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Legislatura IX - Commissione VI - Verbale del 15/06/2011 pomeridiano

    Testo

                                Verbale n. 10
    Seduta del 15 giugno 2011
    Il giorno 15 giugno 2011 alle ore 14,30 si è riunita presso la sede
    dell'Assemblea Legislativa in Bologna, Viale A. Moro 50, la
    Commissione Statuto e Regolamento convocata con nota prot. n. 18781
    dell'8 giugno 2011.
    Partecipano alla seduta i Commissari:
    Cognome e Nome Qualifica Gruppo Voto
    FAVIA Giovanni Presidente Movimento 5 Stelle 2 presente
    Beppegrillo.it
    MUMOLO Antonio Vicepresid Partito Democratico 6 presente
    ente
    POLLASTRI Vicepresid PDL - Popolo della 6 presente
    Andrea ente Libertà
    BARBATI Liana Componente Italia dei Valori - 4 presente
    Lista Di Pietro
    BERNARDINI Componente Lega Nord Padania 4 assente
    Manes Emilia e Romagna
    BONACCINI Componente Partito Democratico 4 assente
    Stefano
    CEVENINI Componente Partito Democratico 4 assente
    Maurizio
    DONINI Monica Componente Federazione della 2 presente
    Sinistra
    MONARI Marco Componente Partito Democratico 4 presente
    MONTANARI Componente Partito Democratico 4 presente
    Roberto
    MORI Roberta Componente Partito Democratico 2 presente
    NALDI Gian Componente Sinistra Ecologia 2 presente
    Guido Libertà - Idee Verdi
    NOE' Silvia Componente UDC - Unione di Centro 1 assente
    VECCHI Alberto Componente PDL - Popolo della 4 presente
    Libertà
    VILLANI Luigi Componente PDL - Popolo della 1 assente
    Giuseppe Libertà
    Sono presenti i consiglieri: Roberto PIVA in sostituzione di Stefano
    BONACCINI, Rita MORICONI in sostituzione di Maurizio CEVENINI,
    Stefano CAVALLI in sostituzione di Manes BERNARDINI.
    Hanno partecipato alla seduta: A. Busetto (Serv. Segreteria e affari
    generali della Giunta, affari generali della Presidenza, pari
    opportunità); V. Barbon (Serv. Legislativo e qualità della
    legislazione); R. Ghedini (Serv. Informazione); M. Veronese (Resp.
    Serv. Coordinamento Commissioni assembleari).
    Presiede la seduta: Giovanni FAVIA
    Assiste il segretario: Nicoletta Tartari
    Resocontista: Enzo Madonna
    Il presidente FAVIA dichiara aperta la seduta alle ore 14,40.
    Sono presenti i consiglieri Cavalli, Montanari, Mori, Moriconi, Piva
    e Pollastri.
    - Approvazione dei verbali nn. 7 e 8 del 2011.
    La Commissione approva all'unanimità dei presenti.
    - Audizione delle prof. Antonella Picchio e Diletta Tega, docenti
    esperte in materia di pari opportunità e discriminazioni, in vista
    dell'esame del progetto di legge oggetto 597, concernente
    Istituzione della Commissione regionale per la promozione di
    condizioni di piena parità tra donne e uomini .
    Il presidente FAVIA ringrazia le docenti intervenute e cede la
    parola alla relatrice del progetto di legge, consigliera Mori.
    Entrano i consiglieri Donini e Naldi.
    La consigliera MORI si associa ai ringraziamenti del presidente
    verso le docenti. La prof. Picchio è particolarmente qualificata
    dato che, tra l'altro, insegna economia di genere e storia del
    pensiero economico alla facoltà di Economia dell'Università di
    Modena e Reggio Emilia ed è anche componente del Centro analisi
    politiche pubbliche. Analogamente la prof. Tega che, oltre ad essere
    ricercatore di diritto costituzionale presso la facoltà di
    Giurisprudenza dell'Università di Milano Bicocca, è anche docente di
    diritto pubblico in e tutela dei diritti fondamentali presso la
    facoltà di Conservazione beni culturali a Ravenna ed è stata junior
    expert dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali. È autrice di
    testi sull'omofobia e quindi è un'esperta in tema di
    discriminazioni.
    Ricorda l'iter svolto e le prossime tappe: l'udienza conoscitiva già
    convocata per il 20 giugno e l'esame in Commissione che, d'accordo
    con il presidente Favia, sarà inserito all'ordine del giorno della
    seduta del 22 giugno. Qualora non si rendessero necessari ulteriori
    approfondimenti, è dunque ipotizzabile la trattazione in Aula nella
    prima seduta assembleare che sarà convocata. Pertanto sono
    rispettati i temi che la Commissione si era data.
    Entrano i consiglieri Barbati, Vecchi e Monari, esce il consigliere
    Pollastri.
    La prof. Antonella PICCHIO svolge il seguente intervento:
    Ringrazio di questo invito e sono anche contenta di avere avuto
    modo di vedere il vostro percorso per arrivare alla nuova legge, che
    mi sembra molto interessante, e spero di poter contribuire a questo
    sforzo.
    Io, come forse chi mi ha invitato sa, cerco nuovi nessi, perché
    ormai ho una più che decennale esperienza di politiche di pari
    opportunità - e voi lo sapete perché state modificando una legge che
    era del 1986 - quindi siamo già su più di vent'anni di esperienza e
    l'introduzione di una nuova legge credo che sia fatta proprio
    tenendo conto di quella esperienza e di quelle difficoltà.
    Come teorica dell'economia, insegnando storia del pensiero
    economico, ho la grande fortuna di poter vedere una molteplicità di
    strumenti, credo che ci siano dei problemi di prospettiva, proprio
    di prospettiva analitica, non di narrazione in generale, ma proprio
    di andare a vedere come si connettono i problemi. E il mio problema
    è inserire nella visione del sistema economico ciò che sta al
    fondamento delle diseguaglianze, in qualche modo della differenza
    tra uomini e donne. Come farlo? Partendo dalla realtà, e vedremo che
    la realtà ci aiuterà poi a svelare dei miti che sono molto
    pericolosi, sia sulle donne che sul sistema economico.
    La realtà con cui le donne fanno i conti è innanzitutto la realtà di
    un lavoro, di attività e di un coinvolgimento responsabile sulla
    qualità e la sostenibilità delle condizioni di vita delle persone
    che gli stanno attorno, con cui hanno relazione.
    Questa esperienza, che è a tutti nota, è ormai identificabile,
    misurabile, quantificabile, esprimibile con dei dati che in qualche
    modo ci consentono di prendere la distanza da un'esperienza molto
    densa attraverso le indagini statistiche sull'uso del tempo.
    L'indagine sull'uso del tempo che si fa in Italia ogni cinque anni,
    e si sta facendo in molti Paesi del mondo, e si sta cercando di
    estendere anche a Paesi che non la stanno facendo attraverso la
    cooperazione internazionale - per esempio le Nazioni Unite -, è
    un'inchiesta molto costosa, molto dettagliata, però è l'inchiesta
    che ci porta più vicino alle condizioni di vita effettive, perché
    attraverso dei diari ci dice cosa fanno tutti i membri del nucleo di
    convivenza familiare ogni dieci minuti. Quindi, ci consente di dire
    se i ragazzi sono veramente a scuola, anche se sono iscritti o cose
    di questo tipo, che lavori fanno, che relazioni hanno e così via.
    Ho pensato di presentare delle figure (documentazione depositata
    agli atti).
    Voi avete la prima figura che è in realtà un grafico statistico,
    presentato dall'UNDP nel rapporto dello sviluppo umano del 1995, che
    raffigura in modo grafico molto efficace, che rende visibile, un
    concetto nuovo che è il lavoro totale. Si riconosce che i lavori
    sono due: uno pagato e uno non pagato e quel rettangolo è l'area del
    lavoro totale, è data dalla rilevazione in 14 Paesi industrializzati
    (quindi il progresso, non l'arretratezza e quindi non è il passato,
    anzi è sempre di più il futuro e il lavoro non pagato in realtà sta
    crescendo, non diminuendo).
    Questo grafico, che è diviso, la parte superiore rappresenta il
    lavoro pagato e la parte inferiore è il lavoro non pagato e la
    diagonale divide uomini e donne, ci fa vedere delle cose che
    sappiamo tutti per senso comune, per cui non c'era molto bisogno di
    fare un'inchiesta così costosa: le donne fanno meno lavoro pagato e
    più non pagato in una proporzione di 1/3 a 2/3, più o meno; gli
    uomini fanno più lavoro pagato e meno non pagato, ancora una volta
    fra 1/3 e 2/3 e in realtà poi noi sappiano che non è più una
    divisione tra donne casalinghe e donne emancipate, ma che tutte
    fanno tutto e che si è casalinghe ormai non in una vita, ma in certi
    periodi della vita. Su questa divisione si sono giocate e si giocano
    - e voi vi state predisponendo a continuare a lavorare in
    quest'ottica - le politiche di pari opportunità, viste in questo
    senso: bisogna aumentare la fluidità, il passaggio delle donne dal
    lavoro non pagato al lavoro pagato e possibilmente degli uomini dal
    pagato al non pagato.
    Voi che rappresentate una Regione seria, che fa delle politiche di
    pari opportunità effettive, sapete che i risultati non sono un
    granché. Basterebbe vedere l'ultima indagine sull'uso del tempo,
    uscita da poco, che in realtà non modifica moltissimo le cose. Qui
    cominciano le mie spiegazioni, diverse, perché possiamo inseguire
    infiniti interventi nei rapporti, nelle politiche europee, li
    troviamo tutti indicati nel dettaglio, separatamente: come si
    aiutano le imprese delle donne, come si formano le donne a fare i
    muratori o altre cose più maschili, come si invitano gli uomini a
    fare lavoro non pagato, in cui la politica principe è il congedo
    parentale - diamoglielo pagato perché sennò non lo chiedono - e così
    via. Come racconto sempre, va poi detto che a una riunione dei
    Ministeri del Lavoro europei, quando eravamo alla presidenza, quando
    io ho fatto vedere questo grafico, uno svedese ha detto che da
    un'inchiesta fatta per sapere quando i padri chiedono il congedo
    parentale, è emerso che il picco è durante i campionati di calcio -
    e questi erano gli svedesi, immaginatevi!
    Voglio solo dire che credo che voi siate consapevoli che lo sforzo è
    una specie di sforzo senza fine con pochi risultati. E io credo che
    ci sia una ragione per questo: perché in realtà la politica di
    eguaglianza su pezzi specifici (sui lavori, sulla formazione,
    sull'istruzione), segmentata, non porta a grandi risultati perché
    non si affronta la vera dimensione della questione. E cioè che in
    realtà in questo grafico è evidenziata una cosa clamorosa, che
    invece il senso comune non poteva sapere e che neppure io,
    nonostante tutto il mio interesse per la questione, avrei mai
    immaginato, ci volevano gli statistici: è che il lavoro non pagato -
    l'area rappresentata in basso è quella del lavoro non pagato - è un
    po' di più del totale del lavoro pagato.
    Quindi se noi andiamo a misurare, come han fatto gli australiani,
    quanto tempo si spende per cucinare, fare la spesa, lavare, altre
    banalità, è equivalente a tutta l'industria, tutta l'agricoltura.
    Stiamo dicendo che dentro le case si chiude una massa di attività
    (chiamiamole in questo momento senz'altro lavoro) che è un po' di
    più di tutto ciò che è stato indagato in inchiesta ormai da almeno
    un paio di secoli, negoziato in conflitti sociali, negoziato in
    costruzioni di istituzioni come i sindacati, che ha portato a
    rivoluzioni, quindi ha trovato uno spazio pubblico per essere
    trattato e anzi sappiamo benissimo che in questo momento dobbiamo
    difendere quello spazio.
    Invece quest'altro lo si considera negoziabile solo in spazi
    domestici. È come una questione fra un uomo e una donna, fra
    generazioni, pur essendo una massa tale che non a caso poi porta a
    violenze forti, perché comandare un lavoro vuol dire richiedere un
    rapporto che può essere di cooperazione, ma anche di violenza.
    Perché è cosi? Ossia, visto che non è marginale nella quantità, non
    è marginale nell'arretratezza, non è il passato, ed è una quantità
    enorme e non solo è una quantità enorme, ma ha una qualità
    incredibile perché è relazionale (si cucina in relazione con gli
    altri, in relazione affettiva, come mostrano tutti gli spot
    pubblicitari che vendono la carne in scatola insieme al piacere
    della famiglia, alle relazioni familiari) ed è molto responsabile, è
    comandato da un'interiorizzazione di responsabilità verso il
    benessere degli altri. Quindi vuol dire che quando noi mettiamo
    questa quantità di lavoro con questa qualità nella visione del
    sistema economico, il sistema economico, la visione del sistema
    economico deve per forza cambiare.
    L'altra cosa che non si dice, ma che si può vedere è il nesso fra il
    non pagato delle donne e il pagato degli uomini. Noi tutti quanti e
    in tutti i documenti, dell'Europa e così via, diciamo: ma il lavoro
    domestico e di cura è fatto per i bambini e adesso anche per gli
    anziani. Ciò che si nasconde è che è fatto per i maschi adulti ed è
    fatto per i maschi adulti perché sono un soggetto particolarmente
    incapace, egoista, inetto. Segnalo che l'elenco dei difetti maschili
    non mi ha mai riguardato molto: come non mi riguarda molto, non mi
    appassiona molto la lista delle sconfitte femminili, dell'essere
    vittima, non mi appassiona molto neppure la lista dei difetti
    maschili, ci sono tutte e due.
    Però, in realtà il problema non è un problema di maschi e femmine, è
    anche un problema di maschi e femmine, ma è soprattutto un problema
    strutturale perché quel soggetto che è considerato forte dalla
    visione del sistema economico e probabilmente dall'idea di se
    stesso, è in realtà un soggetto vulnerabile. Come tutti, è
    umanamente vulnerabile perché ha un corpo, ha delle emozioni e per
    questo deve sempre essere in relazione con altri perché sennò non
    può vivere (qui la storia del pensiero economico mi consentirebbe
    delle digressioni bellissime). Il problema è che quella
    vulnerabilità non è collocata nello spazio pubblico ed è scaricata
    nello spazio privato, è che quella vulnerabilità si trasforma in
    debolezza quotidiana, che deve essere riprodotta, deve essere
    sostenuta perché i lavori sono faticosi, perché i salari non
    bastano, perché i tempi per andare a lavorare sono stressanti,
    perché i nuovi lavori sono particolarmente intensi, bisogna dare
    tutto se stesso, come ci raccontano quelli che raccontano i nuovi
    lavori, bisogna metterci dentro tutto il proprio corpo, la propria
    istruzione, la stabilità, le passioni, e mettere tutto come mezzo di
    lavoro. Questo distrugge, per cui ogni giorno deve essere
    ricostituita la possibilità di andare a lavorare.
    Non a caso quando si è fondata l'economia politica, il salario
    veniva visto come il costo sociale che mette in condizione di
    lavorare e di vivere, e di mantenere i sentimenti teneri che servono
    nella vita privata (così diceva Smith), quindi era chiaro che
    l'essere umano, l'animale umano aveva un corpo, aveva delle
    fragilità, che dovevano essere riprodotte come le macchine, come i
    cavalli, per metterlo in condizione di lavorare, di convivere
    civilmente.
    Una definizione di salario così è chiaramente dirompente perché fa
    vedere che il conflitto è direttamente fra il profitto e le
    condizioni di vita nella loro effettività. Tutta quella teoria si è
    persa - nel senso che erano Smith, Ricardo e Marx - è stata
    abbandonata; è rimasta invece una teoria che si gioca sulla
    concorrenza, la fluidità, l'incentivo, in cui le vite sono un
    ingombro, un imbarazzo.
    Questo mito della teoria ci dice che i soggetti sono astratti, che
    sono infinitamente fluidi e se non lo sono, sono imperfetti, sono
    rigidi, bisogna renderli sempre più fluidi, anche se poi anche il
    mercato più fluido di tutti, che è il mercato finanziario, che non
    ha materialità, non funziona neppure quello. In ogni caso l'idea è
    che poi il mercato sistema tutto in modo automatico, ottimizza
    l'individuo e anche la società per sommatoria e che quindi non
    abbiamo problemi, a meno che non ci siano degli esseri imperfetti
    che hanno un corpo, dei figli, invecchiano, si sentono responsabili
    verso i genitori e così via.
    Quindi il vero problema invece - se vogliamo fare politiche
    efficaci, quindi non agendo per equità, ma per efficacia - è svelare
    il fatto che per reggere le norme del mercato del lavoro, anche
    quello forte, e non solo quello precario che abbiamo ora, ma anche
    quello forte, i manager, i professori universitari, anche i lavori
    stabili hanno bisogno di questa riproduzione. Bisogna vedere questo
    nesso, quindi cominciamo a vedere che non ci muoviamo con tanta
    facilità perché ci sono delle ragioni serie, dobbiamo andare più a
    fondo. Se così facciamo la nostra visione del sistema economico
    comincia a diventare già un pochino più complicata, non è più quella
    di chi ha studiato macroeconomia che vede le famiglie che vendono
    lavoro e comprano merci e le imprese che comprano lavoro e vendono
    merci; tutto funziona attraverso il mercato e il consumo. Ma diventa
    invece un circuito ed è fondamentale che sia circolare perché ciò
    che si produce nelle condizioni di vita serve poi come capitale per
    produrre, come ci dicevano Smith, Ricardo, e non ci vuole neanche
    Marx per arrivare a dire questo.
    Bene, allora facciamo un quadro della circolarità del sistema della
    ricchezza dove ci sono le dimensioni di mercato e mettiamo anche il
    non pagato, quindi mettiamo delle dimensioni non di mercato. Nelle
    dimensioni non di mercato io ci metto la famiglia che intendo come
    un nucleo di convivenza - siamo in Emilia-Romagna, possiamo dire che
    sono nuclei di convivenza di vario tipo - dove si fa molto lavoro
    non pagato, però c'è anche la società civile che fa lavoro
    volontario.
    Perché è importante far vedere che c'è dell'altro lavoro non pagato?
    Perché questo lavoro volontario ha come obiettivo qualche dimensione
    del benessere delle vite: o perché aiuta i soggetti esclusi, deboli
    o con qualche handicap; o perché pensa alla musica, al teatro, ai
    musei, alle polisportive; perché costruisce vita e piacere della
    vita attraverso un associazionismo; o perché magari difende l'acqua
    pubblica attraverso associazioni. Così come - e questo interessa le
    donne dentro le famiglie - se il figlio fa un attività sportiva sta
    meglio e quindi diventa meno faticoso, così il settore di produzione
    di beni e servizi ha un settore privato per profit, ma ha anche un
    settore no profit (l'Emilia-Romagna lo conosce bene).
    Perché è importante dirlo? Perché la logica di efficienza del
    settore no profit negli ultimi anni ha dimostrato grandi capacità
    innovative, di efficienza, che spesso vengono assorbite poi dal
    profit. Questo vuol dire che c'è un'economia della riproduzione
    sociale, del benessere, che in qualche modo ha una sua logica, una
    sua sostenibilità e che soprattutto non è minoritaria nelle
    quantità, solo che non è vista, come non è visto il lavoro domestico
    delle donne.
    Perché è importante ragionare in questi termini? Perché io credo che
    questo interessi il pubblico che si trova poi in mezzo fra il
    settore profit, le vite e così via. Perché l'obiettivo costitutivo
    del pubblico è il ben-essere della popolazione( infatti, ci sono le
    politiche redistributive e la sostenibilità) e anche se non è
    ben-essere, ma è solo la vita di un individuo che ha un corpo in un
    territorio amministrato dal pubblico, sia che sia cittadino, sia che
    sia residente, sia che sia clandestino, quel corpo impone una
    relazione dei servizi, dei beni, delle repressioni. Dopodiché sarà
    un centro benessere, un centro di accoglienza, una prigione, ma quel
    corpo diventa oggetto di politiche pubbliche.
    Quindi fare il conto con le persone come effettivamente sono, come
    persone reali: questo vuol dire, innanzitutto, che se c'è un corpo
    ci sono maschi e femmine, non perché non ci siano altre differenze,
    ma innanzitutto c'è una differenza sistematica, trasversale,
    fondativa, che è quella tra maschi e femmine. Dopodiché qualcuno
    cercherà di cambiare identificazione, qualcuno le terrà tutte e due,
    ma il dato è che sono due soggetti maschio e femmina. Questo è un
    fatto della storia, della biologia umana e la biologia è una storia,
    non è che c'è separazione fra biologia e storia: la biologia è anche
    quella storia, solo ha dei tempi più lunghi, diversi.
    Quindi questo partire dalla realtà delle donne al livello in cui si
    colloca la loro esperienza vuol dire introdurre un principio di
    realismo nella visione del sistema economico, che a chi fa politiche
    pubbliche interessa perché questo livello di realismo impatta
    continuamente sul risultato delle sue politiche, se non lo ha fatto
    negli obiettivi.
    In questo momento questo punto del ben-essere, ossia delle vite
    effettive, della qualità delle vite effettive, è al centro di una
    critica teorica; infatti quel famoso rapporto Sarkozy, in cui si fa
    la critica del PIL, non a caso pone il lavoro non pagato dentro
    all'analisi macroeconomica. Perché lo fa? Perché Sen è un economista
    femminista e quindi ha chiamato due economiste femministe famose,
    Bina Agarwal e Nancy Folbre, che hanno curato la parte sul lavoro
    non pagato. Peraltro io ero nel rapporto dello sviluppo umano del
    '95 e in un incontro con Sen e altri questa questione è stata un
    punto di grande discussione ed è stata la questione poi fondamentale
    di quel rapporto e mi sono conquistata molta considerazione sul
    campo nel sostenere questa questione, così pure in delegazione
    nazionale a Pechino. Perché è una questione fondante, è stata la
    grande questione politica nella Conferenza di Pechino perché i Paesi
    emancipati, la Svezia, i sindacati europei, la Danimarca non
    volevano che si contasse questo lavoro e tanto meno che gli si
    attribuisse un peso monetario, per poterlo confrontare su altro.
    Questo nel 1995, e furono battuti a quella conferenza.
    Ma dopo 15 anni la questione è emersa in tutta la sua dimensione,
    non è più uno scandalo. La paura era che se noi parlavamo del non
    pagato, le donne sarebbero diventate ancora più rigide negli
    spostamenti perché si istituzionalizzava il non pagato e non
    volevano più l'emancipazione. Oppure ancora più radicali: avrebbero
    potuto chiedere reddito per quel lavoro e questo preoccupava
    moltissimo. Voglio solo dire che la questione è una grande
    questione: che appartenga alla banalità del nostro quotidiano e a
    una densità che non riusciamo a vedere non vuol dire che non sia da
    analizzare con strumenti scientifici che possano aiutarci a capire
    la dimensione e gli spessori delle cose.
    Ciò che dicevo vale soprattutto in questo periodo di crisi, che è
    una crisi finanziaria, è una crisi che diventerà una drammatica
    crisi sociale e anche qui la storia del pensiero economico mi aiuta
    a sapere che ci sono ricorrenti crisi di riproduzione sociale
    nell'abbondanza: non nella miseria, nell'abbondanza. Cioè: il
    sistema capitalistico non riesce a tenere il suo ritmo, perché è
    condannato ad accumulare e quindi a crescere in ragione progressiva,
    e si ferma, pur avendo le risorse, e quindi prima la crisi si annida
    nel mercato finanziario - che se poi lo si lascia andare per la sua
    strada può crescere fino a dismisura - perché non può crescere. Non
    perché non ci sono risorse: c'è lavoro inutilizzato, impianti
    inutilizzati, risorse inutilizzate, ma non può trovare dei suoi
    sbocchi. Siamo in una fase di questo tipo.
    Il problema è che c'è anche una crisi teorica, che è stata
    assolutamente riassorbita, nessuno ne parla più. Qual è la crisi
    teorica? Che questo schema ha delle distorsioni di fondo perché si
    gioca su dei miti e i miti sono l'ottimizzazione spontanea del
    mercato, l'impersonalizzazione del mercato: i mercati son sempre
    mercanti e sarebbe bene andare a cercare i mercanti, anzi ormai i
    mercati finanziari sono circa 200, ma c'è il mito
    dell'ottimizzazione spontanea e quindi togliamo tutto quello che è
    una frizione. E c'è il mito che le donne sono infinitamente
    sacrificali e onnipotenti: tutto ciò che non farà il sistema
    riusciranno ad assorbirlo, dentro alle case, le donne. Questi sono
    due miti da cui bisogna svegliarsi prima possibile in questa crisi,
    perché le donne, innanzitutto, non sono sacrificali infinitamente;
    sono generose, ma sono dei mostri come dei maschi molto spesso. Non
    sono un soggetto salvifico, sono un soggetto storicamente
    responsabile, quindi già vogliono meno sacrificio e vorrebbero la
    libertà; in secondo luogo, non sono onnipotenti, non ce la possono
    fare e quindi i maschi credo che dovrebbero capire che quella
    soluzione non è una soluzione, come sanno già dagli infiniti
    conflitti che hanno.
    E come dico sempre ai miei giovani studenti maschi - non so perché,
    ma ho un corso di economia di genere che ha più maschi che femmine -
    il problema è che bisogna trovare dei modi per spostare le tensioni
    distruttive tra maschi e femmine dentro alla famiglia in uno spazio
    pubblico per salvare lo spazio intimo. Altrimenti lo spazio intimo
    sarà dolorosissimo. È stato dolorosissimo per la mia generazione, è
    doloroso assistere alle giovani coppie di figli che pur sembrano
    amarsi. Scusatemi, come si fa a reggere il fatto che in un mese due
    giovani padri, affettuosi sicuramente, forse avevano chiesto anche
    il congedo parentale, hanno lasciato morire i bambini di due anni
    dentro alla macchina? Allora io posso dire: è un mostro, ma forse è
    meglio chiedersi: perché succede? Forse l'identificazione col lavoro
    richiede questo interruttore per cui o io penso al lavoro o io penso
    al bambino. E le donne, che hanno esperienza di questa tensione, te
    la risolvono come possono, per saggezza, non per incapacità di
    essere emancipate, perché sanno che un figlio è più importante della
    loro carriera. Ma perché? Perché dobbiamo insegnargli a dire che
    devono fare i mostri? Forse dovremmo insegnare anche ai padri ad
    allenarsi alla conciliazione. Perché un bambino non lo si può
    lasciare nella macchina, nel senso che io riesco anche a immaginare
    che chiudo la porta col bambino dentro, ma non posso fare cinque
    passi e di sicuro non posso stare cinque ore senza pensare che ho il
    bambino in macchina.
    Se arriviamo a questo punto, tralasciando la violenza domestica,
    vuol dire che c'è qualcosa che non funziona su cui dobbiamo fare i
    conti nella relazione. È perché i maschi sono mostruosi? Siccome i
    maschi sono i soggetti a cui noi vogliamo bene a vario titolo
    (figlio, fratello, padre, moroso, marito), non è che abbiamo
    interesse alla loro infelicità, anzi; come dico sempre e andrò a
    dire alla FIOM, ciò che schiaccia le donne è la debolezza maschile,
    non la loro forza. È la responsabilità di sostenerli nella loro
    debolezza. Se fossero forti ce li saremmo tolti di dosso da un
    pezzo, le nostre relazioni sarebbero molto migliori. Vi nascondete
    dietro ai bambini. Allora oltre a dire queste cose nell'ambiente
    domestico, perché ve lo sarete sentiti dire, è importante dirle
    nello spazio pubblico.
    Allora quali difetti ha questa teoria economica su cui il pubblico
    ha interesse a intervenire? Questa teoria economica ha un
    pregiudizio, una distorsione monetaria, vede solo il monetario e noi
    abbiamo fatto lo sforzo di vedere anche il non monetario; in questo
    momento vede soprattutto il finanziario, che è un monetario molto
    particolare, in cui la moneta è merce di riserva, di valore, e ci
    devo speculare sopra, e le nuove pratiche speculative sono
    direttamente sulle vite: sul consumo vitale, sulla casa, sulla
    salute e sulla pensione.
    E l'attacco al welfare è esattamente - come per l'Università -
    spostare le vite da un piano pubblico di responsabilizzazione a un
    piano privato di mercato. Ci saranno pensioni, ci sarà salute, ma
    sarà la capacità di pagare (e voi sapete di che cosa sto parlando
    perché il bilancio sulla salute ve lo state gestendo in quest'anno).
    Quindi la crisi è finanziaria; è speculativa sulle vite; è
    deflazionistica, perché la riserva di valore ha il terrore
    dell'inflazione, quindi appena crescono i prezzi bisogna garantire
    il valore della moneta nel tempo e quindi se cresce l'occupazione si
    abbassa la borsa: era un fenomeno interessante da osservare come
    vivibilità nel conflitto.
    È strabica perché ha come soggetto di riferimento, di visione sulla
    realtà, l'impresa. Per l'impresa le vite sono un costo perché o lo
    si paga sul salario o lo si paga sulle tasse. Intanto deve essere
    chiaro che non c'è contrapposizione tra le due, perché io devo
    pagarmi la pensione: o mi han dato un salario con cui mi pago la
    pensione privata o mi danno una pensione pubblica e qualcuno paga le
    tasse, questo è chiaro. Non solo, ma non mi daranno soldi, mi devono
    dare case, cibo, vestiti quando vado in pensione, perché coi soldi
    non vivo, quindi devono essere soldi reali quando alla fine vado in
    pensione. La prospettiva dell'impresa invece è di mettere al di
    fuori dei costi per l'impresa tutte le vite.
    Non è un caso che in certe nuove imprese (come in certe imprese di
    software), si possa portare il cane ma non i bambini, si possa avere
    la palestra, ma non andare a prendere il bambino. Le vite devono
    stare fuori, anzi io credo che questa crisi sia stata causata dal
    fatto che le negoziazioni sul salario sociale, non sul salario
    monetario reale, ma sul salario sociale, fino agli anni '70 avevano
    davvero spostato la distribuzione del reddito perché si erano
    tradotte in istruzione, in sanità, in pensioni, in sicurezza sociale
    e così via. E per le imprese, non per i soggetti, non per i
    cittadini, ma per le imprese, quelle vite costavano troppo. Appena è
    finita la concorrenza con i paesi socialisti, che si giocava su
    questa mediazione, si è potuto ritirare il terreno da quell'elemento
    che era il fatto che le vite costano troppo, e mentre
    sull'istruzione e la salute posso dire che è come la macchina un
    elemento di produttività, le pensioni per le imprese sono
    chiaramente un lusso, un lusso non necessario perché quello è
    senz'altro lavoro improduttivo, non è lavoro, non andranno più in
    produzione per definizione.
    Quindi quella è una detrazione dal sovrappiù, sempre usando le
    teorie classiche, che è ciò che resta per il profitto; quindi è un
    sovrappiù che va ai lavoratori che hanno negoziato un salario
    sociale. E lì si è spostata la distribuzione dei redditi: dalla fine
    degli anni '70, è quello che è sotto attacco, quelle condizioni di
    vita devono diminuire, diventare più precarie e giocarsi solo sul
    mercato.
    C'è un vizio teorico etico: non c'è la catena delle responsabilità.
    Io dico sempre che voglio arrivare al punto in cui riesco a far
    vedere l'irresponsabilità totale degli speculatori finanziari,
    comprese le banche, sulle vite delle persone e la densità di
    responsabilità verso le vite delle persone, che passa sul sale della
    minestra, sulla camicia pulita, sul farli sentire amati, sul
    rassicurarli al futuro e così via, così densa che non si riesce
    neanche a vedere e che cade sulle donne. Finché non riusciamo a
    vedere la catena delle responsabilità, questa cosa non sarà chiara.
    Ma perché vi riguarda nel pubblico? Perché in qualche modo il
    pubblico ha una storia di responsabilizzazione rispetto alle
    condizioni di vita.
    Infatti quando vado a fare i bilanci di genere in approccio e
    sviluppo umano il primo documento che leggo è lo statuto, per
    sapere: ma questi chi sono? Cosa vogliono essere, oltre a essere una
    Regione, una Provincia, e quindi la legge mi dice cosa faranno, ma
    chi vogliono essere? E nel vostro statuto c'è tutto. C'è la dignità
    della vita, c'è la differenza, ci sono le pari opportunità. Il
    problema è che sono tutti in pezzi separati. Per esempio, io avrei
    messo subito le donne e non le persone nella dignità delle persone;
    non esistono né individui neutri, perché sono maschi e femmine, né
    persone impersonali, perché tutti hanno una loro storia, una loro
    biografia, la quale conta nel processo di conversione dei mezzi che
    voi distribuite e cercate di costruire nelle effettive condizioni di
    vita.
    Conta molto anche la biografia e conta, come ci direbbe Sen, la
    libertà ossia il pubblico ha il compito di aprire le pari
    opportunità nelle potenzialità. Dopodiché le vite devono liberamente
    scegliere come si compongono; il che vuol dire che è giusto tenere
    conto delle differenze, dell'etnia, come fate voi, di tutte le pari
    opportunità in quel senso di cui parleremo ora, ma deve essere
    chiaro che c'è la libertà. Io ho una famiglia, ho una terra di
    provenienza che è Venezia, che mi ha marcato, sono vissuta in
    Emilia-Romagna e anche questo mi ha marcato e farò fatica a tornare
    a vivere a Venezia. Tutto questo segna le esperienze della vita, ma
    uno deve essere poi libero di decidere su quale pezzo si gioca,
    proprio perché le vite sono multidimensionali.
    E qui chiudo con l'ultimo aspetto metodologico: se io invece mi
    occupo solo dei mezzi, o delle istituzioni che danno i mezzi, sono
    dentro una logica allocativa, dentro alle istituzioni. Devo invece
    riuscire a spostare l'analisi delle politiche pubbliche
    sull'impatto, sulle vite: questo è quello che noi facciamo, sui
    bilanci, sull'impatto, sulle vite.
    Le vite invece hanno una logica integrativa perché non è che uno è
    l'utente dei trasporti, a scuola, si prende cura, va al museo e son
    tutti diversi: è la stessa persona che deve comporre la sua capacità
    di essere istruito, la sua capacità di muoversi nel territorio, la
    sua capacità di prendersi cura, la sua capacità - come l'abbiamo
    chiamata anche alla Provincia di Bologna - di godere della bellezza.
    Queste dimensioni deve tutte comporle, quindi le politiche devono
    tenere conto che il loro obiettivo sono persone che devono mettere
    insieme tutti i pezzi e che magari l'assessorato all'istruzione si
    occupa di trasporti, si occupa di musei perché riconosce questa
    cosa, ma appunto, non come progetto separato. Tutta
    l'amministrazione si dovrebbe responsabilizzare alla composizione
    delle vite, ossia le connessioni, senza limitarsi a dare dei mezzi
    di cui poi non si va a vedere l'effettivo risultato sulle vite.
    Quindi la visione teorica cambia molto a seconda di come poi si
    fanno le politiche: non a caso è cambiata poi la visione teorica a
    un certo punto, dopo che Marx aveva fatto vedere un po' troppe cose.
    Questa trasformazione, secondo me, in questa fase, dopo vent'anni di
    politiche sulle pari opportunità, mentre si discute di PIL, mentre
    si misura il non pagato con statistiche ormai ricorrenti Non è che
    queste statistiche sul non pagato devono diventare il grande
    monumento alla sacrificabilità femminile, perché se noi non le
    usiamo per negoziare sul pubblico, dobbiamo poi negoziare su due
    piani: uno è la parità uomini e donne, che è parità di opportunità a
    una buona vita e l'altra è la buona vita, la discussione pubblica su
    che cos'è una buona vita, sostenibile, cos'è il benessere.
    Perché questo riguarda il pubblico e per noi è necessario negoziare
    su quel piano, che comprende anche la buona vita dei maschi, non
    perché gliela dobbiamo risolvere noi, ma noi siamo contenti se
    negoziano col pubblico la loro buona vita perché così, come per i
    ragazzi che vanno alla polisportiva, sono meno faticosi, se non
    altro, e la relazione è un po' migliore, forse.
    E tutto questo costa molti mezzi, però, come dice Sen, la buona vita
    deve essere discussa prima della logistica, della locazione dei
    mezzi perché è il senso dei mezzi, è l'efficacia, è l'efficienza dei
    mezzi.
    E chiudo dicendo che su questo piano la partecipazione diventa molto
    più ricca.
    Noi abbiamo fatto diversi bilanci di genere in approccio sviluppo
    umano per la Regione Lazio, il Comune di Modena all'interno del
    progetto dell'Emilia-Romagna, la Regione Piemonte e poi varie
    Province, la Provincia di Roma e così via. Son tutti dall'alto in
    basso, è l'ente che ce lo chiede e noi glielo proponiamo così e così
    via.
    Invece per una scuola l'abbiamo fatto dal basso: gli studenti hanno
    discusso prima di tutto le dimensioni della loro vita che il
    bilancio della scuola attivava. Quindi si è creato uno spazio in cui
    loro discutevano delle loro vite, della relazione con la scuola come
    relazione responsabile rispetto non solo alle ore di didattica, ma
    alla sicurezza dell'ambiente, addirittura alla bellezza
    dell'ambiente, han detto che gli dava molto fastidio che sembrasse
    la stazione, e varie altre cose.
    E quindi diventa veramente un punto di partecipazione perché la
    gente discute non tanto quali autobus, o i mezzi, ma discute quali
    dimensioni della mia vita e come le collego e diventa uno spazio
    collettivo. Per esempio, un gruppo di anziani ha cominciato a dire
    che voleva cultura e mobilità perché quelle erano le dimensioni
    della qualità della loro vita che gli mancavano molto.
    Quindi ciò che trovo nello Statuto, che è il riconoscimento della
    differenza, la vita degna, la partecipazione, la trasparenza,
    diventa molto più facile ed efficace se si tiene conto che alla fine
    dobbiamo arrivare sulle condizioni effettive di uomini e donne,
    sapendo che sono uomini e donne e che c'è un'esperienza diversa del
    vivere, della qualità della vita.
    Escono i consiglieri Barbati, Piva e Cavalli.
    La prof. Diletta TEGA svolge il seguente intervento:
    Mi associo ai ringraziamenti che ha fatto all'inizio del suo
    intervento la professoressa Picchio. È stato un grandissimo piacere
    per me sentirla.
    Io invece provo, anche in base a qualche suggestione che mi è
    arrivata, a darvi un quadro del dibattito costituzionalistico
    contemporaneo, poi, ovviamente, se avrete domande più specifiche,
    sono a disposizione.
    Recentemente il dibattito giuridico sul principio di eguaglianza
    esemplificato, come sapete meglio di me, dall'articolo 3 della
    Costituzione, si è sostanzialmente incentrato sulle modalità e sugli
    strumenti più adatti a combattere le discriminazioni. Da un lato,
    attraverso una riflessione sullo sviluppo delle clausole di divieto
    di discriminazioni, che diventano sempre più sofisticate, ma anche
    attraverso il ricorso a disposizioni normative identificate di volta
    in volta come le cosiddette azioni positive . Apparentemente
    parliamo di due direttive che possono apparire in contraddizione ma
    sostanzialmente non lo sono. Quindi è importante cercare subito di
    distinguere la differenza logica e concettuale che esiste tra il
    divieto di discriminazione - che viene codificato nella nostra
    Costituzione, in moltissimi documenti internazionali, in molti
    documenti del diritto comunitario, che anzi praticamente è il volano
    in questi ultimi anni proprio di una riflessione sul divieto di
    discriminazione - e invece su quelle disposizioni giuridiche che
    timidamente in Italia, ma invece magari in maniera più matura già in
    altri ordinamenti, vengono definite azioni positive .
    Per quanto riguarda le disposizioni che sviluppano, arricchiscono,
    rendono contemporaneo il divieto di discriminazioni si è assistito,
    proprio da un punto di vista giuridico, a una evoluzione, ad una
    specificazione sempre più precisa e sempre più ricca di tutte quelle
    cause di discriminazione che vengono vietate dai vari documenti.
    È chiaro, noi partiamo dall'articolo 3 della Costituzione italiana,
    che ha svolto una funzione di modello per molti testi costituzionali
    successivi, per arrivare invece ai testi più contemporanei. Un
    articolo che enuncia in maniera molto moderna, molto contemporanea e
    anche specifica i divieti di discriminazione è per esempio
    l'articolo 9 della Costituzione del Sudafrica, che è una
    Costituzione recentissima, è del 1996 - per noi costituzionalisti è
    ieri - in cui proprio vengono enucleate tante cause di
    discriminazione. Esempio classico? Il colore della pelle,
    l'orientamento sessuale, quindi proprio tutte quelle specificazioni
    che probabilmente in un mondo contemporaneo, in una sensibilità
    contemporanea, diventano importanti.
    Allo stesso modo si può parlare dell'articolo 21 della Carta dei
    diritti fondamentali dell'Unione europea, la quale Carta, ricordo,
    viene citata, viene richiamata nel Trattato di Lisbona ed è quindi
    da considerarsi diritto comunitario, non è più una dichiarazione
    politica, come è stata fino a poco tempo fa, ma ha assunto proprio
    il carattere di diritto comunitario.
    Il secondo concetto invece, quello di azioni positive, rimanda in
    qualche modo al secondo comma dell'art. 3 della Costituzione
    italiana, in cui si dice: dopo avervi detto quali sono i motivi in
    base ai quali non si può discriminare, vi diciamo anche che ci
    rendiamo conto che ci deve essere forse qualcosa di più da parte del
    legislatore, in quel caso in primis del costituente; cioè si prende
    atto che non tutti i soggetti della società partono dallo stesso
    livello e che quindi il programma più nobile da parte di un
    legislatore sarebbe quello di riportare tutti quantomeno a un comune
    livello di partenza. Il tentativo in questo caso è appunto quello di
    introdurre dei programmi volti a rimuovere le condizioni di minorità
    di certe categorie di soggetti. Ad esempio, si parla di
    discriminazioni a rovescio, cioè abbiamo sempre detto che sono
    vietate, ma vi diciamo che, invece, a certe condizioni e per un
    certo periodo di tempo, possiamo immaginare che l'ordinamento svolga
    una sorta di discriminazione a rovescio proprio per cercare di
    favorire individui che partono in maniera discriminata e che molto
    spesso appartengono a gruppi della società.
    L'espressione azione positiva viene usata in Italia in maniera
    piuttosto ambigua, per cui poi bisogna sempre andare a capire bene
    qual è la definizione che noi accettiamo, perché è ovvio che il
    diritto costituzionale (la Corte Costituzionale l'ha detto, se ci
    fosse un mio collega maschio probabilmente lo avrebbe detto come
    prima cosa) ci dice: attenzione, perché in particolare quando si
    parla di azioni positive e rappresentanza politica - questo è un
    grande tema -, la rappresentanza politica è un principio neutro.
    Quindi, nel caso in cui si scelga, si decida di lanciare azioni
    positive all'interno delle leggi elettorali - è questo un caso che
    conoscete bene perché appunto alcune Regioni lo hanno fatto, abbiamo
    la legge per l'elezione al Parlamento europeo che in qualche modo lo
    fa - bisogna fare una riflessione molto attenta perché ci si muove
    su un terreno particolarmente delicato, visto che la rappresentanza
    non è una rappresentanza per gruppi, ma è una rappresentanza
    neutrale che però, secondo me, leggendo anche le decisioni della
    Corte Costituzionale, permette una sorta di possibilità di azioni
    positive magari a tempo determinato. Ci sono molte legislazioni
    straniere che prevedono una sorta di deadline, quindi si prevede uno
    strappo, un'eccezione all'ordinamento che dura un periodo, una
    finestra definita.
    La Corte Costituzionale, mi fa piacere dirlo, nel 1993 definisce le
    azioni positive come il più potente strumento a disposizione del
    legislatore che tende a innalzare la soglia di partenza per le
    singole categorie di persone socialmente svantaggiate e a superare
    il rischio che diversità di carattere naturale o biologico, si
    trasformino arbitrariamente in discriminazioni di destino sociale,
    che è un'espressione molto significativa.
    Questo è il panorama generale. Il diritto comunitario è il vero
    volano anche per la legislazione italiana perché sostanzialmente,
    con una serie di direttive, oltreché con le previsioni contenute nei
    vari trattati istitutivi, crea quello che viene definito oggi nuovo
    diritto antidiscriminatorio, perché impone poi ai singoli
    ordinamenti degli Stati membri di adeguarsi alle direttive
    comunitarie.
    Due le direttive più importanti, ma non sono solo due, vi dico
    soltanto le principali sul tema: la 43 del 2000 e la 78 del 2000,
    che sanciscono in primis il principio di uguale trattamento delle
    persone, senza distinzioni di origini etniche o razziali - quindi
    non solo genere - e che poi inoltre sanciscono anche l'eguale
    trattamento in materia di lavoro e di occupazione. Ora è chiaro che
    ci si muove in primis sugli argomenti che attengono al lavoro e
    all'occupazione perché parliamo sempre di trattati istitutivi di
    un'Unione che nasce come Comunità economica e quindi, in primis,
    richiede questo tipo di attenzione. L'ordinamento ha recepito queste
    due direttive, poi vi chiarirò che ne ha recepito recentissimamente
    anche una terza attraverso dei decreti legislativi, che sono
    abbastanza noti perché sostanzialmente fanno un po' il punto della
    situazione su che cosa si intenda per discriminazione diretta e
    indiretta, sanciscono la nascita dell'Ufficio nazionale contro le
    discriminazioni razziali che ancora non è noto, ma fungerebbe in
    Italia, viene definito, un Equality Body . È importante perché
    ciascun ordinamento deve averne uno, ci sono ordinamenti comunitari
    che ne hanno uno solo che si occupa di tutte le discriminazioni,
    etniche, razziali, linguistiche, religiose, di genere; noi al
    momento abbiamo questo organo che nasce con una vocazione tutta
    incentrata alle discriminazioni razziali ed etniche, ma credo che il
    tentativo sia di allargare la sua mission. Questo è molto importante
    perché lavorando come esperto indipendente per questa nuova Agenzia
    europea dei diritti fondamentali, la prima cosa che loro ci hanno
    chiesto è di fare una mappatura di chi in Italia, da un punto di
    vista extragiudiziario, si occupa chiaramente non solo e non tanto
    di risolvere le discriminazioni, ma soprattutto di promuovere una
    cultura antidiscriminatoria. E guardate che la stessa Commissione
    europea ci ha chiesto proprio un report sulle istituzioni che
    promuovono la lotta alle discriminazioni, che evidentemente, in
    particolare per il nostro Paese, rappresenta un tallone d'Achille. È
    ovvio che l'Unione era secondo me interessata da un lato alle
    discriminazioni di genere e dall'altro alla grande problematica
    legata alle discriminazioni razziali. È stato anche richiesto uno
    studio sui fenomeni legati all'omofobia.
    Mi preme ricordare un po' che cosa si intende per discriminazione
    perché forse vale la pena anche ripensare un momento, partendo dal
    diritto comunitario, come il nostro ordinamento recepisce queste
    definizioni. Vi posso dire che per discriminazione diretta si
    intende qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto
    pregiudizievole, discriminando lavoratrici e lavoratori - qui siamo
    sempre in tema di diritto del lavoro - in ragione del loro sesso e
    comunque preveda un trattamento meno favorevole rispetto a quello di
    un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.
    Esiste poi il concetto di discriminazione indiretta che è più
    sottile, più sfuggente e chiaramente più pericoloso, che significa
    che esiste una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un
    patto, un comportamento apparentemente neutri, che mettono, o
    possono mettere, i lavoratori di un determinato sesso in una
    posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori
    dell'altro sesso. Evidentemente qui però bisogna stare attenti:
    salvo che riguardino requisiti essenziali connaturati allo
    svolgimento di una determinata attività lavorativa , perché bisogna
    anche cercare di evitare alcune esagerazioni, per cui la peculiarità
    del lavoro che si va a svolgere va sempre considerata.
    Dentro alle discriminazioni dirette o indirette, un decreto
    legislativo del 2010, il numero 5, che recepisce una direttiva del
    2006, la 54, quella terza direttiva che vi dicevo essere più recente
    rispetto alle altre, ci dice poi che vengono inclusi tra i fattori
    discriminanti i trattamenti di sfavore subiti da chi per esempio
    rifiuta comportamenti indesiderati o molestie sessuali espresse a
    livello fisico, verbale o non verbale, che violano la dignità di una
    lavoratrice o di un lavoratore e creano un clima intimidatorio e
    offensivo. Questo decreto legislativo fa sì che si allarghi anche la
    sfera del divieto di discriminazione, che viene previsto anche per
    ragioni connesse per esempio al sesso, allo stato di gravidanza, di
    maternità o paternità anche adottive. Allora, il diritto comunitario
    ci parla quasi sempre di mondo del lavoro, l'Italia recepisce queste
    direttive basandosi sul mondo del lavoro, perché evidentemente per
    quanto concerne invece altri campi ci muoviamo di più sul dettato
    costituzionale, ma non solo, comunque abbiamo degli strumenti anche
    normativi e legislativi che in qualche modo coprono anche altri
    terreni di discriminazione.
    Concludo ricordandovi quali sono, perché mi sembra abbastanza
    significativo, tutte quelle discriminazioni che vengono vietate oggi
    dalla Carta di Nizza, che appunto è diritto comunitario. Vi dicevo
    prima di questa Carta approvata nel 2000, l'articolo che se ne
    occupa è l'articolo 21 che prevede il divieto di qualsiasi forma di
    discriminazione fondata sul sesso, sulla razza, sul colore della
    pelle, sull'origine etnica o l'origine sociale, sulle
    caratteristiche genetiche - vedete, questo è un documento del 2000,
    è chiaro che la Costituzione italiana è entrata in vigore il 1°
    gennaio del '48 e non poteva parlare di caratteristiche genetiche -
    la lingua, la religione, le convinzioni personali e le opinioni
    politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una
    minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età,
    le tendenze sessuali. Il divieto di discriminazione viene poi
    completato da altri articoli, sempre di questa Carta di Nizza, che è
    diritto comunitario da quando è entrato in vigore il Trattato di
    Lisbona, e riguardano la parità uomo donna, i diritti del bambino, i
    diritti degli anziani, l'inserimento dei disabili.
    Quindi per concludere è evidente che c'è una crescita esponenziale
    di documenti giuridici che ci dicono quali sono le discriminazioni
    vietate; il problema è implementarli. È evidente che la Commissione
    sulla quale voi state riflettendo va in questo senso. Il problema è
    anche trovare un'applicazione per le norme giuridiche che vanno
    sulla scia di questi divieti. Non è semplice perché poi i magistrati
    stessi ci dicono che quando si trovano a dover eventualmente
    prevedere un'aggravante di pena per i reati, per esempio penso alla
    legge Mancino, che prevedono un'aggressione fisica o linguistica
    motivata da odio razziale o religioso, è molto difficile nella
    pratica riuscire a individuare questo tipo di comportamento. Quindi
    questo è un tema difficile, complesso, anche sfuggente sia per chi
    fa il teorico sia, secondo me, per voi che vi trovate ad applicare
    questi principi, sia poi per l'autorità giudiziaria quando veramente
    deve utilizzarli.
    Ciò non toglie che ovviamente questa riflessione va assolutamente
    fatta, anche perché il resto dei Paesi dell'Unione stanno
    evidentemente quasi tutti molto più avanti; noi stiamo sempre
    insieme a Malta, alla Polonia.
    Ora non c'è tempo per approfondire, ma è chiaro che dalle
    statistiche, sempre più desolanti, emerge che noi stiamo sempre con
    quei Paesi. Grazie.
    Esce il consigliere Monari.
    Il presidente FAVIA rinnova i ringraziamenti alle docenti
    intervenute e, in mancanza di richieste di intervento, passa la
    parola alla consigliera relatrice per la chiusura.
    La consigliera MORI esprime il vivo apprezzamento per gli interventi
    svolti, anche a nome dei colleghi e, in particolare, delle colleghe.
    L'idea che, assieme al presidente, l'aveva condotta a prevedere
    questo appuntamento era proprio quella di riempire di pensiero e di
    riflessioni l'iter di esame del progetto di legge, dato che
    considera il tema delle politiche pubbliche e dell'importanza del
    farsi carico delle condizioni del benessere della cittadinanza, è un
    elemento fondamentale per la Regione Emilia-Romagna.
    La seduta termina alle ore 15,50.
    Approvato nella seduta del 29 giugno 2011.
    Il Segretario Il Presidente
    Nicoletta Tartari Giovanni Favia
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