenti della dottoressa Ferri, quando diceva di non essere a conoscenza di sperimentazioni particolari. Il dottor Passarini diceva che i protocolli erano quelli inviati dalla Regione, quindi non vi erano protocolli difformi in Val d’Enza.

    Io ho davanti a me un convegno patrocinato dal Servizio sanitario regionale, dalla Regione Emilia-Romagna, dall’Unione Val d’Enza del 10 ottobre 2018 dal titolo “Rinascere dal trauma: il progetto “La Cura’”. Vi leggo solamente le prime due righe: “Presentazione. Dopo due anni l’Unione Val d’Enza raccoglie i risultati del progetto sperimentale ‘La Cura’ confrontandoli con le esperienze nazionali e internazionali. ‘La Cura’ è un servizio innovativo in cui i bimbi vittime di gravi traumi psicologici, quali violenza sessuale e maltrattamenti, vengono seguiti con psicoterapie specifiche e assistenza sociosanitaria competente, ma è anche un luogo, uno sguardo, un protocollo fuori dall’ordinario ‒ sottolineo: fuori dall’ordinario ‒ per affrontare, senza chiudere gli occhi e senza farsi sopraffare, le situazioni più complesse in tema di violenza sui minori”. Questa è la prima constatazione che mi tocca fare. Prima o poi qualcuno mi risponderà. Andrò avanti fino alla fine delle audizioni. Mi auguro che qualcuno mi sappia rispondere su questa benedetta sperimentazione.

    Passo al secondo livello. Ho preparato un elenco di domande, quindi potete non prendere appunti, perché ve lo consegnerò. Il dottor Masi, in una precedente audizione, ha testualmente asserito: “Il monitoraggio è consistito nella verifica che le singole ASL avessero applicato e avessero costruito i protocolli previsti e che i servizi sociali, i Comuni e le associazioni dei Comuni avessero applicato o meno le indicazioni di attivare il secondo livello oppure no. Il risultato è stato che, per quanto riguardava i protocolli delle ASL, alcuni ‒ la maggior parte ‒ li avevano fatti e altri li stavano facendo”. Concludevano: “Per quanto riguarda il secondo livello, sono arrivate le risposte ‒ che io ho qui ‒ in cui qualcuno diceva ‘sì, l’abbiamo fatto ed è così’, qualcuno diceva ‘no, non l’abbiamo fatto’ e qualcun altro diceva ‘l’abbiamo fatto, ma a modo nostro, in maniera piuttosto creativa’”. Ripeto: qualcun altro diceva “l’abbiamo fatto, ma a modo nostro, in maniera piuttosto creativa”. Lì ci siamo fermati perché il discorso era che ciascuno applicava quello che nella sua autonomia riteneva opportuno applicare. Non vi nascondo che mi ha colpito proprio molto l’asserzione secondo la quale, e lo ribadisco per la terza volta, qualcuno faceva a modo proprio in maniera piuttosto creativa. Deduco che eventuali applicazioni difformi o creative debbano essere comunque autorizzate da qualcuno.

    A tal proposito vorrei chiedervi, e vi elenco le domande: chi decide come declinare il secondo livello? Il secondo livello realizzato nel caso di specie a Reggio Emilia può essere considerato aderente alle raccomandazioni regionali o rientra nella fatidica categoria del fatto a modo nostro in maniera piuttosto creativa? Chi lo ha materialmente sottoscritto? Chi, infine, era deputato a verificarne la congruità rispetto a linee e raccomandazioni regionali? Se ho capito bene, è l’équipe di secondo livello che poteva decidere il coinvolgimento di esperti dell’Hansel e Gretel? È giusto? L’équipe di secondo livello può aver autorizzato l’utilizzo in sede terapeutica sui minori della fatidica macchinetta dei ricordi che le carte dell’inchiesta riprendono in più occasioni, proveniente dall’America, non commercializzata nella nostra nazione, non validata dal Consiglio Superiore di Sanità, in merito alla quale testualmente è asserito sull’ordinanza del magistrato “strumento terapeutico non riconosciuto in Italia dall’Ordine degli psicologi”? La sperimentazione avviata presso il centro La Cura di Bibbiano comprendeva dunque anche l’utilizzo di mezzi non validati? Chi era chiamato a vigilare sulla sperimentazione in atto?

    Ve le porto e vi chiedo una cortesia. Ho problemi familiari seri che mi impongono di rientrare a Piacenza per le 19. Chiedo se è possibile avere una risposta a queste domande e non vorrei andarmene prima di ascoltarla.

     

    Presidente BOSCHINI. Faccio fare l’intervento al collega Calvano e poi rispondiamo alle domande per iscritto.

     

    Consigliere CALVANO. Grazie, presidente.

    In realtà mi riallaccio all’intervento del collega Facci perché essendo questa una Commissione d’inchiesta, quindi anche di studio, per come l’abbiamo impostata e per come la stiamo impostando, mi preme sottolineare una cosa. Credo che il collega Facci quando in precedenza è intervenuto dicendo che nell’affido bisogna garantire la continuità genitoriale, in realtà abbia letto male. Mi spiego. Quando, giustamente, nelle linee guida degli assistenti sociali si dice che “il fine è garantire il rientro del minore in famiglia in tempi il più possibile brevi nel rispetto del principio di continuità dei rapporti familiari parentali” ci si riferisce a questo. Garantire la continuità nei rapporti genitoriali e parentali è un obiettivo che si persegue lasciando il minore fuori dalla sua famiglia d’origine il meno possibile. Quel tema di continuità non è riferito a chi prende in affido il minore, ma al fatto di lasciarlo in affido il meno possibile, cioè di lavorare per creare le condizioni del ritorno alla famiglia di origine, lavorare il più possibile per creare le condizioni per il ritorno del minore nella famiglia di origine. Lo dico perché altrimenti non si spiegherebbe perché quando si parla di affido familiare, sempre in quelle linee guida, e si fa riferimento all’individuazione del soggetto affidatario, si dice che l’individuazione del soggetto affidatario va liberamente definita a partire dalle esigenze e dalle caratteristiche del minore di età e del suo contesto, oltre che dalle motivazioni che individuano l’affido come intervento necessario. Lo dico perché altrimenti si crea, a mio avviso, un fraintendimento, un rischio di strumentalizzazione su le persone a cui vengono dati in affido i minori, che vengono valutate non per le loro caratteristiche o per le loro preferenze su come dormire, su con chi dormire, su cosa fare, su cosa non fare, ma vengono valutati in funzione dell’essere persone adeguate a crescere, educare un minore, che è in una condizione di difficoltà, come un minore che obiettivamente viene tolto ad una famiglia d’origine.

    Lo dico perché altrimenti si rischia davvero una strumentalizzazione che, a mio avviso, è poco utile anche ai lavori della Commissione d’inchiesta.

    Invece, la domanda alla quale in parte è stato già risposto, ma che riformulo per avere una risposta secca, viste le cose che sono già state dette, è legata ad una considerazione che è stata fatta in quest’aula, del “non ci sono indirizzi regionali stringenti e forti nei confronti delle comunità locali”.

    La mia domanda è: esistono indirizzi nazionali forti e stringenti nei confronti delle comunità regionali? A mio avviso la risposta è no, ma non so se sia una risposta corretta. Perché la mia risposta è no? Perché anch’io mi riallaccio alle cose che il dottor Passarini ha detto rispetto alla presa di posizione del Garante nazionale di fine luglio.

    Il Garante nazionale a fine luglio indica una serie lunga di interventi che dovrebbero essere fatti sul sistema della tutela minorile, che mi fa pensare che obiettivamente manchi un disegno organico del sistema di tutela dei minori e che di fronte a questo le regioni, ognuna per conto suo, hanno fatto quello che nelle competenze loro potevano fare: dare indirizzi, provare a orientare, provare a creare un sistema il più omogeneo possibile, sapendo che la competenza diretta è una competenza diretta dei Comuni e del sistema delle comunità locali.

    Chiedo conferma di questa mia interpretazione, perché, ripeto, ho la sensazione che nell’opera fatta dalla Garante nazionale emerga l’assenza, purtroppo, di un disegno organico sul quale è indubbiamente necessario intervenire.

    Condivido molto la cosa detta dal dottor Passarini rispetto al fatto che la normativa la si può perfezionare e alla luce di quello che dice la Garante lo si deve fare a livello nazionale e a cascata poi anche sui livelli locali.

    Lo dico perché, ad esempio, in alcuni frangenti l’assenza del contraddittorio, quando si ha a che fare con l’allontanamento di un minore, a mio avviso, è un vizio su quale sarebbe bene intervenire. Non lo può fare la Regione Emilia-Romagna perché non possiamo intervenire sui procedimenti di carattere giudiziario, lo può fare una normativa di carattere nazionale. Credo che sia una di quelle cose che questa Commissione deve in qualche modo evidenziare, aiutarci ad evidenziare nei confronti del Governo qualsiasi colore sia quel Governo, perché stiamo dentro una riflessione su come migliorare il sistema di tutela dei minori. Se per migliorarlo occorre aumentare le tutele in contraddittorio dei genitori ai quali vengono temporaneamente sottratti i figli, credo che questo debba essere un obiettivo comune di questa Commissione. Spero lo diventi perché i contraddittori o l’ascolto delle parti sono uno di quegli elementi che potrebbero aiutare anche un tribunale a esprimersi in modo più pregnante, in modo più accurato, in modo più attento.

    La mia è una riflessione più di carattere generale nella quale, però, spero che la domanda sia chiara: ci sono indirizzi così stringenti a livello nazionale? A mio avviso no, ma chiedo a voi se, alla luce anche delle cose dette dal Garante, questo mio no corrisponde a verità o se, in realtà, è passibile di interpretazioni diverse.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Calvano.

    Possiamo procedere a dare risposta a questa domanda e a quelle poste dal collega Tagliaferri.

     

    Dott.ssa FERRI. Rispondo alle domande del consigliere Tagliaferri. Chi decide come declinare il secondo livello? Il secondo livello nelle nostre linee di indirizzo viene richiamato come équipe specialistica di secondo livello e viene richiamata la legge n. 14 del 2008, che dice “la Conferenza territoriale sociale e sanitaria promuove l’attivazione di équipe specialistiche di secondo livello”. Quindi, è la Conferenza che deve promuovere, non attivare direttamente ma promuovere. “Le funzioni possono essere svolte dalla medesima équipe sulla base di protocolli locali e l’accesso all’équipe di secondo livello avviene esclusivamente su invito dei servizi territoriali di cui all’articolo 17. La titolarità e la responsabilità del caso restano, comunque, in capo al servizio inviante”. Questo è un autodichiarato secondo livello, quello del centro “La Cura”. Non mi risulta che la Conferenza abbia detto che quello è il centro di secondo livello per Reggio Emilia. Tant’è vero che credo che accedessero lì prioritariamente i bambini della Val d’Enza.

    Rispetto alla domanda “può essere considerato aderente alle raccomandazioni regionali o rientra nella fatidica categoria del ‘fatto, ma a modo nostro?”. Le raccomandazioni regionali non vanno molto più in là di queste. Quindi, dire che è fatto in maniera creativa non saprei, perché le raccomandazioni regionali sul secondo livello sono queste.

    “Chi lo ha materialmente sottoscritto?”. A questa domanda non le so rispondere. Infine, rispetto alla domanda “chi era deputato a verificare le congruità rispetto alle linee e alle raccomandazioni regionali”, qui c’è la Conferenza territoriale che forse ha il ruolo di promozione.

    “Se ho ben capito, è l’équipe di secondo livello che poteva decidere il coinvolgimento di esperti della ‘Hansel e Gretel’”. Anche qua non le so rispondere, perché non so quanto l’équipe di secondo livello Reggio Emilia l’avesse identificata e dove. La risposta di Reggio Emilia, come ha detto anche il professor Masi, era che in quel momento non avevano un’équipe di secondo livello.

    “L’équipe di secondo livello può aver autorizzato l’utilizzo in sede terapeutica della macchinetta dei ricordi?”. La macchinetta dei ricordi, come sappiamo, è questo Neurotek… Io so quello che ho letto sui giornali, naturalmente. Anch’io sono andata a vedere, come lei, ed effettivamente è uno di quei presìdi che accompagnano l’EMDR, che, questa sì, è una terapia validata. Quest’altra, invece, è una terapia che certamente non ha delle basi riconosciute in Italia dal punto di vista scientifico.

    “La sperimentazione avviata comprendeva anche l’utilizzo di metodi non validati?”. Anche qua io non ho elementi per dire se l’hanno usata o non l’hanno usata e chi ha detto che la possono usare.

    In generale, voglio dire questo sul tema del secondo livello. In Emilia-Romagna, per quello che riguarda il nostro punto di vista, il centro di secondo livello riconosciuto è il centro “Il Faro” di Bologna, ed è l’unico. Quindi, siamo indubbiamente lontani dal nostro obiettivo.

    Dopo che è stata emanata sia la legge n. 14/2008 sia la n. 1677, come vi ricordavo prima, è uscita la delibera n. 1102, che ha istituito l’ETI e l’UVM. In questi incontri che noi abbiamo fatto con i territori nel 2017 e nel 2018 tutti, tranne Bologna, ci hanno confermato che l’UVM non è vista come un’istituzione burocratica che parla della spesa, ma dentro ci sono i neuropsichiatri infantili e il medico legale, quindi viene utilizzata in tutti i territori come secondo parere.

    Non voglio sfuggire al fatto che questo non è un secondo livello, perché non è un secondo livello per come prevede la legge n. 14, ma è un punto che costantemente rivede il progetto terapeutico, sempre, perché questi di abuso e maltrattamento sono tutti casi considerati casi complessi, casi in cui la sanità è presente. Quindi, l’Unità di valutazione multidimensionale, pur non essendo certamente configurabile come un secondo livello, è comunque un punto esperto, dove sono presenti le competenze che la legge prevede.

    Certamente il tema del secondo livello è un tema che noi dobbiamo stressare, questo sicuramente è uno dei punti da sviluppare, però un secondo parere è previsto dovunque.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego.

     

    Dott. PASSARINI. Anch’io do alcune risposte, in particolare al consigliere Calvano su quanto siano stringenti gli indirizzi a livello nazionale, piuttosto che quelli a livello regionale.

    Su affido e problematiche annesse ho citato prima la legge nazionale, che è la legge n. 184 del 2003, poi rivista più volte, in particolare dalla legge n. 149, che individua alcuni punti cardine, ma non è di estremo dettaglio, se non rispetto alle procedure che riguardano il tribunale per i minorenni. Dice alcune cose chiare che le normative regionali in qualche modo sottolineano e amplificano. Tuttavia, citavo prima il comma 3 (mi pare) dell’articolo 1, dove sullo stesso piano lo Stato, le Regioni e gli Enti locali sono chiamati a fare determinate cose, che vi ho letto prima e che non sto a rileggere. Questa è la norma nazionale.

    Ho poi citato tre linee guida (anche queste non sto a ripeterle) emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Queste linee guida sono formulate nella formula delle raccomandazioni. È una lista di raccomandazioni commentate. Ma è una scelta chiara di relazione e coinvolgimento con gli Enti territoriali, piuttosto che una normativa di dettaglio, anche qui nel rispetto del principio della sussidiarietà: io Stato do a te Regione delle raccomandazioni, affinché tu eserciti il tuo potere legislativo e normativo nel rispetto di queste raccomandazioni. Comunque, sono anche raccomandazioni rivolte direttamente e specificamente a chi lavora sul territorio nei servizi sociali, cioè nei Comuni.

    Quanto alla cogenza delle normative regionali, io cito la delibera n. 1904, che ha una parte di particolare cogenza e definizione ultra-dettagliata, che riguarda le comunità. Cioè, questa normativa reca standard numerici precisi per l’organizzazione delle comunità di accoglienza, e lo dicevo prima: i titoli di studio, il rapporto numerico educatore-ragazzi accolti, l’organizzazione spaziale delle comunità, ovviamente numeri minimi di minori accoglibili. D’altronde, l’altro fatto importante e cogente di normativa nazionale è stato quello che ha visto il superamento degli istituti. Il nostro Paese è stato caratterizzato, in decenni non lontani, dalla presenza di mega-istituti che accoglievano centinaia di minori lontani dalla loro famiglia o abbandonati o con provvedimento del tribunale a seguito di un procedimento di decadenza della responsabilità genitoriale (allora si chiamava potestà genitoriale) collocati in comunità o derivanti dal circuito penale. Non dimentichiamo, infatti, che le nostre stesse comunità di oggi accolgono minori in esecuzione esterna della pena e messa alla prova, cioè tutta una serie di minori che arrivano in comunità sulla base del fatto che hanno commesso reati loro stessi. Insomma, le nostre comunità accolgono. Anche qui, si tratta di collocare opportunamente sia minori che hanno subìto comportamenti di maltrattamento sia minori che sono stati autori di comportamenti al di fuori della norma. Ovviamente, quando si va a scegliere dove collocare un minore si tiene conto anche della necessità di non creare prioritariamente un conflitto rispetto alle provenienze e alle motivazioni per cui i minori sono messi in comunità.

    Una parte molto cogente della nostra direttiva riguarda gli standard, nel rispetto dei quali i Comuni rilasciano l’autorizzazione al funzionamento alle comunità, previa tutta l’istruttoria che le Commissioni tecniche conducono anche recandosi effettivamente nei luoghi. La parte sugli affidi è certamente meno caratterizzata da vincoli, da standard numerici. Qui stiamo parlando di famiglie accoglienti. Non possiamo essere così invasivi dell’ambiente familiare accogliente andando a determinare chissà quali standard. Tuttavia, la normativa prevede seri percorsi nella ricerca delle famiglie affidatarie. Almeno questo vorrei richiamarlo, perché la direttiva lo prevede. Si prevede che gli interessati all’affidamento svolgano un primo accesso, una prima informazione rispetto alla normativa, alle problematiche che possono riguardare la famiglia accogliente o, comunque, l’affidamento. Inoltre, noi chiediamo, nella nostra normativa regionale, anche un’attestazione delle qualità morali. Questo non c’è nella normativa nazionale, ma l’attestazione delle qualità morali noi la chiediamo in particolare perché, fin dalla prima informazione, siano consapevoli che se hanno commesso reati o procedimenti in corso per quella natura di reati, chiaramente incompatibili (maltrattamento e abuso sono al top dell’incompatibilità), non possono andare oltre la prima informazione.

    A seguito della prima informazione, che tende a rendere più consapevoli gli aspiranti affidatari della difficoltà e dell’impegno che richiede il farsi carico di un minore che ha un’altra famiglia, la prima consapevolezza che viene data agli aspiranti affidatari è che si lavorerà per cercare di far sì che quel minore possa tornare alla famiglia di origine, a meno che il provvedimento di allontanamento non sia motivato da condizioni accertate dal magistrato per cui non è opportuno nell’immediato... O meglio, il servizio sociale può valutare ‒ e deve farlo con tutta la consapevolezza del caso ‒ quali e quanti colloqui possono essere opportuni rispetto alla famiglia d’origine e, con relazione semestrale, aggiorna l’autorità giudiziaria rispetto all’andamento.

    Torno un attimo indietro, perché eravamo alla prima informazione. Dopo la prima informazione, se la famiglia si ritiene sufficientemente dotata per affrontare la complessità delle problematiche che un affido comporta, allora può accedere a dei corsi di preparazione che i servizi sociali territoriali mettono in campo. Sostanzialmente, è un percorso che si attesta intorno a quattordici ore e che ha specifici obiettivi formativi, che la nostra direttiva introduce. Non ve li leggo tutti. Sono ai punti 2 e 3 della direttiva n. 1904. Servono per aiutare i partecipanti a comprendere e condividere i pensieri, le aspettative, i dubbi e le paure che attraversano la mente di un bambino allontanato. Tu potrai anche pensare di essere in grado di sostenere il peso di un affido, ma devi essere anche reso consapevole di quello che può essere il vissuto e la paura di un bambino che lascia la sua famiglia d’origine per un determinato periodo, magari anche solo part time, per venire in un’altra famiglia. Quindi, i corsi mirano a presentare realisticamente le opportunità e i rischi presenti nell’esperienza dell’affidamento e devono anche aiutare i partecipanti ad interiorizzare un concetto di accoglienza intesa come intervento di supporto a una famiglia in difficoltà, non affidamento quale escamotage per aspirare a una futura eventuale adozione. Se il tuo desiderio è renderti disponibile per l’adozione è tutt’altro il percorso che dovrai fare. Anche di questo vanno rese consapevoli le famiglie. Sulla base di questi corsi di formazione, alcune famiglie consapevolmente comprendono e ritirano la propria disponibilità. Non sto a dettagliare ulteriormente, ma evidentemente il punto centrale è la consapevolezza di un percorso destinato a concludersi, non di un percorso destinato all’accoglienza per tutta la vita di quel bambino.

    Diamo anche disposizioni sui contenuti dei corsi e alcuni criteri di qualità. Devono essere caratterizzati da esaustività, congruità, trattazione di tutti gli argomenti indicati, integrazione delle competenze, ovvero partecipazioni di esperti di diversa matrice professionale, nonché rappresentanti delle associazioni di famiglie affidatarie. Le associazioni di famiglie affidatarie sono per le famiglie affidatarie una grande risorsa, perché sono l’occasione di associarsi con famiglie che hanno già compiuto quell’esperienza. Anche attenzione agli adulti candidati all’accoglienza. Questi corsi ‒ dice la direttiva regionale ‒ vanno organizzati con orari e modalità tali da soddisfare il più possibile le esigenze dei partecipanti. Non li fai la mattina alle 2,30. Tendenzialmente, li fai nel tardo pomeriggio, quando l’aspirante affidatario ragionevolmente ha finito il turno di lavoro. Su questo ‒ non mi soffermo oltre ‒ c’è parecchio dettaglio.

    Dopo il corso comincia un percorso di conoscenza e valutazione della disponibilità. Dopo il corso la famiglia o l’aspirante affidatario si dichiara disponibile. Quindi, inizia un percorso di valutazione di questa disponibilità. La faccio breve. Una serie di colloqui individuali o di coppia, una visita domiciliare, un momento finale di restituzione al nucleo familiare del percorso compiuto in forma scritta. Anche questa è una novità. Non tanti anni addietro, nel compiere questa valutazione il servizio non rilasciava nulla alla famiglia; invece il servizio è tenuto a dare le motivazioni rispetto all’accoglimento o meno della disponibilità a diventare affidatari.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottor Passarini.

    Io ho iscritti ancora i colleghi Prodi, Bertani e Facci.

    Se non ci sono altri colleghi che vogliono iscriversi, farei questo ultimo round.

    Collega Prodi, prego.

    Dopodiché, chiudiamo e passiamo all’altra audizione.

     

    Consigliera Silvia PRODI. Spero di essere abbastanza lucida. Gli argomenti sono stati tanti.

    Mi riallaccio a diverse cose che sono state dette prima, ovviamente ringraziando sia la dottoressa Ferri che il dottor Passarini per la pazienza che oggi stanno dimostrando.

    Si dice che la legge n. 184/1983, all’articolo 4, stabilisce che i servizi sociali locali predispongono l’affidamento. Alla fine, la decisione ultima, la responsabilità, è in capo all’ente locale, al servizio sociale locale. Questo, però, non ha impedito alle Regioni, ovviamente, di fornire quadri procedurali il più possibile standardizzati, con linee di indirizzo e linee guida.

    Correggetemi se sbaglio, ma per i macrosistemi, cioè come le Regioni affrontano il tema, mi sembra tutto sommato che tra le diverse Regioni vi siano approcci similari. Ad esempio, io noto che la Lombardia ha come macrosistema risultati sovrapponibili all’Emilia-Romagna. Ripeto, correggetemi se sbaglio, perché io ho dati de Il Sole 24 Ore che davano indicatori assolutamente uguali di macrosistema. L’approccio delle Regioni nei confronti del sistema, quindi, si può grossolanamente indicare come similare. Questo vuol dire, a mio avviso, che non esiste un “sistema Bibbiano”, come viene detto, proprio perché c’è un sistema regionale che affronta la procedura e poi ci sono gli enti locali in cui forse, ma si vedrà, esiste un margine di discrezionalità. Al riguardo, secondo me, la questione più interessante, e mi rifaccio a quello che diceva anche la collega Piccinini, è come avere degli strumenti che anticipino delle possibili criticità, incrociando i dati quantitativi con una considerazione anche qualitativa. Ovviamente, le procedure non possono che aiutare gli operatori ad agire nel migliore dei modi. Ma laddove vi siano casi di “potenziale dolo” ovviamente, il tema è come il sistema può prevenirli, o rilevarli in anticipo, rispetto agli eventuali oggettivi danni che poi possono essere fatti su casi che però, vediamo dai numeri, sono casi gravissimi, su cui bisogna portare l’attenzione. Proprio perché, però, il macrosistema ci dice questo, non stiamo parlando di tutto il sistema. La mia domanda quindi è questa: posto che la legge 14 del 2008, con gli articoli 17 e 18 ci dice che ci sono le équipe di secondo livello, io, onestamente, dal Piano di zona della Val d’Enza, avevo tratto forse l’ingannevole percezione che si comportasse già, fra virgolette, come un’équipe di secondo livello. La mia domanda dunque è: rispetto alla normativa nazionale – se si può, dopo, come idea –, ma rispetto alla normativa regionale, quali forme di controllo incrociato si possono assumere rispetto alle azioni e decisioni che anche un’équipe fra virgolette di secondo livello, soprattutto relativamente a casi di criticità. Se decidiamo, per dire, che un 403 può essere parallelo, nel mondo sanitario, a una diagnosi di quelle molto forti, molto sensibili, c’è un modello hub and spoke per dire se è pensabile, su casi critici, avere un’unità che si confronti anche esternamente a un’équipe che magari ha maturato una grande confidenza interna, che però, sul dato qualitativo della bontà della propria decisione forse può arrivare a un sistema di verifica esterno. Oppure, un’altra considerazione che si può fare è che all’interno di questa équipe, ad esempio, il ricorso all’esternalizzazione delle competenze si può fare solo in modo condiviso, accertato, insomma, una condivisione delle responsabilità decisionali, proprio magari per evitare forme di autoreferenzialità.

    Io sto muovendomi proprio sul piano dell’analisi dei fatti. Ripeto: quello che vedo è che il sistema macro non mi sembra differire in Regioni tutto sommato a noi prossime. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Prodi.

    Prego, consigliere Bertani.

     

    Consigliere Andrea BERTANI. Grazie, presidente.

    Io come altre volte partirei sempre dal quadro generale. Noi cioè abbiamo un’esigenza di tutela dei minori, perché purtroppo ci sono dei casi estremi, di maltrattamento e di abuso che chiedono che i minori vengano allontanati, quindi c’è una serie di soggetti chiamati ad intervenire, a segnalare: possono la scuola, l’ospedale, i servizi sociali, i carabinieri. Poi c’è chi valuta, che dovrebbero essere i servizi sociali, o questa famosa équipe; e poi c’è chi decide, che è il giudice. Poi c’è tutta la parte accoglienza.

    Qui quindi abbiamo quelle tre delibere che inquadrano il tutto. Poi c’è anche, da quel che ho capito, una serie di altri casi che riguardano, invece, magari difficoltà familiari, che possono essere sostenute. Quindi magari prima c’è un sostegno alla famiglia, dando un educatore, dei servizi, o un’assistenza psicologica; oppure c’è l’affido consensuale; poi si passa all’affido part-time, eccetera. Però in questo sistema, mi sembra di capire, anche il dottor Masi ce lo diceva, che ci possono essere dei rischi di discrezionalità, o addirittura di abuso. Ed è qui che secondo me la Commissione dovrebbe cercare di far chiarezza.

    Mi sembra che il dottor Masi ci parlasse di rischi di sottovalutazione. Qui io penso che il rischio di sottovalutazione ci sia magari se c’è un servizio sottodimensionato, perché non arrivano le segnalazioni, c’è chi non vede la segnalazione, magari l’ospedale non è formato per dire che un certo trauma non è un abuso, eccetera.

    Forse in Emilia-Romagna il rischio di sottovalutazione non c’è, però magari dobbiamo capire anche questo. Poi c’è il rischio dell’ipervalutazione. Qui probabilmente siamo nel caso di Bibbiano, nel senso che può esserci stato un motivo ideologico. Qualcuno, soprattutto, mi sembra che il consigliere Facci insista spesso su questo, si rifà alla Carta di Noto, c’è che si rifà al CISMAI, ma c’è un motivo ideologico, o di distorsione scientifica, che porta ad un’ipervalutazione. Oppure, addirittura, una distorsione ideologica che porta a voler aiutare le coppie LGBT ad entrare in questo percorso.

    Anche questa però è una cosa che va valutata e tolta dal mezzo, quindi questa Commissione deve fare chiarezza anche su questo: che non ci siano state queste distorsioni. C’è poi qualcuno che dice che può esserci un motivo fraudolento economico, perché ci sono delle strutture che prendono soldi uno per la valutazione, perché siccome il servizio non è abbastanza strutturato e quindi dobbiamo dare appalti esterni, quindi dando appalti esterni c’è qualcuno che gonfia in qualche modo questi appalti, sia come cifre che come necessità; oppure, perché ci sono delle comunità, legate magari ai giudici, o a chi fa le valutazioni, perché poi prenderanno dei soldi perché c’è la gestione.

    Su queste, allora, sicuramente bisogna fare chiarezza. E su queste bisogna capire se abbiamo gli strumenti che queste distorsioni non ci siano. Io volevo capire, e qui arrivano le domande, se gli strumenti che abbiamo ad oggi ci permettono di evitare queste ipotetiche distorsioni. Poi il magistrato dirà se sono reali o meno, però gli elementi son preoccupanti.

    Uno, mi sembra di capire che sia un’unità di valutazione multidisciplinare, perché se io affido ad una serie di professionisti una valutazione, o una sorta di equilibrio, perché non è affidato in mano ad uno solo ma più persone, c’è una sorta di equilibrio. Io volevo capire intanto se queste unità di valutazione multidisciplinari in Regione sono attuate uniformemente, cioè se ci sono dappertutto. La delibera dice che ci devono essere, ma vorrei capire se ci sono dappertutto, in particolare, anche, se nella Val d’Enza c’erano ed erano attivate. L’altra cosa che vorrei capire è chi ci deve essere lì dentro. La delibera indica che ci debbano essere una serie di professionisti; vorrei capire se quei professionisti sono sempre dipendenti delle ASL o dei Comuni; oppure se vengono inserite anche persone che sono appaltate esternamente, e che quindi potrebbero portare un rischio di interesse esterno, e questo mi piacerebbe capirlo, anche, se ad esempio, c’è una rotazione, cioè se all’interno di queste équipe ci possano essere delle rotazioni.

    L’altra cosa importante, e qui invece torniamo anche al rischio di sottovalutazione, è se queste équipe sono sufficientemente strutturate come personale. Quanti casi riesce a gestire? Del resto, come per le classi scolastiche più di 25-30 alunni in una classe non ci possono stare, immagino che un’équipe più di un certo numero di casi non riesca a trattare. Qui penso che ci sia un rischio di sottodimensionamento, perché da segnalazioni che ricevo emerge che i servizi riescono a trattare solo le emergenze, mentre i casi borderline non riescono a essere trattati perché non sono abbastanza strutturati.

    L’altra garanzia potrebbe essere l’équipe di secondo livello. Anche qui mi sembra di capire che l’équipe di secondo livello è ancora un po’ più critica, perché lì esistono sulla carta, le CTSS ci hanno detto che sulla carta ci sono, ma poi fisicamente forse non ci sono. Anche qui sarebbe il caso di capirlo.

    L’altra garanzia io pensavo – ma qui un po’ mi avete smontato – potesse essere la banca dati. Cioè, la banca dati che la Regione tiene dovrebbe servire a raccogliere tutti i dati e poi, se monitorata, potrebbe dirci se c’è un trend regionale o un trend locale che può destare preoccupazione. Voi mi dite che i trend di quella banca dati non potevano destare preoccupazione. Io, invece, ho l’accesso agli atti di un consigliere comunale della Val d’Enza, che dice: “A noi era arrivato il fatto che ci fosse un aumento, un’impennata dei costi – mi sembra che si parlasse di 200.000 euro – da un anno all’altro per i servizi sociali nella Val d’Enza”. Allora, loro hanno fatto un accesso agli atti e da questo accesso agli atti si parla di minori in carico, quindi non in affido, che nel 2015 erano circa 840, nel 2016 salgono a 939, nel 2017 a 1.125 e nel 2018 a 1.140. Quindi, è un trend importante di ascesa. Io mi chiedo se nella nostra banca dati era possibile monitorare un trend di questo tipo, perché probabilmente un campanello poteva accendersi. Anche perché i casi in carico con la scheda “Violenza” erano abbastanza: c’erano 171 casi fino al 2017. Poi nel 2017 i casi con la scheda “Violenza”, che ricomprende violenza sessuale, prostituzione, trascuratezza, maltrattamenti psichici o fisici, violenza assistita, ce ne sono stati 63 ulteriori e nella prima metà del 2018 altri 43 ulteriori. Quindi, un trend che poteva essere preoccupante risulta, anche se poi nella relazione che viene data in questo accesso agli atti si dice “non si è assistito ad un aumento sostanziale di numeri, quanto un importante aumento di complessità”. Poi “preme sottolineare i dati di grave maltrattamento ed abuso superiori alla media regionale”. Quindi, i servizi dicono che c’era un dato superiore alla media regionale.

    Io penso che, allora, o la nostra banca dati o il monitoraggio della nostra banca dati sia stato inefficiente. D’altronde, facendo un accesso agli atti sui servizi sociali di quella zona e leggendo anche la relazione di quei servizi sociali, emerge che, invece, c’era un trend superiore alla media regionale. Quindi, questo lo vorrei capire.

    Inoltre, dobbiamo fare chiarezza anche per tutelare quello che c’è di buono nel sistema affido. Per esempio, le zone d’ombra che possono nascere anche da assenza informativa, tipo anche la parte economica, dovrebbero essere rese un po’ più esplicite, e cioè sapere quanto la Regione eroga per l’assistenza, quindi alle case famiglia, alle strutture, agli affidatari o alle consulenze dei servizi sociali. Questo dato deve essere reso noto, perché altrimenti escono fuori le cifre dei 400 euro al giorno, dei 1.000 euro al giorno, che rischiano di gettare un’ombra su una parte che, invece, magari funziona. Questo per tutelare chi fa questo servizio, che comunque è un servizio importante.

    Ancora, una chiarezza sulla direttiva n. 1904 andrebbe fatta perché – questo l’avevamo rilevato discutendo in altri contesti – quando parliamo di famiglie affidatarie, case famiglia e strutture di accoglienza si rischia spesso di fare un po’ di confusione, perché le famiglie affidatarie sono famiglie, un genitore oppure coppie, che magari hanno altri figli, che danno una disponibilità, sperando che gli venga sempre chiarito che la disponibilità è a tempo limitato e che non è finalizzata ad altro, per accogliere e, quindi, per dare un contributo alla società. Anche qui, secondo me non è sempre chiaro il concetto che lei diceva che non è una strada per l’adozione perché, vedendo anche le distorsioni che si sono riscontrate nel caso di Bibbiano, sembra invece che ci sia una volontà di tale natura. Però, anche quella è una distorsione che andrà accertata. Però, in generale quella chiarezza andrebbe sempre ribadita.

    Poi c’è la chiarezza di che cos’è una casa famiglia. La casa famiglia, come definita dalla norma regionale, è una coppia accogliente, più larga, cioè che accoglie non solo minori, ma anche altri casi di difficoltà, che deve avere certi standard, ma che sempre prevede due figure genitoriali a tempo pieno. Poi ci sono le strutture di accoglienza, che invece non prevedono figure genitoriali a tempo pieno. Ecco, su questo, secondo me, c’è molta confusione, uno perché sono poche le Regioni che hanno definito cos’è una casa famiglia, perché a livello nazionale una definizione non c’è, due perché anche a livello regionale c’è confusione, considerato che a livello regionale noi definiamo, ad esempio, casa famiglia anche quelle mini-strutture per anziani. Quindi, non si capisce più che cos’è una casa famiglia. Allora, forse anche su questo bisognerebbe fare un intervento chiarificatore a livello normativo per chiarire che cos’è…

     

    (interruzione)

     

    Consigliere BERTANI. C’è una differenza, secondo me. D’altronde, lo ribadiva anche un rappresentante che abbiamo audito due sedute fa, mi sembra, il quale rappresentava questo dubbio – secondo me questo è chiaro – che c’è una mancanza di chiarezza su chi fa cosa, sulla parte economica, sui nomi e su che cosa fanno, dubbio che andrebbe un po’ più chiarito.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Bertani.

    Prego, collega Facci. Poi direi che chiudiamo con l’ultimo giro di risposte, anche perché abbiamo ancora il rappresentante del CISMAI che ci aspetta fuori.

     

    Consigliere FACCI. Faccio alcune domande molto immediate, partendo da alcune risposte che sono state date.

    Torno sulla questione delle linee guida e della Carta di Noto, perché vorrei ricordare che a Bibbiano l’ordinanza del GIP, che comunque è nota, ormai si trova, non è segreta, ha messo in luce questa questione. I nostri ospiti hanno detto che le linee guida del SINPIA non sono validate dall’Istituto superiore della sanità e che loro fanno riferimento solo alle linee guida emanate dal Ministero. Se questo è, molte linee guida dovrebbero essere espunte da quelle che sono le documentazioni di riferimento di tante linee di indirizzo della Regione Emilia-Romagna, come di tante altre Regioni.

    La dottoressa Ferri poi ha aggiunto che le linee guida del SINPIA riguardano i periti del tribunale, sono fatte specificamente a uso dei periti del tribunale. Ebbene, voglio ricordare che la Carta di Noto, che richiama le linee guida del SINPIA, non è ad uso esclusivo dei periti del tribunale. La Carta di Noto è per gli operatori del settore, tant’è che parla di psicologi, di psicoterapeuti, nonché di altre figure professionali, sicuramente anche gli avvocati, che riguardano la testimonianza del minore, ma non necessariamente in ambito processuale. A mio avviso, questo è importante.

    Ciò chiarito, la domanda è questa: voi ritenete che le procedure adottate dal CISMAI abbiano la stessa valenza della Carta di Noto? Lo chiedo perché l’indagine di Bibbiano, che ci serve per capire come funziona il sistema, prende in esame questo aspetto.

    Seconda domanda: ritenete che la dichiarazione di consenso del CISMAI, richiamata espressamente nelle linee di indirizzo regionali, di cui alla delibera della Giunta regionale che il dottor Masi ha coordinato, sia corretta e valida scientificamente? La dichiarazione di consenso del CISMAI introduce ‒ credo sia l’unica, ma posso sbagliarmi ‒ la questione degli indicatori di abuso. Anche questo è un aspetto di estrema importanza. È chiaro che chi ritiene che questa dichiarazione di consenso del CISMAI contrasti con le linee guida della maggioranza della comunità scientifica ha una sua conseguenza importante.

    Terza domanda: ritenete corretto che il Servizio sanitario regionale sostenga e finanzi realtà o soggetti, come per esempio Hansel e Gretel, che portano avanti metodi ‒ per esempio il metodo …Omissis… o il metodo …Omissis… ‒ che contrastano nettamente, decisamente con la Carta di Noto? Sappiamo perfettamente che i sostenitori del metodo …Omissis …. o del metodo …Omissis…, comunque del metodo Hansel e Gretel, definiscono gli estensori della Carta di Noto “negazionisti”. Lo dice anche il CISMAI. Forse Hansel e Gretel lo dice in maniera più forte.

    Tre domande specifiche e dirette.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Ridò la parola alla collega Prodi, che ha chiesto ulteriormente di intervenire.

     

    Consigliera PRODI. Mi riferivo al fatto che l’approccio macro delle diverse Regioni è simile. Rilevo che anche la Lombardia le linee guida le ha redatte con il CISMAI. A parte che il CISMAI lo audiremo dopo ‒ mi sembra un po’ particolare questo interrogare sul CISMAI quando stiamo per audirlo ‒ ci tenevo a specificare il fatto che, secondo me, la macro risposta, invece, è standard, però bisogna indicare sistemi che vadano a sondare a micro livello per evitare proprio “degenerazioni”.

     

    Presidente BOSCHINI Grazie.

    La parola al dottor Passarini e alla dottoressa Ferri per le ultime risposte.

     

    Dott.ssa FERRI. Grazie, presidente.

    Parto dal tema che è stato sollevato dalla consigliera Prodi, ma anche dal consigliere Bertani, rispetto al ridurre i margini di discrezionalità, che è il nostro obiettivo. Probabilmente, è questo il tema cardine. Le nostre linee di indirizzo, le nostre normative, ad oggi, ci garantiscono questo? Evidentemente, dei margini di discrezionalità ‒ se quello che è uscito dai giornali su Bibbiano fosse vero ‒ ci sono stati.

    Come dobbiamo operare per ridurre questi rischi? Dal mio punto di vista, l’impianto non ha delle falle. Il punto è che l’impianto ha bisogno di potenziare la parte dove si prevede che ci siano più sguardi sullo stesso problema. L’impianto lo prevede già, perché parla di équipe territoriale integrata, che c’è dappertutto, compreso in Val d’Enza, che quindi vede lo psicologo e l’assistente sociale assieme. Voglio che sia ben chiaro che è questa l’équipe che fa le valutazioni dell’allontanamento, non eventualmente “La Cura”. Questo l’ho chiarito anche con l’Azienda sanitaria: non sono i professionisti della Cura, ma l’équipe formata da un assistente sociale dipendente da un Comune e da uno psicologo dipendente dall’azienda USL. Se hanno fatto male avranno fatto male, ma il privato non c’entra in questa parte.

    C’è l’UVM. L’UVM c’è sempre, dappertutto, per un semplice motivo: è il luogo dove si decide la ripartizione della spesa. Se non c’è l’UVM non parte il progetto. Quindi, l’UVM c’è per i casi di abuso e maltrattamento, c’è perché ‒ come vi dicevo ‒ nella 1102 i casi di abuso, maltrattamento e violenza assistita sono considerati casi complessi e i progetti vanno in UVM con il 50 per cento di spesa sanitaria e il 50 per cento di spesa sociale. L’UVM, come riporta la nostra linea, la 1677, che mi sono andata a rileggere mentre i consiglieri facevano le domande, può avvalersi di specialisti, neuropsichiatri infantili, medici legali, esperti giuridici, che sono presenti dappertutto.

    Detto questo, è vero che dobbiamo darci l’obiettivo di ridurre ancora, nonostante questa strumentazione sia di per sé abbastanza solida, diffusa e consolidata. Anticipo il lavoro che stiamo facendo nella Commissione tecnica. Cambio un attimo giacca. Non so se posso farlo, ma forse è opportuno che io dia... Certamente il coordinatore, il presidente Limonta lo dirà meglio. Quello che stiamo vedendo, dal punto di vista tecnico, è proprio come meglio declinare questo secondo livello, quindi dare migliori dettagli, come va fatto. Come ha detto il dottor Limonta qua in audizione, questo evento, come avviene in sanità, lo consideriamo un “evento sentinella”: okay, abbiamo tutte le procedure dell’universo, però è successo un problema lì. Come facciamo per ridurre il problema lì e fare in modo che non si verifichi altrove? Sono due le cose sulle quali ci stiamo orientando. La prima, e la più importante, è questa: come dettagliare un secondo livello efficace, con possibilità anche di supervisioni incrociate tra territori diversi, proprio per arrivare ad avere un punto di vista plurimo. C’è già, ma se non basta bisogna ampliarlo. Questo è il concetto. Abbiamo, quindi, una proposta tecnica da fare su come strutturare meglio un secondo livello, che oggi è già presente pragmaticamente, anche se non è esattamente... Anzi, non è quello che dice la legge n. 14. La legge n. 14, però, era anche del 2008. Valuteremo se c’è anche una proposta che richieda di migliorare quell’articolo. Questo lo valuterete voi. Noi tecnicamente vi diremo dove quell’articolo lì, dal 2008 ad oggi, può eventualmente avere bisogno di migliorie, in questo senso qui: mettere a sistema le professionalità che ci sono e avere uno sguardo diverso e altro.

    Il problema che può essersi verificato lì è quello di un’autoreferenzialità. Dico “può”. Io leggo i giornali come voi. Da quello che ho letto dai giornali, mi viene da dire che forse lì uno sguardo esterno più importante avrebbe aiutato. Come fare dal punto di vista delle banche dati, che sono sempre molto importanti? È vero che è stato segnalato un incremento dei bambini in carico ai servizi sociali ‒ questo lo abbiamo saputo anche noi; non dalla nostra banca dati, ma l’abbiamo saputo ‒ in Val d’Enza. C’è anche da dire che lì la giustificazione, la spiegazione che veniva data era che si era trovato un luogo dove c’erano degli abusi. Quindi, si seguivano di più i bambini. Non è sempre detto che se i bambini crescono in carico ai servizi sociali, ciò debba essere visto come un segnale negativo. Può essere visto come un segnale di attenzione. Se poi andiamo a verificare che, invece, questi non dovevano essere seguiti, effettivamente, è un’altra cosa. Mi vien da dire che il livello adatto per vedere queste cose è un livello più vicino ai territori, che sia il livello provinciale o altro. Un’analisi così di dettaglio a livello regionale... Sulla banca dati del CISMAI dirà meglio il mio collega. Noi, come sanità, come vi dicevo, abbiamo in generale delle tendenze di livello almeno provinciale.

    Per quanto riguarda le linee guide e la Carta di Noto, forse non mi sono spiegata bene, ma certamente non intendevo dire che se non è una linea guida validata non ha alcun valore. Ci mancherebbe. Ne abbiamo pochissime di linee guida validate, quindi non ci muoveremmo. È certo che il valore è diverso. È un valore che è un contributo importante di professionisti, di cui noi teniamo conto, tant’è vero che la Carta di Noto, nelle nostre linee di indirizzo, è citata più volte. Insomma, quello che voglio dire rispetto alle raccomandazioni e alle cosiddette linee guida sull’ascolto del minore delle società scientifiche è che oggi non le potremmo chiamare linee guida, perché la legge Gelli ci dice che è l’Istituto superiore che ha la banca dati nazionale delle linee guida e certifica anche i documenti fatti dalle società scientifiche. Ma c’è un decreto ministeriale che dice che il Ministero della salute delega all’Istituto superiore la banca dati delle linee guida, le quali vanno redatte con un determinato metodo. Detto questo, come mi sembrava di aver detto anche prima, ma forse non sono stata chiara, anche questo è un contributo importante.

    Rispetto al tema dei cosiddetti “indicatori di abuso”, a me pare che le cose che vengono dette qui non siano tanto diverse da quelle che diciamo nelle nostre linee di indirizzo. Infatti, qui si dice giustamente che non c’è alcun sintomo/prova di un’esperienza di vittimizzazione. Ma anche noi, nelle nostre linee di indirizzo, non diciamo mai che c’è un sintomo che equivale all’abuso. Questo non lo diciamo mai. Non lo diciamo in nessuna parte delle nostre linee di indirizzo. Poi dice giustamente che nessun test psicodiagnostico è in grado di provare una specifica esperienza di vittimizzazione, come pure di discriminare i bambini abusati e quelli non abusati, e che non è attualmente sorretto da copertura scientifica attribuire a singoli segni psicodiagnostici il ruolo di indicatori. È giustissimo. Ci mancherebbe che noi, con un singolo segno, facessimo una diagnosi. Non è quello che noi raccomandiamo. E devo dire che neanche nelle raccomandazioni di altri gruppi viene detto che c’è un singolo segno da cui noi arguiamo un abuso.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa FERRI. Poi sentirete la collega, che vi porterà…

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa FERRI. Certamente, adesso io le do la mia valutazione. Comunque, poi la dottoressa Soavi vi porterà le basi scientifiche. Ma neanche nella dichiarazione del CISMAI è scritto che un singolo segno ci fa fare diagnosi. Non lo dice neanche il CISMAI. Non lo dice nessuno, non lo diciamo noi. Come abbiamo già detto tante volte, nelle nostre linee di indirizzo è presente il richiamo alla dichiarazione di consenso del CISMAI e alla Carta di Noto, e questo per un approccio equilibrato, e nessuno ha mai…

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa FERRI. Sono due contributi di cui va tenuto conto quando… La Carta di Noto non è questa linea guida…

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa FERRI. La Carta di Noto è una carta redatta da alcuni professionisti, come è il CISMAI. Diversa è questa raccomandazione, la quale dice delle cose su cui noi siamo in accordo e su cui noi lavoriamo. Noi lavoriamo in questo modo. Nessuno mai nelle formazioni ha detto che basta un test o un segno di abuso per fare diagnosi di abuso. Questo è quanto.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottor Passarini.

     

    Dott. PASSARINI. La consigliera Prodi rilevava un’analogia in qualche modo tra linee emiliano-romagnole e linee lombarde. Devo dire che mi richiede un notevole impegno dominare la normativa regionale e ancora sul diritto regionale comparato non sono così forte, però in effetti è così. Mi pare di ricordare una differenza sostanziale – sto andando a memoria, quindi prendetela con beneficio d’inventario – circa il sistema di finanziamento. La Regione Emilia-Romagna sostiene la spesa sociale dei Comuni, mentre mi pare di ricordare che la Regione Lombardia ha una linea di finanziamento direttamente rivolta alle comunità di accoglienza. Però, mi riservo di verificare questa differenza che mi sembra di ricordare.

    Diversi interventi hanno sottolineato la necessità di potenziare i flussi informativi, non solo quelli di natura quantitativa, ma anche quelli di natura qualitativa. Io non posso che convenire con questa ipotesi di miglioramento della nostra capacità di lettura dei fenomeni, perché tutti i rischi a cui faceva riferimento il consigliere Bertani sussistono, vale a dire discrezionalità, sottovalutazione, ipervalutazione e interessi fraudolenti, che comunque compete alla magistratura individuare. Tuttavia, se riuscissimo ad avere degli indicatori sentinella, potremmo anche migliorare le nostre capacità di intervento. Quindi, io non posso che auspicare una tendenza in quel senso.

    Devo, però, argomentare un tema di sostenibilità, che non è impeditivo, nel senso che la Regione, come gli Enti locali e come lo Stato nazionale, possono individuare delle priorità e, se questa è una priorità, convogliare maggiori risorse. Lo dico perché un sistema più articolato richiede un potenziamento a livello di dotazione di personale nei Comuni, ma anche nella Regione, che dovrebbe dotarsi di una struttura più nutrita per essere in grado di effettuare delle letture più approfondite. Però, sicuramente va tenuta in considerazione: da tecnici non possiamo che auspicarlo. Si tratta di dare gambe, con le necessarie risorse economiche, a questa ipotesi o necessità.

    Con riferimento ai costi, abbiamo qualche dato. Sicuramente i costi sono in aumento. Noi abbiamo due fonti di rilevazione dei costi, che sono, da una parte, la fonte Istat sulla rilevazione della spesa sociale dei Comuni e, dall’altra, la rilevazione della spesa sanitaria delle ASL. Da queste due fonti noi abbiamo tratto questo dato da cui si manifesta un aumento riscontrabile della spesa tra il 2016 e il 2017.

    La spesa complessiva tra il sociale e sanitario per affidamenti familiari e inserimenti in comunità, nel 2017, secondo queste fonti, nella nostra Regione ammonta a circa 72 milioni di euro. Nel 2016 erano 65 milioni di euro. Però, nel 2016 abbiamo un asterisco, che sta a indicare che non era disponibile la quota sanitaria della provincia di Piacenza. Comunque, si vede un trend in aumento. Inoltre, abbiamo il dettaglio, separato tra figlio e comunità, di queste macro-cifre regionali a livello delle province. Questo può essere un dato disponibile. Anzi, credo che l’abbiamo utilizzato nella risposta per un articolo 30 (non ricordo quale). Quindi, vediamo un aumento della spesa.

    Dal punto di vista delle interlocuzioni che abbiamo, invece, con le associazioni di gestori di comunità o le associazioni di famiglie affidatarie, loro ci manifestano un aumento della gravità dei casi assegnati. In altre parole, coloro che si occupano di affido e comunità ci dicono: guardate che le problematiche dei ragazzi che ci vengono affidati sono vieppiù crescenti. Dieci anni fa, adesso lo banalizzano, erano un po’ meno gravi certi disturbi del comportamento, piuttosto che patologie.

    A fronte di un aumento della spesa, quindi, a me sembra importante segnalare anche quello che ci dicono gli operatori: un aumento della gravità dei casi. Molti tendono ad essere considerati casi complessi ai sensi della 1102.

    Sulla valutazione di correttezza scientifica della dichiarazione del consenso del CISMAI, io non posso che astenermi, perché faccio il funzionario, il dirigente amministrativo, dunque non sono in grado di esprimere valutazioni di correttezza scientifica su dichiarazioni composte da comunità scientifiche competenti nella materia. Io ho cercato di inquadrare da un punto di vista amministrativo le tematiche oggetto di questa Commissione, ma davvero mi astengo dall’esprimere qualsivoglia valutazione di correttezza scientifica in ambiti in cui non ho alcuna competenza scientifica io stesso.

     

    (interruzione del consigliere Facci)

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Facci, bisogna però che lei lo faccia al microfono.

     

    (interruzione del consigliere Facci)

     

    Presidente BOSCHINI. Se no comunque non rimane agli atti. Quindi lei ha ripetuto la sua affermazione se è corretto che il sistema regionale finanzi Hansel e Gretel.

     

    Consigliere BERTANI. Anch’io avevo una precisazione sulla risposta alla domanda. Quindi, l’équipe psicologo ed assistente sociale c’è dappertutto. Anche l’UVM c’è dappertutto, quindi anche in Val d’Enza. Mi rimane da capire se gli specialisti della UVM possano essere anche consulenti esterni.

     

    Dott.ssa FERRI. Voglio chiarire quello che l’Azienda sanitaria ci ha detto rispetto al finanziamento ad Hansel e Gretel. Sul centro La Cura l’azienda sanitaria non ha messo finanziamenti, questo bisogna che sia chiaro.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa FERRI. È stato fatto un corso di formazione. L’Azienda ha preso la responsabilità di fare un corso di formazione, ma adesso il “metodo …Omissis…” non esiste in quanto tale, non esiste un “metodo …Omissis…” come esiste la Carta di Noto, o la dichiarazione di consenso del CISMAI. Non mi risulta che esista un “metodo …Omissis…”, né mi risulta che chi ha fatto la formazione a Reggio Emilia avesse un metodo di questo tipo. Però mi fermo qui, perché io sui contenuti della formazione posso certamente informarmi. Quello che tengo a chiarire è che non è che esiste una codifica del “metodo …Omissis…”; esistono delle dichiarazioni che questo professionista ha fatto, come fanno tanti altri professionisti, un professionista che è stato giudice onorario in molti tribunali, un professionista molto conosciuto in Italia. Mi fermo qui perché poi nel merito anch’io non ho le competenze per dire se …Omissis… sia meglio di un altro.

    Certamente: a) non esiste un “metodo …Omissis…”; b) anche se esistesse non è citato in nessuna nostra linea di indirizzo, come una cosa da seguire. Rispetto invece a quello che chiedeva il consigliere Bertani, l’UVM c’è. Di solito sono di dimensioni provinciali, le UVM, proprio perché sono un secondo livello. Nello specifico non le so rispondere se in provincia di Reggio Emilia ve ne siano una o due, però certamente c’è, e certamente vede tutti i casi. Privato non c’è, proprio perché si tratta di un posto anche banalmente dove si decide chi spende e chi fa che cosa.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Io davvero penso che dobbiamo ringraziare profondamente per la disponibilità la dottoressa Ferri e il dottor Passarini. Abbiamo lavorato quattro ore consecutivamente, senza pausa. Credo che davvero anche fisicamente e mentalmente il contributo alle finalità di inchiesta e di verità di questa Commissione è stato veramente cospicuo.

    Li ringrazio davvero quindi per la disponibilità. Se per caso, fra i dati o i numeri che avete citato c’è qualcosa che può essere utile da acquisire, magari vi chiediamo la collaborazione per questa acquisizione.

    Farei entrare la dottoressa Soavi, presidente del CISMAI, che a sua volta ci ha aspettato quattro ore. Grazie mille, arrivederci.

     

    -     Audizione della dottoressa Gloria Soavi, presidente del CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e gli Abusi all’Infanzia)

     

    Presidente BOSCHINI. Buonasera, dottoressa Soavi. Noi la ringraziamo, naturalmente e ci scusiamo anche per la lunga attesa, forse, di quasi quattro ore che le abbiamo procurato. La ringraziamo doppiamente per la sua presenza. Vorrei che considerasse questa lunga attesa proprio come il senso dell’impegno, perché anche noi, qui dentro, dal nostro punto di vista, stiamo lavorando.

    Presidente del CISMAI, Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia, poi lei stessa magari ci aiuterà a comprendere meglio che cosa significa questa sigla.

    Do lettura dei temi su cui abbiamo indicato la sua presenza qui. Il primo tema è la presentazione dell’attività e delle funzioni del CISMAI; il secondo tema è la presentazione della dichiarazione di consenso CISMAI, anche in rapporto ad altre linee guida o indirizzi in materia di abusi sui minori, tema di cui peraltro stavamo discutendo in parte anche nella precedente audizione.

    Se ci sono domande, procediamo con domande. Altrimenti, se la dottoressa ritiene, posso richiedere di esaurire almeno intanto il primo punto, cioè la presentazione delle attività e delle funzioni del CISMAI.

    Brevemente, se può darci queste indicazioni su cos’è il CISMAI e quali sono le sue funzioni e attività, e poi magari dopo procediamo con domande. Le chiedo magari via via di appuntarsele, in maniera poi da poter rispondere, magari ne raggrupperemo più di una, quindi potrà rispondere via via alle domande che raccogliamo.

     

    Dott.ssa Gloria SOAVI, presidente CISMAI. Buonasera a tutti, grazie di questa opportunità e del lavoro che state facendo. Spero di portare anch’io un contributo alla discussione di questa Commissione.

    Vi presento in maniera molto sintetica – poi, se ci sono delle domande di approfondimento – che cos’è il CISMAI, che è il Coordinamento italiano dei servizi contro maltrattamento e abuso all’infanzia. È un coordinamento di servizi pubblici e privati. Il CISMAI è società scientifica dal 2017, e si occupa da molti anni di studi, ricerche, linee di indirizzo, formulazione di documenti, tutti basati sulle evidenze scientifiche che derivano dall’Organizzazione mondiale della sanità, dall’ISPCAN, di cui noi siamo partner italiani, che è la più grande organizzazione che si occupa a livello internazionale di abuse and neglect, con cui abbiamo condiviso molti congressi, in occasione dei quali abbiamo anche presentato le nostre linee guida. Siamo stati interlocutori per molti anni ai tavoli tecnici dell’Osservatorio per l’infanzia e l’adolescenza, dell’Osservatorio per il contrasto della pedopornografia e della pedofilia, dell’Istituto nazionale degli innocenti. Abbiamo collaborato con l’Autorità garante dell’infanzia e dell’adolescenza dalla sua costituzione. Abbiamo anche dato il nostro contributo a varie Commissioni parlamentari.

    Noi non abbiamo alcuna operatività rispetto ai casi e alle situazioni. I nostri servizi si associano liberamente e condividono l’organizzazione di seminari, formazioni, congressi, che portano avanti e sviluppano i temi del maltrattamento, di tutte le forme del maltrattamento. Noi in questi anni abbiamo redatto delle linee di indirizzo, delle buone prassi; non solo la dichiarazione di consenso, che è stata la prima; abbiamo lavorato anche sulla valutazione e il sostegno delle famiglie nei casi di maltrattamento, inteso, ovviamente, in tutte le sue forme. Abbiamo lavorato ultimamente all’home visiting, un programma di prevenzione molto importante, indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità, proprio sul tema della prevenzione a tutte le forme di maltrattamento. Abbiamo redatto un documento sulla violenza assistita, sui requisiti minimi. Questi documenti sono redatti da Commissioni specifiche che vengono organizzate ad hoc, con esperti interni ed esterni alla nostra organizzazione. Questo molto brevemente.

    Rispondo anche all’altra domanda?

     

    Presidente BOSCHINI. Io comincerei a raccogliere altre domande. Oppure volete già direttamente...

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Se volete, c’era il tema di che cos’è la dichiarazione di consenso e che rapporto ha con le altre linee guida e gli indirizzi in materia di abusi sui minori. Non vorrei togliere il lavoro al collega Facci.

     

    Dott.ssa SOAVI. Come volete.

     

    Presidente BOSCHINI. Permetto al collega di riposarsi un attimo.

    Vedo che si è prenotato il collega Callori, al quale do la parola.

     

    Consigliere CALLORI. Grazie, presidente.

    La ringrazio, dottoressa, per la sua presenza in questa audizione.

    Innanzitutto, due domande per rompere il ghiaccio. Ne faremo altre dopo. In queste settimane di audizioni abbiamo sentito pronunciare molto la parola “CISMAI”. Quindi, oggi ci fa estremamente piacere averla qui direttamente e ascoltare le risposte alle nostre domande. Io ho guardato su internet il vostro sito per capire chi eravate, come eravate, la struttura che avete e quant’altro. Ciò che mi è balzato all’occhio sono i circa 497 soci, aderenti alla vostra associazione, in giro per l’Italia. Adesso mi è meno chiaro. Oggi lo guardavo ancora: avete modificato l’assetto del sito. Prima c’era un bell’elenco di soggetti, mentre adesso è un po’ più difficile. Comunque, nonostante tutto, si vede.

    Vorrei capire una cosa, innanzitutto. Voi siete un’associazione, un ente. I vostri soci vi pagano per essere associati? Come vi finanziate? Vedo che c’è una pagina dove ci si può iscrivere al CISMAI. Voi fate una preselezione o tutti quelli che ve lo chiedono possono aderire? Ho notato che chiunque può aderire (persone fisiche, enti pubblici, associazioni). Vorrei capire se bisogna avere delle competenze, delle caratteristiche particolari oppure se tutti possono affiliarsi a voi.

    Le rivolgo una domanda prima di entrare nel merito. L’oggetto riguarda la Val d’Enza, Reggio Emilia, casi di affido e quant’altro. Ieri la presidente dell’Ordine degli assistenti sociali ci ha detto che, dei sette assistenti sociali coinvolti, sei sono stati sospesi e uno è stato reintegrato. La domanda è anche questa, oltre alle altre. Hansel e Gretel mi sembra sia una vostra associata, fa parte del vostro gruppo. Avete, eventualmente, preso provvedimenti, anche temporanei, visto quello che sta succedendo? La magistratura resta competente nel dire quello che è successo. Eventualmente, coloro che collaborano con Hansel e Gretel e, magari, collaborano anche con voi li avete momentaneamente sospesi o tutto va avanti come se non fosse successo niente?

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Ci sono altre domande? Raccogliamo anche l’intervento del collega Facci e dopo rispondiamo.

     

    Consigliere FACCI. Grazie, dottoressa.

    Anch’io ho da porle qualche domanda. Vista l’ora, faccio pochi preamboli, tanto il tema un po’ lo conosciamo. Lei ha detto che il CISMAI ha contribuito a numerosi documenti presi in considerazione a vari livelli. Lo scontro, che emerge anche dalle carte processuali del processo a Reggio Emilia, è quello tra due metodi. Non è di oggi questo scontro. Guardando in rete, si trovano discussioni anche datate.

    Vorrei capire qual è il giudizio che voi del CISMAI date alle linee guida nazionali del SINPIA, quelle sull’ascolto del minore, e alla Carta di Noto.

    Non credo sia una posizione ufficiale, ma molti dei vostri aderenti definiscono gli estensori della Carta di Noto “negazionisti”. Le chiedo, se possibile, di spiegare esattamente questa posizione, che ovviamente è molto forte.

    Lei ha detto, nel rispondere all’osservazione del collega Callori, che Hansel e Gretel non sono vostri associati. Io vorrei sapere che rapporti avete con Hansel e Gretel. Mi risulta fossero vostri associati, quantomeno nel passato. Avete fatto diverse cose insieme, avete patrocinato diversi corsi di formazione o, comunque, di documentazione insieme. Vorrei capire esattamente il rapporto e cosa pensa il CISMAI della cosiddetta “scuola …Omissis…”. La dottoressa che è uscita prima, la dottoressa Ferri, ha negato, a sua conoscenza, l’esistenza di un metodo …Omissis… Nelle carte processuali il termine “scuola …Omissis…” o “metodo …Omissis…” o “metodo …Omissis…” è ampiamente ricorrente. Faccio fatica a pensare che all’interno del CISMAI non ci sia questa conoscenza. Come lo giudicate me lo dirà lei. Infatti, le chiedo cosa pensa della scuola …Omissis… Do per assodato che questo sia, ovviamente, un metodo a voi noto. È processualmente indicato, e non da oggi.

    Queste sono le prime domande. Mi riservo, ovviamente, di fare altre precisazioni successivamente.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Ovviamente lei, collega, quando cita le carte processuali, cita quelle pubbliche.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Oppure quelle rese di pubblico dominio dai giornali. Perfetto. Giusto per precisare.

    Prego, dottoressa. Se vuole, può rispondere alle domande poste dal collega Callori e dal collega Facci.

     

    Dott.ssa SOAVI. Vi ringrazio per queste domande, che mi permettono ‒ spero ‒ di fare un po’ di chiarezza. In questi mesi siamo stati attaccati a livello mediatico, sui giornali. C’è stata una narrazione della nostra associazione molto pesante: in alcuni passaggi diffamatoria e in altri con falsità o, comunque, con gravi inesattezze.

    Come dicevo prima, noi siamo una società scientifica. Siamo nell’elenco delle società scientifiche dal 2017, insieme ad altre società scientifiche che hanno redatto altri documenti. Noi non diciamo che i nostri documenti sono linee guida. Sono linee di indirizzo, come la dichiarazione di consenso e le altre, quelle sui requisiti minimi, sulla violenza assistita piuttosto che quelle sull’home visiting. Ci rendiamo conto che, per essere chiamate “linee guida”, sempre in base alla legge Gelli, occorrono caratteristiche particolari e stringenti, che attualmente non abbiamo, come non le hanno, peraltro, gli altri protocolli in uso. Questo non significa che non ci sia una validità in quello che viene detto.

    Parlo, intanto, della dichiarazione di consenso. Ci sono basi scientifiche e una bibliografia di riferimento internazionale accuratamente valutata e confrontata. Tutto questo lo trovate sul nostro sito. Per ogni paragrafo c’è una ricerca bibliografica ad hoc e sono state valutate e confrontate 1.366 voci bibliografiche. Questo per precisare che quello che diciamo non ce lo siamo inventato e ha una base scientificamente corretta. Una delle accuse era anche questa, ossia che siamo ascientifici. Se siamo ascientifici non si capisce perché siamo nell’elenco ufficiale delle società scientifiche del Ministero della salute. Questo è un primo punto che volevo sottolineare.

    Per quanto riguarda la differenza, il confronto con la Carta di Noto, vorrei sottolineare un paio di cose. Intanto, noi ci muoviamo in contesti completamente diversi. Il nostro target è diverso. I nostri soci, per rispondere alla domanda... Scusate se, magari, mescolo gli argomenti. Se non rispondo a qualche domanda, me lo dite. La nostra è un’associazione libera.

    Faccio un passo indietro. Noi siamo attualmente 104, tra centri e servizi, pubblici e privati. “Pubblici” significa ASL, servizi sociali, eccetera; “privati” significa centri e cooperative. Ad esempio, in Lombardia, dove hanno una struttura diversa dalla nostra, vi sono centri privati. O meglio, del terzo settore. Scusate. “Privati” non è il termine corretto. Abbiamo un referente regionale per ogni Regione, quasi tutte. Alcune sono accorpate. Chi si vuole associare fa una domanda che viene valutata in primis dal livello regionale. Evidentemente, a livello nazionale, non possiamo conoscere tutto, compresa la serietà di certe strutture.

    Una delle caratteristiche è che abbiano una competenza sui temi di cui trattiamo. Ovviamente, se uno si occupa di altre branche della psicologia e non ha un interesse o una preparazione specifica sul maltrattamento e l’abuso non lo escludiamo, però non lo riteniamo un requisito richiesto. Dopodiché, c’è anche un approccio, una conoscenza diretta delle persone e delle strutture. Successivamente, ci si associa. Noi siamo un’associazione che fa formazione e che si occupa di approfondire questa tematica e anche di offrire contributi internazionali, che possono essere importanti per andare avanti nell’elaborazione di strategie di intervento diverse o più aggiornate.

    Non abbiamo organi di controllo, nel senso che noi non siamo responsabili, evidentemente, se qualcuno assume comportamenti scorretti o, peggio, illeciti. Cosa significa questo? Non è che non abbiamo organi di controllo. Noi non controlliamo l’attività del singolo. Ogni professionista sarà sottoposto ai controlli del proprio Ordine, a livello deontologico, e della struttura in cui lavora. Nel nostro Statuto, invece, c’è il seguente passaggio: in presenza di gravi motivi, il centro o la persona viene sospeso e successivamente espulso.

    Rispondo a un’altra domanda. Sì, è prevista una quota annuale. Per i centri parliamo di 250 euro e per i singoli di 180-190 euro. Questo ci permette di autofinanziare le attività che svolgiamo. Per i soci, ad esempio, ci sono corsi di formazione gratuiti. Oppure si organizzano convegni e altri tipi di seminari di formazione, cose di questo tipo.

    Passiamo alla Val d’Enza. La Val d’Enza si è associata ‒ se non ricordo male ‒ nel 2016. Non c’era alcun motivo perché non si associassero. Era un servizio pubblico della mia Regione, tra l’altro. Io sono di Ferrara. Si trattava di un servizio di tutela, quindi si occupava anche di maltrattamenti. Come sappiamo, la tutela dell’infanzia si occupa anche di maltrattamenti, se non soprattutto. Appena abbiamo saputo dell’indagine in atto, sono stati immediatamente sospesi.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. Il Comune della Val d’Enza.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. No. Il socio, l’associato era il Comune della Val d’Enza, non le persone. Poi ci sono le persone considerate individualmente, ma non è questo il caso. Anche Hansel e Gretel era associato come centro.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. Hansel e Gretel è stato associato dal 2008 al 2014. Poi, siccome anche in questo caso non c’era alcun motivo... Noi non siamo così fiscali. Se tu non paghi un anno o due... Puoi andare e venire. Non ci sono motivi per cui diciamo “no, non sei nostro socio”. Loro sono rimasti dal 2008 al 2014. Nel 2014 sono usciti e sono rientrati nel 2016. Dopodiché, sono usciti definitivamente nel 2017.

    L’attività del centro...

     

    (interruzione: “Perché non pagavano? Scusi se la interrompo”)

     

    Dott.ssa SOAVI. In parte. Il primo anno sì. Se non c’è un interesse, non c’è un interesse reciproco. Uno si associa perché ha voglia di associarsi e di fare delle cose insieme.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. No. Abbiamo scritto noi una lettera di...

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. Sì.

     

    Presidente BOSCHINI. Colleghi, le domande così non vengono registrate.

    È stato chiesto se il recesso è stato prodotto dal CISMAI o autonomo da parte di Hansel e Gretel e la risposta è che è stata un’iniziativa del CISMAI, quella del recesso. Dico bene, dottoressa?

     

    Dott.ssa SOAVI. Sì. Comunque, era reciproco perché evidentemente...

     

    Presidente BOSCHINI. Per una mancanza di reciproco interesse.

     

    Dott.ssa SOAVI. Certo. Sennò uno richiede di essere riammesso in qualche modo.

    Vorrei dire una cosa. Non vorrei che suonasse come una polemica, nella maniera più assoluta, nei vostri confronti. Faccio un discorso in generale. Io ho assistito, nel corso di questi mesi, a un attacco alle nostre linee guida (che non possiamo chiamare in nessun caso così; di nessuno, non le nostre), alla nostra attività scientifica, in particolare alla dichiarazione di consenso. Si è trattato di un attacco che non ha cercato un confronto, come avviene tra società scientifiche o, comunque, tra professionisti, che possono avere posizioni diverse, ma che si possono confrontare. Alcuni toni usati nell’informazione sono stati solo di discredito, privi della volontà di cercare di conoscere fino in fondo che cosa c’è scritto in questa famosa dichiarazione di consenso, di cui vi parlo velocemente. Successivamente, la andremo a vedere.

    I contesti sono diversi. A quel punto, ho aperto una parentesi. I contesti sono diversi perché i nostri target sono diversi. Noi abbiamo come soci psicologi, assistenti sociali, educatori, medici. Non abbiamo avvocati e non siamo una società che si occupa... Parlo di noi come CISMAI. Se ognuno nella sua professione fa il consulente di parte, il consulente d’ufficio, lo psicologo per bambini, quelli sono affari suoi.

    Come CISMAI, noi non siamo una società forense. Questo già fornisce informazioni, a mio avviso, importanti. La Carta di Noto, come sappiamo tutti, fornisce indicazioni molto precise e assolutamente condivisibili rispetto a come deve avvenire l’assunzione della testimonianza nei percorsi giudiziari.

    La dichiarazione di consenso comprende indicazioni per l’ascolto clinico, per l’area clinica. Se volete, vado a dettagliare. Si parla di contrapposizione. Sì, ci sono punti diversi. Questo non vuol dire, però, che tutto quello che noi abbiamo scritto lì non sia condiviso, a livello internazionale, da una bibliografia e da studiosi, non di serie C o tirocinanti. Parliamo di persone che su questi argomenti hanno studiato per anni, hanno svolto studi longitudinali. Si può essere d’accordo o meno. Non è obbligatorio ‒ ed è questo l’aspetto che vorrei sottolineare ‒ avere le stesse identiche opinioni, fermo restando che facendo (come abbiamo fatto, per facilitare) un confronto rapido, ma scevro da pregiudizi, non pregiudizievole rispetto ai contenuti della Carta di Noto e della dichiarazione di consenso, è possibile notare che grosse differenze non ce ne sono.

    Ve le indico. Entrambe considerano con serietà e rischio i falsi positivi, prescrivono competenze e aggiornamenti permanenti, sottolineano il rischio di vittimizzazione secondaria del bambino nei procedimenti giudiziari, distinguono il ruolo giudiziario dello psicologo dal ruolo clinico, mettono in guardia dal pericolo di fare interventi suggestivi con il minore. Quest’estate io ho sentito delle leggende metropolitane su questa cosa: addirittura, nelle nostre linee guida c’era scritto che bisognava insistere per cercare l’abuso. Anche no. Qui non c’è scritto. Questa è del 2015. È stata rivista quella del 2001: anche in quella del 2001 non c’era scritto. C’è scritto che non bisogna mai suggestionare i bambini, né in senso positivo né in senso negativo.

    A questo punto, vorrei aprire una piccola parentesi. La suggestione positiva è quando metti le tue impressioni, il tuo linguaggio nell’ascolto della testimonianza o nell’ascolto in generale. Noi queste robe le diciamo anche per l’ascolto clinico. Il clinico deve accogliere quello che il bambino dice, non deve cambiare una virgola. Come sapete bene, per la legge n. 66 chi fa questo mestiere, nel pubblico e nel privato, ha l’obbligo di segnalare il possibile reato. Però c’è anche l’induzione negativa. Parli, ti racconto una cosa, faccio la faccia di quello che non crede e dico: “Ma no, dai, la mamma è buona. Il papà non può aver fatto questa cosa”. Noi mettiamo lì entrambe queste situazioni.

    Inoltre, diciamo che bisogna approfondire la conoscenza del minore e del suo contesto familiare. Se volete, questa ve la mando. Ci sono tutti i punti. Sono detti in maniera diversa, ma il succo è lo stesso. In più, diciamo che ci sono indicatori aspecifici e che non basta ‒ se vuole le leggo il pezzo ‒ nessun indicatore da solo per fare una diagnosi di abuso.

    L’aspetto diverso, quello che probabilmente ha creato anche in passato atteggiamenti di divergenza, è il seguente. La Carta di Noto indica come opportuno far mancare al minore, fino a dopo l’incidente probatorio, il sostegno psicologico. Noi invece diciamo – badate, questo non perché siamo fuori, ma perché lo dice la legge n. 66 e lo dice la legge n. 174 del 2012, la norma di recepimento della Convenzione di Lanzarote, quindi è una legge dello Stato italiano – che al bambino deve essere garantito, in ogni ordine e grado di giudizio, il sostegno e l’accompagnamento psicologico, nonché la terapia.

    Purtroppo, a differenza di noi, molte nazioni – ad esempio, la Gran Bretagna in questo è molto più avanti di noi, da molti anni – hanno linee guida nazionali, che io auspico veramente che vengano fuori, linee dell’ascolto a livello nazionale. Poi ci sono le buone prassi che possono aiutare il professionista, ma per evitare che si creino contrapposizioni, a volte anche un po’ eccessive (per non dire altro), ci vogliono linee guida nazionali, che con la nuova legge Gelli sappiamo che devono fare tutto un bel percorso. Di questa roba si parlava un anno e mezzo fa all’Osservatorio di pedofilia e pedopornografia, insieme al Ministero della giustizia e al Telefono Azzurro, perché non ci sono linee guida nazionali che hanno un carattere di obbligatorietà. Ed è questo che fa la differenza. Del resto, le linee guida nazionali si chiamano così perché adesso con questa legge devono fare tutto un percorso particolare e lì si perché passano attraverso enti ministeriali, quindi dello Stato, dunque tutti siamo tenuti a seguirle. Dicevo, questa è la differenza più grossa.

    D’altra parte, noi ci atteniamo non solo alle leggi, ma anche alle disposizioni internazionali. Non è che ce lo siamo inventato noi. Questo perché molti di noi – la maggioranza credo faccia lo psicoterapeuta – capiscono che, se un bambino, presunta vittima, comincia l’iter, iter che a volte è molto lungo, e lui può avere dei problemi, chi lavora nella sanità e ha in mente il supremo benessere del minore e anche la salute del bambino banalmente si deve porre il problema.

    Io faccio sempre questo esempio molto semplice: quando uno fa un incidente e si rompe il braccio non è che deve aspettare che arrivi il perito che deve fare la perizia e vedere chi ha colpa. Intanto pensa ad aggiustarsi il braccio rotto. Ed è per quello che, lo ripeto, dobbiamo arrivare tutti a fare queste linee guida nazionali con un confronto, perché ovviamente bisogna ottemperare a quello che è il diritto sacrosanto del bambino a essere curato, aiutato, sostenuto, accompagnato, e a quelli che sono i diritti del presunto abusante. A tal riguardo, ad esempio, l’Inghilterra ha delle indicazioni molto interessanti, che forse dovremmo anche un po’ guardare e adattare al nostro ordinamento, che sono quelle relative a come si fa la terapia tenendo conto del procedimento giudiziario, quindi ottemperando a quelle che sono le varie esigenze. Noi diciamo che, se un bambino sta male, presunto o non presunto, ma sta male, va sicuramente accompagnato, gli va spiegato cosa gli succede e va anche curato. Questa è la differenza più grossa.

    Per quanto riguarda gli indicatori, visto che è un ambito clinico, tant’è che si chiama valutazione clinica, non si chiama valutazione forense, intendo ribadire che qui è scritto che ci sono indicatori e segni psicologici, e parla di “una vasta gamma di sintomi cognitivi, emotivi e comportamentali aspecifici”. Quindi, nessuno dice che questo fa la diagnosi dell’abuso. Non vi voglio tediare, perché è anche un po’ singolare che facciamo queste discussioni, ma va bene se può dare un contributo, perché comunque chi deve fare una diagnosi medica e psicologica deve, chiaramente, valutare se ci sono o non ci sono degli elementi. Questo non ha nulla a che fare con il discorso del processo, punto.

    Vengo al metodo. Noi non abbiamo un metodo, anche perché è una cosa abbastanza scorretta. Noi abbiamo delle indicazioni. Non è che esiste il “metodo CISMAI”. Ci sono dei documenti scientifici che orientano le nostre professioni (psicologo, assistente sociale, medico ed educatore) nel campo vasto del maltrattamento. Quando dico “maltrattamento” ho in mente quelli che l’Organizzazione mondiale della sanità ci dice che sono maltrattamenti su minori, quindi la grave trascuratezza, la patologia delle cure, il maltrattamento fisico e psicologico, la violenza assistita e l’abuso sessuale. Quindi, che io sappia non c’è un “metodo …Omissis…”, in letteratura non c’è un “metodo …Omissis…”, ci sarà un modus operandi di quel gruppo di professionisti. Ma che ci sia un “metodo …Omissis…”, secondo me, è un modo un po’ semplificativo per dire delle cose. Non è che c’è un metodo strutturato, come non c’è un “metodo CISMAI”. Lo ripeto, non è che c’è un metodo, ma ci sono delle indicazioni, ragion per cui, se tu vuoi essere aggiornato su come si fanno certe cose, li trovi nei nostri documenti di indirizzo. Però, se tu non lo fai tutti i giorni, come associazione non ho… Insomma, io ti do delle indicazioni e ti faccio delle formazioni. Ovviamente, se ci sono situazioni gravi, come appaiono da questa inchiesta, su cui noi aspettiamo veramente che la magistratura faccia chiarezza il più presto possibile, per i bambini, per le famiglie e per gli operatori… Volevo dire questa cosa, dopodiché mi taccio. Io ho lavorato nella tutela quarant’anni in questa Regione e mi dispiace molto, ma non solo per la regione Emilia-Romagna, in generale, perché per il mio lavoro giro tutta Italia, vado a tantissimi convegni, nazionali e internazionali, insomma è un osservatorio molto interessante, che si parli di tutela dei bambini e di maltrattamento o solo quando c’è il fatto di cronaca eclatante, ad esempio quando muore un bambino, come nel caso di Verona, dove si è scoperto che il padre aveva filmato la bambina eccetera, o solo quando purtroppo ci sono situazioni a livello di operatività che mettono in luce problemi o addirittura illeciti, come questa ordinanza sottolinea.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottoressa. Le chiedo soltanto una cosa: se cortesemente, a meno che non si possa trovare sul vostro sito direttamente, può lasciare agli atti questa comparazione punto per punto fra Carta di Noto e dichiarazione di consenso. Ricordo di aver detto, qualche seduta fa, che sarebbe stato un esercizio particolarmente utile, che forse ci avrebbe risparmiato qualche discussione. Quindi, trovarlo già fatto è molto importante.

    Prego, collega Taruffi.

     

    Consigliere TARUFFI. Grazie.

    Ringrazio la dottoressa Soavi sia per aver atteso praticamente tutto il pomeriggio sia per essere qua e darci la possibilità di interloquire e approfondire, credo in un passaggio importante dei lavori di questa Commissione.

    Correggetemi, come sempre, se sbaglio, ma mi pare di capire, anche facendo riferimento alle audizioni che abbiamo svolto fino ad oggi, che all’interno della comunità scientifica si sia aperto un dibattito relativamente ad alcuni metodi da applicare rispetto alle modalità di ascolto del minore nel momento del dibattito giudiziario e mi pare di capire che esistano posizioni diverse, la cui legittimità è ovviamente sacrosanta, ma anche facendo riferimento alle indicazioni che spesso vengono fatte in questa Commissione, in questa come nelle altre audizioni, la Carta di Noto è uno strumento che raccoglie una serie di raccomandazioni, che sono pensate per migliorare e rendere più cogente e più fattiva una determinata procedura di ascolto del minore. Il riferimento alla Carta di Noto – lo dico in modo non polemico, ma cerco di stare nel dibattito dei nostri lavori – non è di per sé il riferimento a un testo univocamente riconosciuto come la modalità attraverso la quale si devono svolgere o non si devono svolgere determinate procedure. Lo ripeto, si tratta di un insieme di raccomandazioni che alcuni professionisti, che hanno ovviamente piena legittimità all’interno della comunità scientifica, ritengono utili come punto di riferimento. Non è il testo a cui si fa riferimento in modo univoco e unitario.

    Ho voluto precisarlo semplicemente perché, nel corso del nostro dibattito, è capitato che si facesse una contrapposizione tra i contenuti delle linee di indirizzo della Regione Emilia-Romagna e la Carta di Noto e si dicesse sostanzialmente che, poiché le linee di indirizzo della Regione Emilia-Romagna non rispecchiano in tutto e per tutto le indicazioni della Carta di Noto, le linee di indirizzo della Regione Emilia-Romagna sono in contrasto con la comunità scientifica. Ecco, vorrei che in un passaggio dei nostri lavori questo fosse segnalato come legittima opinione, ma non veritiera.

    Non stiamo dicendo che è impossibile sostenere che, nel caso in cui le linee di indirizzo della Regione Emilia-Romagna non rispecchiassero o, comunque, non traessero spunto esclusivamente dalla Carta di Noto, le linee di indirizzo della Regione Emilia-Romagna sono in contrasto e al di fuori di quello che esprime la comunità scientifica. Questo non è vero. Possiamo, al massimo, dire che esiste un dibattito, ampio, articolato, legittimo, su cui ovviamente si deve inserire che uno dei due punti centrali, almeno per quello che sono riuscito a cogliere dalla testimonianza che ci è stata appena fornita, ha a che fare con il fatto che mancano linee guida nazionali, e intendo linee guida nazionali riconosciute in modo inequivocabile con il “bollino del Ministero”.

    Anche nella documentazione che abbiamo avuto modo di visionare in queste settimane esistono quelle che vengono definite linee guida, ma sono l’insieme di alcune posizioni, di alcuni orientamenti espressi da alcune società che operano nel settore, non sono le linee guida nazionali certificate dal Ministero.

    Credo che questo sia un primo pezzo del ragionamento che noi dovremmo mettere a sistema.

    Nel corso della precedente audizione credo di aver sottolineato un altro pezzo del ragionamento, che è la parte terminale di questo complesso sistema che ha a che fare con l’erogazione dei servizi, quindi come i servizi sociali sono organizzati a livello territoriale. Ecco, questo è un altro pezzo, importante secondo me, che noi, che siamo nel mezzo dei due terminali, dobbiamo provare a mettere a sistema.

    L’assenza di linee guida nazionali certificate da documenti ministeriali credo rappresenti un problema, che questa Commissione ha il compito di mettere bene in evidenza.

    Inoltre – anche qui, vi chiedo la cortesia di correggermi se sbaglio – uno degli elementi fondamentali che viene evidenziato nella differenza tra l’impostazione del pezzo della comunità scientifica che fa riferimento alla Carta di Noto e il resto del dibattito ha a che fare con la necessità di fornire o non fornire sostegno psicologico al minore fino al momento dell’incidente probatorio. Da un lato, la Carta di Noto dice che non si deve fornire sostegno psicologico, perché questo potrebbe “inquinare” la testimonianza del minore, dall’altro si dice che, in presenza di un problema e di una situazione di urgenza magari di una certa gravità, è opportuno intervenire, non facendo altro che dare sostegno. Questo è uno dei punti fondamentali di contrasto all’interno della comunità scientifica.

    Riprendendo ciò che ho detto prima, secondo quello che penso, è molto importante evidenziare questi nessi. Personalmente, per le competenze che ho, non me la sento di stabilire qui, in questo momento, quale delle due parti sia quella giusta. Credo siano legittime entrambe, però penso che sia un dibattito molto articolato, che ha a che fare con l’impostazione complessiva della comunità scientifica, alla quale noi non possiamo far altro che riferirci, ovviamente facendoci ciascuno di noi una propria opinione. Tuttavia, intendo ribadire, da quello che capisco, che è impossibile dire che le linee di indirizzo regionali sono in contrasto con la comunità scientifica. Questa è un’affermazione che va respinta, perché non corrisponde tecnicamente al vero.

    Da questo punto di vista, vorrei solo un chiarimento se ho capito bene rispetto alle cose che sono state espresse, perché credo davvero che questi punti siano importanti per il lavoro e anche per la relazione finale che questa Commissione dovrà evidentemente produrre.

     

    Presidente BOSCHINI. Se per lei va bene, dottoressa Soavi, raccoglierei anche l’intervento dei colleghi Facci e Callori, dopodiché farei un ulteriore tour di risposte. Bene.

    Prego, collega Facci.

     

    Consigliere FACCI. Grazie.

    Dottoressa Soavi, torno sulla distinzione tra Carta di Noto e dichiarazione di consenso. Lei ha detto che la Carta di Noto ha finalità esclusivamente forensi e la dichiarazione di consenso CISMAI ha fondamentalmente un’altra applicazione. Allora, se io scorro la dichiarazione di consenso del CISMAI, trovo la parte che riguarda la valutazione in sede forense; se guardo la Carta di Noto, si parla ovviamente dell’ascolto del minore, ma si fa riferimento a una serie di professionisti, che non sono solo il magistrato e l’avvocato difensore o il perito del tribunale, ma anche una serie di esperti coinvolti nella raccolta della testimonianza. Quindi, credo che questo aspetto debba essere rimarcato.

    Vi è, però, una cosa sulla quale mi permetto di dissentire. Vedo che, nella vostra dichiarazione di consenso, gli indicatori di abuso sono ben marcati. Non vi è solo l’elencazione, ma anche il dubbio che deve essere rappresentato nella questione dei falsi. Sostanzialmente, c’è un particolare riferimento al fatto che l’abuso sia molto probabile. Invece, la Carta di Noto, se guardiamo al punto n. 18 delle linee guida, è in netto contrasto. Lo leggo: “Non esistono segnali psicologici, emotivi e comportamentali validamente assumibili come rivelatori o indicatori di una vittimizzazione. Non è scientificamente fondato identificare quadri clinici riconducibili ad una specifica esperienza di abuso né ritenere alcun sintomo prova di essi. Parimenti, in assenza di sintomatologia psicologica, emotiva e comportamentale in capo al minore, non può escludersi”. È un approccio ben differente rispetto al tema abuso.

    Torno, allora, alla domanda alla quale lei mi ha parzialmente risposto, e cioè il vostro giudizio rispetto alla Carta di Noto e alle linee guida nazionali del SINPIA. Ricordo che sei società scientifiche – lei ha voluto rimarcare come il CISMAI sia una società scientifica riconosciuta – hanno redatto linee guida, quindi se guardo l’aspetto numerico forse è maggiore l’orientamento in un senso differente. Di fatto, il contrasto c’è.

    Io non sono qui a dire che deve prevalere l’uno o l’altro. La nostra è una Commissione d’indagine che deve partire da situazioni in cui è sicuramente successo qualcosa. Nel succedere qualcosa, guardando anche, per quello che abbiamo potuto conoscere, gli atti processuali, la questione della Carta di Noto emerge, perché emerge che il cosiddetto “metodo …Omissis…” Tra l’altro, …Omissis…, in vari interventi in giro per la rete, richiama le vostre linee guida. Per esempio, ho trovato gli atti di un convegno a cui ha partecipato, un po’ datato, di qualche anno fa, fatto nel 2010, dove gli interventi sono differenti, il suo e quello di …Omissis…, ma …Omissis… richiamava le linee di indirizzo del CISMAI in particolare sulla questione dell’indicatore di abuso. ebbene, io credo che lo scontro sia qua. Certo, non tocca a noi dire chi deve vincere. Però, questo è lo scontro.

    Allora il punto è questo: che giudizio date voi della Carta di Noto? E perché chiamate gli estensori della Carta di Noto “negazionisti”? Anche questo è un dato conosciuto, di cui si è dato contezza.

    Da ultimo, le faccio una domanda estremamente franca, alla quale spero che la risposta sia altrettanto chiara. Il SINPIA, con la sua dichiarazione, e la Carta di Noto contestano che possano esistere gli indicatori di abuso in maniera netta, come invece voi li avete indicati. Allora, nel momento in cui voi portate avanti questa metodica, che poi viene declinata in vari modi, e lei dice che non esiste un “metodo CISMAI”, ma che date delle linee, però linee ben precise, voi sostenete la teoria degli indicatori di abuso e poi abbiamo visto che c’è chi, magari come Hansel e Gretel, l’ha estremizzata, verosimilmente. Allora io le chiedo questo: lei sostiene che le vostre linee di indirizzo siano di fatto e abbiano una valenza scientifica superiore o quantomeno equivalente rispetto a quelle della Carta di Noto e dei documenti elaborati in questo campo da queste sei società scientifiche?

    È ovvio che, se uno dice “io ho ragione, gli altri sono dei negazionisti”, addirittura, stando anche a quello che è emerso nelle intercettazioni telefoniche dei componenti di Hansel e Gretel, si parla di “carta scritta da quattro pedofili” – l’avrà letto anche lei sui giornali –, c’è chiaramente questa impostazione contrastante. Io ho una mia idea, però qua voglio cercare di capire quali sono le vostre idee rispetto a quello che c’è. Immagino, ovviamente, che la sua, in quanto presidente, sarà un’opposizione molto diplomatica, però le chiederei di essere abbastanza chiara, perché secondo me su questo aspetto si gioca anche molto di questa discussione e forse anche dei fraintendimenti che intorno a questa discussione sono sorti.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Prego, collega Callori.

     

    Consigliere CALLORI. Grazie, presidente.

    Innanzitutto faccio i complimenti alla dottoressa Soavi per l’esposizione. È stata molto brava a rispondere alle prime domande. Però, le dico anche che non trovo giusto questo risentimento da parte sua. Penso sia evidente che ciò che è successo in Val d’Enza è riconducibile a soggetti che, alla fine, erano associati a CISMAI. Nessuno, io per primo, intende puntare il dito sul CISMAI o su chiunque altro, quindi non deve sentirsi colpita. Però, lo ripeto, questo sistema in Val d’Enza vedeva un soggetto, Hansel e Gretel, che oggi apprendo con piacere che avete allontanato, dove c’era un professionista – a questa domanda, peraltro, prima non mi ha risposto –, che vorrei sapere se è vostro associato o meno, che si chiama …Omissis…, che insieme a sei o sette assistenti sociali – quindi, anche lì sono andati a puntare il dito su un gruppo di persone, gli assistenti sociali, e qui ribadisco che il 98 per cento di essi lavora molto bene e seriamente – ha lavorato non in modo corretto. Non possiamo dire che questo non è vero. Quindi, è chiaro che chi si trova nel mezzo di questa catena deve necessariamente rispondere.

    A me, infatti, fa molto piacere oggi questa audizione, e ringrazio chi l’ha chiesta, perché stiamo scoprendo cose che prima non sapevamo, tipo quella, lo ripeto, di Hansel e Gretel che si è dissociata, e non vogliamo che a farne le spese siano soprattutto i minori, coloro che subiscono violenze o altro, perché nel mezzo della contrapposizione tra CISMAI, Carta di Noto, linee guida e linee di indirizzo ci sono questi bambini. Io non posso pensare che un bambino sia trascinato o sia allontanato perché uno condivide una carta e uno ne condivide un’altra.

    Penso che da questa Commissione debba partire anche un grido forte che dica agli organi superiori “date delle linee chiare”. Del resto, abbiamo audito – penso che gli altri possano convenire – persone che ci hanno detto che le linee guida nazionali vanno bene, altre che ci hanno detto che non esistono, altre ancora che ci hanno detto che vanno bene le linee di indirizzo regionali. Non è possibile. Noi non possiamo accettarlo, e non tanto noi, quanto chi alla fine è giudicato in base a queste linee, chi deve metterle in atto.

    Prima parlavamo di UVM – non sono più intervenuto, altrimenti non la finivamo più – ebbene le UVM provinciali, che devono valutare, come ho detto in uno dei miei primi interventi, sono depotenziate. Se voi parlate con gli assistenti sociali che operano in queste UVM, loro vi diranno che non hanno potere, che non riescono ad agire come vogliono. Altro aspetto negativo che lamentano è che non possono giudicarsi tra colleghi. Anche qui ci vuole qualcosa di diverso: ci vuole un soggetto super partes, che possa dire come sono le cose realmente.

    Ripeto: questa Commissione più va avanti, più mi appassiona, perché vedo che più va avanti, più scopriamo cose e scopriamo anche delle persone che lavorano in modo molto serio. Però noi dobbiamo far saltar fuori, anche se poco, quel marcio che c’è. Non deve più succedere quello che è successo. I metodi che poi vengono attuati, lo ribadisco, vanno a colpire dei bambini, delle famiglie.

    Ieri sera non ho avuto tempo di guardare una trasmissione dove hanno detto cose agghiaccianti (su Rete4 o non so dove).

     

    (interruzione)

     

    Consigliere CALLORI. Esatto.

    Queste cose non possono più accadere, dobbiamo far sì che ci sia una valutazione di questi casi seria e approfondita, ma soprattutto bisogna dare la possibilità… Apro una parentesi anch’io: è vero che non è l’assistente sociale che dice se il bambino va allontanato o meno, ma è il Tribunale, questo lo abbiamo imparato in modo chiaro. Però il Tribunale fa riferimento e fa fede ad una relazione che gli assistenti sociali, l’UVM, qualcuno rilascia. Cioè il Tribunale non si inventa se allontanare o meno una persona. L’altro giorno ne parlavo con la presidente dell’Ordine degli assistenti sociali: è successo un caso, nel mio territorio, dove un assistente sociale, alla quale poi è stato tolto il caso, discrezionalmente diceva “in quella famiglia non è molto pulito perché vedo la polvere sugli armadi e perché hanno troppa roba sui comò”. Ora, che adesso l’assistente sociale debba dire che secondo lei c’è troppa polvere o troppa roba su un comò, e che quindi questo crea disordine, io posso essere uno a cui piace l’ordine e non avere nulla; oppure posso essere uno a cui piace avere tanti soprammobili. Questa è una cosa discrezionale e non può permettersi, un assistente sociale, di andare a dire.

    Chiudo. Regole certe, quindi, e tra di voi: trovate però una mediazione, perché scelte diverse vanno a ricadere su dei minori e su delle famiglie.

     

    Presidente BOSCHINI. Io avrei ancora iscritta la collega Prodi. Ci sono altri interventi presumibili?

    Ascoltiamo la collega Prodi, facciamo fare un giro di risposte e poi vediamo se ci bastano o se dobbiamo tornarci sopra. Se non è una domanda troppo complessa, procediamo con la domanda.

     

    Consigliera PRODI. La mia è una domanda facilissima.

    Prima di tutto ringrazio la dottoressa Soavi, perché il quadro che ci ha fatto è molto chiaro. La settimana scorsa, in questa Commissione io avevo proprio detto che temevo che ci trovassimo nella faglia fra visioni scientifiche, quindi auspicavo che ci fosse una composizione.

    Rilevo che la persona udita la settimana scorsa, invece, aveva un atteggiamento completamente diverso, negando qualsiasi possibilità che ci fossero opinioni scientifiche al di fuori di quella che lui promuoveva.

    Io invece sono molto contenta del fatto che l’approccio oggi sia completamente diverso, cioè abbiamo un approccio trasparente, che anzi, ci chiarisce benissimo i punti di dissenso, di differenza fra i due approcci. Qua siamo un po’ tutti tecnici della nazionale, in merito all’ascolto del minore. Io umilmente dico che dobbiamo un po’ studiare, ma molto umilmente, quel tanto per addivenire a un ragionamento che non sia quello da tifo da stadio. In base a quello che sto studiando, a parte la differenza di ambiti, cosa che va rilevata ogni volta che ci esprimiamo, il fatto di negare al minore potenzialmente abusato, che comunque evidentemente ha bisogno di un sostegno psicologico a prescindere, questo percorso sino a certe fasi, è un po’ peculiare, soprattutto se abbiamo, come veniva detto, convenzioni internazionali e leggi che si esprimono differentemente. Come dicevano la dottoressa Soavi e il collega Callori, noi possiamo solo auspicare che ci sia una composizione, o perlomeno un confronto aperto e un riconoscimento reciproco: questo sarebbe già un buon passo a livello nazionale.

    Peraltro, oggi, abbiamo appreso che il dottor …Omissis… o Hansel e Gretel non sono soci del CISMAI perché sono stati espulsi, diciamo “estromessi”, e che anche i Comuni della Val d’Enza, precauzionalmente, immagino siano stati espulsi da… Questo ci dice anche di una certa correttezza. Credo che il CISMAI non possa avere un’imputazione diretta, anche se capisco che se uno ha una visione strumentale di questa Commissione, se ha un disegno, capisco che il CISMAI possa essere un bell’obiettivo, se uno vuole arrivare a delle conclusioni, che però è difficile secondo me trarre. Se il CISMAI, con una procedura aperta, trasparente e anche collettiva arriva a delle indicazioni, il fatto che poi per certe eventualità e per certe condizioni uno non ci si attenga, secondo me genera tutto un altro tipo di situazione.

    Comunque, la mia domanda è questa. Andando sul sito di alcune Regioni noto che il CISMAI ha contribuito anche a generare delle linee di indirizzo; la mia domanda è con quante Regioni avete o state collaborando su questi temi.

     

    Presidente BOSCHINI. Risponda pure, dottoressa, se riesce a seguire il filo di quello che abbiamo messo nel piatto.

     

    Dott.ssa SOAVI. Grazie, presidente e grazie a tutti per le domande.

    Cercherò di rispondere: io ci provo, anche se non proprio in ordine, poi mi richiamate. La consigliera Prodi ha già richiamato quello che volevo aggiungere nella sintesi che aveva fatto prima il commissario. Rimarco di nuovo questa differenza, che noi troviamo molto importante: quella dell’accompagnamento e del sostegno psicologico.

    Ripeto: non è un elemento da poco, secondo noi, perché intanto rispetta la legislazione del nostro Paese. Questa cosa a mio parere va tenuta nell’importanza che ha. Quindi, non solo rispetto la legge 66, ma rispetta la Convenzione di New York, la Convenzione di Strasburgo, la Convenzione di Lanzarote ed è inquadrata anche nell’articolo 32 della nostra Costituzione che è il diritto alla salute. In questo io vedo la differenza più grossa.

    Mi permetto di dire una cosa: non è una risposta diplomatica, la mia, attenzione. Io conosco molto bene anche qualche estensore della Carta di Noto, con cui ci siamo trovati negli anni. Volevo anche un po’ rispondere: io non è che sono risentita, mi dispiace se ho dato questa idea; però sinceramente non ho apprezzato il livello del dibattito che si è svolto sui giornali su questi temi. Volevo ben chiarire. Ripeto: io sono d’accordo con lei, qui bisogna pensare al bene dei bambini e a fare meno errori possibili. Fermo restando che io son convinta di una cosa: non è solo questione di linee guida, ci vuole altro. Intanto, sicuramente che il nostro Paese si doti di uno strumento. Ripeto: all’estero ce li hanno. Noi dovremmo solo mettere insieme quello che di buono ha già funzionato in altri Paesi e recepirlo rispetto alle nostre esigenze. Ripeto: la Carta di Noto e la dichiarazione di consenso dal punto di vista dei contenuti che si indicano come quelli che vanno fatti per un ascolto del minore, mi dispiace ma non sono dissimili. Non sono dissimili perché ripeto, noi non diciamo che bisogna suggestionare il minore, noi non diciamo che gli indicatori sono quelli, e allora c’è l’abuso. Noi diciamo, come la Carta di Noto, che sono aspecifici. Ripeto: non bastano le linee guida, fossero anche la più belle del mondo, le più organizzate. Ci vuole formazione e competenza. Questo è. Perché io posso avere una linea guida meravigliosa, e poi non sono in grado magari di metterla in pratica. Non accetto tanto questo discorso. Dice: voi siete, allora potete indurre nel pensiero che: no, questo non è un ragionamento secondo me corretto, perché quello che c’è scritto, ribadisco il concetto, è frutto di un confronto con la letteratura internazionale. Voi sapete che di queste cose negli altri Paesi parlano da cinquant’anni, quindi ci sono tutta una serie di studi e ricerche che magari sottolineano più certi aspetti e certi altri. Ma anche questa storia che c’è il conflitto, la guerra con la Carta di Noto: abbiamo delle posizioni diverse e facciamo lavori diversi.

    Ha ragione lei. Nell’ultima stesura c’è un pezzo che dice: il concetto è che noi parliamo dell’approccio corretto al problema dell’abuso, come valutazione clinica, quindi per le professioni di aiuto, e c’è la parte medica, la parte psicologica, la parte sociale. Poi c’è una parte, che nel 2015 è stata aggiunta, nella valutazione forense, ma lei vede che più o meno sono le stesse cose. Non diciamo cose completamente diverse.

    C’è quindi l’attenzione al bambino presunta vittima; c’è l’attenzione al fatto che questo, presunta o non presunta non lo so, lo saprò quando avrà finito il percorso giudiziario, però magari ha anche dei problemi; magari ha anche dei sintomi; magari ha anche il disturbo post-traumatico. Ma quello non vuol dire, ai fini del processo, che è l’abuso. Vuol dire che se lui che li ha, io che sono una professionista della salute dell’infanzia, lo devo prendere e anche curare. E nessuno mi può dire che questo è ascientifico. Non so se sono stata chiara.

     

    (interruzione del consigliere Facci)

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Facci, magari dopo interloquiamo, se no rimane tutto fuori dagli atti.

     

    Dott.ssa SOAVI. Sono stata io che gliel’ho chiesto.

     

    Presidente BOSCHINI. Schiacci il microfono così sentiamo cosa dice. Se no non rimane agli atti.

     

    Consigliere FACCI. Ho detto che lei ha voluto distinguere la parte della valutazione clinica dalla parte della valutazione forense. Però, guardando esattamente le singole specificazioni, nelle raccomandazioni per la valutazione forense si richiede che i professionisti che operano come esperti forensi, abbiano acquisito le medesime competenze culturali e tecniche specifiche suggerite per i valutatori clinici. Quindi, tutta la parte che riguarda gli indicatori che voi suggerite nella formazione per la valutazione clinica li ritroviamo in ambito forense.

    Ribadisco: apprezzo la sua sostanziale chiarezza e anche tranquillità dell’esposizione. Però, di fatto, c’è una Carta di Noto che gli indicatori li nega, o meglio, non li prende in considerazione e ritiene che non siano validamente assumibili. Voi li prevedete. Quindi, la distinzione è qua, fondamentalmente. Naturalmente, l’ambito della formazione che voi fate, corsi di formazione, metodi, indubbiamente, se c’è una formazione che propende a cercare un abuso perché avete una serie di indicatori e c’è una posizione che non è che lo neghi, ma non è così convinta, non è così netta com’è la vostra posizione, per me la differenza è lì. Poi abbiamo gli eccessi, le degenerazioni. Lei giustamente dice: noi Hansel e Gretel l’abbiamo messo fuori, però questa secondo me è la grossa questione.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottoressa.

     

    Dott.ssa SOAVI.  Mi perdoni. Non accetto una cosa di quelle che lei ha detto: che noi nella formazione, perché parliamo di indicatori, andiamo a cercare l’abuso. Questa è un’affermazione che non accetto, non lo accetto io e non la accettiamo tutti. Perché? Per fare una diagnosi clinica, l’esperto forense deve fare altro. Fa l’assunzione della prova in questa maniera che indica la Carta di Noto, che va benissimo, perché deve essere assolutamente non suggestiva, deve avere tutta una serie… Tra l’altro, anche loro nell’ultima edizione hanno aggiunto qualcosina in meglio, secondo me, rispetto ai diritti dei bambini, che non c’era nella prima stesura. Comunque va bene, nel senso che hanno recepito anche loro, perché sono delle convenzioni che non si possono non recepire. Le convenzioni internazionali, infatti, essendo frutto appunto di… Perfetto. Dire che io non vado a vedere alcune cose non vuol dire che io vado a cercare l’abuso. Se io professionista non so che se un bambino, poniamo, ha l’incubo di notte, si fa la pipì a letto, o qualsiasi altro elemento, non vuol dire che io sto cercando l’abuso; ma vuol dire che io sto cercando di capire che cosa c’è. Questo me lo dice la letteratura scientifica; non quella che mi sono fatta io a casa. Io le posso mandare tranquillamente, per informazione, non per altro. In America ce ne sono, in Inghilterra, l’OMS stessa, l’IPSCAN: ci sono situazioni tali che mi dicono che può essere anche un abuso.

    Sa qual è il problema? Si parla sempre dei falsi abusi. Anche qui: magari ci fossero dei dati in Italia. Perché se no la mia percezione è come quella di qualcun altro: uno vede cento falsi abusi, io nella mia vita ne ho visti tanti veri, che hanno avuto dei processi giudiziari che sono andati in un certo modo: non perché l’ho detto io. Anche qui: ci fosse una bella ricerca sui falsi positivi. Perché noi italiani ci andiamo sempre a rifare agli americani? Non è che siamo provinciali, è che noi non ce le abbiamo, le cose. Non ci sono degli studi longitudinali. Ce n’è uno, in Italia, del 2006, fatto dall’Istituto nazionale degli innocenti. Li vedi che il 40 per cento delle donne, dai 40 ai 60 anni –adesso vado a occhio perché non mi ricordo più esattamente –, si chiama Vite in bilico, fatto dall’Istituto nazionale degli innocenti, sono state abusate da piccole, però non l’hanno mai detto. L’abuso è una cosa brutta, di cui si vergogna chi la subisce e chi la fa, quindi è più vero che è un fenomeno che non viene fuori, o che viene fuori poco. Questo non vuol dire cercare l’abuso, vuol dire sapere che c’è un’ingiunzione al silenzio per il bambino che è stato abusato. E c’è una vergogna per chi lo fa. È per questo – e anche questa frase è stata tanto criticata – che noi diciamo che raramente l’abusante lo dice. Lei ha mai visto uno, nella sua vita, che dica: sì, è vero, ho abusato della mia bambina? Come quello di Verona: se non gli trovavano i filmini, quello mica lo diceva in giro. È una cosa orribile, per la società, per tutti.

    Ribadisco: non lo dice il CISMAI, lo dice l’Organizzazione mondiale della sanità. Vogliamo mettere in dubbio anche quella? Ci sono insomma dei dati, delle ricerche longitudinali di vent’anni, che fanno all’estero. Noi non le abbiamo.

    Tutto questo per dire che noi nella formazione non diciamo “cercate gli abusi”. Lei può venire, ma non lo sentirà mai, perché non è corretto dirlo. Farebbe male ai bambini, perché fanno male i falsi abusi; ma fanno male anche quelli che non vengono scoperti. Detto ciò, io non sono molto d’accordo che ci sia una guerra fra le linee guida. Queste sono narrazioni. Se vogliamo lavorare seriamente, anche come società scientifiche, mi perdoni l’accenno, sono solo quattro, non sei, perché nell’elenco due non sono società scientifiche, ma è una piccolezza. Non vuol dire niente, loro hanno fatto un ottimo lavoro. Però, fare un buon lavoro non vuol dire che invece quegli altri non sono scientifici. Questo io sottolineo.

    Ha ragione lei, non dobbiamo fare la gara a chi è più bravo. Facciamo qualcosa che serva a tutti, come si dice, in scienza e coscienza, e fatto per bene. Mi sono molto dilungata, riprendetemi. Secondo me lo scontro fra le carte non spiega tutto il problema.

    Quanto al discorso della tutela, e dopo mi fermo, magari se non ho risposto a qualcosa, me lo ridite, perché non voglio non rispondere. Se le posso fare una battuta, data l’ora, lei ha parlato di negazionisti. Se io le dicessi tutto quello hanno detto a noi del CISMAI, staremo qui fino a domattina.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. Guardi, di tutto e di più. Certo, ognuno può avere delle opinioni, ma questa è la nostra posizione. È la posizione della nostra formazione, è la posizione delle nostre linee guida.

    Ripeto: nei corridoi del CISMAI lei non ha idea di che cosa dicono, cose anche un po’ pesantucce. Quanto al discorso della tutela dei bambini e delle bambine che possono subire maltrattamenti è un discorso molto complesso e molto delicato. Mi sono permessa di fare qualche battuta, ma voi siete qui per una cosa seria: per evitare che ci siano dei bambini che abbiano degli interventi non corretti. Qui la magistratura ci dirà bene cos’è, perché un conto è l’errore, un conto è il dolo: sono due cose un po’ diverse.

    Per evitare il margine di errore, io credo che ne abbiate parlato in questi giorni, a livello altro, con i funzionari della Regione, fra di voi. Io vi posso dire questo, sempre dal mio osservatorio: in Italia noi siamo molto indietro su questi temi. Ribadisco: mi dispiace che se ne parli solo quando ci sono cose che non funzionano. Finalmente si parla di tutela dei bambini e delle bambine, un miracolo. Noi non abbiamo dati nazionali – poi se vuole le offro argomenti anche per una domanda –: sono 25 anni che la Commissione europea ce li chiede. Io mi chiedo allora: di che cosa stiamo parlando? Che tipo di ragionamento fa la politica su questo? E per politica intendo tutti. Noi non sappiamo neanche esattamente quanti dati, quanti bambini maltrattati. Adesso, su alcune cose si comincia. Ma se uno non sa la grandezza del fenomeno, sono 7, 120, 5.000, come fai a fare un ragionamento rispetto alle politiche? Deve esserci cioè un’inchiesta perché parliamo di tutela? Questo mi sento di dirlo.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. Aspetti: le nostre statistiche. Le dico un’altra cosa. Noi abbiamo partecipato nel 2015 alla ricerca, con l’allora Garante e Terres des Hommes. Qui lo sottolineo perché ci si attribuisce una bella cifra che è divisa per due, questo sempre dai giornali che mi informano. È stata la prima ricerca epidemiologica fatta in Italia: crede che io sia contenta? No, perché questo lo doveva fare lo Stato italiano, non due associazioni.

    Qui il ragionamento è un altro. Cominciamo a fare delle cose che servono davvero. Poi, va benissimo. Tanto, l’Onu – ci sono i trent’anni, eccetera – ci ha richiamato, ci ha fatto una serie di raccomandazioni lunghe e così e ci ha detto: com’è che non avete ancora i dati, voi? Ce l’ha perfino il Burkina Faso i dati sui bambini maltrattati. Lei capisce come siamo messi?

    Al di là delle scuole di pensiero, che pure ci possono stare, però ripeto non esageriamo nelle cose che onestamente si possono anche limitare ad un confronto di posizioni diverse, punto. Ma andiamo bene avanti e facciamo qualcosa per tutti.

    Non so se ho risposto a tutti. Se c’è qualcosa che mi è sfuggita me lo dite.

     

    Presidente BOSCHINI. Forse la domanda della collega Prodi: a quante linee guida regionali avete collaborato. Mentre alla domanda se definite negazionisti quelli di Noto, mi sembra che abbia risposto, dicendo più volte che ritiene valida quella Carta.

    Se può dirci a quante circa avete collaborato, con quali Regioni collaborate.

     

    Dott.ssa SOAVI. Noi abbiamo lavorato col Piemonte e con l’Emilia-Romagna, perché c’ero io, lavoravo ancora all’ASL, quindi non c’è conflitto di interessi, io sono uscita dall’anno 2013 ma ho lavorato all’ASL, quindi ero nel gruppo regionale; in Veneto, in Puglia, in Sicilia e Lombardia e Abruzzo.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. Mi sembra di sì.

    Vi dico di più: le indicazioni sono quelle, che un po’ sono anche nelle linee regionali, che io ho condiviso non come CISMAI, e ho condiviso come professionista, nel senso che è l’approccio multidisciplinare sempre e comunque, perché questo evita gli errori. Se ci sono dei centri di terapia, che sono poi l’attuazione dei LEA, non sono delle cose… Anche qui: il problema è che negli ultimi anni gli investimenti sulla tutela e l’infanzia sono calati tanto. C’è quindi un problema di personale, c’è un problema di formazione, non solo nei servizi.

    Volevo finire con questo: una delle cose che ci sta “appassionando” è la prevenzione. Noi dobbiamo arrivare prima che succedano le cose, quindi lavorare sul rischio.

    Ne abbiamo parlato qui a Bologna, tanti anni fa, nel 2009, in tempi non sospetti. Chi è più avanti di noi, su queste tematiche, leggi l’Organizzazione mondiale della sanità, che queste cose le ha scritte nel 2006, parla di prevenzione. Si può prevenire il maltrattamento, si può prevenire il disagio, lavorando con la famiglia, con i genitori, ma intercettando da subito i campanelli d’allarme. Questa è la prevenzione. Uno degli strumenti principe è l’home visiting. La collega ha scritto anche un libro e l’abbiamo anche sperimentato. Una delle caratteristiche nostre è che noi siamo fatti da operatori che lavorano sui territori, quindi ci sono state anche delle sperimentazioni sull’home visiting, con delle ricadute veramente importanti.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottoressa.

    Se possiamo ancora approfittare della sua disponibilità per qualche minuto ho ancora un intervento del collega Callori.

     

    Dott.ssa SOAVI. Prego.

     

    Consigliere CALLORI. Sono tre domande secche. Una gliel’ho posta due volte, glielo pongo la terza: una è se …Omissis… è associato al CISMAI. Le altre due: diceva prima che avete 104 associati fra pubblico e privato, in Emilia-Romagna?

     

    (interruzione)

     

    Consigliere CALLORI. In tutta Italia, okay.

    L’ultima è questa: da quello che ha letto, visto, sentito, anche se poi qualcuno non è più affiliato però lo è stato, in Val d’Enza che idea si è fatta? È successo qualcosa di anomalo o no? Da professionista, è chiaro, poi sarà il magistrato che farà quello che deve fare.

     

    Presidente BOSCHINI. Lei ha risposto prima fuori microfono. Mi conferma che 104 sono gli iscritti a livello nazionale?

     

    Dott.ssa SOAVI. Aspetti: 104 sono fra centri e servizi, non persone, ma sono servizi o centri in tutto il territorio nazionale.

    Quanto a …Omissis…, mi scusi se non sono stata chiara, ma siccome era iscritto il centro Hansel e Gretel, uscito il Centro è uscito anche …Omissis….

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. No.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. Nel 2017 è uscito. È il centro che fa riferimento, per quello mi sembrava di averle risposto, invece lei…

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa SOAVI. Lui era come centro Hansel e Gretel.

    Se devo dire la verità, io aspetto la magistratura, ma le spiego il perché. Quanto alle notizie che vengono fuori dalla stampa, alcune sono molto forti e non ho motivo di credere, sto pensando alle intercettazioni… Quelle sono vere e mi fanno interrogare molto. Altre cose che sono uscite dalla stampa mi fanno interrogare altrettanto. Quanto anche a questa storia dell’elettroshock, che è girata per mesi e continua ancora a girare, il Procuratore ha detto “guardate che non è vero”.

    Quanto a farsi un’idea da quello che emerge dalla stampa, le dico che sicuramente qualcosa non ha funzionato. Cosa non lo so. Se ci sono degli illeciti, questi vanno assolutamente individuati: assolutamente, perché qui si parla anche di illeciti. La magistratura io spero che faccia veramente chiarezza.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille.

    Se non ci sono ulteriori osservazioni, noi, dottoressa, la ringraziamo molto, sia per l’attesa, sia per la qualità naturalmente del lavoro che ci ha consentito in questa seconda parte del pomeriggio.

    Credo che oggi pomeriggio abbiamo fatto in quasi sei ore di lavoro un passo avanti molto importante, al di là delle valutazioni che legittimamente ognuno di noi può dare. Credo che la massa di informazioni, di indicazioni, il lavoro svolto debbano renderci un pochino orgogliosi della qualità che credo stiamo producendo. Ci sono tutte le premesse per poter fare, credo, alla fine, un buon lavoro.

    Davvero quindi esprimo questo auspicio, da presidente. Vi ringrazio tutti per il lavoro, perché tutti ci siamo impegnati tanto oggi. Ringrazio davvero di nuovo la dottoressa. Le auguro buona sera, a questo punto ci sta tutto, e quasi buonanotte.

     

     

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