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90.

 

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 27 LUGLIO 2016

 

(ANTIMERIDIANA)

 

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE SALIERA

 

INDI DELLA VICEPRESIDENTE SONCINI

 

INDI DEL VICEPRESIDENTE RAINIERI

 

 

INDICE

 

Il testo degli oggetti assembleari è reperibile sul sito dell’Assemblea

 

Aggiornamento della seduta

PRESIDENTE (Saliera)

 

Sull’ordine dei lavori

PRESIDENTE (Saliera)

FOTI (FdI)

 

OGGETTO 2881

Progetto di legge d’iniziativa della Giunta recante: «Norme di promozione dei percorsi associativi: ambiti ottimali, Unioni, fusioni e incorporazioni di Comuni» (40)

(Relazione della Commissione, relazione di minoranza e discussione)

PRESIDENTE (Saliera)

TARUFFI, relatore della Commissione

MARCHETTI Daniele, relatore di minoranza

FOTI (FdI)

BERTANI (M5S)

BIGNAMI (FI)

PRESIDENTE (Soncini)

POLI (PD)

TARUFFI, relatore

PETITTI, assessore

PRESIDENTE (Rainieri)

BONACCINI, presidente della Giunta

 

Allegato

Partecipanti alla seduta

 

 

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE SALIERA

 

La seduta ha inizio alle ore 9,59

 

PRESIDENTE (Saliera): Dichiaro aperta la novantesima seduta della X legislatura dell’Assemblea legislativa.

 

Aggiornamento della seduta

 

PRESIDENTE (Saliera): Colleghi consiglieri, vista la scarsa presenza, sospendo la seduta per dieci minuti.

 

(La seduta, sospesa alle ore 9,59, è ripresa alle ore 10,15)

 

PRESIDENTE (Saliera): Riprendiamo i lavori.

Hanno comunicato di non poter partecipare gli assessori Patrizio Bianchi, Andrea Corsini, Palma Costi, Raffaele Donini, Paola Gazzolo e Sergio Venturi.

 

Sull’ordine dei lavori

 

PRESIDENTE (Saliera): Il consigliere Foti chiede la parola. Prego.

 

FOTI: Signora presidente, mi permetto di chiedere una cosa. Visto che non mi pare ci sia ancora un affollamento notevole e solo con il concorso dell’opposizione sarebbe possibile procedere poi nell’esame degli emendamenti eventuali, essendovi una serie di comitati che sono oggi qui presenti per la questione Carbonext di Lugagnano, chiedevo se potevamo sospendere per un quarto d’ora la seduta in questo momento, così da dare la possibilità ai Capigruppo e ai rappresentanti dei Gruppi di poterli incontrare e poi andare spediti.

Al limite, avendo noi poi il termine alle 13, potremmo prorogarlo alle 13,15, recuperando questo intermezzo.

 

PRESIDENTE (Saliera): Se qualcuno in questo momento non alza la mano e mi fa delle obiezioni, io sono d’accordo.

Decidiamo, in modo un po’ informale, quanto dura la sospensione.

 

FOTI: Dieci o quindici minuti.

 

PRESIDENTE (Saliera): Alle 10,30 riprendiamo. Ora sono le ore 10,14.

Bene. Ci vediamo qui alle ore 10,30.

 

(La seduta, sospesa alle ore 10,15, è ripresa alle ore 10,47)

 

OGGETTO 2881

Progetto di legge d’iniziativa della Giunta recante: «Norme di promozione dei percorsi associativi: ambiti ottimali, Unioni, fusioni e incorporazioni di Comuni» (40)

(Relazione della Commissione, relazione di minoranza e discussione)

 

PRESIDENTE (Saliera): Oggetto 2881: Progetto di legge d’iniziativa della Giunta “Norme di promozione dei percorsi associativi: ambiti ottimali, Unioni, fusioni e incorporazioni di Comuni”.

Il testo è stato licenziato dalla Commissione “Bilancio, affari generali ed Istituzionali” nella seduta del 19 luglio 2016.

Il progetto di legge è composto da 13 articoli.

Il relatore della Commissione, consigliere Igor Taruffi, ha preannunciato di svolgere relazione orale.

Il relatore di minoranza, consigliere Daniele Marchetti, ha preannunciato di svolgere relazione orale.

Il CAL ha espresso parere favorevole.

Chiedo di sedervi e di prendere posto, in modo da poter dare la parola al relatore della Commissione, Igor Taruffi, che ha venti minuti a disposizione. Prego.

 

TARUFFI, relatore della Commissione: Grazie, presidente.

Il progetto di legge che oggi siamo chiamati ad esaminare parte da un presupposto per noi importante, sul quale ci siamo mossi e sul quale crediamo molto, cioè quello di facilitare, agevolare e, in qualche modo, sostenere i processi di aggregazione tra i Comuni, siano esse fusioni, soprattutto, ma anche unioni. L’idea di riformare la Pubblica amministrazione, la spinta riformatrice rispetto alla Pubblica amministrazione è un’esigenza molto sentita, di cui questa Regione ‒ come, ovviamente, il resto d’Italia ‒ ha molto bisogno.

Per quanto ci riguarda, come ha detto il presidente Bonaccini all’atto di insediamento in apertura di questa legislatura, quello della fusione dei Comuni sarebbe stato un tema centrale. Forse non è un caso che in questo anno e mezzo, o poco più, siano già stati licenziati diversi progetti di fusione. Altri sono in corso. Una serie di ragioni spingono soprattutto i piccoli Comuni a valutare l’ipotesi di procedere a fusioni, ma evidentemente questi Comuni trovano nella Regione non solo un orecchio attento, ma anche un soggetto propositivo che spinge in questa direzione.

Proprio su questa falsariga, è stato ritenuto opportuno modificare la legge di riferimento per quanto riguarda i processi di fusione, ovvero la legge del 1996, che è stata, per l’epoca, una legge pionieristica che, in qualche modo, ha sancito obiettivi e ha messo a disposizione risorse che all’epoca sembravano non troppo utili e non troppo indispensabili, ma che con il tempo si sono dimostrate fondamentali. Tutti i processi di fusione in questa Regione si sono sviluppati grazie a quanto previsto dalla legge del 1996, soprattutto dal punto di vista degli incentivi economici. È inutile negare che se l’obiettivo fondamentale delle Amministrazioni pubbliche e degli Enti locali è quello di erogare servizi in modo efficace ed efficiente, chiaramente il tema relativo alle risorse economiche diventa fondamentale.

Da questo punto di vista, in riferimento alla stretta gravata sugli enti locali negli ultimi anni, in modo indifferente rispetto ai Governi nazionali (la linea è sempre stata la medesima, cioè di procedere a tagli nei confronti delle Amministrazioni periferiche, quindi anche degli enti locali), in molti territori si è avvertita la necessità di procedere ad aggregazioni e fusioni, proprio per trovare un ambito ottimale attraverso il quale erogare servizi, che rappresenta la funzione fondamentale degli enti locali, chiaramente.

Gli incentivi economici hanno svolto un ruolo fondamentale. Non c’è dubbio. Penso anche che stia maturando sempre più la convinzione che le fusioni si devono fare non solo perché ci sono risorse a disposizione, ma anche e soprattutto perché la frammentazione amministrativa che caratterizza il territorio nazionale, anche per ragioni storiche, non consente più di dare risposte efficaci ai cittadini. In termini di programmazione urbanistica, in termini di promozione turistica, in termini di promozione del territorio, le frammentazioni, le divisioni, i tanti campanili per certi aspetti hanno rappresentato e rappresentano tuttora un fattore identitario importante e hanno rappresentato anche una ricchezza e per altri aspetti rappresentano un limite.

La spinta riformatrice parte anche dai territori per le ragioni che dicevo e sono sempre di più i sindaci, gli amministratori che si convincono della necessità di percorrere questa strada. Stiamo esaminando sei progetti di legge per i quali è stato indetto il referendum per il 16 ottobre, se non sbaglio. Questi sei progetti di legge di fusione riguardano sedici Comuni, praticamente in ogni provincia della nostra regione, segno evidente che questo processo sta andando avanti in modo molto spedito, oltre a quelli che abbiamo già esaminato in questo anno e mezzo.

È bene ricordare, tra l’altro, che nella maggioranza dei casi si tratta di Comuni ‒ mi piace sottolinearlo ‒ di montagna, comuni dell’Appennino, che si trovano sui versanti appenninici, dove evidentemente le difficoltà cui sono costretti i piccoli Comuni si fanno sentire più che altrove e dove la necessità di mettersi insieme, superando difficoltà, differenze e, per certi aspetti, ostilità, finalmente incomincia a farsi strada.

Rispetto a questo scenario, la Regione, attraverso i propri strumenti legislativi, doveva accompagnare in modo ancora più deciso questi percorsi, anche in tempi rapidi. Sui tempi è giusto fare una specifica. Questo progetto di legge sicuramente ha avuto tempi di discussione e di approvazione molto rapidi. La discussione è stata costretta nell’arco di due-tre Commissioni, insieme ad altri provvedimenti. Quindi, non c’è dubbio che, dal punto di vista del confronto di merito, la discussione sia andata avanti a marce forzate. È anche vero, però, che, rispetto al percorso e al panorama che stavo prima descrivendo, la necessità di dare risposte in tempi rapidi è un elemento non secondario, non è una variabile indipendente. Chiaramente, sapere con certezza qual è il percorso, quali sono gli strumenti e quali sono le possibilità che i Comuni hanno è un elemento fondamentale. Quindi, la Regione, in qualche modo, per riuscire a incentivare meglio questi processi, doveva intervenire rapidamente.

Vi è, poi, un altro aspetto non secondario, che, tra l’altro, è uno degli elementi di modifica della legge. Mi riferisco alla possibilità ‒ è importante questo aspetto ‒ di affidare al presidente della Regione una maggiore flessibilità nell’indizione dei comizi referendari, proprio per evitare che referendum di altra natura, come quello costituzionale, evidentemente, che sappiamo dovrà essere convocato nel corso dell’autunno (queste sono le informazioni che abbiamo), per evitare che altri referendum, dicevo, come, ad esempio, quello di natura costituzionale, potessero sovrapporsi a quelli indetti per la fusione dei Comuni, creando ritardi nei processi di fusione, era necessario affidare al presidente la possibilità di una maggiore flessibilità nell’indizione del referendum, quindi modificare il testo di legge rapidamente. Non è un aspetto secondario, perché i sei progetti di legge che abbiamo esaminato nella precedente Assemblea andranno a referendum a ottobre, valuteremo l’esito dei referendum – su questo poi spenderò due parole – però, poiché siamo ottimisti, sperando che le cose possano andare bene in ogni territorio e immaginando che in tutti i territori la fusione possa trovare il consenso maggioritario dei cittadini, in questa ipotesi un conto è se si celebra il referendum a ottobre e noi riusciamo a chiudere l’iter legislativo entro dicembre, quindi in quei nuovi sei Comuni istituiti arriva il commissario il 1° gennaio 2017 e si va a votare nella primavera del 2017, con un intervallo commissariale molto rapido, altra cosa è se noi non ci fossimo dati gli strumenti che ci avrebbero consentito di chiudere il percorso legislativo entro l’anno, avessimo dovuto convocare i referendum l’anno prossimo e avessimo dovuto attendere addirittura il 1° gennaio 2018 per l’istituzione del nuovo Comune. In sostanza, avremo fatto perdere più di un anno a quei nuovi Comuni, un tempo che oggi sappiamo non è certo irrilevante, non è certo indifferente.

Quindi, la prima necessità che ci ha portato a esaminare in tempi rapidi e a portare prima in Commissione e poi in aula questo progetto deriva proprio da qua questa esigenza, e nel testo di legge questo facciamo. Dunque, affidiamo al presidente una maggiore flessibilità nell’indizione dei referendum.

Si potevano forse intraprendere altre strade? Si poteva forse risolvere diversamente il problema? Forse sì! Tuttavia, nel momento in cui si deve mettere mano a una legge, forse è meglio farlo cogliendo l’occasione per risolvere più di un problema o, comunque, cercando di migliorare il testo di legge in più punti. E qui emerge un altro aspetto per noi importante, sul quale peraltro presenterò, nel corso dell’esame dell’articolato, anche un emendamento: il tema della fusione tramite incorporazione. Si tratta di un processo, tra l’altro già previsto anche dalla normativa nazionale, che abbiamo ritenuto fondamentale inserire subito nel testo di legge, mettendo un ulteriore strumento a disposizione di quei Comuni che magari hanno anche già maturato esperienze di fusioni e che vogliono proseguire lungo quella strada. Ci sono casi di territori in cui si sono avviati processi di fusione magari anche tra solo due Comuni, territori che, però, per caratteristiche geografiche, urbanistiche e storiche potrebbero tranquillamente già essere considerati uniti in un solo Comune, ecco per quei territori oggi sussiste una possibilità in più, ovverosia procedere alla fusione mediante incorporazione.

Che cosa significa? Significa sostanzialmente abbreviare la tempistica dell’intero processo, che qualche collega in Commissione ha definito processo di fusione veloce o di fusione breve. Ad esempio, se due Amministrazioni decidono di convocare autonomamente dei referendum consultivi per sapere dai loro cittadini se sono favorevoli a effettuare il processo di fusione per incorporazione, una volta acquisiti i risultati, l’Assemblea non deve far altro, ovviamente una volta approvata l’istanza da parte dei Consigli comunali, che prendere atto dell’espressione della volontà dei cittadini e del Consiglio comunale e procedere alla fusione per incorporazione. È, quindi, un processo sicuramente più spedito, che potrebbe aiutare, e non poco, territori che fino ad oggi hanno visto una frammentazione amministrativa che magari ne ha bloccato lo sviluppo e ne ha frenato le possibilità, territori che magari si sono incominciati a muovere in questo periodo. Ebbene, ecco che noi introduciamo un principio che va incontro alle esigenze di quei territori.

Aggiungiamo anche – e preannuncio al riguardo la presentazione di un emendamento – che la possibilità di avviare il processo di fusione per incorporazione è anche consentita ai cittadini, qualora raccolgano il 25 per cento delle firme dei cittadini aventi diritto al voto. Ebbene – ecco il nostro emendamento – noi vogliamo portare quella soglia al 20 per cento. Perché? Perché riteniamo che sia giusto agevolare il più possibile quei cittadini, quelle comunità che vogliono procedere in questa direzione, magari anche in presenza di Amministrazioni un po’ più timide, un po’ più recalcitranti. Insomma, si offre comunque uno strumento in più a quelle comunità per andare avanti.

Arrivo, adesso, al punto che ci ha impegnati maggiormente nella discussione in Commissione: la valutazione dei referendum. Come ho detto in Commissione e come intendo ribadire oggi in aula, bisogna partire dal presupposto che la legge del 1996, che almeno noi riteniamo una norma importante e per certi aspetti addirittura avanguardistica, affida all’Assemblea legislativa la possibilità di procedere a fusioni di Comuni semplicemente mediante un progetto di legge, sic et simpliciter. Qualora ventisei consiglieri regionali fossero d’accordo a procedere alla fusione di non so quali Comuni e votassero quel progetto di legge, la fusione sarebbe realizzata, senza espressione da parte dei cittadini, senza espressione da parte dei Consigli comunali, senza espressione da parte di nessuno. È una facoltà che la legge affida all’Assemblea.

Ho voluto sottolineare questo particolare aspetto in quanto, a mio giudizio, nelle nostre discussioni tendiamo a sottovalutarne la portata. Se questa è una possibilità, le altre due sono quelle più tradizionali, ossia la prima quando sono i Consigli comunali che presentano l’istanza per l’avvio del procedimento legislativo e la seconda quando i cittadini raccolgono firme per procedere in quella direzione. Questi sono fondamentalmente i tre casi, le tre fattispecie.

Come territorio regionale, abbiamo sempre percorso una strada, cioè sono sempre stati i territori – d’altra parte, è anche logico che sia così – a presentare la richiesta di avvio di procedimento, che poi noi abbiamo esaminata. In questa fattispecie l’Assemblea, per avere una valutazione più puntuale dello stato dell’arte, si avvale di referendum consultivi. Quindi, prendiamo atto che i Consigli comunali ci chiedono di procedere alla fusione, dopodiché l’Assemblea, per avere un polso della situazione più preciso, ferma restando l’espressione dei Consigli comunali, chiede direttamente ai cittadini che cosa ne pensano e, sulla base di quel risultato, procede con l’approvazione o meno del progetto di legge.

I termini erano abbastanza generici, perché la formulazione era volutamente – io credo – generica, anche perché nel 1996 di fusioni non se n’erano mai fatte, quindi anche lo stesso legislatore non si era preoccupato di definire con precisione questo aspetto. Alla luce di quanto accaduto in questi anni, delle esperienze che abbiamo maturato e delle situazioni concrete e reali che si sono determinate, abbiamo ritenuto fosse utile definire meglio questo aspetto attraverso l’istituzione di un criterio, con cui si richiede, qualora si proceda all’indizione del referendum, l’espressione della maggioranza dei cittadini che sono stati chiamati alle urne, ma anche il risultato che si è determinato nei singoli Comuni, e si esige che la maggioranza sia concorde, vale a dire maggioranza dei Comuni che dicono “sì” e maggioranza dei cittadini coinvolti che dicono “sì”, o viceversa. Insomma, chiediamo che vi sia un risultato comparabile. Qualora ciò non avvenga, chiediamo che i Consigli comunali tornino a esprimersi per dare un’indicazione all’Assemblea, che avrà sempre la responsabilità di assumersi l’onere di dire “sì” o “no” al progetto di legge.

Noi possiamo andare incontro alle esigenze dei territori – io credo dobbiamo andare incontro alle esigenze dei territori – e, ovviamente, dobbiamo farlo sentendo i cittadini – su un punto del genere è fondamentale – ma la responsabilità del legislatore è in capo esclusivamente all’Assemblea. Quindi, è l’Assemblea che si assume la responsabilità, in un caso o nell’altro, di procedere o meno all’approvazione del progetto di legge e, quindi, all’istituzione del nuovo Comune. Questo non può non essere perché, diversamente, ci spoglieremmo di una responsabilità, ma anche di una potestà che, invece, è ovviamente in capo, e non può che essere così, all’Assemblea legislativa, perché è l’Assemblea che approva il progetto di legge.

Su questo c’è stata una discussione. Noi riteniamo che sia importante tener conto dell’espressione dei cittadini, dell’espressione anche del risultato dei singoli Comuni. Riteniamo, però, che ci debba essere un equilibrio. È giusto darsi un criterio, è giusto darsi degli elementi più stringenti di valutazione, però dobbiamo farlo con equilibrio, dobbiamo tenere un equilibrio e pensiamo che forzare e costringere troppo da una parte o allargare troppo dall’altra non sia corretto.

Lo dico pensando che, comunque, e questo lo scriviamo a caratteri cubitali e ce lo diciamo per evitare che poi sul territorio si spargano voci non corrette, tutto quello che stiamo discutendo non si applica ai procedimenti in corso. È fondamentale questo.

Nessuno può pensare di utilizzare le leggi in un modo o in un altro sul processo in corso. Altra cosa è dire che ne terremo conto, come ci siamo detti, nella valutazione dei referendum. Tuttavia, non si applica. Lo dico pensando a un caso specifico, su questo voglio essere chiarissimo. Penso al caso che, secondo me, è interessante di Campegine, Gattatico e Sant’Ilario, dove i Consigli comunali ci hanno detto che se il referendum in uno dei tre Comuni non dovesse passare bisogna fermarsi.

Penso – concludo, presidente – che questo per noi debba rappresentare un punto fondamentale, perché è così che si fa. Quando le Istituzioni si rispettano, quando c’è il rispetto istituzionale, se un Consiglio comunale delibera l’avvio di un procedimento chiedendo esplicitamente una cosa, quella cosa lì per noi è sacra e da lì non ci muoveremo.

Chiudo con un ultimo aspetto. Abbiamo pensato che siccome le fusioni sono importanti, ma sono importanti anche i processi aggregativi che stanno dentro le Unioni, una maggiore flessibilità rispetto alla legge n. 21 del 2012 nella ridelimitazione degli ambiti territoriali ottimali e quindi nella possibilità che i Comuni possano definire ambiti anche un pochino considerando che il territorio regionale ha delle particolarità che non possono forse essere tutte contenute in maglie troppo stringenti, anche lì introduciamo un elemento di flessibilità che credo risponda alle esigenze che dai territori gli amministratori ci hanno fatto avere.

Questo è il corpo del provvedimento. È strutturato in diversi elementi e credo che complessivamente introduca elementi che migliorano significativamente una legge che già di per sé è una buona legge.

 

PRESIDENTE (Saliera): Grazie, consigliere Taruffi.

Do la parola al relatore di minoranza, Daniele Marchetti. Prego.

 

MARCHETTI Daniele, relatore di minoranza: Grazie, presidente.

Le fusioni dei Comuni hanno sempre fatto discutere molto all’interno di questa Assemblea. Questo perché non ci siamo mai dati un metodo chiaro per interpretare l’esito dei referendum. Siamo sempre andati avanti basandoci sulle singole sensibilità dei consiglieri o le singole sensibilità dei Gruppi consiliari. Ne abbiamo avuto prova anche questa mattina, vista una sorta di mini riunione di maggioranza per discutere su quali eventuali modifiche da apportare al testo. È segno che comunque si tratta di una tematica delicata che fa parecchio discutere.

La Costituzione all’articolo 133 dice che “la Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni”. Quindi, l’importanza della volontà popolare viene riconosciuta anche nella Costituzione di questo Paese; volontà popolare che, però, a livello regionale emiliano-romagnolo, non ha sempre avuto il giusto peso.

Per fare un esempio su tutti, basta prendere la prima fusione portata avanti qui sul nostro territorio regionale, ovvero quella che ha visto protagonista la Valsamoggia in provincia di Bologna, che ha unito in un unico Comune Bazzano, Castello di Serravalle, Crespellano, Monteveglio e Savigno.

In quell’occasione i cittadini di due Comuni si espressero contro il processo di fusione, una volontà che poi non venne tenuta in considerazione da quest’aula della precedente legislatura, che decise di andare avanti ugualmente tenendo conto esclusivamente del voto complessivo in tutti e cinque i Comuni. Un famoso detto dice che sbagliando si impara, ma sappiamo benissimo tutti che questo non sempre accade. Infatti, questa Assemblea ha continuato a valutare i vari processi di fusione per anni, senza darsi mai dei paletti, delle linee guida ben precise per evitare di ritrovarsi in situazioni come quella della Valsamoggia che ho descritto in precedenza.

Soltanto dopo un progetto di legge presentato dal Gruppo della Lega Nord, di cui ero primo firmatario, qualcosa si è mosso e siamo arrivati a questo progetto di legge che è in esame oggi.

La nostra soddisfazione, se così si può chiamare, si è presto smorzata leggendo il testo dove, nella parte con cui si dovrebbe andare a chiarire la modalità di interpretazione del voto popolare, si continuano a mantenere, in diversi punti, diversi margini di discrezionalità.

Se è vero, infatti, che secondo questo progetto di legge non si procede con la fusione quando il voto complessivo è contrario e al tempo stesso il 50 per cento dei Comuni si è espresso contro, è altrettanto vero che, al di fuori di questo caso specifico, esistono tante altre casistiche. Ad esempio, per prendere un caso su tutti, se su una fusione di tre Comuni il voto complessivo sarà a favore, ma in un singolo Comune la cittadinanza si esprimesse contrariamente, la volontà dei cittadini residenti in quest’ultimo Comune rimarrebbe sempre oggetto di interpretazione di questa Assemblea. Infatti, è proprio questo – e mi riferisco a voi della maggioranza – il vostro errore più grande, ovvero quello di considerare il voto dei cittadini un fattore interpretabile quando, a nostro avviso, la volontà dei cittadini non la si interpreta, la si rispetta e basta.

Più complesso, invece, è quando il voto complessivo sarebbe favorevole, ma in almeno il 50 per cento dei Comuni vincesse il no, oppure – stessa casistica – quando complessivamente vincesse il no mentre nella maggioranza dei Comuni vincesse il sì.

In questi casi, appunto, lo ricordava prima il consigliere di maggioranza Taruffi, la palla tornerebbe ai Consigli comunali dove è prevalso il voto contrario.

Proprio su questo punto emerge un ulteriore problema, che secondo noi esiste e pesa non poco sul processo di fusione, ovvero che quando la fusione torna ai Consigli comunali, i Comuni dovrebbero deliberare con la cosiddetta maggioranza qualificata, quindi con i due terzi del Consiglio. Se prendiamo in esame qualsiasi Comune del nostro territorio di piccole dimensioni, ad esempio sotto i quindicimila abitanti, scopriremo che i due terzi dei Consiglieri comunque rappresentano i consiglieri che fanno parte della maggioranza che hanno approvato la delibera con cui è stato avviato l’iter.

Possiamo immaginare che, dopo una serie di valutazioni, magari, se c’è stata affluenza bassa o chissà cos’altro, il Comune potrebbe comunque decidere di far procedere con la fusione. Dopodiché, il processo tornerebbe in capo all’Assemblea.

Proprio su questo punto c’è stata una discussione tra me e il relatore di maggioranza Taruffi dal momento che gli avevo fatto notare che era evidente che questo non sarebbe bastato per fornire una garanzia in più per il rispetto della volontà popolare. A nostro avviso, la semplice maggioranza qualificata non basta. Serve un numero maggiore di consiglieri per dare il via libera ugualmente al processo di fusione, dovendo coinvolgere magari anche parte della minoranza, perché, ripeto, così sarebbe una garanzia in più che andremmo a dare ai cittadini.

Erano state spese parole e promesse su questo, però io fino ad ora non ho visto alcun emendamento in tal senso. Quindi, attenderò fiducioso. La discussione sarà ancora lunga. Considerata la discussione che vi è stata questa mattina al vostro interno, immagino che ci sia stato qualche problema.

Riassumendo: la volontà popolare verrà rispettata soltanto in alcuni casi; in altri sarà oggetto di un ulteriore passaggio nei Consigli comunali; in altri casi rimarrà “libera” e sarà interpretata di volta in volta dall’Assemblea regionale (come accadeva in precedenza, per intenderci).

In pratica, qualche paletto lo si è messo (questo lo dobbiamo ammettere), ma rimane ancora tanta incertezza. A nostro avviso, questo non è assolutamente accettabile, perché l’obiettivo di questo progetto di legge doveva proprio essere quello di mettere in chiaro tutti gli aspetti di questi procedimenti.

Noi, come Assemblea, a questo punto, ci ritroveremo di nuovo a fare valutazioni su processi che sono stati avviati e che, magari, hanno visto il voto contrario dei cittadini. Ritorneremo punto e accapo, perché ci ritroveremo di nuovo qui a discutere se un processo di fusione va bene o se non va bene. Oppure dovremo valutare una delibera di Consiglio comunale che, magari, darà l’okay nonostante il voto contrario dei cittadini. Anziché semplificare le cose, a mio avviso, abbiamo inserito una serie di casistiche che vanno soltanto a complicare la questione.

Una novità fondamentale di questo progetto di legge riguarda l’incorporazione, tema a cui faceva riferimento il relatore di maggioranza Taruffi. In questo caso, non vorremmo ‒ ci auguriamo che questo non accada ‒ che questa modalità differente dal processo di fusione rappresentasse un secondo tentativo, magari per quei Comuni che hanno già bocciato un precedente processo di fusione. Speriamo che non sia così. Ce lo auguriamo, anche se il dubbio rimane.

Altra perplessità che abbiamo su questo progetto di legge riguarda il fatto che una parte di questa legge verrà applicata anche per i processi in corso. Mi riferisco a quelli che andranno a votare il 16 ottobre. Un’altra parte, invece, quella ‒ a mio avviso ‒ importante, di valutazione dell’esito della consultazione popolare, non verrà rispettata. Al tempo stesso, diciamo: “Attenzione! Come Assemblea, però, teniamo in considerazione lo stesso quei princìpi”. Mi domando che cosa cambi. Mi è stato detto che l’obiettivo è quello di evitare ricorsi da parte di Comuni in caso di applicazione di una nuova legge regionale a processi già avviati, però ci andiamo a privare di uno strumento importante che ci permetterebbe di valutare con più razionalità i processi di fusione e di interpretare la volontà dei cittadini.

Vi sono molte perplessità e un po’ di amarezza per il fatto che quello che si era detto in Commissione, ma anche privatamente, non è stato rispettato. Ritorno sul punto dell’aumento dei consiglieri necessari per dare il via libera ugualmente, nei Consigli comunali, ai processi di fusione. Ad ogni modo, dobbiamo prendere atto della situazione.

Rimangono tantissimi dubbi da parte nostra su questo progetto di legge. Noi abbiamo un’opinione ben chiara. Per noi, quando un Comune si esprime contro, il processo di fusione si dovrebbe fermare. Proprio in tal senso abbiamo presentato alcuni emendamenti, che discuteremo successivamente, emendamenti che ricalcano al cento per cento le parole spese dal presidente Bonaccini sul territorio in diversi incontri pubblici, nel corso dei quali ha detto ‒ mi sono stampato gli articoli; vi aspetterò al varco su questo ‒ che, se anche un solo Comune voterà contro, il processo di fusione si fermerà. Vedremo se questa promessa verrà rispettata. Anche su questo abbiamo diversi dubbi. Non capiamo per quale motivo non abbiate messo queste vostre buone intenzioni nero su bianco in questa legge.

Si continua a rimanere sul vago, lasciando aperte diverse possibilità per calpestare, di fatto, la volontà dei cittadini. Proprio per questo motivo, siamo nettamente contrari a questo progetto di legge. Si poteva fare certamente di più. Si potevano chiarire diversi aspetti di questi processi, ma evidentemente, da parte vostra, non c’è la volontà di farlo.

 

PRESIDENTE (Saliera): Grazie, consigliere Marchetti.

Procediamo con la discussione generale.

È iscritto in discussione generale il consigliere Foti. Prego.

 

FOTI: Signor presidente, il progetto di legge oggi in esame ‒ dobbiamo dirlo ‒ cerca di andare incontro ad alcune difficoltà che gli enti locali hanno incontrato non soltanto sulla materia delle fusioni, ma anche delle unioni di Comuni et similia.

Debbo dire che il relatore Taruffi si è sforzato di far quadrare il cerchio, nel senso di trovare dei punti d’intesa che possano consentire anche a questa Assemblea legislativa di evitare l’imbarazzo di farsi interprete della volontà altrui. A mio parere, uno dei limiti veri della impalcatura che si è voluto seguire per quanto riguarda la fusione dei Comuni è quello del referendum consultivo con regole approssimative. Io ho sentito molto evocare l’interpretazione del risultato elettorale. Come interpretiamo il risultato elettorale di coloro i quali non partecipano alla votazione? Sono favorevoli? Sono contrari? Non gliene frega niente? “Non gliene frega niente” li sommiamo ai favorevoli o ai contrari?

Un referendum consultivo ha solo una regola: tutti i soggetti che vi partecipano hanno lo stesso voto e il risultato finale è il risultato della consultazione. Se si viviseziona per ogni Comune il risultato della votazione, non è più un referendum consultivo, ma una consultazione per Comune. Questo discorso andrebbe fatto prima dell’avvio da parte dei Consigli comunali dell’approvazione del procedimento.

Dico questo perché, a mio avviso, correttamente, questa parte che tutti vogliono eludere, cioè la parte confermativa della delibera assunta dal Consiglio comunale, è, in realtà, la più importante, perché noi eviteremmo di fare prima tutto l’iter e di decidere alla fine come interpretare il voto dei cittadini. Se noi diciamo: le fusioni si possono fare solo tra Comuni contermini. Punto. Le delibere assunte dai Consigli comunali per la fusione devono trovare la conferma da parte dei cittadini attraverso voto consultivo. Punto. Il referendum è valido se partecipa almeno il 30 per cento delle persone. Punto. A quel punto, la sera in cui abbiamo fatto il referendum sappiamo se la procedura segue o meno.

Noi, invece, stiamo adottando un sistema, per quanto riguarda il referendum consultivo, che rimane ‒ scusatemi ‒ “tra color che son sospesi”. Innanzitutto, se la fusione avviene tra tre Comuni, uno solo dei quali confina con l’ultimo, quindi non è contermine al primo, e se quest’ultimo dice di no, noi allora diciamo che non si può fare neanche la fusione nei due Comuni che sono consenzienti e sono contermini? Del resto, se dovessimo rispettare la volontà di ogni singolo Ente locale, a questa conclusione dovremmo arrivare, che è una conclusione del tutto illogica. D’altronde, È vero che un Comune contermine all’altro può non voler partecipare alla fusione, ma è altrettanto vero che i due Comuni che sono tra loro contermini e che hanno dato un risultato entrambe favorevole dicono che vogliono unirsi. Ma, allora, a cosa arriviamo? All’interpretazione della democrazia secondo cui c’è la dittatura della minoranza?

Proprio in ragione di questo ragionamento, personalmente avrei compiuto la scelta unica che il referendum era confermativo delle delibere del Consiglio comunale, prima ancora – attenzione – che i Consigli si preoccupassero di condurre gli studi per la fusione, perché prima si deve dimostrare la volontà politica di volersi fondere, la gente deve dimostrare di essere d’accordo sulla fusione, e soltanto dopo si va a vedere se si portano a casa sei o sette milioni di euro. Sotto questo profilo, la fusione è un processo che deve andare avanti se è seria, cioè se si è convinti di questo. Non deve essere il mezzuccio per cui, dato che i bilanci stanno andando male, ci si mette insieme per rimetterli a posto. Non è così che funziona! E non è così neanche sotto il profilo logico.

Badate, il tema del vantaggio economico rischia anche di diventare prioritario nella battaglia referendaria. Io ho visto come è andata la fusione in provincia di Piacenza: il Comune più piccolo aveva degli agit-prop che andavano a dire: se facciamo la fusione prendiamo sul gobbo i debiti del Comune con cui ci fondiamo. Queste sono le argomentazioni che vengono utilizzate nella battaglia referendaria. Poi lasciamo perdere se non è vero nulla, o se è vero ma vi è una compensazione tale per cui quel Comune avrebbe assunto decisamente più importanza, dal momento che l’opinione pubblica si fa condizionare da queste chiacchiere da bar, che poi diventano improvvisamente vangelo e, quindi, come tali non più censurabili.

La seconda valutazione che mi permetto di esprimere riguarda la differenza tra democrazia rappresentativa e democrazia plebiscitaria. Attenzione, noi non dobbiamo neanche cercare di dare l’idea che l’opinione dei Consigli comunali è solo un mezzo per arrivare alla fusione e non è in realtà anche una prima rappresentazione della volontà popolare. D’altronde, i Consigli comunali sono eletti con voto diretto. Non sono elezioni di secondo o terzo grado. Allora, si ammetterà che vi è una volontà politica espressa che pur una ragione di merito dovrà avere. E qui si ripete la solita litania: qualunque candidato sindaco evita di metterlo nel proprio programma elettorale, perché se lo facesse non verrebbe mai eletto. Ma se il sindaco non viene eletto, lo deciderà poi quando si andrà alle elezioni del Comune fuso, se e in quanto fuso.

Altro argomento che io proporrei – lo dico, anche se tecnicamente ciò non è possibile, perché andrebbe mutata la legge sulle elezioni comunali e provinciali – è che in caso di fusioni si eviti lo scempio che chi era sindaco in un Comune vada a fare il vicesindaco del Comune fuso, perché quello del Comune più grande fa il sindaco. Del resto, non è lo scambio di poltrone che giustifica la fusione. Non è lo scambio di poltrone la premessa. La premessa deve essere altro, se no non ha un valore politico-istituzionale, ma ha un valore partitico-spartitorio.

Mi permetto di formulare queste osservazioni, dal momento che sono la ragione di molte mancate fusioni nei Comuni. Tutti pensano che si fondano Comuni importanti. Ma quando ci sono fusioni nei Comuni piccoli, non è che qui ci siano stati esempi qualificanti. Penso, ad esempio, a Ventasso: che cosa ha prodotto? Per citarne uno. È così che funziona, perché nei Comuni da 2.000-3.000 abitanti si trovano i due sindaci e cercano di mettersi d’accordo: “Tu prendi l’acquedotto, io prendo il ricovero”, “Però il tecnico comunale per l’urbanistica ce lo metto io”, “Ma, allora, io ci metto quello del bilancio” e così via. È tutto un marcamento di questo tipo, cioè è un vero e proprio mercato delle vacche.

Allora, o entriamo nell’ordine di idee di rappresentare una volontà politica, di chiedere una conferma agli elettori sulla volontà politica, e poi la fusione procede come un fuso, o vi rendete conto della situazione assurda che noi “approviamo” un referendum, aspettiamo il risultato e poi approviamo la legge istitutiva. Insomma, alla fine discutiamo due volte della stessa cosa.

Aggiungo, inoltre, che anche sulle unioni di Comuni occorre fare il punto della situazione, perché molte delle unioni di Comuni non stanno funzionando solo ed esclusivamente perché ognuno mira a portare nell’unione il numero minimo di deleghe per avere i benefici dell’unione, ma si guarda bene dal portare il complesso delle deleghe perché, se no, l’unione conta troppo. Allora, io penso che il periodo transitorio abbia un senso, ma dopo tre anni occorre conferire un numero di deleghe che non sia più quello minimo perché, se no, è l’unione dei minimi, non l’unione dei Comuni. E questo lo dico perché dobbiamo trovare un meccanismo affinché gli Enti locali si abituino a cooperare. Se si leggono i verbali di alcune unioni di Comuni, c’è da mettersi le mani nei capelli. Tanto per essere chiari, ne abbiamo una sulla via Emilia dove l’allora sindaco di Fiorenzuola ha fatto mettere a verbale che il presidente dell’unione ha assunto delle delibere senza che siano mai state assunte. Risultato? Sono sei mesi che l’unione è bloccata. Non si va più avanti. E sapete qual è il motivo? Anche per la sede dell’unione, che era stata decisa con statuto, si deve individuare una persona a servizio dell’unione, non venticinque. E nell’insieme i Comuni hanno più di 180 dipendenti, quindi di gente dedicata al tempo libero ne hanno. Però, nessuno assume questa decisione. E questi sono meccanismi che bloccano l’unione alla fine, perché anche gli statuti sotto questo profilo sono statuti-tipo, che ognuno si è poi modellato secondo una visione casereccia. Quindi, non c’è unione che non preveda delle maggioranze diverse dall’altra per modificare, ad esempio, lo statuto.

L’unica certezza è che nessuno esce dall’unione perché, se no, ha una penalizzazione. Allora, è meglio stare nell’unione, tenendola bloccata, piuttosto che invitare a uscirne chi non crede nell’unione, in modo tale che almeno gli altri Comuni che ne fanno parte possano andare avanti. Invece, c’è chi riesce a esercitare una sorta di diritto di veto.

Bisogna risolvere questi meccanismi nella chiarezza normativa, dicendo: se tu vuoi fare questo tipo di scelta, le regole del gioco sono queste; se no, non la fai, tanto è lo stesso. Lascia perplessi il fatto stesso di aver designato degli ambiti cosiddetti ottimali dove addirittura abbiamo imparato che persino le valli possono cambiare, perché per riuscire a inserire Sarmato nella Val Trebbia ci vuole molta fantasia. Basti pensare che Sarmato è bagnato dal Tidone e noi diciamo che è in Val Trebbia. Però, poi andate a vedere se funzionano le cose.

Io penso, assessore, che qui si debba fare un riferimento anche alle unioni. Vogliamo fare il punto sull’andamento delle unioni e vedere, una volta per tutte, se quello che abbiamo messo sulla carta in termini di efficienza viene poi ad avere un “fatturato” politico-amministrativo secondo quelle che erano le volontà del legislatore? È inutile che noi ci impegniamo a fare delle leggi perfette, se poi gli altri cercano il cavillo per realizzare un’imperfezione.

Se non si crede più nell’Unione, perché bisogna starci cinque o dieci anni? Si va fuori dopo sei mesi ed è finito il discorso. Ti fai la tua Repubblica personale e quando dopo quattro anni sarai affogato nel marasma generale tornerai con il cappello in mano e il capo cosparso di cenere a dire che ti sei sbagliato. Vi invito veramente a fare un punto sul tema, anche per superare questa idea campanilistica che ormai non ha più senso. Tra gli argomenti del referendum c’è anche questa domanda: se si fa la fusione, si chiude la chiesa? Non mi sembra né un tema politico, né un tema amministrativo, anche perché non dipende dal Comune, ma dipende dal Vescovo. In questa volontà di trovare dei cavilli per non procedere, se ne trovano centomila.

Aggiungo una considerazione. Se vogliamo favorire la partecipazione, le campagne elettorali devono essere politicizzate come Dio comanda. Se ognuno di noi si autolimita per ovvie ragioni “ho votato la legge, ho votato il referendum, dobbiamo tenere un comportamento terzo” andrà a votare sempre meno gente, a meno che non ci sia una sollevazione popolare su un tema marginale, cioè del tipo “vendono il nostro Municipio”, altro argomento notoriamente fondamentale.

Concludo dicendo soltanto un’ulteriore cosa. Le risorse dovrebbero anche essere dirette secondo la tipologia di Comuni su cui incidono. Mi spiego. Due Comuni della pianura hanno sicuramente problemi diversi rispetto a due Comuni della montagna. Un parametro di valutazione anche sui borghi e su quei Comuni che sono borghi antichi, se non fatta in questa legge, ma in una legge legata all’urbanistica, va inserito. Se vogliamo recuperare certi territori, non basta la fusione amministrativa. Fra sei mesi porteremo, tra le tante, una fusione amministrativa di un Comune che ha ben 142 abitanti con uno che ne ha 2.100 e l’altro 900.

Tuttavia, se voi andate a vedere quei territori, al di là del numero di abitanti teorici, i pratici sono circa la metà, perché metà sono dati da persone che hanno preso lì la casa e che hanno preso lì la residenza, ma non abitano nel Comune, iniziano ad essere dei Comuni fantasma, Comuni dove non ci sono più negozi. Sono Comuni dove una persona per prendere una bottiglia d’acqua deve fare diciassette chilometri prima di trovare un bar.

Penso che sia necessario ipotizzare, al di là di quelle che possono essere le risorse generali, una riserva di risorse che sia destinata ad obiettivi: l’obiettivo che vi siano almeno dei servizi primari, che vi sia una persona che possa vendere il giornale, le sigarette, l’acqua e il pane, che sono quattro elementi di cui due fanno bene e due fanno male. Giornali e sigarette fanno male, pane e acqua fanno bene, o viceversa, per me va benissimo. Se ho giornali e sigarette io posso stare anche senza pane e senz’acqua. Non molto, ma qualche giorno ci riesco, considerando le riserve che ho.

Mi permetto di dirle, assessore, che una valutazione soprattutto sui micro Comuni, che hanno territori vastissimi, va fatta. Nel pacchetto di referendum licenziati la scorsa settimana ci sono tre Comuni della provincia di Piacenza che hanno un territorio di 440 chilometri quadrati. Il Comune di Ferriere ha 172 chilometri di strade comunali, a livello di un’autostrada. Ha più chilometri Ferriere che la Piacenza-Bologna, tanto per essere chiari.

È chiaro che quando vai a vedere le strade ti rendi conto che sono rimaste delle mulattiere con un po’ di asfalto di trent’anni fa e nel frattempo sono passati trent’anni e quindi sono tornate ad essere mulattiere.

Se noi vogliamo riportare le persone anche in questi territori, perché le fusioni devono servire anche a questo, a far vivere i Comuni, non soltanto a far vivere la burocrazia e l’aspetto meramente burocratico, se vogliamo farli vivere come borghi – lancio una sfida – facciamo una legge sui borghi. Si vada a vedere nella Comunità europea i soldi che ci sono, e ci sono, e cerchiamo di far vivere dei territori che, diversamente, fra vent’anni saranno in mano a nessuno, perché io penso che sarà questa la conclusione del nostro discorso.

 

PRESIDENTE (Saliera): Grazie, consigliere Foti.

Ha chiesto di parlare il consigliere Bertani. Ne ha facoltà.

 

BERTANI: Grazie, presidente.

Ribadiamo il concetto che non è corretto l’approccio che si è utilizzato, cioè quello della fretta, portando come scusa il referendum, come di nuovo questa mattina il relatore di maggioranza ha riportato, perché quel tema è facilmente superabile, com’è facilmente superabile il tema di riaprire i termini delle Unioni. Su questo, secondo me, andava e va fatta una discussione molto più approfondita, tanto che questa mattina abbiamo ritardato un’ora l’inizio dell’Assemblea perché ancora la maggioranza doveva trovare la quadra su alcuni aspetti. A noi sembra abbastanza chiaro che su questi aspetti vada aperta una discussione e la discussione è ampia.

Circa la fretta, a noi sembra solo una fretta per mettere mano su alcune difficoltà di alcuni referendum di quelli che sono già in corsia di effettuazione. Se passa questa legge, come passerà, sicuramente l’interpretazione sui referendum che verranno effettuati a ottobre sarà questa. Se nei Comuni del reggiano o nei Comuni dell’imolese ci sarà un Comune, uno dei più piccoli, che dice no alla fusione, questa Assemblea si riterrà autorizzata a procedere comunque alla fusione.

Voi escludete i casi in cui sicuramente la fusione si blocca, quindi due Comuni su tre o la maggioranza dei cittadini dicono no, ma tenete aperte alla valutazione dell’Assemblea – si tratta di un detto non detto – il fatto che negli altri casi si procede comunque. Quindi, se nell’imolese ci sarà il caso di un Comune più piccolo che dice di no, sono convinto che questa Assemblea dirà che la fusione va avanti anche contro il volere dei cittadini di un Comune. Questo, secondo noi, non è corretto.

Questo è successo anche in Lombardia, dove si sono trovati a fare l’errore che ha fatto questa Assemblea, fondendo dei Comuni dove c’era stato un esplicito pronunciamento dei cittadini che non volevano la fusione e la fusione è stata fatta comunque.

La Lombardia, secondo noi, in questo caso ha fatto un’operazione intelligente. Dopodiché, si è accorta che ha commesso l’errore e ha modificato la propria legge. La legge della Lombardia dice: “Il voto è ritenuto favorevole se è favorevole in tutti i Comuni”. Perché non possiamo farlo anche noi? Questa cosa voi non volete farla. A cosa serve fare la consultazione popolare se poi non ascoltiamo quello che ci chiedono i cittadini? Secondo noi, andare avanti così non ha senso.

Sono d’accordo con il collega Foti sui piccoli Comuni, sui borghi. Questo è un aspetto che va approfondito. Sono d’accordo sul fatto che le unioni, così come sono oggi, non funzionano, oppure ci sono alcune unioni che funzionano, alcune unioni che sono nate perché dovevano nascere, ma non possono funzionare.

Siamo d’accordo sul fatto che vada data la possibilità di rideterminare gli ambiti. Proponiamo alcuni emendamenti perché a noi sembra che ormai si ragioni in termini di superamento delle Province, si ragioni in termini di Aree vaste e, invece, noi siamo ancora ancorati al fatto che le unioni devono essere costruite in quel modo, cioè all’interno degli ATO, che sono all’interno delle Province. Pertanto, proponiamo qualche emendamento per quanto riguarda le unioni.

Tornando al tema delle fusioni, mi aggancio a quanto detto dal collega Foti, con il quale concordo solo su un aspetto. Se ci sono tre Comuni, un Comune dice “no” e si toglie il fatto che gli altri due sono contermini, ovviamente la fusione non può andare avanti. Se un Comune dice “no”, è un peccato che si tolga la possibilità agli altri due Comuni di proseguire. Noi abbiamo proposto un emendamento ‒ lo avevamo anticipato in Commissione ‒ in cui, se la maggioranza dei cittadini di due Comuni chiede di proseguire, ma il terzo Comune dice di no, noi chiediamo di dare la possibilità ai due Comuni di proseguire con una deliberazione del Consiglio comunale, perché i cittadini di quel Comune sono favorevoli alla fusione.

Nella fusione “rapida”, tra l’altro, voi eliminate la possibilità di presentare uno studio di fattibilità. Se ci sediamo intorno a un tavolo e discutiamo, possiamo discutere anche di come questi studi di fattibilità, in primo luogo, debbano essere fatti anche nel caso di una fusione rapida (qui, in realtà, non vengono più richiesti) e, in secondo luogo, di come si possano aggiornare e di come si possa proseguire nel caso in cui due Comuni su tre vogliano proseguire. Questo per dire ‒ perché qualcuno in Commissione lo ha detto ‒ che noi siamo contro le fusioni. Noi non siamo contro le fusioni. La fusione in sé può essere una cosa buona, ma può essere una cosa buona in presenza di uno studio di fattibilità serio, che non poggia solo sulla promessa dei soldi e di risanare il bilancio, ma sulla promessa ai cittadini che quel Comune sarà più efficiente e più vicino ai cittadini stessi. In secondo luogo, può essere una cosa buona se i cittadini sono convinti di questa cosa qui. Se i cittadini non sono convinti, non ha senso fare quella fusione. Invece voi volete proseguire comunque, volete dare la possibilità alle vostre maggioranze ‒ tanto le vostre maggioranze le avete anche nei Comuni ‒ di decidere sulla testa dei cittadini. Noi questo non lo permettiamo.

 

PRESIDENTE (Saliera): Grazie, consigliere Bertani.

È iscritto a parlare il consigliere Bignami. Prego.

 

BIGNAMI: Grazie, presidente.

Intervengo per fissare alcune posizioni su questo tema, che credo sia opportuno abbia una valutazione complessiva da parte dell’aula anche rispetto a quelle che potranno essere scelte di programmazione futura sull’assetto istituzionale complessivo di un territorio, secondo schemi che ci sembra ispirino il presidente Bonaccini come uno dei principali obiettivi che questa Regione intende raggiungere; un obiettivo che, in linea ipotetica e generale, ci potrebbe anche vedere consenzienti se non vi fosse sotteso un ragionamento di risparmio di spesa pubblica, che è evidentemente uno dei riferimenti polari di questa forza politica, che, in realtà, declina quelle somme risparmiate dalla Pubblica amministrazione in maggiori costi per i cittadini. È questo il tema che principalmente ci pone un dubbio sulla bontà di queste fusioni e anche sul progetto di legge di cui stiamo andando ad affrontare la votazione.

Interveniamo come forza politica che, quando era al Governo nazionale, ha fortemente impresso con vigore e forza l’istituto delle fusioni tra Comuni. Queste fusioni nascono, in realtà, su altro territorio, ovvero su realtà ‒ i cosiddetti “Comuni polvere” ‒ che necessitavano di un’aggregazione, perché si trattava di Comuni di poche decine di abitanti. Pensiamo a quelli del Piemonte o ad alcune zone di montagna, che una volta avevano, come comunità, necessità di organizzarsi in piccoli Comuni, perché, anche a pochi chilometri di distanza tra loro, per un evento atmosferico o per la sussistenza di problemi viari, determinavano l’esigenza di autorganizzazione che, evidentemente, rendeva difficoltoso il dialogo tra le comunità stesse.

Da questa esigenza, che nasce in territori con conformazioni geografiche ed orografiche anche abbastanza precipue, vi è stata una estensione dell’istituto della fusione che noi non guardiamo con sfavore in senso generale, ma che evidentemente richiede un aggiornamento rispetto ai territori locali.

Inevitabilmente, nel momento in cui il Partito Democratico ha ritenuto di assumere come lead case quello di Valsamoggia, si è determinata su quell’esperienza una parametrazione che, da parte di Forza Italia, evidentemente, non può che essere negativa. Quell’esperienza ha determinato una frattura fra questa forza politica e la visione complessiva dell’istituto delle fusioni che questa maggioranza sta portando avanti. Lo dico non senza una punta di malizia: vi è una sostanziale sfiducia nelle modalità con cui si stanno perseguendo quelle fusioni, che in alcune circostanze ci hanno visto positivi e, in sede di votazione, favorevoli rispetto alle tante fusioni che abbiamo affrontato; in altre circostanze abbiamo espresso dubbi e perplessità che, alla fine, trovano uno scoglio abbastanza netto nella proposta di legge che oggi ci viene sottoposta.

Quali sono le criticità che maggiormente riteniamo di dover rilevare? Prima fra tutte, l’esigenza manifestata in Commissione da autorevoli esponenti della maggioranza di andare avanti ad ogni costo, a prescindere dall’effettivo consenso che sul territorio si registra rispetto a un’ipotesi di fusione. Il caso di scuola che veniva citato poc’anzi in aula è quello di tre Comuni chiamati a fondersi: uno di questi esprime, con la propria popolazione, in un referendum consultivo, un voto negativo. Si va avanti lo stesso ‒ questa è la formulazione originaria del progetto di legge ‒ con la fusione perché prevale il diritto della maggioranza di tutti i Comuni coinvolti a vedere premiato il consenso popolare, che fu anche il ragionamento di fondo che venne utilizzato per Valsamoggia. Si disse: “Sì, è vero, due Comuni hanno detto di no, ma bisogna avere rispetto sia di chi dice no sia di chi dice sì. Visto che la maggioranza dei cittadini coinvolti nell’intero nuovo Comune ha detto sì, andiamo avanti”. Questo, secondo noi, è molto pericoloso, perché, soprattutto nei Comuni sotto i 15.000 abitanti, dobbiamo ricordarci che le maggioranze possono essere espressione di minoranze. Un Comune con un Sindaco che viene eletto con il 35, con il 38, con il 39 o anche con il 28 per cento di voti porta a casa i due terzi dei seggi, il 60 per cento dei seggi. Conseguentemente, in Consiglio comunale non è proiettata la maggioranza dei cittadini, cosa che in certe circostanze non sempre si registra nei Comuni che vanno a ballottaggio, ma sono minoranze divenute maggioranze per meccanismi elettorali che tendono a premiare la governabilità.

Non voglio parlare di altri territori che non conosco, ma voglio citare un esempio che i colleghi dell’area metropolitana bolognese hanno ben presente. Prendiamo le ipotesi dei Comuni di Pianoro, di Ozzano e Monterenzio. Monterenzio è un Comune sempre alternato nelle vicende di governo politico, che attualmente viene gestito con relativi successi, anzi direi con nessun successo, da una maggioranza di sinistra che ha preso il 30 per cento dei voti e che ha la maggioranza consiliare per governare; vota la delibera per la fusione; si va a referendum; mettiamo che la popolazione dica “no”; si va avanti lo stesso, perché un Consiglio comunale minoritario ha votato per la fusione in Comuni maggiori, che hanno interesse a recepire fondi e risorse, senza l’esigenza di premiare successivamente quel Comune piccino che, magari, è anche diradato come presenza a livello di densità demografica sul territorio, che evidentemente è destinato a una lenta estinzione e a una perdita di identità, che credo sia sempre un punto di riferimento, forse un po’ romantico, da tenere presente. Di esempi simili, una volta approvata questa legge, se ne potrebbero fare decine e decine.

Certo, vi è un’esigenza di ridefinizione complessiva dell’architettura istituzionale e anche della presenza dei Comuni. Lo ribadiamo: siamo favorevoli, a patto che questo non si traduca in un minor costo per l’Amministrazione e in un maggior costo per la cittadinanza.

Anche sul tema dell’uscita dal Patto di stabilità, non vorrei smorzare qualche entusiasmo, ma ricordiamoci che il Patto di stabilità ‒ che non voglio in alcuna maniera elogiare, perché è pieno di meccanismi distorsivi che non possono essere valorizzati da chi, soprattutto come me, ha un’impostazione sui temi di finanza pubblica, di spesa e di soldi del contribuente tutto sommato liberale ‒ ritiene che, a fronte di un’uscita dal Patto di stabilità, è incontrollata la spesa, ma è incontrollata anche l’entrata. Ovvero, tu puoi spendere quanto vuoi perché puoi percepire dalle tasche dei contribuenti quanto vuoi, evidentemente mitigati da meccanismi minimi di contenimento delle aliquote, di contenimento della tassazione, di contenimento delle imposte che evidentemente ‒ Valsamoggia rimane un esempio emblematico ‒ non costituiscono un freno inibitorio sufficientemente efficace.

L’allineamento delle tariffe, tutte al rialzo dei Comuni coinvolti nella fusione di Valsamoggia, ne è paradigma essenziale.

Perché questo scetticismo? Perché, purtroppo, la strumentazione che voi avete adottato e che deriva da una formazione di legislazione nazionale è sempre stata declinata malamente. Consentiteci di dirlo. Questo, evidentemente, ci rende un po’ sentinelle di questi progetti, che potrebbero anche essere ispirati a processi virtuosi, ma che hanno una ricaduta negativa.

Fusione per incorporazione. Non tornerò a parlare della sentenza della Corte costituzionale dello scorso anno, che ha espresso una pesante censura rispetto agli interventi legislativi regionali, affermando che è vero che vi è da parte della legislazione nazionale l’individuazione di una nuova forma di fusione per incorporazione che sostanzialmente si pone in un rapporto di specie e genere rispetto alle fusioni tradizionali, però è altrettanto vero che rientra in una delle competenze dell’articolo 117 della Costituzione, dove alla lettera p) si statuisce con chiarezza che quel tipo di fusione rientra nella competenza legislativa esclusiva e, pertanto, non può essere oggetto di specifica legislazione da parte delle Regioni. Questo incipit della Corte costituzionale ha portato a una censura di costituzionalità di diverse Regioni che avevano legiferato sul piano della fusione per incorporazione.

Siamo certi che la corrispondenza del ruolo di presidente della Regione Emilia-Romagna con presidente della Conferenza Stato-Regioni sia a garanzia che nessuno impugnerà questa legge, ma questo non la rende meno esposta a un giudizio di costituzionalità che, a nostro modo di vedere, deve essere comunque validato e presidiato.

Analogamente, sul tema dei contributi riteniamo che questa estensione indiscriminata rischi di generare un meccanismo per cui dentro la fusione si mettono anche quei Comuni che sono in una fase di sostanziale predissesto. Non voglio, anche in questo caso, parlare di specifiche situazioni che si sono determinate ma ricordo che, quando noi dicevamo rispetto a talune fusioni che alcuni Comuni avevano disavanzi pesanti, che devono essere accertati, che voi invece oggi state nascondendo sotto il tappeto, come si fa con la polvere, e che questo avrebbe determinato effetti rilevanti sui finanziamenti e sull’impegno di spesa, ci rispondevate puntualmente che non corrispondeva al vero. E invece – purtroppo conosciamo la legislazione nazionale – la sussistenza di debiti da parte di un Comune riverbera, nel momento in cui si conclude il processo di fusione tra Comuni, effetti anche sugli assetti di bilancio dei Comuni fusi. Pensiamo, fra tutti, alle sanzioni che scattano per quei Comuni che, usciti dal Patto di stabilità o andati in dissesto, trascinano le sanzioni anche nel nuovo Comune, con vincolo rispetto ai fondi che noi, insieme al Governo nazionale, gli assegniamo.

Sono tutti aspetti certamente tecnici, ma che devono, d’altronde, ispirare il legislatore nel momento in cui è chiamato a votare questa legge, che ci porteranno – e anticipo la dichiarazione di voto – a esprimere un voto negativo, con alcuni “se” che vogliamo porre.

Raccogliendo un invito che ci è stato rivolto dalla Giunta, non abbiamo sviluppato azioni di ostruzionismo, perché diventa un po’ stantio sviluppare questa batteria rispetto a un’azione legislativa che riteniamo errata, ma nel gioco democratico è assolutamente ovvio che la maggioranza voti ciò che ritiene giusto. Nel contempo, però, abbiamo chiesto elementi di garanzia, che – lo dico con trasparenza – non ci faranno cambiare l’orientamento del voto, ma che ci faranno cambiare l’atteggiamento, ovvero l’introduzione di strumenti che salvaguardino la volontà popolare. In altre parole, laddove la popolazione di un comune coinvolto nel referendum esprime il proprio dissenso, questo non legittima il prosieguo nell’azione di fusione senza l’introduzione – questo è quello che chiediamo e che sappiamo essere stato oggetto di valutazione positiva da parte del relatore di maggioranza – di un ulteriore step, vale a dire il passaggio in Consiglio comunale per validare o meno l’esito referendario. Questo per noi è essenziale, almeno nei Comuni sotto i 15.000 abitanti, ovvero quei Comuni che non hanno evidentemente garanzia di rappresentatività rispetto alle maggioranze che lo hanno eletto che possono anche essere minoranze, più che maggioranze. E dico con chiarezza che, a nostro avviso, la soglia deve essere del 75 per cento. Non vi può essere deroga a questo principio.

Se la maggioranza vorrà proporre altro, ben venga. Noi, comunque, ci siamo lasciati – e spero di non mancare di rispetto a qualcuno – con questa ipotesi di accordo, per la quale manteniamo la nostra posizione di contrarietà, ma non svilupperemo alcuna forma di ostruzionismo, perché riteniamo che, comunque, un Comune che vota contro debba uscire dal processo.

Siamo poco propensi alla valutazione espressa dai colleghi del Movimento 5 Stelle, secondo cui si può procedere eventualmente per gli altri Comuni – questo almeno è quello che è stato detto in Commissione, spero di non sbagliarmi, comunque eventualmente il collega Bertani mi correggerà – perché si ritiene che venga meno a quel punto la validazione condotta con lo studio di fattibilità, che evidentemente è modulare, ovvero prevede vari studi a fronte anche di un Comune che esce o di un Comune che entra. A nostro avviso, invece, a quel punto il processo di fusione, a meno che lo studio di fattibilità non abbia, secondo una teoria di geometrie variabili, preso in considerazione tutte le ipotesi, deve fermarsi perché, se un Comune esce, mancano i presupposti per andare avanti con la fusione stessa, che la legge regionale afferma essere la dimostrazione della sussistenza di interessi economici e di convenienze per i cittadini che può essere recepita solo in uno studio di fattibilità. Pertanto, visto che lo studio di fattibilità è condotto su tre, quattro, cinque o sei Comuni, se ne viene meno uno o più di qualcuno evidentemente cade uno dei pilastri su cui si regge lo studio di fattibilità, quindi il processo, a meno che non sia stata riferita nello studio di fattibilità una pluralità di ipotesi, decade, esattamente come il voto negativo della popolazione ha indicato.

Ho cercato in estrema sintesi – e me ne scuso – di affrontare una serie di aspetti. Non parlerò degli strumenti urbanistici, non parlerò del fatto che, a mio modo di vedere, la norma riportata nel progetto di legge di cui all’oggetto 2881, che tratta di strumenti urbanistici, è ampiamente inadeguata rispetto alle esigenze, tant’è che si parla di elaborati tecnici e non di piano adottato o approvato, generando un po’ di confusione al riguardo. Comunque, come ribadito in Commissione, non formuleremo emendamenti rispetto a questa specifica situazione, perché ci pare davvero aggrovigliata rispetto alla materia urbanistica e dell’adozione degli strumenti urbanistici, che certamente meriterebbe più attenzione. Del resto, in un momento di grave carenza di finanza pubblica, i diritti edificatori rappresentano una delle poche casse di compensazione e di creazione di ricchezza per un Comune, ma purtroppo non vengono adeguatamente valorizzati in questo progetto di legge. Tuttavia, come dicevo, questo ragionamento mi porterebbe lontano, pertanto, a fronte delle riflessioni che, a nome del Gruppo di Forza Italia, ho appena rappresentato, pur ribadendo il nostro voto negativo, attendiamo con fiducia l’introduzione di questa soglia minima di garanzia democratica, che riteniamo indispensabile per poter procedere in maniera trasparente e condivisa – condivisa non con noi, ma con la popolazione – ai progetti di fusione.

 

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SONCINI

 

PRESIDENTE (Soncini): Grazie, consigliere Bignami.

Ha chiesto di parlare il consigliere Poli. Ne ha facoltà.

 

POLI: Grazie, presidente.

Intanto credo sia giusto riconoscere al relatore del progetto di legge, il collega Taruffi, lo sforzo compiuto in questi giorni per comporre il quadro di una materia molto complessa, come quella che stiamo discutendo questa mattina.

Dico con convinzione profonda, dopo aver ascoltato con molta attenzione e grande interesse gli interventi di tutti i colleghi che fino ad ora hanno preso la parola, e con grande interesse perché si tratta di una materia che personalmente mi ha sempre appassionato, d’altra parte vengo da una realtà territoriale che si è misurata negli ultimi vent’anni con profondi processi di riordino, dal superamento della Comunità montana alla nascita del nuovo Circondario Imolese, che adesso vede coinvolti tre Comuni in un processo di fusione, che è elemento di grande strategia ragionare di queste questioni e farlo in modo approfondito, come stiamo facendo in aula questa mattina. Tuttavia, non posso non rimarcare che, di fronte al confronto che si è sviluppato, a me sfugge l’idea alternativa sul tema del riordino istituzionale. Probabilmente nessuna legge sarà in grado di interpretare o di dare piena rispondenza a tutti i vari casi ai quali ci siamo trovati di fronte e ci potremo trovare di fronte nel prosieguo di questo processo, che ormai sappiamo dai territori viene in larga misura ricercato, valutato e attuato.

Qual è, in definitiva, il progetto di riordino istituzionale complessivo di medio-lungo periodo al quale si punta? Per quanto riguarda la maggioranza, il presidente Bonaccini e la Giunta regionale, credo che il quadro di medio-lungo periodo sia estremamente chiaro, come è stato in più occasioni richiamato. Noi dobbiamo perseguire quell’obiettivo in maniera molto forte, molto convinta, perché questo percorso di riordino istituzionale non interessa solo la nostra Regione, ma ormai l’intero Paese, e non solo per il superamento delle Province. Fino a qualche tempo fa ricordo che anche molti di quelli che oggi sono critici rispetto a questa cosa proponevano di chiudere e abolire le Province. Magari adesso ripensano a questa vicenda e hanno anche un po’ cambiato idea. C’è un grande processo di riordino che riguarda il nostro Paese, che riguarda lo Stato centrale, le Regioni, il superamento delle Province, il tema dei Comuni e delle fusioni, il tema delle unioni.

Noi abbiamo un orizzonte chiaro: semplificare, dentro questo processo, il rapporto tra i cittadini e le Istituzioni e rendere più efficiente sia la macchina amministrativa che la macchina istituzionale della nostra Regione. Dentro questo percorso bisogna dire con molta chiarezza che uno dei temi con i quali ci misuriamo tutti è l’identità delle comunità, quelli che qualcuno di noi chiama i campanilismi, però ci dobbiamo anche chiedere fino a che punto quell’identità e quei campanili sono rispondenti alle necessità di crescita, di sviluppo e di prospettiva di quelle comunità.

Ce lo dobbiamo chiedere, perché l’identità le comunità la perdono nel momento in cui non sono più nelle condizioni, in particolare chi amministra quelle comunità, e non c’è differenza tra amministratori di centrodestra, di centrosinistra, del Movimento 5 Stelle, perché il quadro è quello per tutti. L’identità la perdi quando tu non hai più le risorse per rispondere ai bisogni dei tuoi cittadini in termini di servizi e in termini di investimenti. Quando tu sei in quella condizione il senso di appartenenza e di vicinanza non dico alla politica, che risente anche di altri elementi, ma il senso di appartenenza alle Istituzioni e a chi le rappresenta si indebolisce fino ad incrinarsi in maniera molto profonda e forse in qualche caso anche non recuperabile.

Vedo dentro i processi di fusione dei Comuni un elemento non di superamento o di indebolimento delle identità locali, ma un elemento di rafforzamento, perché tu metti i valori di quelle comunità in un ambito più grande e gli fai assumere, se ne sei capace, un rilievo più forte. Questo vale per le tantissime iniziative che ci sono in ogni territorio, vale per tutte le nostre associazioni di volontariato, vale, può valere e deve valere per le espressioni dell’economia dei nostri territori. Se noi sentiamo le espressioni dell’economia, dei lavoratori, il sindacato, le associazioni di volontariato, gli istituti di credito ci dicono di andare avanti sulla strada delle fusioni, perché vedono lì un elemento di potenziale, forte e maggiore competitività dei territori. Se ci fermiamo sulle singole situazioni e perdiamo di vista l’obiettivo strategico che abbiamo di fronte rischiamo di non venire via da questa vicenda. Quindi, si proponga un modello diverso di organizzazione istituzionale dello Stato e non si porti l’esempio del singolo Comune, perché noi qui non abbiamo il compito di rispondere ad un legittimo bisogno o ad una legittima aspettativa di un singolo Comune, abbiamo il compito di disegnare un obiettivo strategico rispetto al riordino istituzionale della nostra Regione. Su questo io vorrei che noi approfondissimo il confronto.

Non mi è parso sia emerso dalla discussione che abbiamo fatto fino ad oggi che il tema non è soltanto quello, pur importantissimo, di assicurare ai Comuni che sono dentro un processo di fusione, i Comuni nuovi che nasceranno dalle fusioni, le risorse dello Stato e della Regione così come fissate per quello che riguarda la Regione dalle leggi che, anche per i sei progetti che abbiamo approvato, definiscono l’entità delle risorse.

Per rispondere al collega Foti, che ha fatto un ragionamento che ho ascoltato con molto interesse, rispetto a un dato vero che, ad esempio, per i Comuni piccoli e piccolissimi di montagna ci sia un problema reale di mantenimento dei servizi, problema che c’è già, non è che la fusione lo peggiori. Io penso che la fusione lo possa migliorare, ma è un dato oggettivo. Pensiamo ai piccoli negozi dei Comuni oppure pensiamo agli uffici postali. Parliamo di servizi in generale. Il processo di fusione può essere un elemento che risponde alla questione che sollevava il collega Foti, perché il nuovo Comune che nasce ha la precedenza sui finanziamenti. Bisogna dire questa cosa che rispetto alle risorse della Regione ha la precedenza sui finanziamenti. Quell’Amministrazione, quel nuovo Comune che nasce può decidere anche di fare politiche su questo versante, oltre che armonizzare le politiche tariffarie, oltre che agire sugli investimenti e sulle scelte. Può anche scegliere di valorizzare la rete dei servizi di vicinato a livello locale. Su questo abbiamo precedenza sui finanziamenti. Non scendo nei tecnicismi. Addirittura credo che entrare troppo nel dettaglio o arrivare troppo vicini allo specifico ci porti a dire che a un certo punto bisogna anche chiedersi fino a che punto è istituzionalmente corretto limitare il potere legislativo della Regione, perché i referendum sono consultivi. Quindi, la responsabilità che ha l’Assemblea legislativa è di prendere in esame l’esito del referendum e fare una valutazione rispetto a ciò che è meglio per quei territori interessati.

Quella responsabilità politica e istituzionale lì ce l’abbiamo noi, fino al punto di chiedersi quanto sia opportuno, per ragioni istituzionali, rimandare la palla nei territori. Rischiamo di scaricare lì contraddizioni in comunità piccole che comunque, vinca il sì o vinca il no, il giorno dopo devono stare assieme. Il referendum non può essere – l’ho detto anche nei miei territori nel corso delle iniziative a cui ho partecipato – non deve essere, non può diventare l’occasione di scontro per spaccare le comunità. Noi dobbiamo stare ben attenti a non portare lì questa vicenda. Deve essere un confronto che si sviluppa sul merito, sull’opportunità, sulle criticità. Noi dobbiamo fare di tutto per evitare che diventi uno scontro politico che spacca quelle comunità, perché il giorno dopo, vinca il sì o vinca il no, quelle comunità devono stare assieme e devono continuare a fare le cose che hanno sempre fatto assieme.

Facciamo attenzione a non far diventare i referendum uno strumento di contrapposizione che sia fuori dal merito di quello che discutiamo. Io francamente questo rischio lo vedo e sarei per invitare tutti a cercare di evitarlo.

Credo che quando noi ragioniamo di riordino istituzionale dobbiamo provare ad avere un riferimento più alto e più di medio-lungo periodo per indicare per la nostra Regione, e io dico anche per il nostro Paese, una possibile strada sul terreno della semplificazione, sul terreno del riavvicinamento dei cittadini alle Istituzioni e alla fine anche sul terreno del riavvicinamento dei cittadini alla politica.

 

PRESIDENTE (Soncini): Grazie, consigliere Poli.

Non ho, al momento, altri iscritti in discussione generale.

Se nessuno si iscrive, sono previste eventualmente le repliche dei relatori.

Consigliere Taruffi, prego.

 

TARUFFI: Rilevo alcuni spunti sulle cose dette, anche se ci siamo già confrontati in Commissione.

Per essere chiari, sulla modifica della legge rispetto alla valutazione dei referendum, il punto che ci allontana di più riguarda il fatto che se, nella fattispecie, in tre Comuni, cinque Comuni o quattro Comuni – sono stati evocati alcuni esempi – in uno solo dovesse prevalere la vittoria dei “no”, una parte delle forze politiche di quest’aula dice che ci dobbiamo fermare, e quindi bloccare il procedimento.

Adesso stringo, ma il tema è questo. Proprio in virtù di quello che ricordavo prima, cercando un equilibrio tra la maggioranza dei cittadini che viene chiamata a votare e l’insieme dei Comuni singolarmente presi, che si devono esprimere, facendo premio che per noi, quando ovviamente ci sono le condizioni, i processi di fusione vanno sostenuti e aiutati, noi diciamo che andiamo avanti. Questo è il tema che ci allontana di più.

Ora, non dobbiamo nasconderci che alla base c’è un aspetto: la volontà popolare è chiaro che nessuno la mette in discussione, però, lo dico davvero laicamente, cerchiamo di intenderci, non può essere utilizzata come una clava. Intendo dire: cerchiamo, soprattutto quando diventano testi di legge, di assumere le parole con un certo impegno e con una certa serietà. Trattasi sempre di referendum consultivi. Noi cioè chiediamo ai cittadini un parere per avere uno strumento di valutazione in più. Nessuno qua dentro ha detto: facciamo che il referendum sia vincolante, obbligatorio e indispensabile, non l’ha proposto nessuno mai, questo sarebbe stato un altro tema.

 

(interruzioni)

 

Marchetti dopo interverrà. Noi diciamo che il referendum è uno strumento che ci diamo per valutare la bontà di quel progetto, questo è, e di questo stiamo discutendo, chiaramente attribuendo a quel referendum il massimo valore possibile, fatto salvo che ovviamente – diversamente negheremmo la realtà dei fatti – l’impostazione di questa norma e anche della modifica che stiamo apportando noi oggi, è quella di dire “sosteniamo, incentiviamo i processi di fusione”.

È chiaro quindi che c’è un punto di vista dal quale si guarda il mondo. Quando è possibile, laddove è possibile, per noi è bene andare avanti sui processi di fusione. Questo, inutile negarlo, è lo spirito che informa la legge e che informa anche il provvedimento di cui stiamo discutendo oggi, ovviamente con dei criteri. I criteri interpretativi ci aiutano ad essere un po’ più selettivi; fino ad oggi l’Assemblea aveva totale carta bianca nella valutazione del referendum, oggi, qualche criterio in più viene introdotto. Penso che sia un aspetto positivo. Ci sono dei livelli di incertezza in meno, anche nel percorso a cui l’Assemblea deve sottostare. Sono aspetti, secondo noi, non irrilevanti. Dopodiché c’è un tema, che è stato declinato in modo chiaro anche negli interventi che avete svolto questa mattina: cosa facciamo quando esiste la fattispecie di un risultato controverso? “Controverso” significa che esistono maggioranze diverse fra cittadini che complessivamente si sono espressi e i Comuni singolarmente presi che sono stati chiamati al voto. A quel punto noi diciamo: torniamo dai Consigli comunali e chiediamo ai Consigli comunali una nuova espressione, facendo conto del risultato referendario che a quel punto tutti abbiamo in mano, e chiediamo la maggioranza qualificata.

Ora, sotto i 15.000 abitanti, per come è fatto il sistema elettorale, il ragionamento che si svolgeva prima è che anche col 35 per cento prendi un premio di maggioranza molto ampio e hai una maggioranza molto ampia in Consiglio comunale. Secondo me – smetto per un secondo i panni del relatore – sarebbe opportuno ragionarci con attenzione, lavorare per richiedere la partecipazione un po’ più ampia della sola maggioranza, perché un risultato controverso richiede un’espressione più ampia della sola maggioranza. Aggiungo però una cosa, e la dico come espressione di una forza politica che rappresenta una parte della maggioranza, minoritaria, ma pur sempre una parte della maggioranza. Nel momento in cui due Comuni su tre, lo dico come espressione politica di principio, due comunità su tre, chiamate in causa in un processo di fusione, si esprimono contro la fusione, secondo me la discussione non è neanche… quello che succede da lì in poi, cioè, in realtà non va neanche discusso, perché bisogna fermarsi. Aggiungo un’altra cosa: come ho detto prima, ma lo ribadisco, siccome è stato citato un caso - Gattatico, Sant’Ilario, Campegine - quando tre Consigli comunali avviano l’istanza, esplicitando che se uno dei tre Comuni dovesse pronunciarsi con esito negativo ci si deve fermare, io penso che quella fattispecie pur non essendo ricompresa nella legge, sia scontata. Quando tre Consigli comunali ti dicono “noi ti chiediamo di andare avanti a questa condizione”, tu quella condizione la devi assumere come un dato di fatto. Quindi, se in uno dei tre Comuni vince il no, ti devi fermare, punto, perché noi siamo Istituzioni che devono ragionare in modo serio, prendendosi sul serio fra di loro.

Faccio però un appello: se siamo d’accordo, posto che possiamo essere d’accordo sul fatto che le fusioni non sono la panacea di tutti i mali ma possono essere utili, credo sia molto difficile riuscire a trovare un dispositivo che riesca a sciogliere tutti i nodi presenti nella realtà. Un minimo di margine, un minimo di flessibilità e un minimo di assunzione di responsabilità nostra, credo che sia inevitabile. Non potremo sciogliere con nessun testo tutti i casi che la realtà ci pone, perché per ogni caso che qualcuno può sollevare, io potrei fare il caso opposto. Dico questo per dire che la realtà ci pone di fronte ad una situazione difficilmente inquadrabile in un testo che risolva tutte le contraddizioni. Le contraddizioni che dovremo risolvere non sono risolvibili solo con un testo di legge, ma c’è anche un’assunzione di responsabilità politico-istituzionale, alla quale saremo chiamati sempre e comunque, quindi torno indietro e dico che bisogna vedere da quale punto di vista si guarda il mondo.

A nostro avviso, quindi, le fusioni sono utili, sono uno strumento importante di riforma della Pubblica amministrazione, possono essere strumenti importanti per programmare meglio il territorio, per la programmazione urbanistica, per la promozione turistica, per tante cose, per organizzare servizi efficienti ed efficaci, per l’erogazione di servizi efficienti per i risparmi, insomma per tante ragioni, quindi noi le incentiviamo. Ma non possiamo scrivere, sempre e comunque, che se in un Comune su tre o su quattro vince il no, ci si deve fermare: questo noi non lo scriviamo. L’ho detto un secondo fa. Se sono i Consigli comunali che te lo chiedono, tu hai un impegno che non puoi non considerare come stella polare della tua azione, ma non lo scrivi in legge, perché ci sono delle cose che non hanno necessità di essere codificate in un testo normativo, perché l’assunzione di responsabilità politico-istituzionale non è che la si scrive in un testo.

Dico questo, e concludo: per come sono abituato a fare io, cioè molto onestamente, credo che sulle richieste che sono arrivate stamattina, anche attraverso emendamenti, si possa e si debba ragionare. Non credo che riusciremo ad esaurire la discussione e ad esaminare tutto l’articolato prima della pausa.

Per quanto riguarda il subemendamento che chiede la maggioranza qualificata superiore a quella che abbiamo previsto noi, nei casi in cui si torni nei Comuni per l’espressione dei pareri (nei casi più controversi), attraverso gli emendamenti che ho sottoscritto io, fissiamo una quota, uno standard, un livello. Se arrivano richieste per innalzarlo, io penso che ci si possa ragionare. Dopodiché, il principio sul quale dobbiamo convenire è molto semplice. Noi siamo per le fusioni, non dobbiamo imbrigliare, non dobbiamo bloccare; dobbiamo tenere conto dell’esito e dell’espressione della volontà popolare. Io credo che ci sia un punto che possa chiudere tutte le cose che sto dicendo. I lavori dell’aula non sono così di routine, cioè, non è che si viene qui, si alza la mano e “sì, no, avanti coi carri” come passacarte. Siccome i lavori dell’aula hanno una loro importanza, io penso che della discussione che è maturata anche questa mattina, si possa tener conto. D’altra parte, siamo qui per questo, siamo legislatori e il percorso legislativo si chiude quando si vota. Finché si vota, c’è la possibilità di discutere e confrontarsi in un confronto vero, perché è questo che si fa quando si fa politica e si assumono responsabilità istituzionali. Tra poco ci fermeremo, ma penso che si possa ragionare.

Detto questo, e chiudo veramente, un punto diciamocelo: le fusioni, se non ci fosse qualcuno che le caldeggia, le sostiene, le aiuta, non procederebbero così speditamente come stanno procedendo, di questo penso che ce ne dobbiamo rendere merito. Mi rivolgo soprattutto al consigliere Bertani, a proposito dell’ultimo appunto sul tema delle incorporazioni, quando dice che sarebbe utile introdurre anche lì studi di fattibilità preventivi. Anche gli studi di fattibilità sono strumenti che ci si dà, strumenti che hanno una loro importanza, una loro efficacia. Però, consigliere Bertani, se noi pensiamo che esistano degli Enti che sono i Consigli comunali, che hanno una loro sovranità e che decidono di percorrere una strada più rapida per proseguire su un processo di riorganizzazione territoriale, credo che noi dovremmo dire “se siete d’accordo voi, noi siamo al vostro fianco”, e andiamo speditamente. Penso che questo sia il compito che noi dobbiamo assumere. E la responsabilità di spiegare ai cittadini perché quella fusione si deve fare, ovviamente è innanzitutto in capo a chi la richiede, cioè, in quel caso, gli amministratori, i Sindaci e i consiglieri comunali.

È per questo che evidentemente il processo di incorporazione, al di là delle osservazioni che qualcun altro ha fatto rispetto alla legittimità del principio stesso, è uno strumento che diamo ai territori per andare ancora più speditamente. Voglio anche citare un caso esplicito: se nell’Appennino bolognese, magari nei prossimi anni, grazie a questo strumento, ad esempio, avremo altre fusioni, io penso che noi, questa mattina, approvando questo testo di legge, introducendo questo principio, avremmo fatto il bene di quel territorio, che è quello che ovviamente per ragioni geografiche conosco meglio (ce ne saranno sicuramente altri nelle stesse condizioni). Noi quindi introducendo questo principio, stiamo dando una risposta importante anche a un pezzo di territorio che ha bisogno di proseguire sull’opera di riforma istituzionale che ha intrapreso. Queste sono alcune delle cose che volevo sottolineare per supportare le tesi che ho espresso questa mattina.

 

PRESIDENTE (Soncini): Grazie, consigliere Taruffi.

Se non c’è replica del relatore di minoranza, a questo punto do la parola all’assessore Petitti, per la conclusione del dibattito generale.

Prego, assessore Petitti.

 

PETITTI, assessore: Grazie, presidente.

Subito vorrei puntualizzare una cosa. Credo che noi, con questa legge, riusciamo a dare alcune risposte ad un dibattito che, mi sento di dire, abbiamo maturato in questo anno e mezzo, tra l’altro anche attraverso tutte le proposte di legge legate alle fusioni, non soltanto attraverso un’attività che abbiamo sviluppato nella Commissione consiliare, con alcuni temi legati al processo di semplificazione delle fusioni, ma anche con la stessa complementarietà con cui noi dobbiamo agevolare le unioni nella nostra regione.

Vorrei ricordare in modo rapido, sono stati ricordati dai relatori, ma allo stesso tempo credo che raccolgano veramente le istanze non soltanto dei territori, dei Sindaci con cui ci stiamo, ormai quasi quotidianamente, confrontandoci su questo enorme processo e percorso di riorganizzazione istituzionale, ma dalle stesse forze politiche di maggioranza e di minoranza, che con questa legge noi modifichiamo e integriamo una disciplina regionale, quella che fa riferimento alla legge n. 24/96 sui referendum, e andiamo anche a modificare la legge n. 21/2012, laddove, rispetto al tema soprattutto della coincidenza di fusioni e unioni con ambiti ottimali, noi riusciamo a dare delle risposte ai Comuni perché questa possibilità di integrazione sia maggiormente realizzata.

Questo va incontro a quell’esigenza politica che noi abbiamo, di accompagnare e affiancare, su questo voglio essere estremamente chiara, i Comuni, in maniera molto matura, molto consapevole, perché in questo anno e mezzo… Tutto il percorso che abbiamo messo in campo, non soltanto con gli studi di fattibilità, ma negli ultimi mesi, anche con tutto il percorso di partecipazione, ha visto veramente un attivismo importante delle nostre amministrazioni, perché queste fusioni oggi sono accompagnate anche da un lavoro importante che si fa sui territori con i cittadini, attraverso le analisi di fattibilità, ma anche attraverso un confronto con forze sociali e forze economiche, che rendono sempre maggiormente consapevoli le ragioni per cui oggi fare le fusioni dei Comuni è la scelta più giusta per le nostre comunità.

L’abbiamo sempre detto, quindi concordo con coloro che sottolineano tutte le volte che non è soltanto un tema di tenuta dei nostri Enti locali da un punto di vista finanziario, ma è un tema di reale opportunità di rendere oggi quei Comuni… Ricordiamo che parliamo di 334 Comuni di cui il 45 per cento sotto i 5.000 abitanti, quindi, veramente, in moltissimi casi parliamo di piccoli e piccolissimi Comuni, che se oggi non avessero questa opportunità, probabilmente nei prossimi anni non avrebbero gli stessi strumenti e gli stessi elementi di competitività in un sistema istituzionale che inevitabilmente verrà modificato, in maniera anche molto veloce, molto rapida negli anni.

Consigliere Foti, subito rispondo a questa domanda: sul tema delle unioni, sì, noi abbiamo bisogno di fare una riflessione ancora più ampia e di modificare in maniera ancora più completa il nostro sistema delle 44 unioni. Nella fase successiva al referendum costituzionale, con il superamento delle Province, dovremo anche capire dove i servizi che oggi ancora gestiscono le funzioni verranno allocate da un punto di vista proprio di gestione dei servizi: io credo che una riflessione a trecentosessanta gradi su come queste unioni andranno rafforzate e ripensate, andrà fatta.

Io penso quindi che nei prossimi mesi, nel 2017, un ragionamento ancora più completo sulla capacità delle nostre unioni dei Comuni di essere ancora più strutturate, dovremo farlo. Voglio anche dire che sappiamo che con il nuovo programma di riordino territoriale che abbiamo aperto per il triennio dal 2015 al 2017, abbiamo avviato una sperimentazione che già ci sta mettendo nelle condizioni di ricavare dei primi elementi che potranno essere alla base di una valutazione, proprio sul ripensamento delle nostre unioni.

Dicevamo: oggi, con questa legge, noi rispondiamo a quali bisogni, a quali esigenze? Veniva ricordato: primo su tutti il tema dello svolgimento dei referendum, ovviamente, che sono propedeutici alle fusioni e, su questo voglio essere molto chiara, a degli elementi di valutazione dei referendum consultivi, perché noi parliamo di questo, quindi strumenti ulteriori che diamo all’Assemblea – lo diceva il relatore Taruffi e sono contenta che lo abbia detto con questa grande chiarezza. C’è un’assunzione di responsabilità rispetto alla volontà di andare a compimento con una fusione che è ovviamente in capo all’aula, all’Assemblea regionale. Proprio perché è stato richiesto da più parti e proprio perché crediamo che sia giusto, vogliamo dare ulteriori strumenti di valutazione rispetto al voto dei referendum consultivi. Da questo punto di vista, aver trovato anche un elemento di equilibrio, composto dai voti complessivi dell’elettorato che si va ad esprimere su quel progetto di legge di fusione, e del numero dei Comuni coinvolti nel voto, credo che possa rappresentare un terreno di sintesi di partenza.

È evidente che però noi non facciamo solo questo, sappiamo anche che cambiando la norma regionale, abbiamo reso più flessibile la data del referendum consultivo, quello territoriale, previsto per il 16 ottobre, rispetto alla data del referendum nazionale. Noi infatti avremo la possibilità o di abbinarlo, laddove ci dovesse essere questa disponibilità del Governo, o di rinviare di un mese, se dovessimo ritenere che quelle due date fossero troppo vicine, oppure di confermare la data che abbiamo fissato al 16 ottobre.

Ma al di là di questo, dicevo, noi diamo risposte, e per questo credo che la riflessione che avevamo fatto in varie occasioni con lo stesso consigliere Bertani e con il Movimento 5 Stelle, di potenziare ad esempio l’Osservatorio regionale sulle fusioni, su cui avevamo preso come Giunta un impegno importante in questa legge, trova una risposta definitiva. L’organismo di presidio di questi processi viene ad essere ovviamente ancor più rafforzato, e rendiamo le connessioni tra i processi di sviluppo di fusioni di unioni ancora più importanti.

Dove andiamo ad incidere in maniera netta? Colmando un vuoto, quello legato all’incorporazione dei Comuni. Noi sappiamo che la legge Delrio da questo punto di vista dà delle indicazioni ben precise, che però devono essere riportate da una legge regionale. Noi con questa disciplina, che tra l’altro, anche questo va detto in maniera chiara, risponde a delle richieste che noi stiamo avendo da parte dei territori, di Comuni interessati al processo di incorporazione in fusioni già esistenti, definiamo in modo chiaro come questo processo di incorporazione si potrà realizzare. Ovviamente, anche tutta la disciplina urbanistica sappiamo che è un tema estremamente delicato e importante, per i Comuni che vanno a fusione, quindi, prevedere quell’articolo che definisce come la disciplina urbanistica dei Comuni che vanno a fusione verrà tutelata, laddove è già stata avviata una gestione coordinata e sovracomunale di quei Comuni che vanno a fusione, credo che sia un’altra risposta importante, un altro elemento di garanzia che noi abbiamo messo nelle condizioni, i Comuni interessati alle fusioni, di poter tutelare.

Anche il tema degli ambiti, della connessione fra i processi di fusione e di unione, qui trova delle risposte importanti. Da questo punto di vista, voi sapete che come avevamo fatto per il 2015, con questa legge diamo la possibilità ai Comuni che sono all’interno di unioni molto grandi, prevalentemente superiori ai dieci Comuni, laddove i due terzi di quei Comuni… Qui voglio sottolineare la grande responsabilità degli amministratori appartenenti a quell’unione, ad avviare una riflessione dove ripensare all’ambito di appartenenza vuol dire anche rimettere in discussione la gestione dei propri servizi. Come abbiamo fatto nel 2015, con questa legge diamo la possibilità anche di rivedere, di ridelimitare un ambito che in questo caso è un ambito estremamente grande, che molto spesso non è conforme neanche all’esigenza di quella stessa unione, la possibilità di ripensarla.

Allo stesso tempo noi tuteliamo i Comuni che in qualche modo non avevano aderito ad un’unione e che in questo senso avevano trovato delle difficoltà a conferire i servizi in forma associata. Diamo gradualmente la possibilità, ai Comuni, di inserirsi in quelle unioni, allo stesso tempo però non andando a creare dei problemi a quelli che sono in questo momento processi legati ai finanziamenti delle stesse unioni. Tutti aspetti normativi che in alcuni casi guardano a delle esigenze territoriali specifiche. In una fase in cui io credo che la trasformazione in campo sia estremamente importante, agevolare questi Comuni e accompagnarli nelle scelte che andranno a fare diventa indispensabile.

Penso quindi che con questa legge noi facciamo un altro passo in avanti, al di là dei sei progetti di fusione che abbiamo recentemente approvato in Assemblea, e ai vari studi di fattibilità. Oggi abbiamo oltre sessanta Comuni coinvolti negli studi di fattibilità, nelle analisi di fattibilità, che porteranno i Consigli comunali nei prossimi mesi ad esprimersi rispetto alla volontà di andare a fusione. Abbiamo sicuramente un territorio regionale che si sta mettendo estremamente in discussione rispetto a questo tema dell’accorpamento, e la volontà della Regione Emilia-Romagna è quella di sostenere questi Comuni, e ovviamente, di mettere a disposizione non soltanto risorse, ma anche strumenti normativi e analisi che possono rendere sempre più consapevoli soprattutto i cittadini delle nostre comunità delle scelte che si andranno a fare.

Da questo punto di vista quindi credo che con questa legge, a questo tipo di esigenze che ripeto, erano emerse all’interno dei confronti che avevamo fatto sia in Commissione che in Assemblea, ed erano emerse dalle richieste dei nostri territori e dei nostri Sindaci, appunto, abbiamo trovato una prima risposta.

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RAINIERI

 

PRESIDENTE (Rainieri): Grazie, assessore Petitti.

Ha chiesto la parola il presidente Bonaccini. Prego.

 

BONACCINI, presidente della Giunta: Io vorrei toccare un punto politico, perché credo che sulle questioni tecnico-operative l’aula sia in grado di trovare una sintesi.

A me pare che la questione stia non tanto nelle percentuali e nei numeri, ma nella direzione di marcia in cui la Regione e anche questa Assemblea vogliono andare. Voglio essere più chiaro. Noi a ottobre avremo sei referendum. Credo che in quell’espressione si capirà anche come le forze politiche siano legittimamente collocate. L’idea di procedere, dal punto di vista istituzionale, a un rafforzamento della qualità e della quantità amministrativa nei territori, per una Regione, peraltro, che ha un numero di Comuni tutto sommato relativamente basso rispetto ad altre realtà (pensate al Piemonte o alla Lombardia), credo sia giusta. Credo sia giusta cioè la strada che abbiamo scelto, di mettere a disposizione delle istituzioni e dei loro cittadini, quindi su base volontaria, ci mancherebbe altro, di decidere. Ho sempre detto che sono tra coloro che sono contrari a una coercizione nella quale si debba costringere un Comune a fondersi con un altro. Tuttavia, non vorrei che fra qualche anno, qualche Governo di non so quale colore politico, di fronte a entità territoriali che facciano sempre più fatica a trovare personale e risorse per dare risposte ai cittadini, non perché siamo in condizioni così drammatiche o diverse dal passato, dal punto di vista locale o territoriale, ma perché è cambiato il mondo, da questo punto di vista, in relazioni, realtà, sia relazioni umane, personali, ma anche commerciali, istituzionali, che i confini li ha superati abbondantemente, indipendentemente da chi voglia alzare dei muri, prendete tutta la parte degli scambi commerciali, ne abbiamo discusso ieri: attrattività, export, eccetera.

Abbiamo visto all’Expo di Milano cosa ha voluto dire per tante realtà, a partire da quelle associate in unione, la possibilità di presentare, con tantissimi progetti, il proprio piccolo prodotto, o la propria piccola eccellenza. Da soli sarebbe stato impossibile farlo; insieme ad altri è diventata una grandissima occasione. Stiamo parlando di decine di progetti che si son presentati, accorpando anche le differenti colorazioni politiche di governo dei propri territori.

Voglio dirla proprio così: noi abbiamo, secondo me, un’opportunità. Ma allora, bisognerebbe essere abbastanza netti dal punto di vista politico, dell’opinione che diamo su questo, posto ‒ ripeto ‒ che si può avere qualsiasi opinione, ma saranno i cittadini a scegliere.

Però il tema è, lo ribadisco perché questa è l’opinione della Giunta dell’Emilia-Romagna, che se noi pensiamo che realtà di poche centinaia, o poche migliaia di abitanti, in prospettiva, indipendentemente da chi guida il Paese o la Regione, siano più forti in un mondo così, a stare da sole, che non associandosi in unioni o fondendosi, addirittura, io penso che diremmo una cosa sbagliata. Peraltro, l’esperienza di quei Comuni che si sono fusi, ci fa dire che ci sono risultati che cominciano ad essere, pur nel brevissimo periodo, risultati importanti. Penso che su questo dovremmo avere un’opinione comune o, se non è comune, ci mancherebbe, esplicitarla fino in fondo. Gli strumenti che abbiamo messo a disposizione sono frutto di una legislazione, prodotta da chi ci ha preceduto, molto avanzata, diventata anche una case history nazionale, ma credo che noi potremmo addirittura implementare nei prossimi anni rispetto alle volontà legislative di quest’aula e di questa Regione. Certamente ottobre è una di quelle occasioni nelle quali i cittadini potranno esprimersi rispetto a quelli che saranno tutti insieme ben sei referendum (altri sono attesi per il prossimo anno).

Dopodiché, è evidente, credo che ci voglia un irresponsabile a capo di un’Istituzione, se la stragrande maggioranza degli elettori del proprio Comune, a meno che non vada a votare nessuno, decide di procedere lo stesso con l’Assemblea legislativa, ma ripeto, questo attiene alla discussione istituzionale che si può fare. Ma sul tema della direzione di marcia, voglio essere molto netto perché vedo un Paese, invece, e molte Regioni che su questo non stanno procedendo nella loro legittimità, e ho l’impressione che si rimanga a tanti piccoli, piccolissimi, infinitesimali campanili, che al giusto lamento che pongono, di una difficoltà di risorse e di personale, facciano fatica a dargli corso rispetto al tema della prospettiva più robusta o meno robusta con cui vogliono avanzare.

C’è il tema delle fusioni, però c’è il tema, anche, ovviamente, delle unioni. Peraltro è evidente che dopo il referendum costituzionale, vada in un senso o vada nell’altro, qualcosa certamente potrebbe da questo punto di vista cambiare rispetto al tema dei minori livelli di governo a cui io aggiungo sempre la minor burocrazia, ma più in generale, sul sostegno o meno a forme di cooperazione e collaborazione, addirittura fusione tra Istituzioni. Grazie.

 

PRESIDENTE (Rainieri): Grazie, presidente Bonaccini.

Dovremmo iniziare con l’articolato. Se siete d’accordo, lo chiedo ai presidenti di gruppo, visto che alle 13 c’è anche la Commissione, potremmo interrompere l’aula con dieci minuti di anticipo. Se alle 15 siete tutti puntuali, iniziamo e andiamo avanti con il lavoro.

Non ci sono obiezioni, per cui chiudiamo i lavori della seduta antimeridiana. Riprenderemo alle ore 15. Grazie.

 

La seduta è tolta.

 

La seduta ha termine alle ore 12,50

 

ALLEGATO

 

Partecipanti alla seduta

 

Numero di consiglieri assegnati alla Regione: 50

 

Hanno partecipato alla seduta i consiglieri:

Enrico AIMI, Mirco BAGNARI, Stefano BARGI, Andrea BERTANI, Gianni BESSI, Galeazzo BIGNAMI, Giuseppe BOSCHINI, Stefano CALIANDRO, Paolo CALVANO, Enrico CAMPEDELLI, Alessandro CARDINALI, Alan FABBRI, Tommaso FOTI, Giulia GIBERTONI, Massimo IOTTI, Andrea LIVERANI, Barbara LORI, Daniele MARCHETTI, Francesca MARCHETTI, Gian Luigi MOLINARI, Lia MONTALTI, Roberta MORI, Antonio MUMOLO, Giuseppe PARUOLO, Marco PETTAZZONI, Silvia PICCININI, Roberto POLI, Massimiliano POMPIGNOLI, Silvia PRODI, Giorgio PRUCCOLI, Fabio RAINIERI, Matteo RANCAN, Valentina RAVAIOLI, Manuela RONTINI, Nadia ROSSI, Luca SABATTINI, Simonetta SALIERA, Gian Luca SASSI, Raffaella SENSOLI, Luciana SERRI, Ottavia SONCINI, Katia TARASCONI, Igor TARUFFI, Yuri TORRI, Marcella ZAPPATERRA, Paolo ZOFFOLI.

 

Hanno partecipato alla seduta:

il presidente della Giunta Stefano BONACCINI;

il sottosegretario alla Presidenza Andrea ROSSI;

gli assessori: Simona CASELLI, Elisabetta GUALMINI, Massimo MEZZETTI, Emma PETITTI.

 

Hanno comunicato di non poter partecipare alla seduta gli assessori Patrizio BIANCHI, Andrea CORSINI, Palma COSTI, Raffaele DONINI, Paola GAZZOLO, Sergio VENTURI.

 

 

I PRESIDENTI

I SEGRETARI

Rainieri - Saliera - Soncini

Rancan - Torri

 

 

 

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