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Legislatura X - Commissione speciale tutela minori - Resoconto del 25/09/2019 antimeridiano

    Resoconto integrale n. 9

    Seduta del 25 settembre 2019

     

    Il giorno 25 settembre 2019 alle ore 10,00 è convocata, con nota prot. n. AL.2019.20614 del 18/09/2019, presso la sede dell’Assemblea legislativa in Bologna Viale A. Moro n. 50, la Commissione speciale d’inchiesta circa il sistema di tutela dei minori nella Regione Emilia-Romagna

     

    Partecipano alla seduta i consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    BOSCHINI Giuseppe

    Presidente

    Partito Democratico

    4

    presente

    SENSOLI Raffaella

    Vicepresidente

    Movimento 5 Stelle

    2

    presente

    TARUFFI Igor

    Vicepresidente

    Sinistra Italiana

    1

    presente

    ALLEVA Piergiovanni

    Componente

    L’Altra Emilia Romagna

    1

    assente

    BARGI Stefano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    BENATI Fabrizio

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    BERTANI Andrea

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    CALLORI Fabio

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    CALVANO Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    5

    presente

    DELMONTE Gabriele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    FACCI Michele

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    GALLI Andrea

    Componente

    Forza Italia

    1

    presente

    LIVERANI Andrea

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Daniele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Francesca

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MONTALTI Lia

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MORI Roberta

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    PETTAZZONI Marco

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    PICCININI Silvia

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    POMPIGNOLI Massimiliano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    PRODI Silvia

    Componente

    Misto

    1

    presente

    RAINIERI Fabio

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    RANCAN Matteo

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    SASSI Gian Luca

    Componente

    Misto

    1

    presente

    TAGLIAFERRI Giancarlo

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    TORRI Yuri

    Componente

    Sinistra Italiana

    1

    presente

    ZOFFOLI Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

     

    È presente la consigliera Nadia ROSSI.

    Partecipano alla seduta: C. M. Garavini (Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna), L. Fadiga (Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna sino a novembre 2016), C. Lucarelli (Presidente Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati), E. Buccoliero (Direttrice Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati).

     

    Presiede la seduta: Giuseppe Boschini

    Assiste la segretaria: Annarita Silvia Di Girolamo

    Funzionario estensore: Vanessa Francescon

     


    DEREGISTRAZIONE CON CORREZIONI APPORTATE AL FINE DELLA MERA COMPRENSIONE DEL TESTO

     

    -     Audizione della dott.ssa Clede Maria Garavini (Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna) e del Dott. Luigi Fadiga (Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna sino a novembre 2016);

     

     

    Giuseppe BOSCHINI, Presidente della Commissione. Apriamo questa seduta della nostra Commissione, che ha come ordine del giorno in primo luogo l’audizione contestuale della dottoressa Clede Maria Garavini, Garante attuale per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna e del dottor Luigi Fadiga, Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione fino al novembre 2016. Figure entrambe, credo, conosciute, alla maggior parte di noi, anche in occasione della presentazione delle relazioni annuali e in altre occasioni di incontro in Commissione e in Assemblea.

    Seguirà un ulteriore punto all’ordine del giorno, l’audizione del dottor Carlo Lucarelli, presidente della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati e della dottoressa Elena Buccoliero, direttrice della stessa Fondazione.

    Poi, come sempre, se riterremo, abbiamo l’ultimo punto per eventuale dibattito e discussione. Non abbiamo il verbale di ieri già pronto da approvare, quindi come sempre lo faremo nella prossima seduta.

    Leggo il consueto disclaimer e poi procediamo. Ricordo ai commissari e ai nostri ospiti che la Commissione d’inchiesta istituita in ambito regionale non gode delle prerogative di cui all’articolo 82 della Costituzione, ossia dell’equiparazione ai poteri e ai limiti dell’autorità giudiziaria. L’eventuale audizione da parte della Commissione di persone indagate in procedimenti penali avviene esclusivamente in ragione del loro ruolo e della loro funzione, a prescindere dalla circostanza che essi siano coinvolti o meno in procedimenti giudiziari. La nostra istruttoria in tali casi non mira all’accertamento di eventuali reati, spettando l’azione penale esclusivamente al pubblico ministero.

    Gli esiti e gli atti della nostra inchiesta potrebbero tuttavia essere richiesti o messi a disposizione della magistratura.

    Ricordo ai collaboratori regionali che da parte loro non è opponibile alla Commissione d’inchiesta il segreto d’ufficio ai sensi dell’articolo 60 del Regolamento interno. Ricordo inoltre ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio presenti in aula i doveri e gli obblighi derivanti dal loro ruolo in merito alla denuncia all’autorità giudiziaria o ad altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, di un reato di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio a causa delle loro funzioni, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, nonché le eventuali sanzioni derivanti dall’omessa o ritardata denuncia ai sensi dell’articolo 361 codice penale.

    Ricordo altresì che ai sensi dell’articolo 70 della legge n. 184 del 1983 i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio sono tenuti a riferire alla Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio. In caso contrario sono punibili ai sensi dell’articolo 328 codice penale.

    Ricordo che la nostra attività è, come di ordinario, soggetta alle norme vigenti in materia di trattamento dei dati personali, e in particolare alla normativa che tutela i dati sensibili dei minori, nonché alle norme in materia di offesa dell’altrui reputazione come la diffamazione ex articolo 595 codice penale.

    Infine, si fa presente che l’audizione, oltre ad essere verbalizzata integralmente in forma audio e trascritta, è soggetta a diffusione in diretta tramite streaming sul sito istituzionale dell’Assemblea legislativa, salvo diversa indicazione o richiesta. Pertanto, ricordo che la normativa vigente prevede sanzioni in caso di diffusione di dati sensibili e giudiziari, quali i nomi di minori, di persone sottoposte a indagine, o altri dati e informazioni che ne consentano, anche in via indiretta, l’identificazione.

    Naturalmente ho letto anche questo proprio perché la diretta streaming è in funzione, a differenza di ieri, quando comunque è stato risolto il problema tecnico.

    I temi su cui abbiamo invitato e già ringraziamo la dottoressa Garavini e il dottor Fadiga sono in sintesi questi: richiesta di chiarimenti in merito ad eventuali dichiarazioni pubbliche rilasciate sui servizi coinvolti nelle indagini giudiziarie in atto; chiarimenti in merito all’attività di controllo e segnalazione di possibili abusi ai danni dei minori; illustrazione del funzionamento dell’istituzione del garante regionale, e in particolare dei rapporti con le Aziende ASL.

    Su questi temi e su quello che riterranno, sia la dottoressa Garavini che il dottor Fadiga mi hanno preannunciato di voler fare una breve introduzione. Prima di dare loro la parola per circa dieci minuti a testa, in modo da introdurre le tematiche che abbiamo or ora ricordato, o altre che loro riterranno utili, ricordo anche che è stata trasmessa una memoria del dottor Fadiga; è a disposizione, qualora fosse necessaria la consultazione, tutto il materiale relativo ai rapporti che annualmente vengono stilati dal Garante, qui sui banchi della presidenza.

    La parola alla dottoressa Garavini. Grazie.

     

    Clede Maria GARAVINI, Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna. Partirei con alcune note, alcune riflessioni e alcune considerazioni rispetto al ruolo del garante per l’infanzia e l’adolescenza.

    Per chiarire lo stile, l’ambito del lavoro, il Garante per l’infanzia è una figura che è stata istituita ormai in tutte le Regioni come una forma di rappresentanza locale di garanzia per l’infanzia e l’adolescenza. Questo è avvenuto soprattutto grazie alla spinta della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo dell’89, ratificata con legge dello Stato italiano nel 1991.

    Questa figura del Garante ha una funzione, ha compiti di promozione, di protezione, di rappresentanza, di tutela, però non giurisdizionale, dei diritti delle persone di minore età. Lo stile di lavoro del garante, e il suo “potere” sono quelli della moral suasion. La moral suasion si esprime nel favorire la collaborazione, il raccordo fra i vari soggetti istituzionali, fra i vari servizi, facilitando la comunicazione fra questi soggetti e favorendo le reti. Esempio dell’attività è l’organizzazione, la partecipazione a incontri con diverse istituzioni e servizi, con professionisti che hanno a che fare con bambini e adolescenti. Organizzazione anche di tavoli di lavoro, e partecipazione a tavoli di lavoro, interventi nelle situazioni segnalate indirizzati a favorire la conoscenza, a favorire lo scambio e l’integrazione reciproca fra vari soggetti che operano spesso con approcci e con modalità differenziate, non centrate sul minore, di varie persone, di varie istituzioni che intervengono nella tutela. Su questo sistema che è davvero complesso, credo che tutti dobbiamo fare una riflessione. Del resto, la complessità di questo sistema è ben chiara nella raccomandazione che ha emanato recentemente l’Autorità garante nazionale. Voi avrete visto quante istituzioni sono coinvolte.

    I soggetti quindi sono tanti e diversi, e le interazioni fra questi soggetti spesso scricchiolano. Ritornando al tema della moral suasion, per sottolineare che quindi il Garante per l’infanzia non ha un potere coercitivo. Ha un potere di promozione, di sollecitazione e di aiuto, di facilitatore.

    Gli atti propri del Garante sono delle raccomandazioni, sono dei solleciti, sono dei richiami, sono segnalazioni: questi sono gli atti che fa un Garante. Il compito fondamentale del Garante è la diffusione della cultura relativa all’infanzia e all’adolescenza. Diffusione che vuol dire favorire le conoscenze, trasmettere delle conoscenze, vuol dire favorire il rispetto dei diritti soggettivi, civili, sociali, politici, diritti di cui le persone di minore età sono titolari proprio in base alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.

    Diffondere conoscenza che cosa significa? Significa non soltanto trasmettere dell’informazione; significa veicolare i valori, il sistema di valori che è delineato nella Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Si tratta quindi di compiere un’opera di sensibilizzazione, un’opera molto impegnativa, che coinvolge diversi soggetti, a partire dalle istituzioni che sono deputate alla formazione. Parliamo delle università e delle scuole. Abbiamo potuto vedere che la formazione sui temi della tutela, sui temi dei diritti, sul tema della crescita dei bambini è spesso lacunosa. Quindi, siamo dovuti intervenire su questi aspetti importanti.

    Nella diffusione della cultura hanno un ruolo importantissimo i mezzi di comunicazione. In questa direzione il lavoro da fare è davvero tanto, sia per promuovere maggiore attenzione alla tutela dell’immagine dei bambini e degli adolescenti sia per promuovere la tutela dei diritti dei bambini e degli adolescenti, ma anche per sviluppare nei ragazzi un senso critico rispetto a quello che ricevono dai mezzi di comunicazione. Questo è un terreno molto ampio, su cui bisognerebbe lavorare e su cui stiamo anche lavorando.

    Altro aspetto del ruolo del Garante. Il Garante rappresenta le persone di minore età e deve, quindi, raccoglierne le segnalazioni e i bisogni ed è portavoce dei loro diritti, dei diritti civili, sociali, dei diritti individuali. A queste funzioni di sfondo, così importanti, relative alla promozione della cultura dell’infanzia e dell’adolescenza si sono aggiunte nuove funzioni con la legge n. 47/2017. Questa legge ha attribuito ai garanti la funzione di formazione dei tutori volontari per minori stranieri non accompagnati. Vorrei sottolineare che la nostra legge regionale aveva già previsto la promozione della cultura della tutela e della curatela, tant’è che il dottor Fadiga, già negli anni 2013-2014, aveva promosso alcuni corsi rispetto a questo tema.

    Il Garante opera sulla base di un programma trasmesso all’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea e discusso nella Commissione di riferimento. Vorrei sottolineare che la discussione che avviene nella Commissione è uno spazio importante. È uno spazio importante per voi ed è uno spazio importante per noi, perché è lo spazio in cui i consiglieri possono esprimere sollecitazioni, rilievi, richiami, richiami di attenzione su alcuni problemi e possono anche suggerire linee e traiettorie di intervento. Questo spazio, quindi, è stato uno spazio importante di confronto per tutti noi e spero anche per voi. In Commissione sono stati presentati il programma di mandato e i report delle attività. I report, in genere, chiariscono gli ambiti della nostra attività, gli aspetti quantitativi, metodologici e le criticità emerse. Voi siete stati informati su tutto questo e avete ricevuto tutte le relazioni.

    Per dare un esempio di come ci muoviamo, prendo in considerazione il tema dei tutori volontari. Il tema dei tutori volontari ci ha permesso di lavorare intanto con i territori, di creare delle reti e di formalizzarle con gli accordi con gli enti locali e con il mondo del volontariato. Abbiamo, quindi, creato delle reti. Queste reti sono diventate attive rispetto alla formazione dei tutori e sono diventate attive con noi. Tutti abbiamo partecipato alla formazione di questi tutori. Negli anni precedenti, nel mandato del dottor Fadiga, erano stati formati una quarantina di tutori volontari. Noi abbiamo raccolto altre 330 domande e abbiamo formato questi tutori. Questi tutori, a mio parere, ve lo dico per rappresentare anche il tipo di lavoro che stiamo facendo, possono darci un aiuto nel sistema dei servizi, in quanto rappresentano i minori nel sistema dei servizi e sono per loro punti di riferimento importanti.

    Questi stessi tutori possono essere utilizzati ‒ questo l’ho già detto in Commissione e lo vado dicendo in giro ‒ non soltanto per i minori stranieri non accompagnati, ma anche per tutti gli altri bambini e adolescenti per i quali è richiesta la tutela. L’inserimento di queste persone all’interno del sistema dei servizi può contribuire a ridefinire il sistema. Siccome stiamo tutti parlando di come si può migliorare questo sistema, oltre che cogliere quali sono le falle e le criticità di questo sistema, consideriamo tutti che abbiamo persone già formate, cittadini che possono rappresentare i nostri ragazzi e che possono essere inseriti nel sistema dei servizi. Queste persone porterebbero sicuramente dei pensieri, delle opinioni, delle letture diverse all’interno del sistema dei servizi, letture collegate esclusivamente ai singoli ragazzi e al benessere del ragazzo che loro rappresentano.

    Questo per dirvi come intendiamo il nostro lavoro e la promozione di reti, la promozione e la formazione di persone e l’attivazione di persone all’interno del nostro sistema.

    Questo tipo di lavoro ve l’ho portato come esempio. Tutto il resto è descritto nella relazione. Un altro esempio può essere il lavoro sul bullismo, sul cyberbullismo, sulla prevenzione del bullismo e del cyberbullismo e sulla formazione degli operatori. Abbiamo fatto un accordo con le scuole, con la polizia, con le università proprio su questo tema, e questo rappresenta le reti. Penso anche, per esempio, al lavoro che abbiamo fatto con la procura e con i servizi quando c’è stata l’esplosione della “balena blu”, quel caso di adolescenti suggestionati tramite i social e indotti a compiere azioni sempre più pericolose. Lì abbiamo fatto un lavoro sempre in rete. Questo è il tema del nostro stile di lavoro, della moral suasion, come vi ho rappresentato, e questo è il compito del Garante per l’infanzia.

    Io mi fermerei qui, su questo tema. Lascio la parola al dottor Fadiga.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Prego, dottor Fadiga. Ci diamo una decina di minuti, indicativamente, per una presentazione.

     

    Luigi FADIGA, Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna sino a novembre 2016. Sono stato molto lieto quando ho ricevuto l’invito a venire qui oggi per l’audizione. Ho vissuto la mia esperienza di garante qui in Regione ed è stata la prima in assoluto. Solamente da novembre 2011 si è data attuazione alla normativa che lo prevedeva. Ho vissuto quei cinque anni, dal 2011 al 2016, non solo con intensità, ma anche con piacere. Era un’esperienza nuova che, a mio parere, poteva essere veramente significativa.

    Ovviamente, come primo garante della Regione, non potevo avvalermi di esperienze precedenti né del fatto di essere, come figura istituzionale, già conosciuto e accettato. Quindi, ho dovuto aprirmi un po’ la strada. Non è stato sempre facile, la figura era del tutto nuova, talvolta era considerata un fastidio, un’altra veniva vissuta in un modo sbagliato. Penso agli inizi, agli avvocati che venivano da me per chiedere un intervento presso i tribunali nei casi di separazione dei genitori e io dicevo “no, avete sbagliato indirizzo”.

    Ho dovuto affrontare il sistema di protezione dell’infanzia, che è un sistema estremamente complesso. Pensando di contribuire ai lavori della Commissione ho mandato delle note, una decina di pagine, molto sintetiche, che cominciano parlando di un meccanismo. Il sistema di protezione dell’infanzia è un meccanismo molto complesso. Pensiamo a un orologio, un orologio che è fatto di tanti ingranaggi non un orologio digitale, ovviamente, tanti ingranaggi che devono, tutti quanti, incastrarsi bene tra loro, girare bene sui perni, in modo che le lancette si muovano nel modo desiderato.

    Questo è molto difficile nel sistema di protezione dell’infanzia in Italia, sia a livello nazionale che a livello regionale. Ci sono degli ingranaggi sdentati, degli ingranaggi che non si incastrano con gli altri, dei perni arrugginiti che non girano. Scusatemi la metafora, ma credo che sia utile per spiegarmi meglio. Mi sono trovato davanti a un meccanismo che presentava queste criticità, non per colpa dei singoli, perché è complesso lui, veramente, e occorre tenerlo sempre mantenuto. La manutenzione è indispensabile, e questa non sempre c’è, per tante ragioni.

    Criticità incontrate. Direi che la prima è una difficoltà di interazione e comunicazione tra i vari soggetti istituzionali che debbono occuparsi e preoccuparsi del benessere del minore e dei suoi diritti.

    Qui ho trovato veramente una situazione preoccupante, perché, per esempio, l’ingranaggio “servizi territoriali, autorità giudiziaria” non girava bene, non si incastrava bene, delle volte non si toccava nemmeno, per cui si girava a vuoto, da una parte e dall’altra. L’ingranaggio tra servizi sociali territoriali e servizi sanitari non girava bene, ognuno andava per conto suo, tanto che, giustamente, una volta il presidente del tribunale per i minorenni si lamentò con me perché arrivava anziché una relazione di sintesi sul caso, fatta dai due servizi, due relazioni in tempi diversi e non sempre conciliabili tra loro.

    La prima criticità che dovetti affrontare è questa difficoltà di comunicazione e interazione. Ritenni importantissimo mettere insieme tutte le persone coinvolte. Non avevo nessun potere di ordinare la loro presenza, però potevo invitarle, e allora le invitai, sia dalla parte dei servizi, sia dalla parte dell’autorità giudiziaria minorile intorno a un tavolo permanente che si riuniva due o tre volte all’anno per esaminare i problemi concreti e cercare delle soluzioni ugualmente concrete.

    Questo tavolo mi ha dato anche delle soddisfazioni, anche se ho trovato riprodotte lì certe criticità che non erano risolvibili con gli strumenti amministrativi, con quelli del Garante e avrebbero addirittura richiesto degli interventi normativi statali.

    Altra criticità rilevante che ho notato era la mancata attuazione della legge del 2008, la n. 14, sulle giovani generazioni per quanto riguardava i servizi. L’articolo 17 di quella legge prevede dei servizi specifici per l’infanzia e l’adolescenza. L’articolo 18 di quella legge prevede delle équipe di secondo livello. Certamente noi non possiamo avere in ogni comune degli apparecchi di ricerca medica di diagnosi raffinati. Ci saranno delle zone in cui questi servizi tecnici più dotati, più raffinati, più ricchi di strumenti sono collocati e delle altre dove c’è il medico di base, ma il medico di base deve poter ricorrere a dei servizi specialistici.

    Ecco, qui non c’erano o se c’erano non erano distribuiti in tutto il territorio, ma erano collocati così, casualmente. Questo per quale motivo? Le leggi, statale e regionale, danno la competenza ai Comuni in materia di tutela dei minori e servizi, sennonché i comuni in Emilia-Romagna sono più di 300 e vanno da un comune grande come Bologna al comune piccolo che può essere non Vidiciatico, ma addirittura più piccolo e quindi le forze, le competenze e le risorse di coloro che devono assicurare i servizi sono molto diversificate.

    Non solo, questo grande numero di comuni è aggregato non già in funzione della tutela dei minori, ma in funzione di altri parametri. Per esempio, abbiamo il Consorzio per la tutela della seggiola, se non mi sbaglio, il Consorzio per la tutela di altri prodotti specifici, che sono cose molto importanti dal punto di vista economico, ma sono altro dalla protezione dei minori.

    Queste 300 e più unità, i comuni, organizzate su unità superiori di aggregazione fatte con altri criteri, ovviamente, hanno difficoltà di interazione con i vari soggetti istituzionali, soprattutto con l’autorità giudiziaria che, per legge statale, è una sola dal punto di vista dell’autorità giudiziaria minorile in tutta la Regione. Oppure, parlando dell’autorità giudiziaria ordinaria, è composta da otto uffici giudiziari, se non mi sbaglio, in tutta la Regione.

    Capite bene che 308 unità strutturate in gruppi fatti per altri criteri rendono molto difficile l’interazione, rendono molto difficile individuare chi è responsabile a livello locale, e così i casi sfuggono oppure si fa ricorso ad altre situazioni. Il sistema, quindi, è critico.

    Un’altra criticità è stata riscontrata da me all’inizio all’interno del sistema regione. La figura del Garante era nuova, non da tutti conosciuta, non da tutti accettata. Avrebbe richiesto un aggiustamento di alcuni modelli organizzativi per garantirne l’indipendenza e l’autonomia, che è fondamentale, di questa figura e questa azione devo dire non sempre c’è stata.

    Un altro settore importante a cui mi sono dedicato è stato quello dei minori fuori famiglia. Perché un bambino o un adolescente non si trova nella sua famiglia, come sarebbe desiderabile e giusto? Per tanti motivi. Pensiamo al caso più semplice: il minore straniero non accompagnato. Certamente, è in situazione di fuori famiglia. Oppure pensiamo a un altro caso: il minore che per una momentanea situazione di difficoltà familiare, pensiamo a una malattia di entrambi i genitori, pensiamo a difficoltà abitativa, pensiamo anche a una crisi in famiglia tra i genitori con separazione, non può stare nella sua famiglia d’origine. Quindi, occorre in qualche modo intervenire per proteggerlo e dargli una sistemazione, sia pure provvisoria.

    Oppure, ci possono essere dei casi dove il minore è fuori famiglia perché ci sono stati un episodio o più episodi di maltrattamento più o meno gravi nei suoi confronti. I primi casi che ho fatto non sono di competenza del giudice. Se una situazione familiare per difficoltà abitativa richiede una momentanea separazione del nucleo familiare, questa può essere affrontata dai servizi di protezione, nell’ambito delle loro competenze e nell’ambito dei loro poteri. Certamente, con l’accordo con i genitori, perché nessun bambino può essere allontanato da casa se non con provvedimento del giudice, con un’eccezione che dirò tra poco.

    Quanto al maltrattamento, è un fenomeno globale molto ampio, non si può limitarlo all’abuso sessuale, che fra l’altro è una parte statisticamente molto ridotta del fenomeno maltrattamenti. Noi abbiamo una definizione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che dice cos’è il maltrattamento, che va da un minimo a un massimo e può arrivare addirittura a causare la morte. Rimanderei alle mie note per questa definizione. Insisterei nel dire che ci sono casi in cui il bambino esce dalla famiglia provvisoriamente, per intervento dei servizi e casi in cui, a seguito di maltrattamenti, esce per provvedimento dell’autorità giudiziaria.

    Attenzione: ci sono situazioni in cui occorre un intervento immediato, non si può aspettare né il consenso dei genitori, che magari sono quelli maltrattanti, né il permesso o la decisione dell’autorità giudiziaria. Sono casi, purtroppo, nella realtà. L’intervento è di competenza dei servizi territoriali.

    Perché questo? Perché c’è un vecchio articolo del codice civile, che mai il Parlamento ha avuto il tempo di modificare – e lo poteva fare senza spese, nonostante i solleciti che sono stati fatti da varie associazioni ed enti –, che è l’articolo 403 del codice civile. Se il bambino si trova in situazione di grave rischio il servizio sociale può o deve allontanarlo. E se non lo allontana? Se non lo allontana il servizio sociale va sotto processo per omissione di atti d’ufficio. E non pochi operatori sociali del territorio sono stati messi sotto processo dalla Procura per i minorenni di allora per omissione di atti d’ufficio. Voi capite come sia difficile la scelta, la situazione dell’operatore, in genere uno solo, lasciato anche un po’ a se stesso, lasciatemelo dire, davanti a queste decisioni.

    Come funziona la macchina? Allontanato il minore e collocato provvisoriamente, di norma in una comunità, oppure presso dei parenti, oppure in quello che è possibile fare lì per lì, il servizio deve comunicare al procuratore per i minorenni la sua azione, il suo intervento. A questo punto, la guida passa al procuratore, il quale deve decidere, dopo l’entrata in vigore della legge 49/2001, nel suo testo integrale che è accaduto nel 2007, il quale procuratore deve decidere cosa fare di questa situazione col bambino fuori famiglia: se chiedere al tribunale un intervento che convalidi la decisione dei servizi, l’allontanamento, e provveda in qualche modo alla protezione del bambino, o limitando la potestà o togliendo la potestà (adesso si chiama responsabilità genitoriale) oppure addirittura aprendo un procedimento per verificare se c’è stato di abbandono.

    La scelta di attivare il tribunale è solo del Procuratore della Repubblica, per i minorenni. Può anche non attivarlo, può anche dire: i servizi l’hanno allontanato, ma non era neanche il caso. Sarebbe giusto allora che a questo punto avvertisse i servizi. La legge non lo prevede e il pubblico ministero minorile di allora non lo faceva, quindi mancava il feedback, gli ingranaggi non si incastravano, succedeva che il bambino allontanato rimanesse fuori famiglia, magari con un provvedimento del tribunale, che diceva “provvisoriamente può stare fuori, chiediamo un approfondimento”, ma era un provvedimento provvisorio, che aveva una caratteristica: non era appellabile, secondo una giurisprudenza seguita dalla Corte d’Appello di Bologna, non da tutte le Corti d’Appello.

    Perché c’è un’altra cosa da dire, tra parentesi: ogni tribunale per i minorenni, quindi ogni Regione, lavora in un modo condizionato non solo dal contesto sociale, ma anche dalla struttura dei servizi locali. Un tribunale per i minorenni che opera in una zona priva di servizi, e purtroppo ce ne sono, cosa fa? Si appoggia alle forze dell’ordine. Un tribunale per i minorenni che opera dove ci sono i servizi si appoggia ai servizi.

    Attenzione: per il maltrattamento non dimentichiamo che laddove i servizi ci sono, e sono più attivi, c’è un maggior numero di segnalazioni di maltrattamento. Nelle zone dove i servizi o non ci sono, o non sono attivi, c’è un minor numero di segnalazioni di maltrattamenti. Un dato statistico documentato e riferibile, sia pure riferito al 2014, è che nelle regioni del nord Italia c’è un 60 per cento di segnalazioni; nelle regioni del Meridione e isole c’è un 30 per cento di segnalazioni. Questo può voler dire tante cose, anche che la famiglia nell’Italia meridionale è più coesa, è più protettiva. Certo, ma può anche voler dire, e dice, che i servizi sono deboli e non mi segnalano.

    Detto questo, mi avvio a stringere…

     

    Presidente BOSCHINI. Devo invitarla, dottore, a tirare un po’ le conclusioni, così cominciamo ad aprire anche il dibattito. Grazie.

     

    Dott. FADIGA. Del maltrattamento ho detto, dell’allontanamento ho detto.

    Due parole sulla questione Val d’Enza, che fu portata a mia conoscenza dalla stampa, dai giornali, perché i servizi sociali non hanno il dovere di informare il Garante di situazioni individuali; possono farlo se lo ritengono necessario, però non hanno il dovere. Loro hanno il dovere di comunicare all’autorità giudiziaria, minorile e ordinaria. Vista dai giornali questa situazione, io chiesi di avere maggiori notizie. Ebbi con i servizi un incontro, che poi preluse ad un’audizione in Commissione parità, presieduta dalla consigliera Mori, che è qui presente. In tale audizione con i servizi mi riferirono delle situazioni che erano all’epoca, secondo quanto dettomi, gravi, devastanti per i bambini e giustificatrici di un allontanamento.

    A questo punto, compito del Garante, visto che di tutti questi casi si stava occupando l’autorità giudiziaria minorile, e di questo ho avuto conferma chiedendo notizie e all’autorità giudiziaria e a tutti gli organi di polizia e alle forze dell’ordine della Regione, io non avevo altra voce in capitolo. La legge non mi permetteva di sindacare l’ulteriore operato, né di verificare i procedimenti. Per cui, a quel punto io chiusi la mia indagine e di quello non ebbi più notizia. Feci una raccomandazione, che fa parte dei poteri-doveri del Garante, dove dissi a tutti gli organi della Regione competenti: attenzione, è necessario vigilare sul maltrattamento, mi raccomando, eccetera. Non ebbi risposta e nemmeno avevano il dovere di rispondere.

    Questo è il quadro. A questo punto, ho finito.

    Nelle note che ho distribuito ho concluso con due-tre righe su quello che, secondo me, potrebbe essere necessario non solo a livello regionale, ma anche nazionale. Rivedere le normative dei garanti regionali insieme al garante nazionale. Altrimenti, abbiamo tante normative diverse non collegabili bene con il Garante nazionale e il sistema acquista un altro ingranaggio che non funziona bene con l’altro.

    Vi ringrazio. Resto a vostra disposizione per le domande.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie a lei, dottor Fadiga.

    Cominciamo con i primi interventi. Il primo a essersi prenotato è il collega Bargi.

     

    Consigliere Stefano BARGI. Vi ringrazio per essere intervenuti oggi. Ci tenevamo particolarmente a sentirvi.

    Inizierei con una breve considerazione, prima di passare a un paio di domande per entrambi gli ospiti, così dopo mi taccio. La breve considerazione va in questo senso. Noi stiamo facendo una serie di audizioni. Vi ringrazio anche per la vostra relazione, che è andata a toccare il vostro ruolo, il ruolo ricoperto oggi dalla dottoressa Garavini e ricoperto dal dottor Fadiga fino al 2016.

    Per andare un po’ nel dettaglio del ruolo sui generis, stiamo facendo tante sedute nel corso delle quali abbiamo affrontato i massimi sistemi. Abbiamo parlato con psicologi e con assistenti sociali, però sembra che a volte sorvoliamo sul tema che ci ha portato oggi qui. Su quel tema credo che la Commissione debba fare un focus un pochino più sostanzioso. Quando facciamo le richieste di audizione, le persone che chiamiamo in questo contesto le accompagniamo con i temi e le domande per avere delucidazioni. Non so se siano state fornite. Credo che il dottor Fadiga abbia centrato, nel suo ultimo passaggio, la domanda che volevamo porgli, ovvero quella relativa alle segnalazioni che lui aveva già fatto sui casi della Val d’Enza nel 2015. Lei, giustamente, dice che aveva il compito di segnalare, ma che lì si limitava il suo ruolo perché non c’è l’obbligo di segnalare agli organi competenti e anche agli organi politici. Nella sua relazione specifica più nel dettaglio la sua segnalazione agli organi e il fatto che non sia arrivata una risposta, salvo poi, chiaramente, ribadire la responsabilità politica di chi ha ricevuto tali segnalazioni. Se può andare un po’ più nel dettaglio ‒ le chiedevo questo ‒ di questa situazione avvenuta nel 2015 che l’ha portata a fare questa segnalazione. Le chiedevo, magari, di tornarci sopra e di darci un dettaglio maggiore, anche riguardo ‒ se non ricordo male ‒ la collocazione dei centri, come il caso de “La Cura” e del fatto che ci fosse comunque una presenza di soggetti esterni a gestire questo particolare servizio.

    Per quanto riguarda la dottoressa Garavini, che ricopre l’incarico di garante per l’infanzia dal 2016, qualche tempo fa aveva espresso ‒ ne abbiamo anche su Cronaca Bianca ‒ alcuni apprezzamenti per il centro “La Cura”, centro del quale, mi vien da dire, c’era una certa conoscenza. Vedo che si è prenotato il collega Tagliaferri. Non vorrei rubare la domanda. È stato chiesto più volte nelle sedute precedenti, tra l’altro, se non ricordo male, senza mai ottenere una risposta specifica su cosa consistesse la sperimentazione di questo centro sperimentale “La Cura”. Vedendo che è stato espresso un certo apprezzamento, le chiedo se si tratta di un apprezzamento dovuto a eventuali controlli, quindi se c’era una certa interfaccia con questo centro, se c’era modo di capire la situazione.

    Le chiedo anche, vista la segnalazione, l’attenzione portata dal suo predecessore, come mai si è verificata quella che mi verrebbe da definire una sorta di “cambio di rotta”. Se da parte del predecessore arriva una segnalazione su una criticità presente in quella realtà e dopo, invece, arriva un apprezzamento, vorrei capire da cosa è derivato l’apprezzamento. L’altra domanda riguarda gli strumenti. Lei ci ha già spiegato tutta la rete (tutori e quant’altro) con cui lavora il nostro territorio, i nostri servizi e il suo ruolo. Le chiedo, a livello di controlli, per tutelare i minori, come funziona più nello specifico, se ha strumenti eventualmente per fare i controlli e quali erano i rapporti con il centro “La Cura”.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Prima di rispondere, raccogliamo un’altra domanda del collega Delmonte. Ho prenotati anche i colleghi Tagliaferri e Sensoli. Ci sono già parecchie domande prenotate.

    Collega Delmonte, prego.

     

    Consigliere Gabriele DELMONTE. Grazie, presidente.

    Concentro la domanda sul dottor Fadiga, che ringrazio, ovviamente insieme alla dottoressa Garavini, di essere presente oggi. Sul caso del 2015 ‒ lei forse lo ricorderà ‒ avevamo fatto anche un incontro personale proprio su questo primo caso di prostituzione minorile, che è arrivato, praticamente, poco dopo il nostro insediamento qui. Avevamo fatto un incontro per cercare di capire cosa potesse fare il Garante ‒ all’epoca non ne ero a conoscenza ‒ e per cercare di capire come potersi muovere.

    La ringrazio per la relazione che ci ha mandato ieri l’altro. Effettivamente, è molto chiarificatrice di un meccanismo, che poi è avvenuto, di cui parlava anche il collega Bargi.

    Di fatto, nella sua relazione dice che le è pervenuto questo caso, ha cercato di capire cosa ci fosse all’interno di altre eventuali problematiche sul territorio e le è pervenuta il 21 gennaio 2015 una relazione che riferiva di altre nove situazioni di minori vittime di sospetti abusi sessuali portate a conoscenza dei servizi ‒ parliamo dei servizi della Val d’Enza ‒ e da questi allontanati dal nuovo articolo 403 del Codice civile. Lei dice nella relazione che informava che in alcuni casi era stata chiesta la supervisione di un centro specialistico del Piemonte denominato “Hansel e Gretel”. Lei dice che in alcuni di questi nove casi era stato specificato questo. Intanto le chiedo se sa quanti sono. Questa è la prima domanda.

    Dopo lei, giustamente, ha fatto quello che era un suo dovere: ha chiesto notizie al procuratore di Bologna, a tutti i procuratori, ai questori, ai comandi dell’Arma. Alla fine, tra tutte le notizie che ha ricevuto, ha fatto una raccomandazione, ha scritto una lettera il 6 maggio 2015 raccomandando, in particolare alla Regione Emilia-Romagna, di monitorare l’applicazione delle linee di indirizzo per l’accoglienza e la cura di bambini e adolescenti vittime di maltrattamento e abuso.

    Specifica, poi, in neretto: “Non ho mai ricevuto riscontri o notizie sull’attuazione della mia raccomandazione da parte delle Autorità a cui l’avevo indirizzata, tra cui il vicepresidente e assessore regionale alle politiche del welfare, assessore regionale alle politiche della salute, Commissione consiliare per la parità e assessore alle politiche sociali della Val d’Enza”. Queste quattro persone, quindi, non le hanno mai dato nessun riscontro o nessuna notizia. Questi quattro enti non hanno mai dato né riscontri né notizie. Lei, giustamente, dice: “Non avrei mai potuto pretenderle, proprio per le motivazioni che ho espresso nel punto 5 di questa relazione”, che secondo me è il nodo di tutto questo tema. Dice: “Il Garante ha solo il potere di emanare segnalazioni, richiami, raccomandazioni rivolte alle Autorità competenti e non può in alcun modo sanzionare coloro che non rispondono ai suoi appelli”. E poi dice la frase chiave: “A costoro rimane la responsabilità amministrativa e politica delle scelte”.

    È chiaro, secondo me, anche dalla sua relazione, mi permetto di interpretarla, ma in realtà c’è poco da interpretare, mi sembra abbastanza chiara, ciò che lei dice: “Io ho chiesto delle informazioni e le ho ricevute. Su questa base ho fatto delle raccomandazioni ad alcuni enti. Non mi hanno mai risposto”. Lei è rimasto in carica, da quel 6 maggio, un altro anno e mezzo, di fatto, perché se non sbaglio ha interrotto la sua funzione a ottobre 2016, quindi da maggio 2015 fino a ottobre 2016. Per un anno e mezzo lei non ha ricevuto né risposte né ‒ voglio citare la frase perfetta ‒ “né riscontri né notizie” dai tre assessori, due regionali e uno dell’Unione, né tantomeno dalla Commissione parità. Lei dice: “Loro si assumeranno le responsabilità amministrative e politiche delle loro scelte”. Questo, secondo me, è il nodo.

    La mia domanda è la seguente: era consuetudine non ricevere risposte di questo tipo? Ci sono state altre segnalazioni, altre raccomandazioni e non ha mai ricevuto risposta oppure questo era un caso unico a cui non ha ricevuto risposta, ma in altri casi invece c’era stata una prontezza di intervento? Questa, insieme alla domanda di capire su quanti casi era coinvolto, se ne ha contezza, Hansel e Gretel, sono le mie due domande.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Procediamo con le risposte a queste prime domande, sennò ne accumuliamo troppe. Non so se vuole cominciare il dottor Fadiga o la dottoressa Garavini, come preferite.

    Parte la dottoressa Garavini. Naturalmente con la massima precisione, ma anche sintesi perché abbiamo tanti iscritti. Prego.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Il mio - lei lo ha definito così e lo accetto – apprezzamento è collocato temporalmente…

    Dicevo, la comunicazione mia, perché è stato un comunicato, è del giugno 2017. A giugno 2017 mi era stato richiesto un incontro per la presentazione del Centro e per discutere la sua collocazione in rapporto ai servizi territoriali: questo Centro rispetto agli altri servizi, servizi territoriali. Si è anche discusso di portare l’esperienza a livello provinciale.

    I riferimenti, quindi, di questa discussione erano da un lato l’applicazione della legge n. 14 e dell’articolo 18 della legge n. 14, dall’altro erano l’applicazione delle linee di indirizzo regionale. Avete già discusso abbondantemente sulla legge n. 14, sull’articolo 18, che parla di costituzione di équipe di secondo livello, di équipe specialistiche composte da più figure professionali (sociali, sanitari) con compiti, lo sottolineo, non solo di consulenza ai servizi sociali e sanitari di base, ma di presa in carico complessiva della situazione con integrazione degli interventi svolti nei servizi territoriali.

    Sottolineo “non solo di consulenza” perché la filosofia della legge n. 14 è diversa, è innovativa. Nei servizi si parla spesso, si discute spesso di fare consulenza uno dell’altro. Non è consulenza, si deve parlare di presa in carico di responsabilità condivisa. Questo è un tema nodale quando parliamo dei servizi. Spesso i sanitari dicono “Io faccio consulenza ai servizi sociali”. No, non è consulenza, deve essere una presa in carico totale con una responsabilità e con una partecipazione. Chiudo la parentesi.

    L’altro punto di riferimento di quella discussione era l’applicazione di queste linee di indirizzo regionale che anche loro, come sapete bene, sottolineano l’importanza del confronto multidisciplinare; confronto multidisciplinare che è essenziale nel trattare il tema della tutela e nel trattare in particolare il tema di bambini esposti a maltrattamento.

    Di fronte, quindi, alle diffuse e prolungate carenze e inadempienze rispetto ai punti ora indicati, cioè rispetto alla legge n. 14 e all’applicazione delle linee di indirizzo, ho sottolineato che veniva fatto un passo in avanti nella direzione dell’attuazione della legge n. 14 e di quanto indicato nelle linee di indirizzo. È stata anche ribadita in quell’occasione la necessità di un aggiornamento costante, oltre che di formazione specifica nel trattare i temi e i problemi relativi alla crescita dei bambini e degli adolescenti, soprattutto di quelli che presentano delle difficoltà evolutive. Questo vi dirò che è un mio richiamo ricorrente, che dico sempre in tutte le occasioni. Le situazioni complesse di bambini e di adolescenti, in specifico di quelle connotate da relazioni disfunzionali sia all’interno della famiglia che all’esterno, non possono essere seguite esclusivamente dal servizio sociale, ma occorre l’attivazione di più professionisti con competenze, e sottolineo competenze, sia nella fase della conoscenza e valutazione, sia nella fase della presa in carico e tanto più in specifico quando si fa del trattamento, professionisti ugualmente responsabili.

    Questo è stato il tema che ho affrontato nel 2017 con il centro La Cura e sembrava che ci muovessimo in quella direzione.

    Ricordo a proposito un altro punto importante, che era ben presente. Una ricerca che è stata fatta dal tribunale per i minorenni nostro negli anni 2013-2014, una ricerca che è stata fatta analizzando tutti i fascicoli aperti sul tema della violenza intrafamiliare, ha messo in luce che le risposte fornite dai servizi ai bambini e agli adolescenti vittime di violenza intrafamiliare erano bassissime. Queste risposte bassissime riguardavano soprattutto la valutazione e ancora minore era la presa in carico.

    Noi ci muoviamo di fronte ad una realtà di questo genere. La presentazione che allora mi veniva fatta di un’équipe che si muoveva ad analizzare tutte queste cose e andava nella direzione di aiuto alle famiglie e ai bambini, di fronte alle inadempienze complessive che si vedevano in giro dopo dieci anni di emanazione della legge, perché eravamo nel 2017 e la legge è del 2008, dov’è? Dove sono le équipe sovradistrettuali. Dov’è la multidisciplinarietà? Noi lavoriamo su questo.

    In quel momento, quando mi veniva comunicato che finalmente ci si muoveva nella direzione di costituire delle équipe sovradistrettuali e ci si muoveva nell’équipe di formare delle persone, ben venga. È stato questo il senso.

    Per quanto poi riguarda l’attuazione della legge n. 14, non solo del secondo livello, ma di tutti gli interventi a sostegno della crescita dei più piccoli, la stessa legge n. 14 dice chi è che deve sostenere il sistema, dice chi è che deve monitorare il sistema, e non è certo il Garante per l’infanzia che non monitora e segue queste cose.

    Lì sono indicate delle funzioni molto precise.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Dottor Fadiga, prego.

     

    Dott. FADIGA. Mi preme ricordare che l’obbligo di segnalazione da parte dei servizi al Garante non c’è, come ho detto. Potrebbe esserci a livello locale? Sì, se la legge regionale prevedesse questo tipo di obbligo. Resta il fatto che i poteri del Garante sono quelli che sono e non potrebbero essere allargati con una sola legge regionale.

    Responsabilità morale e politica. Questo è ovvio, capita anche al Garante nazionale. Il Garante nazionale ha fatto delle raccomandazioni. La responsabilità morale e politica di metterle in atto dipende dai vari Governi. Non dubiti, ce n’è per tutti. Sono almeno quarant’anni che ci dicono certe cose, che i Governi non fanno niente: perché non c’è tempo, perché ci sono urgenze maggiori, perché non serve, perché i bambini non protestano.

    Nella mia esperienza di presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, quindi di una grossa sede, io ho avuto modo di vedere molti bambini morti per tardiva attivazione dei servizi. A Bologna è morto un bambino davanti alla farmacia comunale: nessuno se ne ricorda più. Poteva e doveva essere allontanato, sarebbe ancora vivo, oggi avrebbe, credo, 7-8-10 anni.

    Dunque, perché il Garante, perché io sono intervenuto quella volta? Perché veniva riferito dalla stampa un fenomeno sociale ampio. Volevo dire ai servizi: voi non avete l’obbligo di segnalare, però se succede per esempio che nella vostra zona c’è un abbandono scolastico enorme, parliamone insieme, vediamo cosa si può fare. Il rimedio? Il rimedio non è che risolva la situazione dall’oggi al domani. L’abbandono scolastico ha tante motivazioni, così il maltrattamento ha tante motivazioni.

    Altra cosa. Volevo ricordare che il Garante non ha funzioni di Telefono Azzurro, non interviene sull’emergenza-urgenza, né il Garante nazionale – ci mancherebbe altro –, né il Garante regionale. La legge non lo prevede. La struttura del garante è di un garante e due aiutanti: non ve lo lascio nemmeno immaginare.

    Ripeto: se ci vuole un intervento più incisivo con il garante regionale, si può mettere mano alla legge regionale e vedere, magari insieme all’Autorità garante nazionale, all’ANCI e agli altri organismi rappresentativi, come creare, dopo ormai sette o otto anni di esperienze locali, alcune anche risalenti, che cosa fare e come riconfigurare un sistema nel quale io credo.

    Direi che non ho messo risposte, a meno che…

     

    Presidente BOSCHINI. Le chiedevano anche di specificare meglio alcuni casi della Val d’Enza e quanti sono stati seguiti eventualmente, se ne è a conoscenza, dal Centro Hansel e Gretel: mi sembra che fosse stato chiesto anche questo.

    Le è stato chiesto anche se c’è qualche dettaglio in più sui casi che le erano stati segnalati dalla Val d’Enza. In particolare, la domanda era quanti casi, se ne è a conoscenza, sono stati seguiti da Hansel e Gretel.

     

    Dott. FADIGA. Ho un problema di audio. Assolutamente non li conoscevo. Avevo sentito parlare più volte di quel centro in senso positivo. Non mi meravigliai della cosa perché anche in altri casi, anche per la sanità, anche per i bambini con disturbi psichiatrici si verificava che dall’Emilia-Romagna i bambini venissero mandati in altre Regioni. Era un numero talmente esiguo, quando io chiesi notizie all’assessorato alla sanità. Dissi: perché li mandate fuori regione? Dice: sono tre o quattro ogni due anni, tre o quattro all’anno, non abbiamo possibilità di farlo per loro. Poi, se è vero o no, non lo so, non ho potuto verificare. Però non era l’unica situazione.

    D’altra parte, ho sentito anche affermare che era necessario seguire i princìpi della Carta di Noto. Non è vero. La Cassazione non dà assolutamente questo valore alla Carta di Noto. È costantissima nel dire che la Carta di Noto contiene delle indicazioni che il giudice è libero di seguire. Ci sono decine e decine di sentenze del genere. Su questo va fatta chiarezza.

     

    Presidente BOSCHINI. Bene, grazie. Consigliere Tagliaferri.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Qual era il tema della domanda?

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Mi sembra che in qualche modo sia già stato risposto, comunque le chiedevano se era consuetudine non ricevere risposta alle sue segnalazioni, dottor Fadiga, da parte di vari soggetti.

     

    Dott. FADIGA. Non era consuetudine, era una conseguenza giuridica ovvia. Certo, si può cambiare la legge regionale e dire: quando un organo regionale riceve una raccomandazione del Garante è tenuto a rispondere entro 30 giorni o entro sei mesi. Nella legge regionale non c’è scritto. Io non vedrei affatto male questa modifica, ma non potevo certo farla io, come non può farla il Garante nazionale.

     

    Presidente BOSCHINI. Benissimo, grazie. Infatti, mi sembrava che questo aspetto fosse già stato toccato.

    Collega Tagliaferri, prego.

     

    Consigliere Giancarlo TAGLIAFERRI. Grazie, presidente. Buon giorno anche da parte mia.

    Innanzitutto, permettetemi, voglio esprimere pubblicamente la mia soddisfazione per il fatto che la bambina strappata ai genitori da assistenti sociali che si spacciavano per personale EMPA ieri finalmente è tornata a casa.

    Ritengo che ciò lo si debba al coraggio dei genitori ed a quanti, anche attraverso le tanto vituperate fiaccolate, vituperate per alcuni dei presenti, hanno saputo tener viva l’attenzione sul caso. Non dobbiamo scordarlo: qui non si parla solo di Bibbiano e della Val d’Enza, ma di qualcosa che più si va avanti, più mi pare affondi le proprie radici ideologiche in un terreno fertile, tipico di un certo tipo di cultura che di sicuro non mi appartiene.

    Il Garante per l’infanzia ha ospitato più volte il sistema Bibbiano in Regione – ricordo ben quattro su quattro degli indagati, a quanto si evince dai comunicati stampa – ed ha organizzato seminari in Val d’Enza. Quindi, a parte il giudizio che di ciò si può dare, significa che dovete ovviamente essere al corrente di quelli che erano i metodi applicati in Val d’Enza, almeno dal punto di vista concettuale.

    Sorgono spontanee alcune domande. La prima: perché la scelta di quella realtà per realizzare iniziative? Parzialmente avete già risposto, ma faccio comunque delle domande alle quali parzialmente è stata data risposta, perché vorrei sentire anche nuovamente il parere.

    A vostro autorevole giudizio, in ordine alle linee regionali ed alla loro traduzione territoriale, in particolare: in ordine al prelievo e alla cosiddetta messa in sicurezza dei minori, trovate che le linee applicate in Val d’Enza – e qui voglio precisare che intendo quelle scritte nero su bianco, non ciò che è emerso dall’inchiesta – fossero rispondenti a quelle date dalla Regione, o in cosa differissero?

    Io ho ascoltato con attenzione i video di quei convegni, e l’impressione che mi sono fatto, ovviamente da profano della materia, è che vi fosse un’esaltazione del ricorso alla messa in sicurezza preventiva del minore, fin dal riconoscimento di un primo presunto segnale. Innanzitutto vi chiedo, lo ripeto da profano, quindi perdonatemi eventuali imprecisioni, perché potrei aver frainteso, se proprio questa fosse una delle originalità del metodo proposto da Claudio Foti se la rapida estrazione e la messa in stato di protezione del minore per consentire di far emergere eventuali o supposti atti d’abuso costituisse l’elemento originale del metodo seguito in Val d’Enza; poi, se non ritenete che tale metodo, come poi è emerso a seguito delle indagini e dei numerosi casi di insussistenza evidenziati in sede giudiziaria, dai quali è scaturita l’attuale inchiesta, dicevo, se tale metodo non sia foriero di generare un alto numero di falsi positivi? Questo soprattutto alla luce di quanto asserito dal dottor Fadiga della sua relazione, ovvero, e cito, dottor Fadiga: “Secondo la prassi seguita da alcuni tribunali minorili, tra cui quello di Bologna, sulla richiesta del procuratore minorile, il tribunale emetteva un generico decreto provvisorio e urgente di affidamento al servizio sociale, con disposizione di prendere in carico il caso e provvedere alla temporanea collocazione del minore fuori famiglia, in attesa di più approfonditi accertamenti”. Vi era, quindi, una specie di delega in bianco.

    In secondo luogo, vorrei finalmente ricevere ‒ questo è un tormentone che spero non continueremo a portare avanti fino alla fine delle audizioni ‒ una risposta in merito alla presunta o meno sperimentalità di quanto fatto in Val d’Enza. Mi spiego meglio. In una risposta ad una mia interrogazione, l’assessore Gualmini definiva “sperimentale” quel centro. Altrettanto risulta dalle locandine dei convegni realizzati in collaborazione con il Garante. I massimi dirigenti degli assessorati regionali competenti, per sanità ed assistenza sociale, hanno asserito qui di non essere al corrente di nessun tipo di sperimentazione. Ci può spiegare, quindi, in cosa consistesse questa da voi asserita “sperimentazione”?

    Una piccola chiosa. Dottoressa Garavini, a proposito del comunicato stampa citato nella richiesta precedente, dove era citato anche il discorso della sperimentalità, volevo sapere ‒ a proposito di quel comunicato stampa ‒ da chi le era stato richiesto, se fosse possibile saperlo. Quanto, poi, al discorso legato alla legge regionale, mi trova perfettamente d’accordo sul fatto che il ruolo del Garante vada riconfigurato. Credo che questo spunto possa essere accolto sia dalla maggioranza che dalla minoranza presente in questa sessione di Commissione.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Ascoltiamo anche le domande del collega Callori. Poi cerchiamo di rispondere puntualmente. Semmai, vi aiuto io a ripercorrere le domande, nel caso.

    Prego, collega Callori.

     

    Consigliere Fabio CALLORI. Grazie, presidente. Ringrazio anche il dottore e la dottoressa auditi.

    La prima cosa che mi viene da dire è se sia giusto il nome “Garante per l’infanzia”, dopo quello che ho sentito, o se sia giusto modificare la terminologia del vostro ruolo. La dottoressa mi parla di rappresentanza, tutela, promozione, sollecitazioni, richiami e segnalazioni. Mi parla di reti. Mi parla di organizzare tavoli e partecipare a tavoli, favorire la conoscenza tra i soggetti e di diffusione della cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. A chi date la garanzia per i minori? Secondo me, c’è già qui qualcosa che non funziona. Un Garante o ha pieni poteri per fare il garante o non lo fa. Sennò è una figura istituzionale lì solo di rappresentanza e non serve allo scopo che le è stato dato.

    Leggendo la relazione del dottor Fadiga, in alcuni passaggi è abbastanza chiaro. Mi riferisco a dove si dice che i vari ingranaggi (statali, regionali e locali) non sono collegati tra loro, manca l’integrazione, che più volte abbiamo sottolineato. Non ci sono persone che hanno una specificità esclusiva, specializzata sui problemi dell’infanzia. Si dice che nei territori è vero che c’è le équipe di secondo livello, le famose UVM di cui abbiamo parlato, di cui parlava anche la dottoressa prima, però non sono operative ovunque e c’è l’anomalia che gli assistenti sociali devono tra loro valutarsi. Capite che tra colleghi difficilmente ci si rema contro. Anche quello è un tema che va valutato.

    Parla anche della frammentazione dei servizi. I servizi sociosanitari per i minorenni fanno capo a oltre 77 enti gestori. Dopo diminuiscono a 58, ma capite che 58 enti gestori sono 58 soggetti che fanno 58 cose diverse in 58 modi diversi. Questo è un altro problema che va sicuramente risolto.

    L’altro punto che voglio sottolineare è quando si parla dell’inadempienza delle norme regionali, quando si mandano in affido nelle comunità anziché nelle famiglie. È chiaro che si trasgredisce una normativa, un’indicazione. Anche qui c’è un riscontro di anomalie nel sistema in essere.

    Al punto 8, quando parla di allontanamento, dice che il giudice può ordinare l’allontanamento “nei seguenti casi”, ed elenca una serie di casi di allontanamento. Poi dice che è il giudice che decide se allontanare o meno il minore, però il giudice fa fede a una relazione che viene fatta da un assistente sociale o dai servizi sociali. Nel paragrafo dopo si dice che questi assistenti hanno troppa discrezionalità. L’ho già chiesto in un’altra audizione. Lo chiedo anche a lei. Queste relazioni fatte dall’assistente sociale vengono sempre prese in toto e viene dato seguito anche dal giudice o ci sono casi in cui il giudice ha deciso di non tenerle in considerazione perché non erano convincenti? Vorremmo capire se in qualche caso non sono state seguite le indicazioni degli assistenti sociali.

    Non faccio domande su Hansel e Gretel, perché le ha già fatte chi mi ha preceduto. Passo alla questione delle anomalie. Anche oggi abbiamo appurato che ci sono diversi buchi, ma buchi importanti, che creano problemi a minori e a famiglie. Bisogna, purtroppo, metterci mano velocemente. Queste cose lei le ha riscontrate dal 2011 al 2016. Siamo nel 2019. Sono trascorsi otto anni, con segnalazioni fatte, senza aver avuto risposta. Ribadisco che un’anomalia nel sistema c’era e c’è, soprattutto dai dati che ci arrivano oggi, che dicono che gli affidi sono diminuiti tantissimo. Perché da due-tre mesi a questa parte sono cambiate le cose? Sicuramente non perché ci sono meno maltrattamenti o altro, perché le cose sono rimaste come prima. Si è verificata, però, un’inversione di tendenza. Rispetto a questa anomalia che da tempo almeno il dottor Fadiga ha segnalato, perché non c’è mai stata la volontà, secondo voi, di ascoltare e di mettere in pratica le vostre segnalazioni?

     

    Presidente BOSCHINI. Partirei dal dottor Fadiga, se vuole rispondere alle domande ultime del collega Callori. Mi sembra che le precedenti domande siano più rivolte alla dottoressa Garavini.

    Partirà il dottor Fadiga su questi temi. Perché non si è modificata la normativa in base alle segnalazioni? In parte ne abbiamo già parlato, ma viene ribadita la domanda. Eccessiva discrezionalità dell’assistente sociale? Ci sono casi in cui il giudice si discosta dalla relazione dei servizi sociali? Queste sono, più o meno, le domande.

     

    Dott. FADIGA. Proverò a rispondere sinteticamente, ma completamente.

    Intanto debbo dire che io ho cominciato a fare il lavoro di giudice minorile, che era la mia professione, molti anni fa e che in questi decenni ho visto almeno cinque tentativi di riformare il sistema della giustizia minorile. Ho fatto parte di molte Commissioni che avevano questo scopo e non si è mai arrivati in fondo. Ho parlato del meccanismo complesso prima. Indico solamente le date delle leggi che regolano coloro che agiscono dentro questo meccanismo: 1934 (più vecchia di me), 1955, 1983 e, infine, 2001, che ha modificato la legge del 1983. È lì il problema, è lì grosso problema. L’affidamento familiare è un’ottima cosa, ma non è una cosa da fare così, improvvisata.

    È un intervento tecnico, non dico raffinato, ma complesso e richiede strutture, operatori specializzati, possibilità di continuare nel tempo, ma nessuno lo fa per guadagnarci sopra l’affidamento familiare, almeno per la mia esperienza. Nessuno voleva un bambino difficile in affidamento familiare, un bambino abusato in affidamento familiare, ma gli istituti ne hanno molti dentro di questi casi. Uno può dire “meglio l’istituto”. Direi che sono decenni che la scienza ha detto che l’istituto provoca certi fenomeni e poi durante, per esempio, il mio quinquennio da Garante io mi sono imbattuto in almeno due casi di violenze sessuali commesse all’interno degli istituti. Insomma, siamo realistici. In questo sistema è evidente che è difficile.

    Affidamento al servizio sociale, la delega in bianco. Devo dire due cose. Quando presiedevo il Tribunale per i minorenni di Roma noi non facevamo affidamenti al servizio sociale, perché è una misura costruita nella prassi e solo in certi tribunali viene utilizzata. C’è dissenso su questo. Certo, è comodo dire che arriva la segnalazione, decreto provvisorio urgente, affida il minore al servizio sociale perché faccia ogni opportuno intervento di tutela, compreso il suo collocamento eterofamiliare. Basta uno stampato, si fa così. E poi? Chi segue il caso? Lo seguirà il giudice, il giudice delegato. Sono applicate le linee di indirizzo della Regione? Non sono vincolanti per il tribunale, però sono una cosa importante. Il tribunale le ha viste, le ha verificate, ha monitorato? Non lo so. Io so che il Garante si deve fermare alla soglia della procura del tribunale, perché se va avanti viene giustamente bloccato e gli viene detto “tu occupati nel tuo mestiere”.

    Mi pare che non ci siano molte altre cose da dire.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Darei la parola alla dottoressa…

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Mi pare che un po’ sia già stato risposto. Comunque, la domanda è se qualche giudice si discosta dal contenuto della relazione dei servizi sociali e, per esempio, agisce in maniera diversa dal senso che avrebbe questa relazione.

    Le chiedevano questo, dottor Fadiga. Se c’è spesso il caso, a sua conoscenza, di un giudice che si discosta dall’indicazione dei servizi sociali.

     

    Dott. FADIGA. Anche lì siamo sulla valutazione del singolo. La stessa cosa succede con un rapporto dei Carabinieri. Arriva sul tavolo del pubblico ministero un rapporto dei Carabinieri. Che cosa fa il pubblico ministero? Lo legge con attenzione oppure in quel momento ha un cumulo di fascicoli così, ha il morto da andare a vedere che è in mezzo alla strada e dice “Va bene, fate voi”?

    Può succedere una cosa e l’altra. Cosa poi succeda nei singoli casi? C’è un organismo, c’è una struttura, c’è chi deve controllare all’interno della struttura, tutte queste cose, evidentemente. La valutazione può essere diversa. Dire a priori che il giudice è succube della relazione questo non è possibile. Non è un “a priori”. Che possa succedere una superficialità di valutazione questo è vero. Può anche succedere una omogeneità di valutazione, non c’è dubbio. Lì allora bisognerebbe stare insieme, discutere insieme che cos’è per te il maltrattamento. Per me è questo, per me quell’altro. Troviamo una valutazione comune, un metro comune per cui dobbiamo interagire, sennò non si riesce.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Dottoressa Garavini, non so se ha bisogno che la aiuti a ripercorrere le domande. Prego.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Perché sono andata lì? Sono andata a quel convegno come vado a tutti i convegni quando sono invitata, soprattutto se sono invitata da Comune, azienda USL, università, scuole, istituzioni pubbliche. In genere vado e vado così come vado anche all’Ordine dei Medici, dagli avvocati, dagli psicologi per rispondere alle loro richieste e per dare un contributo per quanto sta in me.

    In quel convegno io ho parlato della difficoltà di applicazione dei diritti, quali sono le criticità per l’applicazione dei diritti, quali sono i punti di forza. Ho fatto una raccomandazione molto forte sul rigore metodologico per affrontare i temi della tutela. Ho iniziato proprio parlando di rigore metodologico e ho terminato sottolineando sempre questo rigore metodologico e la ricerca delle competenze e della qualità.

    Ho richiamato anche il tema delle procedure nelle occasioni in cui ho incontrato la Val d’Enza, dando indicazioni anche agli assessorati di verificare le procedure, ma mi risulta che gli assessorati ve l’hanno già detto nell’occasione di questi incontri che hanno verificato le procedure.

    Il tema della sperimentalità. Tocca ad altri definire sperimentale o non sperimentale una cosa e in che cosa consiste la sperimentazione. Non possiamo rispondere noi sul tema della sperimentalità. Ci saranno delle definizioni immagino, dei criteri di riferimento per definire sperimentale e non sperimentale una cosa. Immagino che si siano attenuti a questi elementi nella definizione.

    Funzioni del Garante. È stato già detto tutto abbondantemente dal dottor Fadiga, in maniera molto precisa. Le funzioni del Garante sono quelle indicate dalla legge e quelle sulla applicazione della Convenzione ONU, sulla cultura relativa all’infanzia e l’adolescenza. Voi avete un potere in mano, quello di modificare una legge e di dare diverse altre indicazioni.

    Ho visto un po’ di confusione in una affermazione sull’UVM secondo livello. In alcuni territori l’UVM funziona anche da équipe di riferimento, in altre no. Ritorniamo al tema della sanità e servizi. Mi soffermerei molto a discutere con voi sul sociosanitario, sul tema del sociosanitario, perché credo che quello sia il nodo essenziale su cui bisogna riflettere su come si realizza il socio sanitario e come la sanità partecipa ai compiti del servizio sociale.

    È un tema grossissimo su cui sarebbe bene fare un confronto molto stringente.

    Il tema delle famiglie affidatarie. Avete citato le famiglie affidatarie. Voi sapete che di famiglie affidatarie i servizi ne hanno formato un numero ridotto, che non corrisponde ai bisogni dei bambini, tant’è vero che quando il tribunale chiede famiglie affidatarie spesso si trova in difficoltà ad avere disponibilità di risorse di famiglie affidatarie, per cui i bambini vengono collocati in struttura, perché manca la disponibilità di famiglie affidatarie. Questo è un grande tema su cui bisognerebbe soffermarsi, perché, come diceva il dottor Fadiga, le famiglie spesso si trovano in difficoltà ad accettare bambini con problemi. In genere, i bambini che vengono collocati nelle famiglie affidatarie o nelle strutture sono bambini che hanno delle difficoltà evolutive, quindi posso anche capire che una famiglia sia in difficoltà ad accettare di dare aiuto e di prendere nella propria casa un bambino o un adolescente, addirittura per gli adolescenti è ancora molto più problematico, all’interno del loro ambito di vita.

    Ho tralasciato qualcosa?

     

    Presidente BOSCHINI. Mi sembra le fosse stato richiesto da qualcuno anche del comunicato.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Io non ricordo da chi mi era stato richiesto, ma in genere, quando succedono delle cose si fanno dei comunicati. Non mi ricordo, chiedo aiuto al mio ufficio.

    Mi stanno aiutando in questo modo: non era stato richiesto, non mi risulta, perlomeno.

     

    Presidente BOSCHINI. Vediamo su quale domanda non è stato risposto. Faccio presente che io ho prenotati i consiglieri: Calvano, Taruffi, Facci, Piccinini, Tagliaferri.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Sto soltanto, credo, svolgendo il mio ruolo di presidente per rendervi edotti del fatto che sono già le ore 12, abbiamo già fuori la successiva audizione, quindi ho già cinque prenotati. Invito tutti a valutare. Non ho tolto la parola a nessuno. Sto solo invitando a valutare tutti i tempi. Tagliaferri, su quale domanda non ha ricevuto risposta?

     

    Consigliere TAGLIAFERRI. Presidente, non è certo volontà ostruzionistica, la mia, ma nel momento in cui… Al limite, audiamo meno persone, se non vogliamo stare qui. Però, se le risposte alle domande che noi facciamo non vengono date, o addirittura si dice “ho visto confusione”, io posso anche dire “ho visto anche, se non reticenza, la volontà di non rispondere per l’ennesima volta alla domanda sulla sperimentazione”. Io leggo, sul comunicato che le hanno fatto i suoi uffici quando lei era in carica: “La Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza ha incontrato a Bologna il responsabile del centro La Cura di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, struttura sperimentale di sostegno ai minori vittima di violenza, maltrattamento e abuso sessuale”. Qualcuno mi saprà mai dare una risposta, o una sua, attenzione, una risposta che può essere non oggettiva, ma ovviamente soggettiva, su cosa consisteva questa sperimentalità? Che non siamo noi a definire tale, ma siete stati voi, e l’assessore Gualmini: siete stati voi a definirla tale. Se ci date cortesemente contezza su che cosa consisteva la sperimentalità. Se no, per tutte le 80 audizioni, o quelle che sono, continuerò ogni volta a riproporre la stessa domanda. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Tagliaferri, a me sembra che la risposta fosse stata data, comunque se la dottoressa Garavini vuole aggiungere qualcosa su questa natura sperimentale, a ulteriore riconferma…

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Però, se questa è la risposta della dottoressa, che non è funzione del Garante definire la sperimentalità di un centro di servizi sociali, mi permetto, esco forse dal seminato della mia funzione, è una risposta pienamente comprensibile, corrispondente, mi sembra, alla natura normativa dell’istituzione del Garante. Se però c’è qualcosa che la dottoressa ritiene di aggiungere, volentieri.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Ritorna il discorso di prima rispetto alle funzioni del Garante e alle caratteristiche del garante.

    Voi avete uno strumento in mano per modificare la legge, su questo credo che abbiate un grande potere.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa GARAVINI. Sulla sperimentalità, ci sono degli elementi, almeno in campo sanitario, per definire sperimentale o non sperimentale questa cosa. Ci sono delle indicazioni, ci saranno delle procedure, ci saranno delle disposizioni, ed è quello che dovete andare a ricercare, non certo presso il Garante.

     

    Presidente BOSCHINI. In ogni caso, vado a memoria, ricordo distintamente, in occasione dell’audizione del dottor Passarini, quando fu posta la domanda, che…

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. L’essere soddisfatto o meno di una risposta è sua piena facoltà, ci mancherebbe altro. Però io ricordo, posso essere tradito dal ricordo, anche se ci sono comunque gli sbobinati, pronti a darci la risposta, che fu detto che la Regione non ha mai autorizzato quel centro come centro sperimentale.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Questa è la contraddizione che lei giustamente può mettere in atto. Però, che lei venga qui a dire che si è omissivi nelle risposte, da presidente faccio un po’ fatica ad accettarlo. Magari il contenuto della risposta non la soddisfa, lei ci può vedere una contraddizione con la realtà, ma non accetto che lei mi dica che io non faccio rispondere alle domande.

    Siccome sono il presidente, se lei pone una domanda è compito mio garantire che venga data una risposta. Lei ha detto che non è stato risposto mai. È stato risposto, magari in maniera che lei non ritiene congrua, soddisfacente, però alla domanda è stato risposto.

    Collega Calvano, prego.

     

    Consigliere Paolo CALVANO. Grazie, presidente.

    Faccio questa riflessione. Alcune cose che l’ex Garante e l’attuale Garante ci hanno detto, ci mettono in evidenza due facce del problema relativo alla tutela dei minori. C’è il problema del minore che viene allontanato con eccessiva facilità, o in modo erroneo, in buona o cattiva fede, ed è un problema; ma poi c’è l’altro problema, quello del bambino che non viene allontanato per tempo da un ambiente familiare compromesso, e che subisce, a causa di questo, conseguenze gravi, gravissime, se non addirittura la morte, come purtroppo è successo in alcuni casi anche recenti.

    Devo dire la verità. Ho la sensazione che in questa Commissione noi siamo molto presi dai fatti di cronaca che hanno a che fare con la prima faccia, e siamo totalmente disconnessi rispetto ai fatti di cronaca che hanno a che fare con la seconda faccia del problema. Però questo è un problema della Commissione, non è un problema dei Garanti. Credo sia una riflessione che deve accompagnare i lavori di questa Commissione, perché essendo una Commissione sulla tutela dei minori, vanno tutelati i minori che vengono erroneamente portati fuori dalla famiglia, ma vanno tutelati minori che sono in un contesto familiare che può portare gravissime conseguenze nei confronti di quei minori.

    Concentrandomi sulla prima faccia, perché sulla seconda avremo modo di parlarne, ma farò anche qui una breve considerazione, vi chiedo un parere. Sui minori che vengono allontanati erroneamente dalla famiglia, prematuramente o con eccessiva facilità, vi chiedo un parere dettato da ciò che leggo da parte della Garante nazionale. Il quale, nell’indicare una serie di raccomandazioni, a fine luglio, dice: “è opportuno garantire il diritto alla difesa tecnica dei genitori da rendersi obbligatoria con la previsione della nomina di un difensore d’ufficio, qualora non sia nominato un difensore di fiducia, sin dal ricorso per l’instaurazione del procedimento e con la possibilità di accesso al patrocinio a spese dello Stato”.

    Ritenete anche voi che per i genitori ad oggi non ci sia un’adeguata tutela in fase di dibattimento, di confronto, nel momento in cui viene allontanato il minore? È necessario anche a vostro avviso, al pari di quello che dice il garante nazionale, intervenire legislativamente su questo aspetto? Perché credo che sia una di quelle cose sulle quali noi ci dobbiamo interrogare. Sulla seconda faccia del problema, cioè il bambino che purtroppo non viene seguito e rimane dentro una famiglia, in uno stato di forte compromissione, non sto a farvi domande, faccio solo una considerazione, su cui se volete potete dare un’opinione: credo che noi si debba capire come agire in prevenzione di queste situazioni, perché oggi c’è sicuramente una fase di emergenza, complessa, come descritta anche nella relazione del dottor Fadiga e come detto dalla dottoressa Garavini, ma credo che sul tema “prevenzione” si debba davvero fare un’azione importante, che deve coinvolgere tutti. Questa è una mia riflessione personale, sulla quale, se volete, potete fare o meno un commento. Sulla prima, invece, vi chiederei un parere per capire se ciò che ci dice la Garante nazionale è espressione anche di un vostro parere.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Calvano.

    Prego, collega Taruffi. A seguire, i colleghi Facci, Piccinini, Tagliaferri e Sensoli.

     

    Consigliere Igor TARUFFI. Grazie, presidente.

    Anch’io ringrazio la dottoressa Garavini e il dottor Fadiga, perché ci hanno aiutato ‒ credo non poco ‒ a capire e ad approfondire alcuni aspetti, in particolar modo le criticità, che credo siano gli aspetti sui quali più ci dobbiamo concentrare. Segnalo il rapporto servizi sociali-autorità giudiziaria come primo elemento di discussione su cui puntare l’attenzione e il rapporto tra i servizi sociali e i servizi sanitari nella complessità dell’articolazione della presa in carico del minore che viene allontanato, quindi anche la difficoltà dell’articolazione amministrativa, su cui, forse, una riflessione va fatta.

    I tanti soggetti che sono chiamati a intervenire forse non facilitano il lavoro complessivo. L’assenza di un quadro nazionale di riferimento ben definito è un tema che sta tornando ad ogni audizione che facciamo e sul quale credo sia giusto puntare l’attenzione, così come sul ruolo dell’assistente sociale che, in qualche modo, rischia doppiamente: rischia se di fronte a un caso non interviene e il caso, degenerando, produce un dramma, quindi rischia l’omissione del proprio intervento, l’omissione di atti d’ufficio; al tempo stesso, lasciando perdere le vicende giudiziarie, che sono compito della magistratura, rischia anche nel momento in cui segnala in maniera non corretta.

    Su questo aspetto mi vorrei concentrare un attimo. Nel corso di questa audizione abbiamo potuto ascoltare anche la presidente dell’Ordine degli assistenti sociali. Metto insieme due dati che, anche in questo caso, ricorrono sempre. I minori allontanati in Emilia-Romagna sono circa 3.000, sostanzialmente; gli assistenti sociali, complessivamente intesi, sia dipendenti delle Unioni che dei Comuni, sono 2.520. Le pongo una domanda secca e anche abbastanza semplice. Le considerazioni politiche le svolgeremo dopo. Segnalo che oggi abbiamo messo nero su bianco, una volta per tutte, che la Carta di Noto non è né la Bibbia né il Vangelo, ma sono raccomandazioni che l’Autorità segnala non essere...

     

    (interruzione)

     

    Consigliere TARUFFI. Siccome è stato detto che il non prendere atto e il non integrare nelle linee di indirizzo regionali la Carta di Noto rendeva le linee d’indirizzo generali contrarie alla comunità scientifica, correggiamo. Questa discussione, però, la facciamo dopo.

    La domanda secca è se voi ritenete o meno che il numero complessivo di assistenti sociali, il rapporto tra numero di assistenti sociali e il numero di minori che devono essere seguiti sia soddisfacente oppure se il numero di assistenti sociali dipendenti delle Unioni e dei Comuni sia un numero inferiore alle necessità.

     

    Presidente BOSCHINI. Rispondiamo alle due domande.

    Chi vuole rispondere? Prego, dottor Fadiga.

     

    Dott. FADIGA. Il sistema della difesa nei procedimenti civili minorili è gravemente carente. Solo nel procedimento di adottabilità, che è più giovane come procedura, è previsto con una certa chiarezza.

    I difensori dovrebbero essere dei genitori e del bambino. È chiaro che, se si parla di maltrattamento, un solo difensore non va bene. È stato molto difficile, durante il mio quinquennio, riuscire a ricevere dall’Ordine degli avvocati un referente preciso con il quale iniziare a lavorare su questo tema. C’era e c’è ‒ penso ‒ ancora un frazionamento di iniziative, molte delle quali lodevoli, però a livello di gruppi di avvocatura, non solo non collegati tra loro, ma talvolta in conflitto, anche forte, tra loro per visioni diverse del fenomeno. Così come tra Carta di Noto e CISMAI, anche tra gli avvocati ci sono queste differenze. Qualcosa è stato fatto, però sono stati fatti anche dei passi indietro a livello nazionale. Nella prima modifica della n. 149/2001, all’articolo 330 sulla responsabilità territoriale, era previsto qualcosa di più. Poi si fece un passo indietro. Comunque, è vero: la difesa, sia dei genitori che del minore, nei procedimenti civili di protezione è carente.

    Il numero degli assistenti sociali. L’Emilia-Romagna è all’avanguardia. Io ho lavorato anche a livello nazionale. Mi viene facile il paragone. Il sistema dell’Emilia-Romagna mostra segni di logoramento, di stanchezza e li mostra proprio nel fatto che gli assistenti sociali che si devono occupare specificamente dei minori sono molto pochi, perché molto spesso sono, invece, generalisti. Ci sono urgenze anche di altro tipo. C’è l’anziano, c’è l’handicappato. Di tutto questo si deve occupare l’assistenza sociale di base. Quindi, manca il servizio specifico. Se dovessero occuparsi non dico esclusivamente, ma almeno prevalentemente ‒ come dice la legge n. 14 ‒ il loro numero forse sarebbe non dico adeguato, ma buono.

    È necessaria, poi, un’opera di formazione e informazione continua, e anche di supervisione. Non possono essere lasciati soli sul territorio. Credo che qui sia successo qualcosa del genere: tre o quattro operatori lasciati soli sul territorio. Questo succede, dovendosi occupare anche di altre cose.

    Mi pare di aver risposto alle due domande.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottor Fadiga. Direi che le risposte sono puntuali, quindi non aggiungerei...

     

    Dott. FADIGA. Occorre prevenire l’allontanamento con dei sostegni alle famiglie, sostegni che richiedono operatori e risorse. Occorrono scelte di fondo, in sostanza. La raccomandazione del Garante non può dare risultati a sei mesi e neanche a un anno. Sono procedimenti e processi che richiedono un po’ di tempo, ma è necessario farli.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Aggiungo qualcosa?

     

    Presidente BOSCHINI. Se ritiene.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Rapidamente.

     

    Presidente BOSCHINI. Mi sembrava che la risposta fosse esaustiva. Siamo un po’ lunghi con i tempi, dottoressa.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Il commissario ha aperto il tema della prevenzione.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Il tema della prevenzione è importantissimo. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la Conferenza delle Regioni e il Gruppo Scientifico dell’Università di Padova hanno prodotto linee di indirizzo per l’intervento per bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità. Queste linee di indirizzo sono complementari alle linee sull’affidamento familiare e sono complementari alle altre linee sull’accoglienza residenziale. Se noi prendiamo tutte queste linee, abbiamo un unicum in cui è ben rappresentato il continuum degli interventi, che vanno dalla prevenzione alla presa in carico, all’aiuto specifico. Queste le dobbiamo tenere ben presenti, perché a livello metodologico indicano cose nuovissime, a mio parere. Intanto, quello che vi dicevo prima, la corresponsabilità degli operatori. Non c’è nessuno che fa da consulente all’altro, ma tutti sono ugualmente corresponsabili.

    Un altro dato che, a mio parere, è proprio da sottolineare è la partecipazione del bambino e della famiglia assieme agli operatori che costituiscono un’équipe unica. Quindi, il bambino e la famiglia vengono inseriti direttamente nell’équipe degli operatori e questo per me stravolge il modo di lavorare, perché non è che la famiglia sia oggetto o riceve l’aiuto. La famiglia è ugualmente responsabile con gli operatori. Questa, a mio parere, è una virata della metodologia che bisognerebbe tenere presente e che bisognerebbe applicare.

    Vi dirò di più, è iniziata l’applicazione con il famoso progetto P.I.P.P.I (Programma di Intervento Per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione), ma questa sperimentazione ha coinvolto solo un numero limitato di famiglie. Questa impostazione deve diventare sistema, deve diventare applicazione diffusa. Credo che sia questo l’elemento che può contribuire a cambiare la modalità di intervento con le famiglie e con i bambini. Famiglie e bambini diventano loro stessi protagonisti assieme agli operatori.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Vi chiedo davvero la massima collaborazione.

    Collega Facci, prego.

     

    Consigliere Michele FACCI. Anch’io ringrazio il dottor Fadiga e la dottoressa Garavini e faccio alcune domande rispetto alle considerazioni fatte nel corso di questa mattinata.

    Lei, dottor Fadiga, ha appena detto, fra le tante cose, che l’obiettivo dovrebbe essere quello di aiutare i minori presso la famiglia e quindi, sostanzialmente, di ricorrere, in maniera molto residuale, allo strumento dell’allontanamento poi eventualmente affido, case, eccetera. Concordo perfettamente, è inutile dirlo, ma credo che concordiamo tutti. Non credo che ci sia distinzione. La domanda che le faccio è questa, perché voi avete avuto un osservatorio. Lo dico per dare anche un senso alla vostra istituzione, a cosa fa il Garante. Credo che voi abbiate un osservatorio per certi aspetti privilegiato. Poi prendo il suggerimento suo di dire che non c’è l’obbligo di comunicare i dati e questo perché la legge non lo prevede, vi suggerisco… È un suggerimento molto garbato e sicuramente lo prenderemo in considerazione, però la mia domanda è: per quale motivo, per esempio, non vi è stata fondamentalmente un’attività d’ufficio, usiamo questo termine, di ricerca di questi dati? Lei stesso, nella sua relazione che c’è stata consegnata, le note per questa Commissione, ha fatto una sintesi certamente, però ha evidenziato anche molte criticità di cui voi avete avuto contezza, anche paragonando le prassi o le modalità delle varie regioni. Parto dal dato di Bibbiano. A Bibbiano emerge l’aspetto che fa scattare la Procura perché – leggo ovviamente gli atti giudiziari – c’è stato un aumento anomalo di segnalazione di casi di abuso seguiti da provvedimenti ex articolo 403.

    È chiaro che se vi fosse stata un’attività di indagine anche solo statistica da parte del vostro ufficio forse questo tipo di informazione l’avrebbe potuta anche apprendere, forse anche prima, una istituzione di garanzia quale deve essere la vostra.

    Dal mio punto di vista la mia domanda è perché voi non fate preventivamente queste verifiche. Perché, per esempio, non verificate che magari vi sono strutture private che entrano in campo anziché le strutture pubbliche, come è successo a Bibbiano?

    Domanda ulteriore. Non ritenete, avendo indicato che vi è una sorta di maglia larga o addirittura vuoto normativo in tutta la filiera di tutela del minore, non ritenete che in questa fase, quantomeno nella fase iniziale, vi sia un eccessivo potere/discrezionalità lasciata ai servizi sociali?

    Noi abbiamo audito diverse realtà con diverse posizioni. Non faccio qui le mie considerazioni e né tanto meno oggi faccio i peli sul fatto che avete partecipato a convegni con il CISMAI. Non è questa la sede. Avete un ruolo istituzionale e questo sicuramente può giustificare molte colleganze, però, voi comunque una valutazione la fate sulle modalità di approccio al minore nella fase iniziale prima che intervenga la magistratura, nel senso proprio del termine, quindi le famose garanzie difensive, gli incidenti probatori con i diritti garantiti, in questa fase iniziale, questa fase precedente, se non ritenete che vi sia un eccessivo potere dei servizi sociali o discrezionalità; se voi ritenete che le modalità di approccio non siano univoche. Sappiamo che vi è, per esempio, personale che si è formato con il metodo Foti o Hansel e Gretel, personale che si è formato molto più semplicemente ai corsi del CISMAI e personale che non si è formato nemmeno ai corsi del CISMAI e che magari ha un approccio più garantista. Chiedo, quindi, se anche voi avete accertato nella vostra esperienza metodiche differenti nella fase iniziale, antecedente all’intervento della magistratura.

    Ultima domanda. Lei prima ha parlato della Carta di Noto, richiamando la Corte di Cassazione, che non è universalmente riconosciuta, le chiedo se, secondo lei, visto che le nostre linee regionali di indirizzo richiamano la Carta di Noto e richiamano la dichiarazione di consenso del CISMAI, se secondo voi la dichiarazione di consenso del CISMAI ha una valenza superiore a quella della Carta di Noto o alle linee guida del SINPIA.

    Quale valore date alla dichiarazione del consenso del CISMAI? Sappiamo tutti che contiene la questione degli indicatori di abuso.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Se il dottor Fadiga o la dottoressa vogliono rispondere direttamente, essendo state poste almeno quattro domande. Poi cerchiamo di velocizzare.

    Dottor Fadiga, prego.

     

    Dott. FADIGA. Non so se mi sono spiegato bene prima. Il servizio sociale è un servizio di aiuto, non di controllo. La legge regionale che riguarda l’accesso ai servizi…

     

    (interruzione)

     

    Dott. FADIGA. Grazie. La legge regionale che riguarda l’accesso ai servizi è una legge che richiede che chi ha bisogno di aiuto si rivolga ai servizi; se non lo fa, il servizio non interviene. Anzi, a questo proposito, io ho dovuto rilevare che questo modo di approccio va bene per una persona che è adulta, o comunque che è in grado di fare qualcosa. Va bene per un sedicenne, ma non va bene per un bambino di due anni. Siccome il maltrattamento non comincia a 15 anni ma comincia prima, rimane il problema, e ce l’avete sul tavolo, di come intervenire se il maltrattamento c’è quando il bambino ha due anni. Che risposta dà la legge italiana? La risposta è quella che ho descritto prima.

    C’è un articolo, il 403 che dice che in caso d’urgenza si fa così. È un articolo brutto, fatto male, vecchio, va rifatto, ma è l’unica cosa che c’è. Sarebbe un’ottima cosa che anche dalle Regioni si levasse una forte pressione su Governo, Parlamento, Ministero della giustizia, perché finalmente il 403 fosse cambiato e adeguato ai tempi, comprese le garanzie di difesa.

    Io ricordo solo che dal primo gennaio di quest’anno a oggi sono stati dieci i bambini morti a causa di maltrattamenti, e di questo non avete parlato. Ma perché? Io ricordo anche che l’ultima normativa, il cosiddetto “Codice rosso”, molto importante contro i maltrattamenti e lo stalking, prevede che il pubblico ministero ordinario, quando riceva una denuncia di questi fatti, debba subito occuparsene, debba cioè fare un triage. Nessun triage è richiesto per i maltrattamenti all’infanzia; anzi, il pubblico ministero ordinario, che non è preparato in questa materia, quando riceve una denuncia di maltrattamenti a un minorenne, la legge ha un’ottica puramente penalistica: c’è la prova, non c’è la prova? È giusto, per carità, per mandare in galera qualcuno occorre la prova. Ma non tutti i maltrattamenti rilevano dal punto di vista penale. Ci può essere un’assoluzione penale, e può continuare il maltrattamento. Pensiamo a una soluzione, per motivi processuali, pensiamo a tante altre possibilità per uscire dal processo penale e continuare il maltrattamento. Pensiamoci insieme, per favore – in questo momento mi risento la toga addosso e mi sento magistrato minorile –: pensiamoci insieme, tutti, facciamo delle proposte. Non si può continuare in questo modo, che è un modo molto molto inferiore allo standard comune europeo, che non risponde ai princìpi dei diritti del fanciullo previsti da una convenzione che per noi è vincolante.

    Il professor Masi, ho sentito il suo intervento, è stato molto chiaro su queste cose, sulle linee di indirizzo della Regione. Ci sono già: vengano monitorate dalla Regione. Sono quelle le linee di indirizzo. Mi pare di non avere altro da dire.

     

    Presidente BOSCHINI. Cosa pensa il Garante della dichiarazione di consenso del CISMAI, che valenza attribuisce alla dichiarazione di consenso del CISMAI. Se vuole rispondere qualcuno, può rispondere anche lei, dottoressa Garavini.

     

    Dott. FADIGA. Chi sia meglio tra Noto e CISMAI io non sono in grado di dirlo. Io vi posso parlare degli aspetti giuridici del problema e vi posso dire che se fossi in Cassazione e mi dicessero: il processo è nullo perché non avete seguito la Carta di Noto, oppure, il processo è nullo perché non avete seguito il CISMAI, in entrambi i casi io direi che è un’eccezione assolutamente irrilevante.

    Giuridicamente parlando metto sullo stesso piano le linee di indirizzo; da un punto di vista psicologico, non lo so, non è il mio mestiere.

     

    Presidente BOSCHINI. Chiarissimo.

    Collega Piccinini, prego.

     

    Consigliera Silvia PICCININI. Grazie, presidente.

    Io ho letto la relazione del dottor Fadiga, e mi sono concentrata su tre passaggi su cui chiedevo dei chiarimenti. Il primo riguarda alcune considerazioni sul fatto che a livello territoriale i servizi specifici per la protezione dell’infanzia siano limitati e carenti. Penso anche al discorso che si faceva prima dell’équipe multidisciplinare, però sempre nell’ottica di capire cosa è successo in Val d’Enza ed evitare che quello che è capitato si ripeta altrove. Mi chiedo se léquipe multidisciplinare sia in qualche modo una soluzione. Mi risulta, però chiedo conferma anche a voi, che lì ci fosse un’équipe multidisciplinare, che però non ha evitato poi quello che abbiamo letto dall’indagine, dai giornali. Quindi mi chiedo se implementare l’équipe multidisciplinare in altri territori ci cauteli in qualche modo da quello che è successo in Val d’Enza, o se riduca il rischio che questo possa ricapitare.

    Il secondo passaggio riguarda le misure sulla protezione dei minori. A un certo punto si dice che a livello nazionale la priorità è quella dell’affido familiare, mentre la Regione Emilia-Romagna ha fatto una scelta totalmente opposta, ovvero, quella di prediligere e dare pari dignità all’inserimento, invece, in comunità. Chiedevo a voi che spiegazione vi siete dati, forse in parte è stato detto prima, per la poca disponibilità delle famiglie a farsi carico di minori problematici, però volevo capire qual è il vostro parere su questo e se in qualche modo bisogna tornare verso la norma nazionale. È una curiosità mia.

    L’ultimo punto credo sia molto importante: anche qui, vorrei alcune informazioni in più, riguarda la ricerca di soluzioni. A un certo punto, provo a citare il passaggio, si evidenzia il problema della comunicazione, dell’interazione, della frammentazione fra i vari soggetti coinvolti; c’è anche un tentativo di far sedere intorno al tavolo, nel 2015, si dice, nel tentativo di trovare delle linee condivise fra questi vari soggetti. Nell’ottobre 2015 si parla di una riunione allargata al tavolo di lavoro con tribunali civili della Regione e rappresentanti dell’Avvocatura. Questo tentativo, però, dottor Fadiga, lei ci dice che è stato un tentativo fallimentare perché sono state proposte delle soluzioni ma non fu possibile convergere su scelte unitarie. Volevo allora avere contezza delle varie posizioni e delle varie proposte che furono fatte in quel tavolo e capire anche perché c’è una difficoltà nel convergere, nell’arrivare, rispetto a tutti i soggetti coinvolti, a delle linee-guida condivise che forse aiuterebbero nella gestione della tutela dei minori e di queste problematiche. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Consigliera Sensoli, prego, aggiungiamo un’altra domanda. Poi rispondiamo.

     

    Consigliera Raffaella SENSOLI. Grazie, presidente.

    Io ho un paio di domande. Innanzitutto, a luglio emerse sulla stampa che alcuni genitori avevano contattato l’allora Garante – io sono sincera, non so se fosse ancora in carica lei, dottor Fadiga, o se ci fosse già la dottoressa Garavini –, chiedendo aiuto e che il Garante chiese una relazione ai servizi sociali della Val d’Enza. Chiedo, a questo punto, se chi era in carica in quel momento ha ricevuto questa relazione e, eventualmente, quali azioni sono state successivamente portate avanti per confrontare quello che vi è arrivato dai servizi con la richiesta di aiuto dei genitori a cui erano stati tolti dei bambini.

    L’altra domanda riguarda il sistema Emilia-Romagna. Più di una volta, anche in una certa narrazione, soprattutto quando si vuole elogiare il sistema dei servizi sociali e della tutela dei minori in generale dell’Emilia-Romagna, emerge la parola “sistema”. Lei, però, dottor Fadiga, ha parlato di una frammentazione presente sui territori. A questo punto, la domanda che mi viene da porre è la seguente: questo sistema esiste, non esiste, esiste sulla carta, ma in realtà sui territori la situazione è un’altra? Un altro dubbio può emergere, unito anche alla legittima “non risposta” che lei non ha ricevuto alle sue segnalazioni, ma che potrebbe far mettere da qualcuno in dubbio il fatto che siano state prese in considerazione le sue segnalazioni. Personalmente mi viene da chiedere: la situazione della Val d’Enza, di Bibbiano poteva essere fermata prima o addirittura prevenuta in qualche maniera?

    Non so se mi sono spiegata sufficientemente. Sono queste le mie domande. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottor Fadiga.

     

    Dott. FADIGA. Per quanto riguarda la frammentazione, mi riporto al rapporto dell’Azienda sanitaria Emilia-Romagna nel 2013, che è molto chiaro in materia, addirittura severo, direi, e alle due leggi che sono state emanate sulla base di quel rapporto. Devo dire che non ho più seguito la cosa. Credo che siano diminuite, adesso, le modalità di approccio rispetto al numero che c’era allora. Però, ripeto, i miei dati, le mie conoscenze, i miei ricordi si fermano al 2015, primi mesi del 2016.

    Potrebbe ricordarmi l’altra questione? Mi scusi.

     

    (interruzione)

     

    Dott. FADIGA. I casi che mi furono segnalati, oltre a quello che la stampa riferiva sulla ragazzina fatta prostituire dalla madre, erano tutti già in mano all’Autorità giudiziaria ordinaria e/o minorile. Di conseguenza, il mio ulteriore interessamento su quei casi non era possibile, non era consentito, se non allertando ‒ cosa che feci ‒ il presidente del tribunale per i minorenni, dicendo “il fenomeno è preoccupante, fate qualcosa in fretta” e chiedendo a tutte le forze dell’ordine della Regione, sia Polizia di stato che Carabinieri, se risultavano anche altrove situazioni del genere. Altrove non risultavano. Non sono affatto tranquillo per questa situazione, perché ‒ come ho detto prima ‒ se non risultano casi di maltrattamento è possibile che non ci siano, ma è anche possibile che ci siano e che non emergano. Devo dire che propendo per questa seconda ipotesi, sulla base della mia esperienza di magistrato minorile ultraquarantennale.

    Non so se ho risposto a entrambe le domande.

     

    Presidente BOSCHINI. C’era anche la domanda della collega Piccinini, se l’équipe multidisciplinare è la soluzione e se la Regione mette su uno stesso livello comunità e famiglia per l’affido.

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa GARAVINI. Non ho sentito.

     

    Consigliera PICCININI. L’ultima domanda riguardava un tavolo del dottor Fadiga con vari soggetti. A un certo punto, nella relazione si dice che fu un tentativo che fallì perché non si riuscì a convergere su una soluzione comune. Volevo capire al tavolo quali posizioni erano state portate e quali furono i motivi di difficoltà nel convergere su linee di indirizzo comuni. Mi riferisco al passaggio in cui si parla di cercare delle soluzioni.

     

    Dott. FADIGA. L’ultima riunione allargata del tavolo della magistratura è quella. Era una riunione molto importante, perché parteciparono sia i vertici della magistratura, nella persona addirittura della consigliera De Meo, della Corte d’appello, sia i vertici regionali. Tutti dissero che le cose non andavano e che occorreva fare linee guida precise. Il fatto è che ognuno aveva idee un po’ diverse. Per cui, alla fine, non fu possibile in quella sede fare linee guida condivise. Siccome le linee guida, o linee di indirizzo, non possono essere imposte, lo abbiamo visto anche per altre linee di indirizzo, la cosa è rimasta lì.

    Certo, occorre continuare. Qualcosa si è raggiunto. Gli avvocati si sono più sensibilizzati in questa materia. Sono stati fatti passi avanti. Il conflitto tra avvocatura e servizi sociali, che era fortissimo una volta, si è stemperato. Molti avvocati capiscono i servizi e molti servizi capiscono gli avvocati, ma tenete presente che la formazione delle due professioni è del tutto indipendente e contrapposta. Nella facoltà di Giurisprudenza, anche qui a Bologna, anzi meno che mai a Bologna, che è molto tradizionalista, non sentirete mai parlare di sociologia o di psicologia, se non come esami eventuali. Nelle scuole di formazione del servizio sociale c’è uno spaziettino dedicato al diritto, ma prevalentemente agli aspetti penali, non a quelli di protezione. Quindi, sulla formazione occorre fare un lavoro enorme. Facemmo una ricerca, noi, su tutte le Università della Regione. Si parlava di diritti del minore, di Convenzione delle Nazioni Unite. Nessuna Università aveva un corso specifico su questa materia. Un momento. Ce l’aveva, mi pare, Parma. Parma ce l’aveva. Era l’unica, per una tradizione antica e radicata di quella Università di attenzione a questi problemi. Le altre, però, nulla. Assolutamente.

    Sono stati fatti grossi lavori anche per quanto riguarda la formazione dell’esperto giuridico. L’esperto giuridico è una figura importante nei servizi. Proprio per il fatto che i servizi non sono abituati a interagire con avvocatura e magistratura o, comunque, non sempre sono abituati, l’esperto giuridico nei servizi è molto importante. Abbiamo fatto corsi di formazione per gli esperti giuridici. Non so se sono ancora in atto, perché costavano. Non so se sono stati ripresi. Certamente è importante anche quella figura. È un fenomeno molto complesso. Non si può parlare senza avere una visione completa, anche perché alcune volte i demoni sono in casa, non fuori.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottore. È stato chiarissimo.

    Non so se voleva aggiungere qualcosa la dottoressa sulle altre due domande della collega Piccinini. Rapidamente, davvero. Su équipe e comunità.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Parlare di équipe multidisciplinare vuol dire avere persone competenti che lavorano insieme e che sono abituate anche all’interprofessionalità. Non so se in Val d’Enza c’era un’équipe multidisciplinare, così come vogliono i sacri manuali, o se invece veniva chiamato lo psicologo o il medico legale al bisogno. Bisognerebbe verificare effettivamente l’operatività di questa équipe multidisciplinare.

    Secondo tema: affidi e comunità. La Convenzione ONU dice che devono essere privilegiati i rapporti familiari, che il bambino deve vivere nella sua famiglia e deve vivere all’interno di rapporti che hanno la caratteristica della familiarità. Da qui discende che, ovviamente, si deve privilegiare il tema dell’affido familiare rispetto a un collocamento in comunità. Qui ci vengono in aiuto tutte le ricerche psicologiche, che ne abbiamo in abbondanza.

    Vengo al tema delle segnalazioni. Noi abbiamo un metodo rispetto alle segnalazioni. In genere c’è un flusso documentale. Certo, chiediamo i documenti, ma incontriamo anche i diretti interessati, coinvolgiamo anche i vari protagonisti, le varie persone che partecipano alla formulazione del progetto e sono attive.

    Per rispondere alla dottoressa Sensoli, c’è un metodo che non prevede solo la raccolta delle relazioni del servizio sociale. Il tema della frammentazione, ultimissimo, è grossissimo. L’Italia è stata richiamata dal Comitato dei diritti del fanciullo dell’ONU per la frammentazione dei poteri e delle azioni, che ci ha sollecitato ad intervenire su questo tema.

    Questo per dirvi quanto è evidente la frammentazione. Il tema della frammentazione è anche ricordato nel IV Piano nazionale per la tutela dei diritti del fanciullo, che è stato adottato con decreto dal presidente della Repubblica nel 2016 e anche lì si parla di frammentazione del sistema, si parla di assenza di standard uniformi, si parla di risposte spesso inappropriate. Noi lavoriamo in questo modo. La frammentazione, la frammentarietà deve essere affrontata. Il tema del sociosanitario va affrontato e definito in maniera molto chiara.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Do la parola ai colleghi Delmonte e Mori, poi chiudiamo con il collega Bertani.

    Collega Delmonte, prego.

     

    Consigliere DELMONTE. La mia domanda è molto semplice e diretta. Io ho letto, ce l’ho qui sottomano, un’ANSA del 24 luglio 2019 e credo che sia giusto farle questa domanda. Dall’ANSA emerge come la dirigente dei servizi sociali della Val d’Enza si rivolse al Garante regionale per l’infanzia per bloccare l’inchiesta dicendo che l’attività dei militari stava intralciando il procedimento sui minori. Il fatto che questa persona si rivolse al Garante emerge da intercettazioni ed emerge anche che alcuni genitori fecero delle chiamate dirette. Volevo sapere se è vero che avete ricevuto questa telefonata – credo che la domanda sia più rivolta alla dottoressa Garavini – e in quel caso che cosa è stato fatto in conseguenza a questa richiesta.

     

    Presidente BOSCHINI. Risponda pure direttamente.

     

    Dott.ssa GARAVINI. Non ho ricevuto nessuna telefonata.

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Mori, prego.

     

    Consigliera Roberta MORI. Grazie, presidente.

    Ringrazio i Garanti per la loro disponibilità e la loro collaborazione, in particolare il dottor Fadiga con cui c’è stato un lungo periodo di collaborazione. L’audizione che noi facemmo insieme era la prima occasione di avere come riferimento la Commissione Parità. Per cui, sia allora che oggi ci ha dato informazioni, anche da giudice minorile, molto importanti che confido possano davvero costruire un pensiero profondo rispetto a questa materia così importante e complessa.

    Vi chiedevo questo. Nell’audizione del 2015 – mi piacerebbe anche inquadrare il ruolo della nostra Regione all’interno del panorama nazionale, perché altrimenti si rischia un’autoanalisi che perde di vista anche il contesto in cui siamo – lei ci disse che erano stati attivati soltanto quindici Garanti regionali. Vi chiedevo se abbiamo contezza di un allargamento dei Garanti regionali, anche come rafforzamento della rete di persone che possano riferirsi alla tutela e alla protezione dei minori e nel quadro nazionale al tema delle linee di indirizzo, quindi anche di cercare di avvicinare il quadro di protezione normativo e di dare un po’ di ordine e di organicità anche in un sistema nazionale molto frammentato. Come siamo messi? A livello nazionale potete darci questo elemento? È un elemento che, come dicevano prima i colleghi, come comparazione tra Regioni, ci può dare anche il senso di uno sforzo, che è uno sforzo sicuramente recente, di organicità del sistema, ma è uno sforzo in continua evoluzione, in fieri e quindi in rafforzamento. Questo come primo elemento.

    Come secondo elemento, visto che in particolare il dottor Fadiga aveva fatto uno sforzo notevole, e lo ha detto nella sua relazione, ma anche nell’audizione del 2015, nella sua relazione in accompagnamento a questa seduta, rispetto all’avvicinamento della figura ai servizi, quindi gli incontri sui territori di cui poi diede anche riscontro, quali erano e cosa emergeva dai servizi come elementi prioritari di criticità. Lei ha dato una descrizione delle criticità che si sollevavano, ma chiedo se ci sono alcune in particolare, perché da ex sindaca, ad esempio, mi viene in mente il tema delle risorse economiche per i bilanci dei Comuni, per la gestione dei minori. È un elemento molto importante, quindi anche il rafforzamento dei servizi senza canali di finanziamento appropriati dal livello nazionale eccetera. Anche questo è un elemento molto impegnativo, che va a sommarsi, ovviamente, a tutto il resto. Chiedo una specifica, così come chiedo una specifica rispetto alle autorità giudiziarie minorili.

    Una cosa interessante, che mi ha sempre molto rassicurata rispetto non soltanto alla legittimità delle nostre linee di indirizzo regionali, ma anche sulla validità intrinseca delle nostre linee di indirizzo è stato il fatto che nell’audizione del 2013 congiunta tra la Commissione da me diretta, da me presieduta e la Commissione welfare della collega Donini emergeva il fatto che il processo di costruzione delle linee di indirizzo era stato fatto con il suo contributo, ma anche con il contributo delle autorità giudiziarie, delle forze dell’ordine, con un processo anche partecipato e qualificante delle linee di indirizzo.

    Tuttavia, sapendo come agiscono di solito avvocati e magistrati, per cui la legislazione regionale è una legislazione di secondo livello in termini di gerarchie e anche di applicazione, visto che lei ha detto che non si sa se poi questa viene presa in considerazione, le chiedo se può approfondire un attimo questo aspetto o eventualmente la dottoressa Garavini ovviamente se ne ha contezza rispetto ai procedimenti che voi avete incrociato.

    Lo chiedo perché, ripeto, anche nei corsi di formazione dell’Avvocatura spesso ci si forma su strumenti a carattere nazionale e codicistico. Per cui, tutta la normativa regionale, semmai per questioni molto specifiche viene richiesta, altrimenti non si approfondisce e non si cita neanche negli atti peculiari. Questo è un elemento.

    Gli ultimi elementi – e arrivo a conclusione, perdonatemi, ma è importante – sono due. In primo luogo, sto facendo fare una ricerca matta e disperatissima nel protocollo e nelle mail in ingresso della Commissione e anche mia personale, ma pure essendo arrivate e protocollate alla Giunta niente è arrivato alla Commissione Parità sulle raccomandazioni che lei ha mandato.

    Lo dico perché, essendovi peraltro un Ufficio di Presidenza, una Commissione e una Segreteria di Commissione abbastanza attenti alle questioni, che mi fosse sfuggito questo elemento mi sembra strano, anche perché l’audizione che abbiamo fatto in Commissione è stata richiesta via stampa dal collega Delmonte, per cui c’è una grande attenzione alle questioni che erano trattate in quel periodo. Quindi, il fatto che mi fossero arrivate delle raccomandazioni e io, come di solito faccio, non le avessi girate ai miei colleghi e, quindi, condivise con l’Ufficio di Presidenza mi sembrava veramente una mancanza molto grave, causata o da un inizio d’Alzheimer mio, che potrebbe anche essere, oppure… Uno deve mettere in conto tutto, anche i propri limiti.

     

    Presidente BOSCHINI. Collega, sintetizziamo.

     

    Consigliera MORI. Grazie, presidente. Mi scusi, ma, anche come presidente di Commissione, è chiaro che cerco di mettere in evidenza tutti gli elementi.

    Dicevo, non mi è arrivata. Adesso l’ho recuperata dal protocollo della Giunta, sto facendo fare un approfondimento molto impegnativo e importante, perché non vorrei mai che mi fosse sfuggito qualcosa, per rispondere al collega Delmonte.

     

    (interruzione)

     

    Consigliera MORI. Non ho mai ricevuto niente? Quindi, in questo senso non ho potuto condividere con i colleghi componenti della Commissione questo elemento, che non credo, ovviamente, fosse determinante per le sorti dell’umanità, però poteva essere un elemento di riflessione.

    Come ultimo ragionamento, non avendo ricevuto le raccomandazioni, anche se abbiamo l’audizione del 2015, che è un’audizione importante, è molto significativo il fatto che, come lei ripete nella sua relazione, c’era stata data rassicurazione, indipendentemente dalle raccomandazioni che lei successivamente ha dato, che i servizi avevano operato bene e in modo tempestivo, informando l’autorità giudiziaria, che per noi, come mandato di Commissione rispetto alle questioni di nostro ruolo anche specifico, era l’elemento che maggiormente ci interessava, insieme ovviamente al fatto che la questione potesse essere approfondita.

    Ho voluto precisare questi elementi, altrimenti sarebbe mancato un pezzo.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie a lei.

    Non so se ci sono elementi su cui dare risposte rispetto a questo intervento. Prego, dottor Fadiga.

     

    Dott. FADIGA. Io credo che sarebbe molto importante vedere anche, quando sarà il momento, i risultati ai quali giungerà la Commissione tecnica, perché questi problemi di collegamento e di interazione sono in parte problemi risolvibili con degli aggiustamenti limitati. Quindi, mi pare che sia un lavoro importante, che vedremo cosa ci porterà.

    Desidero, inoltre, aggiungere che il sistema, questo orologio, questo meccanismo, ha sofferto di una non sufficiente manutenzione, perché i sistemi complessi vanno manutenuti. Occorre oliare, correggere, sistemare continuamente. Non possono essere lasciati girare da soli, senza intervenire subito. Questa carenza di manutenzione ci sono molti motivi che possono anche in parte giustificarla, e pensiamo alla crisi economica, che ha avuto un duplice effetto negativo, perché ha gravato sulle famiglie e ha gravato sulle risorse per i servizi, con tutto quello che ne consegue, quindi famiglie più disagiate, più casi di difficoltà di assistenza, servizi meno presenti, talvolta in convenzione, talvolta non di ruolo, con operatori magari giovani e alle prime armi. Ecco, tutto questo ha pesato molto.

    Sembra che si stia lentamente risalendo la china sotto l’aspetto economico, quindi mi auguro che succeda anche qui. Certo, la revisione della legge regionale sui Garanti, secondo me, sarebbe estremamente utile. Non va fatta da soli. Certo, la si può fare anche da soli, però ci sono altre diciannove leggi regionali, ognuna delle quali va dalla parte sua, senza nessun particolare filo rosso conduttore. Poi c’è l’Autorità garante nazionale, che sta dando in questi tempi ottima prova di sé, con interventi calibrati, mirati e tempestivi, ma non può essere vicina al territorio. Quindi, sono necessarie tutte e due. Come è necessaria anche la Magistratura, la quale ha le sue colpe, per carità. Io non voglio prendere le difese in modo aprioristico, però ricordiamoci che il Tribunale per i minorenni di Bologna è sotto organico di magistrati, di cancellieri, di personale. È in una sede che non è degna della nostra città e dell’Emilia-Romagna. Quando mi capita, per ragioni di congressi o roba del genere, di vedere altri tribunali per i minorenni io rimango stupefatto e invidioso. Perché qui non siamo stati capaci? Mi domando questo. È una domanda grossa, attenzione. In Emilia-Romagna non siamo stati capaci – parlo come bolognese – di dare al giudice per i minorenni una degna sede, degna di lui e della nostra città. Non è successo. Andate a Torino, andate a Milano, andate a Venezia e rimarrete colpiti dalla differenza.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, professore.

    Credo che l’intervento del collega Bertani sia su una mozione d’ordine. Prego.

     

    Consigliere Andrea BERTANI. È semplicemente una richiesta. Siccome nelle note del dottor Fadiga si fa cenno a una relazione che ritiene importante portare a conoscenza della Commissione, che penso sia la relazione dei servizi sociali che lui aveva sollecitato, che parla delle raccomandazioni che aveva spedito, che poi evidentemente non sono state ricevute, come allegate a questa nota, ma noi non le abbiamo ricevute. Chiedo, dunque, se la Commissione si può fare parte per farcele ricevere.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Naturalmente verificheremo con la documentazione, che molto probabilmente ha le caratteristiche di alcuni elementi di problematicità (nominatività, eccetera) e rientra, credo, all’interno di alcune fattispecie che sono già state anche individuate in una risposta ad alcuni accessi agli atti. Quindi, facciamo su quello una verifica.

    Ad ogni modo, confrontandomi anche prima, mi sembra che il contenuto informativo fondamentale di quei documenti sia già nella nota del dottor Fadiga. Verificheremo se è possibile inoltrarla o se rientra nella fattispecie di alcuni problemi che alcuni dei vostri accessi agli atti mi hanno detto hanno generato rispetto alle comunicazioni richieste al Garante, perché parliamo di comunicazioni da e per il Garante.

     

    Consigliere BERTANI. Le raccomandazioni, però, penso che non ricadano in questa fattispecie.

     

    Presidente BOSCHINI. Facciamo le verifiche del caso.

    Ringrazio i due Garanti, quello attuale e quello precedente. Vi abbiamo tenuto qui tanto, quindi davvero grazie mille della vostra disponibilità.

     

    -     Audizione della dott. Carlo Lucarelli (Presidente Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati) e della dott.ssa Elena Buccoliero (Direttrice Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati)

     

    Presidente BOSCHINI. Proseguiamo direttamente, anche perché abbiamo, teoricamente, in coda un’altra Commissione, quindi credo che avremo grosse difficoltà di tempi. Facciamo accomodare il dottor Lucarelli e la dottoressa Buccoliero. Vi chiediamo davvero scusa dell’attesa che si è protratta ben al di là dei tempi che avevamo preventivato, quindi davvero ci scusiamo per avervi fatto attendere molto oltre il tempo che pensavamo.

    La nostra audizione di norma si svolge così: se ritenete di fare un breve intervento introduttivo, vi diamo la parola per un breve intervento introduttivo. Altrimenti, procediamo direttamente con le domande.

    Se volete fare un breve intervento introduttivo, vi ricordo i principali temi su cui i commissari avevano sollecitato la vostra presenza: per quanto riguarda il dottor Lucarelli, il tema era prevalentemente quello degli importi e del riparto dei finanziamenti elargiti dalla Fondazione verso la provincia di Reggio Emilia, e la richiesta, quindi, di informazioni e chiarimenti su tali importi e riparti in senso generale, quindi con una richiesta molto specifica sui finanziamenti erogati dalla Fondazione.

    Per quanto riguarda la dottoressa Buccoliero, il tema sollecitato era quello della richiesta di chiarimenti in merito alla propria posizione, con riferimento a fatti che starebbero emergendo dall’inchiesta giudiziaria in atto, riferiti ovviamente alla Val d’Enza.

    Noi semplicemente vi ricordiamo che non abbiamo naturalmente le prerogative della magistratura ai sensi dell’articolo 82, quindi naturalmente tutte le domande che facciamo sono riferite alla conoscenza e non all’accertamento di reati. Vi ricordiamo anche che siamo in streaming, quindi eventuali dati riguardanti i minori che ne permettano l’identificazione, ovviamente non sarebbero da usare, o comunque lo sono sotto la vostra responsabilità.

    Detto questo, non so se preferisce iniziare il dottor Lucarelli o la dottoressa Buccoliero, come preferite.

    Diamo la parola per una breve introduzione, per una decina di minuti e poi passeremo alle domande dei commissari. Grazie.

     

    Carlo LUCARELLI, Presidente Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati. Io farei una brevissima introduzione che mi sono addirittura scritto, così faccio prima a dirla, dura tre minuti di tempi teatrali, raccontando anche quello che sta alla base del lavoro della Fondazione, del modo con cui agisce, eccetera. Probabilmente ci sono indicazioni anche rispetto alle domande che voi vorrete fare, per cui vado velocissimo.

    Per partire spiegando lo spirito della Fondazione, parto da quando è nata. Nasce da un’idea avuta da Cosimo Braccesi, che è il nostro vicepresidente, che allora lavorava alla Regione ed allora presidente della Regione era Vasco Errani, che un giorno si ritrovano con un caso …Omissis… Il tabaccaio viene ucciso, dopodiché, i problemi, molto concreti – certo, c’è un’indagine, la scoperta del colpevole che viene arrestato qualche giorno dopo, ci sarà un processo, un risarcimento, eccetera –; ma i tempi specifici sono che la moglie del tabaccaio, detto in maniera un po’ narrativa, non dico dal giorno dopo ma quasi, deve mandare il figlio a scuola …Omissis…, deve lavare il sangue del marito per terra, riaprire la saracinesca e vendere le sigarette per pagare il mutuo. La domanda, allora, fu: come possiamo aiutarli come Regione? Non c’era un modo tempestivo e concreto per farlo, perché ovviamente ci sono dei tempi che sono sacrosanti. L’unico modo per farlo era con una fondazione, che si muovesse autonomamente in una maniera molto rapida. Così è nata la Fondazione.

    Per noi funziona così. Quando avviene un grave reato, in Emilia-Romagna, o a danno di emiliano-romagnoli, fuori Regione o anche all’estero, il Sindaco del luogo di competenza manda una richiesta di aiuto economico corredata da un’istruttoria da lui condotta e con l’indicazione generica dei bisogni a cui l’aiuto potrebbe andare incontro. Su questa base, anche con la richiesta da parte nostra, a volte, di ulteriori informazioni, qualora ce ne fosse bisogno, il Comitato dei garanti si riunisce e discute il caso, e se lo ritiene delibera l’aiuto economico che ritiene più opportuno, suggerendo a volte anche altri indirizzi di spesa rispetto a quelli indicati dai Sindaci. Per esempio, quando il Comune richiede un aiuto che già dovrebbe fornire lui, ovviamente noi non gli diamo i soldi per quello; oppure rigettando anche le richieste, il Comitato dei garanti, quando la richiesta non corrisponde ai requisiti richiesti: …Omissis… Oppure, anche casi grotteschi: c’è stata una famiglia piuttosto facoltosa, per esempio, che ci ha chiesto i soldi perché durante una rapina i ladri avevano rotto dei vasi cinesi di un certo valore e volevano ricomprarli. Ovviamente abbiamo detto… Un altro caso: un Comune ha chiesto di pagare la retta per un bambino che aveva dei problemi e per il centro ricreativo estivo, che tra l’altro era del Comune. Eccetto i casi riguardanti soggetti particolarmente fragili, o minori i cui genitori non siano in condizioni di occuparsene per cui i soldi vengono erogati ai Comuni, o eccetto i pochissimi casi in cui la Fondazione si è fatta direttamente carico di una spesa, perché il Comune non poteva metterlo a bilancio in tempi brevi – e sono cinque casi su 150 istanze che finora abbiamo accolto tra il 2014 e il 2018, li abbiamo documentati, poi se volete ve li ve li racconto, sono casi che avvengono a Piacenza e Romagna soprattutto –, gli aiuti vengono sempre erogati direttamente alle vittime, e vogliono rappresentare soprattutto tre cose: la soluzione di un problema concreto, la spinta a riprendere un progetto di vita e il segnale della presenza tangibile, vicina della comunità, anche a livello istituzionale. L’esempio è il caso di due signori, …Omissis…, che hanno avuto il figlio ucciso da uno stalker …Omissis…, e si trovavano in ristrettezze economiche. In quelle ristrettezze non riuscivano a trovare i soldi per tante cose, tra cui far tornare il figlio per poterlo seppellire in modo adeguato. Noi siamo intervenuti su quello, in una logica che rappresenta la filosofia della Fondazione, in maniera esemplare, perché si trattava proprio di un funerale. La filosofia nostra è un po’ questa: sarà capitato a tanta gente, come a me, di perdere una persona cara. Hai un sacco di problemi emotivi, naturalmente, e poi ci sono un sacco di problemi concreti, per esempio il funerale. Quando arriva un parente e dice: lascia perdere, a quella cosa ci penso io, ovviamente ti si apre il cuore. Non solo. Il padre del ragazzo, in un’intervista ha raccontato che si sentivano soli dal punto di vista istituzionale – era una sensazione che avevano – finché non siamo arrivati noi in rappresentanza proprio della comunità, perché siamo una istituzione. Un’altra cosa che è importante anche per la destinazione dei fondi: sembra stupido e fuori luogo, però non lo è. In un’altra intervista la madre del ragazzo ha detto che sentendosi così economicamente più sicura, e avendo fatto quello che doveva fare dopo il nostro aiuto, almeno idealmente, è andata dal parrucchiere per la prima volta dopo tanto tempo. In quelle parole così banali “sono andata dal parrucchiere” si sentiva la ripresa della vita per quella signora.

    Ora, ho finito, proprio perché ci occupiamo di vittime e non dei colpevoli, molto spesso visti i tempi della giustizia, gli aiuti nostri vengono erogati prima di una sentenza, o anche prima di un processo. Come ho detto prima, la moglie del tabaccaio ha bisogno subito, e non serve sapere chi le ha ammazzato il marito e perché.

    Quando invece i reati sono meno visibili, come nei casi di maltrattamento di minori che possono essere messi in discussione, per esempio, richiediamo comunque la presenza di atti concreti, che sono indagini, provvedimenti del tribunale per i minorenni, rinvii a giudizio, certificati medici di lesioni compatibili, un po’ di cose, che ci facciano comprendere chiaramente l’esistenza comunque di una situazione su cui intervenire. Proprio perché ci occupiamo delle vittime, il nostro aiuto va a 360 gradi, in una concezione degli effetti di un crimine a cerchi concentrici, che si allargano …Omissis…. È proprio lì, sull’ultimo cerchio, che non sarebbe materia di un libro giallo, e lo dico io, e neanche di un articolo sul giornale, che spesso noi concretamente interveniamo. Abbiamo visto che funziona.

    Questo è quello che volevo dirvi.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottor Lucarelli. Se vuole integrare, prego.

     

    LUCARELLI. Mi era stato chiesto prima di esprimerci soprattutto sui dati degli aiuti che abbiamo dato rispetto ai Comuni della Val d’Enza.

    Noi siamo intervenuti dal 2014 al 2018 su dieci istanze proposte dai Comuni della Val d’Enza, a favore di minori, perché poi siamo intervenuti su tante altre istanze. Come ho detto prima, noi ci occupiamo di tante cose, non soltanto di violenza sui minori, omicidi, rapine, tantissime cose.

    Siamo intervenuti su dieci istanze per i minorenni e le abbiamo documentate, ovviamente, per una spesa complessiva all’incirca di 70.000 euro.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Do la parola alla dottoressa Buccoliero per fare un intervento introduttivo. Prego.

     

    Elena BUCCOLIERO, Direttrice Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati. Buongiorno.

    Il mio intervento introduttivo, in realtà, è molto breve. È stata chiesta qual è la mia posizione all’interno dell’indagine. La posizione è facile da spiegare, credo. Io non faccio parte dell’elenco delle 27 persone indagate. Nel mio percorso formativo e professionale, che ha compreso molti tragitti in tanti centri, con tante persone, con tanti incontri, ho conosciuto persone che attualmente sono sotto indagine. Questa è la ragione per la quale la mia voce è dentro alle intercettazioni, intercettazioni che conosciamo tutti perché i giornali le hanno riprese ampiamente. Così ho scoperto che i giornalisti possono avere immediatamente in mano un’ordinanza di custodia cautelare e le persone che sono nominate dentro, invece, normalmente non lo sanno e non hanno la documentazione. Senonché telefona loro il giorno dopo un giornalista e chiede di dichiarare qualcosa. Questa è la mia posizione rispetto all’indagine.

    Altre cose sono state dette rispetto a un supposto conflitto di interessi per il fatto di essere in Fondazione. La Fondazione ha già risposto con un comunicato. Credo che anche il presidente Lucarelli abbia risposto con la sua illustrazione iniziale. Non sono io a portare le istanze, ma i sindaci. Non sono io a decidere gli importi, ma il Comitato dei garanti. Non è mai la fondazione a decidere da quale psicologo bisogna andare a curarsi, perché è la persona oppure, negli altri casi, il comune a decidere qual è il centro nel quale eseguire la psicoterapia. È normale, certo, che interveniamo prima della sentenza, non perché porto io le istanze prima della sentenza, ma perché la Fondazione funziona così, funziona nell’immediatezza dei fatti. Anche quei quattro punti che erano stati sollevati su un mio supposto conflitto d’interesse, in realtà, sono tutti negati dallo Statuto stesso della Fondazione, che chiunque di voi può conoscere.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottoressa.

    Apriamo una fase di domande. Ne raccogliamo un paio e poi passiamo alle risposte, in base anche alla loro complessità.

    Si è prenotato il collega Bargi. Prego.

     

    Consigliere BARGI. Grazie, presidente.

    Sempre per stare sul tema che ha portato la costituzione di questa Commissione, come dicevamo con i due auditi precedenti, però, giustamente, nel cambio ripetiamo il concetto, noi abbiamo posto alcuni quesiti per la vostra convocazione, come figure a nostro avviso interessanti da sentire, ai quali avete dato parziale risposta adesso.

    Mi rivolgo al presidente Lucarelli. Parto dal tema dei finanziamenti della Fondazione. Glielo dico perché sono stati oggetto anche di una nostra interrogazione qui in Regione. Ricordo che sulle fondazioni la Regione ha un ruolo di vigilanza. Giustamente, quindi, chiediamo di capire la situazione attuale della Fondazione. Noi avevamo posto un quesito. Lei, giustamente, dice che vi occupate di una serie di casi di reati gravi. Abbiamo preso visione del ruolo della Fondazione e delle sue modalità. Ci è stato anche risposto. Magari può chiarirci il percorso che fa il denaro. Voi date direttamente le risorse alla vittima o c’è un passaggio intermedio attraverso gli enti locali? Giusto per chiarire queste modalità e per toglierci ogni dubbio.

    Evidenziavamo che nel periodo dal 2016 al 2018, come ha ribadito lei, su sedici finanziamenti erogati in questo caso solo per la violenza contro persone minorenni, una decina sono finiti a Reggio Emilia. Non ho capito se lei ha specificato Val d’Enza o no o ha parlato di Reggio Emilia in generale. Noi ci eravamo fermati lì, per questo chiedevamo un chiarimento aggiuntivo. Chiedo anche un giudizio, a questo punto. Chiaramente è libero di dare la risposta che ritiene più opportuna. Non si è acceso un campanello d’allarme? So che non è il vostro ruolo, per carità. Visto che c’era questa preponderanza verso la direzione Val d’Enza, chiedo se per caso non si fosse fatta una valutazione di tipo più politico, se vogliamo, della situazione, piuttosto che limitata al ruolo pregevole della Fondazione.

    Mi rivolgo adesso alla dottoressa Elena Buccoliero. So bene come funziona con le ordinanze dei tribunali e la stampa, perché lo vediamo tutti i giorni, anche in ambito politico. Questo evidentemente è il collegamento che permette ai giornali di uscire prima ancora dei tribunali, però è evidente che quello che viene evidenziato dalla stampa ‒ ci sono alcuni articoli anche di testate ben note, più tutta una serie di passaggi su giornali online che andrebbero, chiaramente, verificati ‒ ciò che emerge dall’ordinanza sono le intercettazioni, proprio nel passaggio in cui il GIP ipotizza anche contatti con il tribunale dei minori, quindi tramite giudice onorario e compagnia bella.

    Giustamente, lei non è indagata. Lo ha detto e lo abbiamo ripetuto anche noi, credo, nell’interrogazione. Non è oggetto di indagine ad oggi. Io non sono un avvocato, non sono un giudice, non sono neanche laureato in Giurisprudenza. Se si parla di spread sono un pochino più portato a dire la mia, però sulle materie giuridiche no. Se questa Commissione deve andare nel dettaglio, questa domanda gliela devo porre. Se può darci, quindi, un commento più preciso su questo ipotetico ‒ non so come chiamarlo ‒ tentativo di avere tramite lei... I dettagli di tutto quello che è stato detto io non li conosco, però quello che emerge è questo. Se può andare un po’ più nel dettaglio, glielo chiedo, in modo da poterci specificare questo passaggio che la vede in qualche modo coinvolta, seppur non per quanto riguarda le indagini.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Visto che non ho altri colleghi prenotati e che la domanda è abbastanza puntuale, rispondiamo e poi procediamo. Prego.

     

    LUCARELLI. Inizio io su queste due questioni.

    Come spendiamo e come diamo i soldi. Come vi ho detto ‒ non sto a rifare tutto il percorso ‒ arrivano le istanze dei sindaci. Il Comitato dei garanti è formato da me, dal vicepresidente Braccesi e da altri due garanti. Esaminiamo questa cosa. Dopodiché, di regola, diamo i soldi direttamente alla vittima. Come questo passaggio avvenga ‒ vi dico la verità ‒ non lo so. Nel caso di Jessica Notaro, le ho dato io un assegno in una busta perché eravamo in un incontro pubblico e serviva simbolicamente. Altrimenti, di solito si effettua un bonifico. Soltanto in alcuni casi, quando esiste una persona particolarmente fragile, tipo persona tossicodipendente, magari ricoverata in qualche maniera, oppure quando esiste un minore, al quale non possiamo fare un bonifico, diamo i soldi direttamente al comune che lo ha richiesto. Non paghiamo mai direttamente noi, professionisti indicati dal comune, eccetera. Tranne in cinque casi, come dicevo prima, che sono avvenuti perché i comuni non sarebbero riusciti a mettere a bilancio tempestivamente quell’aiuto. Quindi, ci hanno chiesto di regolare la cosa. Sono documentate, ovviamente. Non hanno a che fare con questa interrogazione. Noi diamo i soldi direttamente alla vittima, che poi li spende. Non è un progetto che finanziamo noi, quindi non abbiamo bisogno di rendiconti (te li diamo per quello e ci devi dire cosa ne hai fatto). È ciò di cui parlavo prima: è un contributo una tantum per riprendere un progetto di vita, con un’indicazione che molto spesso è l’esigenza reale. La signora del tabaccaio non fa altre cose. Fa quella cosa per cui ci ha chiesto i soldi, di solito.

    È vero. Dalla Val d’Enza sono arrivate, per quanto riguarda i minori, tantissime richieste. Sono dieci su trenta quelle che abbiamo accolto nel periodo preso in esame. Sono un terzo delle richieste. Sono tante. È vero che non è compito nostro fare certi ragionamenti, ma li facciamo lo stesso, perché chiaramente stiamo attenti a dove mandiamo i soldi. Non è che ne abbiamo tantissimi. Siccome ci sono tantissime persone che hanno bisogno, piacerebbe darli a chi ne ha veramente bisogno nel modo giusto. C’è un’istruttoria del sindaco, che noi riteniamo il garante di quello che succede, sia come autorità pubblica che come rappresentante di una comunità, però poi facciamo un sacco di domande, ovviamente. Ci chiediamo se succede questo? Non ce lo siamo chiesti, non particolarmente, perché avviene così per tanti reati e per tanti luoghi. Purtroppo, non abbiamo una serie di dati. Avendo dei picchi che cambiano di anno in anno, per motivi che adesso cerco di elencare, non abbiamo un dato statistico di base che ci faccia dire che trenta richieste in quell’anno lì, o meglio dieci richieste in cinque anni sono state troppe, per tanti motivi.

    Uno è questo: molte volte le richieste, purtroppo, visto che siamo ancora “giovani” arrivano con il passaparola, con sindaci che hanno saputo dopo tanti anni che esistiamo. Succede per il caso di Forlì, per esempio, che passa da zero a cinque richieste. Non perché a Forlì sia successo niente di speciale, ma perché in quel momento lì il sindaco ha capito cosa facevamo. Anche dalla efficienza, sensibilità o quello che volete, degli operatori, per esempio. Tutto questo si basa su una logica, che, se vogliamo, non voglio dire che è politica, però è di pensiero, che è questa: io immagino, credo, so, perché vedo le cose, che esiste un sommerso di non denunciato o di denunciato che non arriva a noi. In Emilia-Romagna vengono uccise trenta persone all’anno e a noi ne arrivano cinque o sette. Quindi, anche nella violenza ai minori, che è comunque estesa, che esiste come problema, c’è un non denunciato enorme. Quindi, io non riesco a capire se quei dieci casi sono un’esagerazione rispetto a quelli che dovrebbero essere o se semplicemente in quel momento, per quei motivi che ho detto, i sindaci di quella zona si sono dati più da fare di altri.

    Se devo dire la verità, mi sembra che dieci siano anche pochi rispetto a quello che, invece, probabilmente, dovrebbe venire fuori.

     

    Presidente BOSCHINI. Perfetto. Grazie.

    Dottoressa Buccoliero, risponda pure alla domanda che è stata fatta.

     

    Dott.ssa BUCCOLIERO. Rispetto al mio supposto ruolo di tramite con il tribunale per i minorenni, questa cosa è quasi divertente in realtà. Quello che rilevo è che molto spesso l’autorità giudiziaria del tribunale ordinario non conosce come funziona il tribunale per i minorenni. Io sono giudice minorile dal 2008. Verso la fine del 2013 è arrivato l’attuale presidente, Giuseppe Spadaro, il quale si è trovato a dover sbrogliare una situazione che dal punto di vista organizzativo era faticosissima. Forse altri ve lo hanno già detto, io non conosco tutti i vostri lavori, ma il Tribunale per i minorenni di Bologna è uno dei più sottodimensionati d’Italia, con soltanto sei giudici togati, a fronte di un numero di abitanti così elevato. Devono occuparsi da soli, questi sei magistrati togati, di tutti i minori della Regione. Considerate che in Sicilia i tribunali per i minorenni sono quattro. Per tutta l’Emilia-Romagna ce n’è soltanto uno. Questa è una geografia stranissima che avviene così, perché il tribunale per i minorenni ha sede dovunque c’è una sede di Corte d’Appello. In Emilia-Romagna ce n’è una sola e quindi un solo tribunale per i minorenni, oltretutto enormemente sottodimensionato.

    Quando lui è arrivato si è trovato con avvocati e operatori dei servizi che facevano una fatica infinita a contattare i magistrati, non sapevano proprio come fare, non trovavano il giudice al telefono, non rispondevano alle mail, non sapevano mai se le relazioni erano arrivate o non erano arrivate. Se qualcuno di voi è avvocato e conosce avvocati lì probabilmente sa che è veramente così. Una decisione che prese nel novembre del 2013, quando arrivò, il presidente Spadaro fu che da gennaio 2014, quindi subito dopo, ogni magistrato togato avrebbe lavorato con un gruppo definito di giudici onorari, mentre fino all’attimo prima ogni onorario poteva lavorare anche con diversi magistrati togati in situazioni diverse. Sto parlando adesso solo dei procedimenti civili sulla genitorialità, non anche di quelli penali o amministrativi. Nel civile ogni togato aveva a che fare con sei giudici onorari e di questi sei ne sceglieva uno che faceva da tramite sia con gli avvocati che con i servizi sociali. Questo significa che in quel momento il tribunale per i minorenni ha inviato una mail a tutti i servizi sociali della Regione e a tutti gli Ordini forensi dicendo che per il magistrato Tizio è referente il giudice onorario Caio.

    La mia voce in quelle telefonate c’è dove, per esempio, mi dicono “Come faccio a contattare il collega Tal dei tali”. C’è un mio audio in cui dico a un convegno alla responsabile “ho detto al magistrato quello che mi avete detto voi, cioè che non avete ancora scritto, ma che lo farete tra un mese, due mesi, quando sarete pronti”. Queste cose che io dico non sono uno strano tentativo di manipolazione, ma è il mio mestiere essere il giudice di riferimento di quel magistrato. Quindi, quando i servizi, ma anche gli avvocati volevano far sapere qualcosa di veloce a quel magistrato, per segnalare un’urgenza oppure per dire “prova a vedere se si è accorto che ho depositato un’istanza” oppure “dimmi per favore se” la cosa che facevano era telefonare a me e io parlavo con il magistrato. Sbrogliavo in fretta con il magistrato o con la cancelleria le richieste più minute, quelle dove non c’era bisogno di tanto, ma solo di verificare se la relazione era stata aperta o no, se era stata consegnata o no, e invece riferivo al magistrato le urgenze vere dove c’era bisogno di un intervento di merito che poteva essere solo suo o suo con la Camera di consiglio, perché, come probabilmente sapete già tutti benissimo, ogni decisione del tribunale per i minorenni viene presa da quattro giudici, due togati e due onorari, questi ultimi sempre un maschio e una femmina.

    Il fatto che io facessi da tramite è vero, è verissimo ed è verissimo per tutta la regione Emilia-Romagna.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, dottoressa. È stata chiarissima.

    Prima il collega Facci e poi il collega Delmonte. Prego.

     

    Consigliere FACCI. Grazie. Buongiorno al presidente e alla direttrice.

    Visto che è stata citata la questione legata al suo ruolo e visto che nelle settimane scorse sono stato io a suggerire le dimissioni, stante dal mio punto di vista l’inopportunità del ruolo, confermo di non avere mai sostenuto la tesi che lei fosse indagata. Infatti, la richiesta era legata semplicemente, a mio avviso, alla opportunità. Lei giustamente ha preso una decisione differente, ci mancherebbe, fa parte delle legittime posizioni. La esplicito meglio. Prendo atto di quello che lei dice e non è certamente questa la sede, però visto che è stata introdotta la preciso. Io le 277 pagine le ho lette. Emerge, a mio avviso, un po’ di più come colleganza, però, ripeto, non sono reati. Questo non l’ho mai detto, lo confermo, lo ribadisco.

    Il concetto è questo: un magistrato onorario del tribunale dei minori che comunque ha una colleganza ampia neanche con il singolo indagato, ma fondamentalmente con il sistema che è emerso e che i magistrati hanno descritto, il metodo Foti-Bolognini, può essere contemporaneamente direttore di una Fondazione che si occupa delle vittime dei reati? A mio avviso, l’opportunità avrebbe indotto… Da qui spiego apertis verbis la richiesta. Però, ripeto, non è questo l’oggetto della discussione di oggi.

    Faccio tre domande alla dottoressa Buccoliero, perché, fondamentalmente, in questo suo specifico ruolo di magistrato, ha indubbiamente una conoscenza più ampia. Ha detto lei stessa che è magistrato dal 2008. Faccio una domanda di carattere generale e due un po’ più specifiche.

    Faccio l’avvocato e l’esperienza che ho per quanto riguarda i procedimenti penali ordinari è quella che gli ausiliari del magistrato, Forze di Polizia tanto per intenderci, Guardia di Finanza, in genere sono di ausilio al magistrato anche nella redazione dei provvedimenti, in particolare il cosiddetto fine indagini. Fanno le indagini delegate e il provvedimento di fine indagini, che fondamentalmente prelude al rinvio a giudizio, in genere – è una prassi, non è codificata, non si potrebbe – viene delegato spesso agli stessi ausiliari, cioè alla Polizia giudiziaria.

    Le chiedo se questo avveniva anche all’interno del tribunale dei minori, dove però gli ausiliari in questo caso sono i servizi sociali. Peraltro, con riferimento al fatto, come lei stesso ha detto, che questo sistema è gravemente sottodimensionato, sei magistrati togati per tutto il territorio regionale, a me risulta, però chiedo una conferma in tal senso, che vi sia stato ampio ricorso all’ausilio dei servizi sociali sia per quanto riguarda l’utilizzo delle relazioni, che venivano acriticamente acquisite, sia talvolta anche nell’impostazione dei provvedimenti. Quindi, le chiedo se, per quanto a sua conoscenza, questo è avvenuto o avviene tuttora.

    Questa è la domanda generale. Ora gliene pongo due specifiche. La prima: al netto delle ipotesi di reato – non siamo qua a giudicarle, ma certamente abbiamo acquisito consapevolezza, qua e anche fuori di qua, di comportamenti che sono stati non costituenti reato, ma che comunque sono stati in qualche modo descritti – come giudicate, o da magistrato o da direttrice componente della Fondazione, l’operato nel caso specifico dei servizi sociali della Val d’Enza? Qual è il vostro giudizio, ripeto, al netto delle ipotesi di reato? Cioè, se sostanzialmente sono state seguite, secondo voi, metodiche corrette oppure no.

    Seconda e ultima domanda. Visto che lei conosce bene l’associazione “Hansel e Gretel” (risulta dal suo curriculum vitae che ha seguito corsi di specializzazione, quindi “Hansel e Gretel” ha una sua particolare specificità all’interno del panorama del settore) che giudizio può dare del “metodo Hansel e Gretel”, il cosiddetto “metodo Foti/Bolognini” rispetto alla tematica abuso, ricerca dell’abuso, valutazione dell’abuso?

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Se non sono troppo complesse le domande, raccoglierei ancora un intervento. Prego, collega Delmonte.

     

    Consigliere DELMONTE. Grazie, presidente.

    Intanto ringrazio per la disponibilità sia il dottor Lucarelli che la dottoressa Buccoliero.

    Io vorrei fare un’analisi sulle istanze che sono state accolte e, quindi, finanziate dalla Fondazione per cercare di capire innanzitutto un dubbio numerico, quindi quantitativo. Nella risposta che mi è stata data in un question time in Regione, mi è stato detto che erano fondamentalmente sette i casi finanziati in Val d’Enza, di cui uno era sui maggiorenni e sei sui minori, invece vedo nelle slide che sono state mandate ieri che in Val d’Enza a favore dei minori erano sette. Quindi, vorrei capire questa piccola differenza, solo per comprendere qual è il numero di riferimento.

    Ciò che mi interessa di più, tuttavia, è entrare nell’aspetto qualitativo dei finanziamenti. Facendo riferimento ai sei sui minori (io avevo questo numero) tre di questi avevano già una condanna penale emessa, mentre gli altri tre avevano solo un procedimento avviato. E dove mancava una sentenza – leggo sempre dalle slide gentilmente offerte oggi – era stata valutata positivamente la capacità testimoniale del bambino. Ebbene, vorrei capire in questo caso come è stata valutata positivamente e qual è il processo di valutazione.

    In più, sempre a livello qualitativo, pongo una domanda. È vero che le richieste partono dai sindaci, e in realtà in uno dei casi oggetto dell’inchiesta è partita dall’ex sindaco di Montecchio Emilia in data 19 agosto 2016, quando è stato richiesto alla Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati un contributo per il pagamento di una psicoterapia specialistica. Quello che emerge è che già in questa richiesta fossero specificate sinteticamente le vicissitudini del minore e in particolare la tariffa. È la famosa tariffa di 135 euro l’ora per le sedute, con un costo mensile di 620 euro. Ebbene, voi coprite un’intera Regione, ma era uno standard questa tariffa su tutte le richieste accolte? Oppure, se non lo era, non vi siete chiesti, e nel caso che risposte vi siete dati eventualmente, perché in certe aree magari il costo era superiore rispetto ad altre anche all’interno della stessa provincia o di province diverse?

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Prego, dottoressa Buccoliero.

     

    Dott.ssa BUCCOLIERO. Se i servizi sociali scrivono i provvedimenti del tribunale sostanzialmente o se scrivono una bozza o se danno un ausilio: era questa la domanda ristretta, giusto? Assolutamente no. Non l’ho mai visto succedere in dodici anni con nessun magistrato, nemmeno nei primi anni, dal 2008 fino alla fine del 2013, quando ho lavorato con diversi magistrati. Assolutamente no.

    Succede qualche volta, questo sì, che il materiale del servizio sociale venga utilizzato, stralciato nelle parti più salienti, dal pubblico ministero nel fare il suo ricorso. Ma non esiste che siano gli operatori dei servizi a scrivere i provvedimenti del magistrato. Innanzitutto, sarebbe estremamente poco pratico, perché un conto è la polizia giudiziaria che lavora accanto, un conto sono i servizi sociali di tutta l’Emilia-Romagna con magistrati minorili che stanno a Bologna, e basta. Io presumo che i magistrati di un tribunale penale di una città abbiano un confronto e uno scambio continuo con la loro polizia giudiziaria, che magari sta nell’ufficio a fianco. Questo assolutamente non può essere per un tribunale per i minorenni, che ha una competenza regionale. Quindi, in ogni caso questo è impossibile.

    La seconda ragione, che va anche incontro a un’altra cosa che lei mi chiedeva, è che mi sento di contestare, per quella che è stata la mia esperienza, una cosa che viene ripetuta molto spesso. Bisogna anche tenere conto del fatto che le critiche, infinite, tantissime, a volte giustificate e a volte no, che vengono fatte al tribunale per i minorenni vengono fatte direttamente da una parte sola, che è quella delle famiglie, le quali possono essere state non capite, può darsi, o non trattate come si doveva, ma tante volte esiste, invece, una ragione molto seria se quel provvedimento è stato preso. I genitori possono dire di sé tutto quello che vogliono, anche il falso, anche perché i giudici e gli operatori dei servizi, che magari conoscono nel merito le loro vicende, sono obbligati al silenzio, non possono dire assolutamente nulla. Per esempio, se un genitore si lamenta perché è stato allontanato da casa e non può più vedere suo figlio, ma il tribunale sa – sto prendendo un esempio che è uscito piuttosto esplicitamente sui giornali proprio riferito alle indagini della Val d’Enza – che questo signore picchia sua moglie, e non era la prima volta che succedeva, ha dei problemi con l’alcol, ha già una condanna per rissa, può succedere che ragionevolmente i quattro giudici chiedano a questo signore di uscire di casa per un periodo, di andare al SerT e di svolgere un percorso. Poi succede anche, come anche a questo signore è successo, che il tribunale poi prenda atto che questo signore va al SerT, che smette di bere e che fa il proprio percorso e gli dica di rientrare in casa.

    In mezzo a questo c’è stata anche l’udienza di quel papà con il magistrato, il quale l’ha trascrive, lo conferma ai giornalisti e i giornalisti lo scrivono, in cui questo papà a verbale dice “sì, è vero, io litigavo con mia moglie, avevo dei problemi con il bere, ho deciso di superarli perché voglio essere un bravo papà”. Allora, questo non è un procedimento ingiusto, ma è un procedimento nel quale il tribunale ha fatto il suo mestiere, secondo me, e cioè ha chiesto di operare un cambiamento dentro un sistema familiare complesso, dove c’erano dei tratti ritenuti non adatti per la crescita di un bambino, vale a dire l’abuso di alcol e la violenza intrafamiliare.

    Dentro questo percorso il tribunale per i minorenni acquisisce molti elementi. Non è vero che utilizza acriticamente le relazioni. A tal riguardo, se parlaste con un magistrato togato, probabilmente potrebbe darvi maggiori informazioni. Comunque, il tribunale per i minorenni all’inizio, è vero, ha soltanto il materiale del servizio sociale oppure delle forze di polizia, e molto spesso legati l’uno all’altro ci sono altre cose, come i referti o come le relazioni degli insegnanti. Poi, però, se anche prende un provvedimento provvisorio e urgente, che solo in pochissimi casi è di allontanamento, perché solitamente non lo è, immediatamente dopo convoca le persone a parlare, i genitori sempre, i bambini tutte le volte che hanno almeno undici anni, molto spesso i nonni o gli affidatari o le comunità. Quindi, il tribunale riceve informazioni da diversi soggetti, non dal servizio sociale e basta. Anche per questa ragione non potrebbe mai chiedere al servizio sociale di scrivere il provvedimento, perché il servizio sociale conosce il proprio punto di vista, il tribunale conosce una complessità, una ricchezza di punti di vista, che sono tutti quelli che lui ha acquisito.

    È certo successo, succede che il tribunale per i minorenni prenda una decisione difforme da quella che i servizi sociali vorrebbero, i quali poi magari fanno un po’ fatica ad applicarla e chiedono i chiarimenti. Ma questa cosa avviene, e fa parte del gioco delle parti. Qualche volta il tribunale scontenta i servizi, qualche volta scontenta un genitore, scontenta un’altra delle persone in causa. Questo rispetto al fatto che i servizi possono scrivere o che i loro scritti siano acriticamente acquisiti.

    Su come giudico l’operato dei servizi sociali della Val d’Enza, questa è una domanda a cui faccio molta fatica a rispondere. Il tribunale per i minorenni normalmente, per la Val d’Enza e per tutti gli altri, vede delle relazioni che sono riassuntive di tante attività che il servizio svolge per compiere quell’indagine che il tribunale gli ha delegato. Il tribunale, però, non è lì mentre accade il colloquio col genitore, col bambino, la visita domiciliare, o l’incontro con gli insegnanti del bambino per sapere come il bambino va a scuola. Quindi, quali toni vengono usati, quali elementi vengono raccolti e omessi, oppure scritti, enfatizzati o minimizzati, il tribunale non lo sa.

    Il tribunale, esattamente come un Pm con la polizia, si fida di quello che riceve e non potrebbe fare diversamente, perché se no ci vorrebbe un servizio sociale del servizio sociale. Sarebbe come se un magistrato in un’indagine penale non si fidasse della Polizia che gli fa le indagini, e chiedesse ai super-poliziotti di fare indagini al posto suo, e questo non è possibile.

    Quindi, entrare nel metodo del servizio sociale, con il livello di dettaglio che mi sembra mi si stia chiedendo, non è una cosa che io posso fare, non per la Val d’Enza e non per tutti gli altri. Quello che so, e per cui per esempio sono stata un po’ ridicolizzata, o accusata da qualche giornalista, è che nell’intercettazione a un certo punto io dico “una buona relazione, un lavoro ben fatto”. Ma questo è vero, lo pensavo. Io non so se quella relazione così ben fatta era autentica in tutto e per tutto, lasciava fuori qualcosa, o enfatizzava qualcosa. Quello che so è che a volte per esempio ci capita in tribunale di leggere relazioni dove tu arrivi alla fine e non sai dov’è il bambino, non hai più capito se dopo quel litigio così burrascoso alla fine è col papà o con la mamma. Oppure, ci capita di leggere tante cose sulla mamma e il bambino, e non viene mai nominato il papà, o viceversa.

    Quelle quindi erano buone relazioni perché erano ben integrate tra la parte sociale e la parte psicologica e davano una capacità di comprendere un quadro in maniera articolata e chiara. Se poi quei contenuti fossero veritieri al 100 per cento, o all’80 per cento, io questo non posso proprio saperlo.

    L’ultima cosa che mi è stata richiesta riguardava un giudizio su Hansel e Gretel. Come certamente saprete, perché avete visto il mio curriculum, io non sono una psicoterapeuta, e con Hansel e Gretel non ho seguito il master lungo, che pure loro organizzavano per psicoterapeuti sul maltrattamento e sull’abuso, ma ho seguito un corso che si chiamava “Gestione delle risorse emotive” (o qualcosa di simile, con un nome un po’ lungo).

    Quello è l’argomento del corso. Si è parlato molto di intelligenza emotiva, di ascolto empatico. Per quello che io so, ma io non so tutto, non esiste “un metodo Foti”. Per esempio, esiste un “metodo Gordon” per gli insegnanti efficaci, dove c’è un signore, psicoterapeuta americano, che si chiama Thomas Gordon, che a un certo punto ha registrato il suo metodo. Dice che per far diventare più efficaci gli insegnanti bisogna muoversi facendo questo, poi quello, poi quell’altro e poi quell’altro: la formazione deve essere fatta così, i contenuti devono essere quelli. Quello è il “metodo Gordon”. È certificato, chi vuole impararlo deve seguire corsi fatti soltanto da loro; alla fine ha una certificazione che dice che lui lo può insegnare ad altri e quello è il “metodo Gordon”.

    Non esiste un “metodo Foti”. Foti nelle sue formazioni parla della sua esperienza e della sua formazione. Cita moltissimi psicoterapeuti ai quali lui si rifà, che non saranno tutti quelli che esistono nel mondo, ma sono quelli che sono i suoi riferimenti per il suo lavoro di terapia con le persone, con i bambini, ma anche con gli adulti, anche in carcere con gli abusanti, e trasmette quello che ha imparato e quello che ha visto. Non è il “metodo Foti”. Per quello che io ho conosciuto, incontrando Foti molto spesso e Nadia Bolognini una volta soltanto, perché in quel corso lei era prevista molto di meno, nella lezione che io ho fatto con Nadia Bolognini lei parlava del lavoro in carcere con i pedofili e con gli abusanti, che sono in carcere a scontare una pena e devono fare un percorso. Quando mi raccontano come si lavora con una abusante, di sicuro io non posso vedere la ricerca dell’abuso a tutti i costi sul bambino, perché mi raccontano un lavoro sull’adulto. Con Foti ho fatto molte più lezioni e per come io l’ho conosciuto, non ho visto la ricerca ossessiva dei segni dell’abuso, ma ho visto un ascolto empatico e un atteggiamento di consapevolezza delle emozioni. Dove il parere di Foti è che non bisogna escludere a priori che l’abuso ci sia, cioè, bisogna tenere tra le possibilità anche il fatto che possa esserci sempre l’abuso, ma un maltrattamento, che non è sempre quello di natura sessuale, rispetto a un tempo che pure c’è stato, in cui si erano inventati la “sindrome delle ossa fragili”, pur di non dover dire che i bambini portavano i segni e le fratture dei maltrattamenti dei genitori. C’è stato anche questo. Quello che lui trasmetteva nella formazione era di tenere presente il fatto che il maltrattamento esiste, che non può essere escluso a priori, e che non si può pensare a priori che un bambino sia sempre educato e accudito nel modo migliore possibile dai suoi genitori naturali solo perché sono i genitori naturali. Il che non significa divertirsi a portare via i bambini, e nemmeno cercare l’abuso dove non c’è. Ma questo è quello che ho visto io.

    Quello che poi è successo, in Val d’Enza o nelle psicoterapie, lo sa chi c’è stato, lo sa chi ha raccolto e sta facendo le indagini, ma io questo non lo so.

    Rispetto, invece, a quante sono, se sono sette o se sono sei, sono otto meno una sugli adulti e sette sui bambini nel 2017-18; una nel 2014; nessuna nel 2015; due nel 2016. Quindi, da sette diventano dieci, con l’aggiunta di quella del 2014 e delle due del 2016. Niente in mezzo, nel 2015. Per i bambini invece non ci avevano chiesto nulla.

    Aggiungo una cosa sulla tariffa, veniva chiesto, perché ne abbiamo parlato tra di noi. In realtà, noi non ci sentivamo di poter dire di più o di meno. La specializzazione sul maltrattamento e l’abuso all’infanzia non è una cosa che abbiano tutti gli psicologi, gli psicoterapeuti. Quindi, il fatto che qualcuno che viene da fuori, e quindi deve mettere in conto anche delle spese ulteriori eccetera, potesse richiedere una tariffa più alta, portando un alto livello di specializzazione, non era una cosa che ci aveva particolarmente sorpresi. Chiunque di noi va dall’oculista e non paga la stessa cifra per qualsiasi oculista, se ci va privatamente, a seconda di quanto è celebre, di quanto ha pubblicato libri, di quanto ha fatto ricerca, di quale posizione occupa, e questo è vero un po’ per tutte le figure.

    Piuttosto c’è una cosa che a me ha sempre interrogato molto, e infatti in ogni relazione annuale ritorno a dirla, quando parlo del supporto ai bambini, è una delle cose, poi ce n’è qualcun’altra che se vorrete vi dirò, che secondo me è di sistema. Per me cioè non è un buon indicatore il fatto che il sistema di cura complessivo della Regione Emilia-Romagna pubblico non sia sempre in grado di garantire le cure adeguate a bambini che probabilmente sono stati maltrattati in una qualsiasi forma, dalla violenza assistita all’abuso sessuale. Io credo che quello sia un compito che dovrebbe spettare al sistema pubblico. Questa cosa non è sempre vera, o non è sempre vera nelle forme adeguate.

    Adesso mi sposto e torno a quello che ho imparato facendo il giudice onorario. A me è capitato che in certe zone della Regione ‒ non questa di cui parliamo in particolare ‒ per esempio mi dicessero: “Sì, è vero, il tribunale ha chiesto un sostegno psicologico al ragazzo che è stato picchiato da suo padre. Lo abbiamo segnalato al servizio di psicologia. Lo hanno messo in lista d’attesa. Tra sei mesi cominceranno a vederlo”. Questo succede. Oppure: “Sì, certo. Lo cominciano a vedere, però, sai, più di una volta al mese non riescono”, perché è andato in pensione qualcuno, non l’hanno sostituito, qualcun altro non è specializzato sul maltrattamento infantile, e allora ‒ sai com’è? ‒ l’unico, alla fine, in quella ASL capace deve vederli tutti. Quindi, lo vede una volta al mese. Se c’è un ragionamento di sistema da fare, e mi sembra che voi siate qua anche per fare questo, secondo me, è prendere in considerazione che probabilmente il sistema della cura e dei servizi ha bisogno di essere rafforzato. È una delle indicazioni possibili. Poi, se volete, ve ne do qualcun’altra, per quello che posso aver capito io, per quello che può valere.

    Davanti a questo, quando ci dicono che costa un po’ di più o costa un po’ di meno, mi pare che la Fondazione non si sia posta il problema della tariffa, ma del fatto che c’era un bisogno molto urgente e importante a cui bisognava dare risposta.

    Non so, Carlo, se vuoi aggiungere qualcosa.

     

    LUCARELLI. Dico due parole soltanto, così lascio spazio alle domande.

    È così, infatti. Molte volte abbiamo richieste particolari e altre volte molto generiche. Non abbiamo un modo per capire esattamente o avere un punto di riferimento. Noi facciamo la nostra istruttoria, chiediamo, guardiamo e poi ci consultiamo tra di noi, naturalmente, con le rispettive competenze. Non ci siamo soltanto la dottoressa Buccoliero ed io. Ci sono altri due garanti, c’è Cosimo Braccesi, eccetera. Dopodiché, diamo alcune indicazioni.

    Vorrei fare una precisazione, perché il mio parere sui servizi sociali della Val d’Enza non so se sia importante. Se vuole, glielo dico. Parto dalla prima precisazione. Il fatto di rimanere, della dottoressa Buccoliero, non è che sia stata proprio una decisione sua, o perlomeno non soltanto sua. Lei, a un certo punto, ci ha scritto una lettera dicendo: “Visto tutto quello che succede, se volete, per questioni di opportunità, me ne vado”. Noi, invece, abbiamo rinnovato la nostra fiducia, dicendo che non è indagata. Non solo. Il modo con cui è stata chiamata in causa non ci sembra sia così rilevante ai fini del nostro lavoro. Non ha modo, in ogni caso, la dottoressa, di incidere su quello che facciamo. Alla fine, le decisioni le prendiamo noi. Si è sempre comportata bene. A quel punto, abbiamo detto: “Per ragioni di opportunità, ci sembra che non ci sia motivo di...”

     

    (interruzione)

     

    LUCARELLI. Come ho detto prima. La decisione è stata presa da noi.

    Sui servizi della Val d’Enza, in generale, penso che la stragrande maggioranza degli operatori dei servizi sociali messi in discussione un po’ in tutta Italia siano persone preparate e competenti, che fanno un lavoraccio, quasi come una missione. Per carità. Penso anche che i servizi sociali dell’Emilia-Romagna siano all’avanguardia rispetto a tantissime cose. Credo che anche quelli della Val d’Enza ‒ come si dice, al netto di quello che poi succederà ‒ siano servizi di prim’ordine. Poi ci sono inchieste su fatti che sono di eccezionale gravità e che a me danno un fastidio tremendo. Se ci sono mele marce, distorsioni del sistema, anomalie o farabutti io spero proprio che le inchieste li tirino fuori e li puniscano in maniera esemplare.

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Callori, prego.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Prego. Quale risposta mancava?

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Okay. Sì.

     

    LUCARELLI. Dove manca la sentenza noi abbiamo una serie di indicazioni, tra cui anche quella, se il bambino sembra che stia dicendo alcune cose... In alcuni casi abbiamo rigettato la richiesta perché questa cosa mancava. C’era un processo in corso, ma nel caso proprio della Val d’Enza, a parte la mancanza di gravità del reato, c’era inconsistenza. Non lo valutiamo noi. Lo valuta chi se ne sta occupando, la magistratura. Se il bambino è attendibile hanno aperto un’inchiesta, hanno fatto delle indagini, si è aperto un procedimento. Questo per noi significa che sta raccontando cose che altre persone, che non siamo noi... Esistono altri garanti per noi. Sono la magistratura e le forze di polizia che si occupano di un determinato caso ‒ stiamo a vedere cosa fanno ‒ e poi il sindaco. Ovviamente, ci piacerebbe essere in grado di fare un’istruttoria con una squadra investigativa, come quelle che avevo io quando facevo televisione. Magari. Non è possibile questo. Abbiamo un riferimento, che è il sindaco, il quale è il portavoce della sua comunità e dovrebbe conoscere bene tutte queste cose e dovrebbe essere una persona di specchiata onestà. Se questo non accade, ovviamente, lo scopriremo, e quando lo scopriamo, ovviamente, richiediamo indietro i soldi e ci diamo da fare.

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Callori, prego.

     

    Consigliere CALLORI. Grazie, presidente.

    Ringrazio gli auditi. Li ringrazio una volta in più perché penso sia la prima volta che audiamo anche un soggetto che è stato intercettato. Penso che non sia facile per la dottoressa. Si vede la rilassatezza nelle risposte del presidente, a differenza sua. Capisco questa sua tensione, però siete venuti e dovete per forza ascoltare e rispondere alle nostre domande.

    Le mie sono due domande molto semplici. Guardavo lo Statuto della Fondazione, che tra l’altro è una fondazione che eroga anche risorse pubbliche, quindi sotto i riflettori anche per questo. Innanzitutto, si dice che il direttore è nominato dall’Assemblea e che il suo mandato è rinnovabile. Da quanti anni lei è direttore in questa struttura? Inoltre, leggevo due punti nello Statuto, che poi sono due compiti, secondo me, abbastanza specifici: lei svolge attività istruttoria sugli interventi richiesti dai sindaci e li sottopone al Comitato, assume la decisione in merito agli interventi a favore delle vittime del reato nei casi di particolare urgenza e la sottopone entro venti giorni al Comitato dei garanti. Quindi, può dare un’accelerazione alle varie domande che arrivano. La domanda che le pongo è la seguente: ci sono casi ai quali è stata data accelerazione? Mi può dire quali casi sono?

     

    Presidente BOSCHINI. Raccogliamo anche la domanda del collega Taruffi.

     

    Consigliere TARUFFI. Grazie, presidente.

    Vi ringrazio per la vostra partecipazione e per il contributo che state dando, che credo sia utile.

    La domanda è molto secca. Se ho capito bene, il collegio giudicante è composto da due giudici togati e due onorari. I giudici togati sono sei in tutta la Regione, se non ho capito male. Chiedevo quanti fossero quelli onorari. Mi piacerebbe poter incrociare questo dato rispetto al numero complessivo di minori allontanati con atti giudiziari, che ‒ se non sbaglio ‒ in tutta la Regione sono circa un migliaio, sui 3.000 minori che complessivamente sono stati allontanati dalle famiglie in Regione.

    L’altra domanda che volevo porre è se le domande rispetto ai contributi per i minori sono arrivate solo dalla Val d’Enza o sono arrivate anche da altri territori e, in questo caso, se comunque è sempre stato il sindaco il promotore di questa iniziativa.

    Un’ultimissima velocissima domanda. Nelle esperienze che ha avuto lei, come definirebbe ‒ in modo, ovviamente, sintetico ‒ il rapporto tra i giudici e i servizi sociali, come giudicherebbe questo rapporto?

     

    Presidente BOSCHINI. Dottoressa Buccoliero, comincia lei? Prego.

     

    Dott.ssa BUCCOLIERO. Io sono in fondazione dal settembre del 2014. L’incarico è stato rinnovato nel 2018 con un bando pubblico, che è stato pubblicato sul sito sia della Fondazione, che già è dentro al sito della Regione, ma anche separatamente nelle pagine specifiche della Regione, e lì si è deciso di nuovo che potessi essere io la direttrice della Fondazione.

    Le istanze d’urgenza sono state prese qualche volta? Sì. Sono state prese particolarmente nell’anno 2016, anno in cui il presidente della Fondazione era ancora Sergio Zavoli che, per ragioni d’età e di salute, faceva estremamente fatica a spostarsi da Roma. La Fondazione non aveva in carica un vicepresidente, che adesso abbiamo, ossia il nostro Cosimo Braccesi. Per cui, se in una riunione, per qualsiasi ragione, non potesse essere presente Carlo Lucarelli, c’è Cosimo Braccesi, con i due garanti, a prendere le decisioni. Quell’anno questa cosa non era possibile, perché un vice non c’era e Zavoli faceva molta fatica a spostarsi da Roma. C’è stata una sola riunione del Comitato dei garanti all’inizio dell’anno e nei mesi successivi è stato tutto un susseguirsi e uno sperare che il Comitato potesse riunirsi ancora, cosa che poi non è successa.

    Evidentemente era un grosso problema per quanto riguardava la Fondazione, perché le istanze continuavano ad arrivare. Quello che capita di solito, quando c’è bisogno in fretta e non c’è la possibilità di riunirsi subito è che io telefoni al presidente, adesso anche al vicepresidente, meno male che c’è, e ai due garanti, dopo aver spedito una sintesi, un materiale sintetico di quello che ci viene chiesto, di qual è il crimine di cui ci si occupa, e raccolga il punto di vista loro sia sull’ammissibilità sia eventualmente su come pronunciarsi sulla spesa.

    Questo va a confluire in un atto del direttore, quindi è firmato da me, che viene portato a ratifica alla prima occasione possibile nel nuovo Comitato, nella nuova riunione del Comitato. Mi pare che per ora quelle decisioni siano state confermate, tranne una che è stata modificata nel senso di aumentata dal Comitato dei garanti, ritenendo che io fossi stata un po’ troppo strettina nelle valutazioni e che ripensandoci, loro stessi ripensandoci, abbiano ritenuto di poter dare un po’ di più, quindi abbiamo dato una aggiunta alla persona.

    Altra domanda, quanti sono i giudici onorari minorili. Da qualche anno, francamente non mi ricordo più, quando io sono arrivata in tribunale erano 26 i giudici onorari per i minorenni. Ad un certo punto il presidente Spadaro…

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa BUCCOLIERO. Ho detto sei magistrati togati, sei più uno, che è il presidente Spadaro. L’ho dato per scontato, non so se si è capito, nel senso che il presidente Spadaro, però, non ha un ruolo civile. È nei dibattimenti penali, amministrativi, nella valutazione delle coppie che vogliono adottare. Fa un sacco di cose lo stesso, ma non è nei procedimenti civili. Quelli sono distribuiti tra gli altri magistrati togati, che sono sei. Quando io sono arrivati al tribunale per i minorenni nel 2008 i giudici onorari erano 26. Il presidente Spadaro chiese un aumento del numero sia dei togati sia degli onorari. L’aumento dei togati non gli venne concesso e l’aumento degli onorari sì, quindi gli onorari diventarono 36, mediamente sei ogni magistrato togato, come vi dicevo prima.

    I dati degli allontanamenti non li ho a mente e non so dire nulla su questo, se non ricordare che tutti i fascicoli di tutti i territori sono assegnati in maniera del tutto casuale a tutti e sei i magistrati. Per cui, non c’è un magistrato che si è occupato della Val d’Enza più di un altro e nemmeno della provincia di Reggio Emilia più di un altro, ragione ulteriore per la quale sembra singolare che un singolo onorario, che lavora con un solo magistrato, possa essere intervenuto ad influenzare tutto un tribunale per i minorenni, che è fatto di sei giudici, se lavora soltanto con uno.

    Le regole di funzionamento del sistema mi fanno sentire tranquilla. Io so quello che ho fatto, ma anche le regole mi fanno sentire tranquilla.

    Sul rapporto giudice-operatori sociali non ho una risposta unica e definitiva, perché i giudici a volte apprezzano molto il lavoro degli operatori, a volte si arrabbiano molto, a volte si arrabbiano perché sono lenti, a volte questi spiegano che sono lenti perché hanno delle carenze, a volte non si è subito allineati. Per esempio, con gli altri magistrati della camera di consiglio ci siamo una volta molto risentiti per una vicenda di una bambina che non c’entra niente con la Val d’Enza. Avevamo avuto la segnalazione delle forze di Polizia. La bambina era stata utilizzata dal padre, che frequentava normalmente un sito di pedofili, per fare delle fotografie, che diventavano poi dei fotomontaggi terrificanti.

    La bambina non se ne era nemmeno accorta, nel senso che era stata fotografata dal papà nuda in posizioni strane, ma lei poi non lo vedeva il fotomontaggio finale, né poteva sapere che significato avesse. In quel caso, il tribunale ricordo scrisse che il padre aveva compiuto atti di una gravità inaudita. C’era anche tutta la chat del papà con altri su questo sito di pedofilia dove facevano commenti sulla bambina. Il tribunale disse in quel decreto che il padre doveva uscire di casa e che la bambina non doveva vedere il padre in quella fase, nemmeno in maniera protetta. Il padre aveva commesso azioni di una gravità inaudita e quindi gli incontri non ci dovevano essere. Dopo un po’ ci arrivò una relazione dei servizi sociali che diceva: “Abbiamo fatto i primi incontri protetti, stanno andando molto bene, possiamo fare incontri liberi?”. Può succedere, qualche volta purtroppo succede, che i servizi perdano un po’ il loro ruolo, a volte perché diventano troppo severi con i genitori, ma a volte perché diventano troppo lassisti con i genitori perché la bambina diceva le preghierine prima di dormire, diceva che le mancava tanto il papà, però noi sapevamo che cosa aveva fatto il papà.

    Per esempio, se quel papà fosse andato a parlare con i giornalisti noi non avremmo potuto spiegare ai giornalisti che cosa quel signore aveva fatto, però lo sapevamo. Questo per dire che il confronto giudici-operatori è un confronto molto forte, molto dialettico, a volte si è sulla stessa linea, a volte no. Di alcuni servizi in quella fase con quegli operatori, con quel responsabile in quella fase ci possiamo fidare molto, ma poi cambia il responsabile e non è più vero. È un rapporto in divenire che non può essere commentato o descritto in maniera univoca, una volta per tutte e per tutta l’Emilia-Romagna.

    Tra l’altro credo che i gestori dei servizi sociali in Emilia-Romagna siano una sessantina, se non di più. Per cui, ogni servizio poi ha il suo modo di operare, ha le sue risorse, gli psicologi dentro, gli psicologi fuori. Ancora dentro l’ASL, che è un’Azienda speciale. È tutto molto, molto complesso. Anche per un tribunale regionale è molto complesso.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Ho iscritti i colleghi Facci, Pettazzoni e Piccinini.

    Vi comunico una cosa perché ne abbiamo parlato adesso con la presidente Serri. Noi stiamo usando il tempo della Commissione Attività produttive, che era convocata in quest’aula alle 14, per il prolungarsi della precedente audizione. Loro hanno necessità di riunirsi, anche brevemente, una mezz’oretta, entro le 15, perché poi l’assessore non è più disponibile. Vi proponevo di provare a continuare a lavorare fino alle 14,30. Se per quell’ora abbiamo terminato con le nostre domande, bene. Altrimenti, se c’è la disponibilità del dottor Lucarelli e della dottoressa Buccoliero possiamo eventualmente riprendere alle ore 15, dopo una mezz’oretta di pausa, subito dopo lo svolgimento dell’altra Commissione, che sarà molto breve.

    Vi invito a essere sintetici, se volete magari provare a concludere per le 14,30. Non voglio come sempre impedire il dibattito, ma vi ho soltanto espresso le condizioni organizzative in cui purtroppo ci troviamo per il prolungamento della precedente audizione.

    La parola al collega Facci.

     

    Consigliere FACCI. Grazie. Sarò brevissimo.

    La dottoressa prima, quando ha fatto riferimento alla questione del giudizio sulle buone relazioni che sarebbero state riportate nella intercettazione, fondamentalmente ha detto – giustamente, non è una critica, ma devo partire da qui per arrivare alla domanda – che quando si è trovata con delle relazioni che ha giudicato positive non sapeva quello che c’è stato a monte e quindi, ovviamente, un giudizio di quello che è successo a monte non lo può fare. Perfetto. Concordo, però la domanda è questa, visto che la sua esperienza non è provvisoria, ma è ampia sul campo, è una esperienza su più fronti: quali devono essere fondamentalmente le regole, i metodi seguiti affinché la relazione dei servizi che arriva sul tavolo dei magistrati veda garantiti e rispettati fondamentalmente i diritti del minore, i diritti difensivi, i diritti complessivi che ruotano intorno alle figure interessate? È ovvio che voi vedete il prodotto finale di una relazione. Quella relazione ha avuto delle modalità con cui si è formata (osservazioni, interrogazioni, accertamenti).

    Quali sono, secondo la vostra impostazione, secondo la vostra esperienza, le corrette regole che devono essere seguite affinché quella relazione non sia tacciata, per ipotesi, di inquinamento? Usiamo questo termine anche se forse è improprio.

    Seconda domanda: se, secondo lei, esistono i cosiddetti “indicatori di abuso” e che valenza hanno, indicatori di abuso che sappiamo essere sostenuti da parte della comunità scientifica.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Facci.

    Prego, collega Pettazzoni.

     

    Consigliere Marco PETTAZZONI. Grazie, presidente.

    Intanto vi rivolgo i miei personali complimenti per il lavoro che svolge questa associazione, che incarna un principio che mi è proprio, quello del pragmatismo: c’è un bisogno, arriva la soluzione. Invece, probabilmente nelle Istituzioni ci sarebbe bisogno di un trust di chissà quante procedure e cervelli che devono valutare su come fare, nel frattempo il bisogno decade o peggiora, e la soluzione arriva dopo mesi. Quindi, il pragmatismo che mettete in campo è sicuramente quello che serve.

    Ho letto velocemente che le fonti di finanziamento di questa associazione sono il 5 per mille e le quote associative. Mi è parso di capire dai colleghi che ci sono anche contributi da parte di Enti pubblici, per cui chiedo quali sono gli Enti pubblici che sovvenzionano questa associazione.

    Vengo a una seconda questione, che rivolgo alla dottoressa. Ho letto e riporto – la mia posizione è quella di colui che riporta ciò che ha letto e ne è stato certamente preoccupato – che da fonti di informazione pare che il tribunale dei minori venisse descritto quasi come un business osceno, un meccanismo perverso, il più osceno dei business italiani. Si parlava di sottrazione alle famiglie, si parlava di internamento, si parlava di una questione di disorganizzazione o sotto-organizzazione, con 7 giudici togati e 28-30 giudici onorari, però al tempo stesso regnava la confusione. I collegi – leggo – si componevano a geometria variabile, tutto era organizzato per far prevalere l’impostazione dei servizi sociali, come sempre inevitabilmente favorevoli all’allontanamento del minore. Ci sono casi riportati di un giudice onorario che era contemporaneamente giudice e tutore. Quindi, che cosa c’è di vero, secondo lei, in tutto questo? C’è una fonte di verità in quello che è stato riportato? Sono accuse infondate? Secondo la sua esperienza, le chiedo il suo punto di vista rispetto a quello che una certa stampa ha riportato su questi accadimenti.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Se non ci sono altri iscritti, proverei a chiudere con la collega Piccinini. Poi valutiamo.

    Prego, collega Piccinini.

     

    Consigliera PICCININI. Grazie, presidente.

    In premessa ringrazio gli ospiti per la disponibilità a fornire dati e informazioni, però apprezzo meno e trovo inopportuno per chi riveste ruoli istituzionali o di garanzia esprimere giudizi politici su questa o quell’altra Amministrazione, come ho letto di recente sui giornali.

    La mia domanda è questa. Forse è stato detto, comunque chiedo una risposta in questo senso. Rispetto alle dieci istanze pervenute dalla Val d’Enza, ma anche in generale, mi chiedo se, rispetto a queste istanze, vengono seguiti gli sviluppi giudiziari. Cioè, chiedo se la Fondazione dà risorse, ma poi segue anche gli sviluppi. In particolar modo, proprio su queste dieci istanze che provengono dalla Val d’Enza, chiedo se, dopo tutto quello che è emerso dall’inchiesta giudiziaria, si prende in considerazione l’ipotesi di seguirne gli sviluppi e capire come si concluderanno i procedimenti o come si sono conclusi.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Visto che si è prenotata anche la collega Marchetti, se è un ultimo intervento, così riusciamo a chiudere nei tempi che ci siamo dati.

     

    Consigliera Francesca MARCHETTI: Soltanto una precisazione rispetto all’ultimo intervento della collega Piccinini. Ritengo che non sia questa la sede, visto che ho captato il riferimento a cui lei si riferisce, in quanto credo che il presidente della Fondazione sia anche un cittadino e possa esprimere, rispetto alla sua città, le proprie opinioni. Non credo sia utile e nemmeno adeguato alla seduta, visto anche i tempi e l’interesse che si sta protraendo, aprire questa questione.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Passo, allora, la parola al dottor Lucarelli per le risposte.

     

    LUCARELLI. Intanto faccio una precisazione, scusatemi se è un po’ sciocca. Io vi ringrazio perché mi chiamate dottore, ma non ho mai finito la tesi. Quindi, usurpo un titolo che non ho e non vorrei che l’università…

     

    Presidente BOSCHINI. Qua siamo un po’ tutti dottorini…

     

    LUCARELLI. Se è un titolo onorario, grazie. Me lo tengo. Non vorrei, però, che mi chiamasse l’università per dire “cosa dici?”.

    Innanzitutto, non ho bisogno di difendermi da questa cosa, perché in effetti sono un cittadino, sono uno scrittore, faccio tante cose, non è che ricopro una carica istituzionale tipo il presidente della Repubblica, per cui ogni tanto mi sento autorizzato a dire la mia. È già successo che ogni tanto qualcuno mi critica e mi dice: “Sei uno scrittore, scrivi i libri e stai zitto”. No, io ogni tanto dico anche la mia. Nel caso specifico, anzi, mi sembrava di essere stato garbato: avevo fatto i migliori auguri alla sindaca perché risolvesse i suoi problemi. Tutto qui.

    Vengo adesso alla domanda su chi ci finanzia…

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Prosegua pure, dottor Lucarelli. Per piacere.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Ormai lei rimane dottore ad honorem, ma molto anche. Quindi, proceda pure.

     

    LUCARELLI. Grazie.

    Chi ci finanzia sono i Comuni di solito, che si associano, o le Unioni di Comuni. Una volta c’erano le Province, che oggi non ci sono più. Abbiamo la Regione naturalmente, abbiamo i privati, che non sono tanti, che ci possono finanziare attraverso il 5 per mille. Abbiamo un ente, che non è un ente pubblico, che è l’unico per adesso che c’è, che è l’Università di Parma, con una logica molto bella, secondo me, e spero che si aggiungano anche degli altri. L’Università ha detto: noi studiamo questi problemi, facciamo i corsi di laurea su questi problemi, ci piacerebbe anche intervenirci sopra. E si sono associati. Questi sono quelli che ci danno i soldi.

    Poi ci è stato chiesto se ci sono altri Comuni…

     

    (interruzione)

     

    LUCARELLI. Sì, sono poche in un capoluogo. Noi cerchiamo di farci conoscere, perché vorremmo avere, ovviamente, più associati.

    Premetto anche che chi ci chiede aiuto non deve necessariamente essere associato, ovviamente. Sono tutti Comuni dell’Emilia-Romagna.

    Nei cinque anni presi in esame abbiamo avuto altre richieste che riguardavano minori, da altri territori naturalmente. Ne abbiamo avute ventisette. Quindi, non ne abbiamo avute soltanto dalla Val d’Enza.

     

    (interruzione)

     

    LUCARELLI. Sì, c’era la domanda se ci chiediamo come sono andate a finire le cose. Noi abbiamo un riscontro di quello che succede e ci informiamo sempre su quello che è successo, anche quando non ci viene richiesto, anche in maniera informale. Abbiamo quasi sempre dei contatti con le vittime e con gli enti e chiediamo: “Cosa avete fatto? Come è andata a finire la questione?”. E ci informiamo anche sui processi, ovviamente. Sono notizie pubbliche che noi seguiamo.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    La parola alla dottoressa Buccoliero.

     

    Dott.ssa BUCCOLIERO. Per la Val d’Enza in particolare, mi sembra che la consigliere Piccinini stia ritornando sul tema. Ebbene, lì non possiamo informarci, nel senso che i nomi dei bambini che sono al centro dell’indagine noi non li conosciamo, quindi non possiamo sapere se tra le dieci istanze che noi abbiamo sostenuto… Dico così perché avevo già ripreso la parola e poi perché ne abbiamo parlato tanto in Fondazione con il presidente e il vicepresidente. Noi non sappiamo se quei dieci bambini o anche uno solo di quei dieci bambini fa parte dell’indagine per cui si ritiene che sia stato paventato un abuso che in realtà non c’era. Giustamente i nomi dei minori sono coperti, quindi noi non possiamo saperlo adesso. A indagine ultimata, se si scoprirà che effettivamente tutti o anche solo qualcuno di quegli abusi o di quei maltrattamenti non c’era, potremo metterci in contatto e fare una domanda in tal senso. Ma in questo momento non lo sappiamo.

     

    Presidente BOSCHINI. Se vuole, può rispondere anche alle ultime domande. Forse riusciamo a chiudere. Le richiamo, se non le ha annotate. C’è la domanda sugli indicatori di abuso e sul rischio di inquinamento, fatta dal collega Facci.

     

    Dott.ssa BUCCOLIERO. Intanto la prima notizia che arriva al pubblico ministero non arriva sempre dai servizi sociali, ma anche dalle forze di polizia, dalla scuola o da qualcun altro. Può essere la segnalazione di un fatto che si verifica improvvisamente e urgentemente, per esempio un bambino che viene ritrovato scalzo a camminare per strada, ha tre anni e nessuno se ne sta occupando, poi lo riportano a casa e scoprono che la sua casa è un disastro e che non c’è un minimo di rete familiare sussistente. Ed è un fatto d’urgenza che viene segnalato immediatamente, quindi con un’indagine ancora povera, perché c’è un elemento allarmante. O può essere una relazione che contiene già tanti elementi, perché per esempio quella famiglia magari era sostenuta economicamente, o in altri modi dai servizi del territorio, e ad un certo punto, quando i servizi ritengono che ci sia bisogno anche di un intervento dell’autorità giudiziaria, fanno a quel punto una relazione che è ovviamente più corposa, perché conoscono la famiglia da tanto tempo.

    Non ci sono dati purtroppo, ma per quello che si può vedere nelle camere di consiglio, molto spesso il tema è quello della violenza sulle donne, assistito dai bambini. Una grandissima parte delle segnalazioni che arrivano riguarda questo. È una parte specifica, perché è chiaro che se lì per esempio affidiamo il bambino ai servizi sociali non è per togliere qualcosa al papà o alla mamma, ma è per interrompere la violenza e mettere nel mezzo un terzo, che a questo punto sono i servizi delegati da noi, perché si interrompa quello che sta succedendo tra i genitori, a protezione del bambino.

    Come si fa a capire se c’è una manipolazione? I pochi casi che io ricordo, in cui ci siamo detti “qui i servizi hanno preso una cantonata”, lo abbiamo capito non nella prima relazione, ma strada facendo, ascoltando tutte le parti, così come ho detto che sempre facciamo. È difficile quindi che da una prima relazione si possa già subito capire se c’è una visione troppo parziale o manipolata. Ma proprio per questo il tribunale ascolta tutti, riceve le memorie degli avvocati, parla con i genitori, può arrivare benissimo ad accorgersi che c’è qualcosa che non va.

    Che cosa penso sugli indicatori di abuso? Non è esattamente la mia materia perché non sono psicoterapeuta, tantomeno perito, quindi. Dico una cosa un po’ più da sociologa che da psicologa: per quello che io capisco, ci sono ricerche che dicono che i bambini di cui si sa che sono stati abusati hanno più probabilmente di altri determinati tipi di comportamento che sono quelli che sono stati codificati nei famosi indicatori. Poi, nessuna codifica che io conosca… Parlo anche dei manuali che trattano dell’abuso infantile, dove dicono che è più probabile trovare in un bambino abusato piuttosto che no, una serie di cose. Se cioè un bambino di tre anni simula un rapporto sessuale orale è legittimo chiedersi da dove tragga questa informazione. Può essere che abbia visto delle cose inadatte all’età; può essere che abbia trovato un fratello più grande che gli faceva vedere un video inadatto all’età; può essere che abbia vissuto direttamente delle cose. Nessun indicatore d’abuso, in nessuna codifica che io ho visto è indicato come quello che ti fa dire se c’è A allora c’è B, se quel bambino fa quella cosa lì, allora è stato sicuramente abusato. Ma gli indicatori, per come io li conosco, sono delle lampadine che si accendono per dire che tra le probabilità (non in senso statistico, ma tra le cose che è possibile che siano successe) è anche possibile che quel bambino abbia avuto dei contatti di tipo sessuale che non doveva avere.

    Questo è come sempre considerato e come mi sono stati insegnati gli indicatori, cioè non come un’equazione, ma come un segnale che spinge a ragionare di più e a cercare ancora. Di per sé e da soli, gli indicatori non bastano per fare una diagnosi. Mi fermo qua.

     

    Presidente BOSCHINI. Se vuole usare un ultimo minuto per rispondere alla domanda sul “business osceno”, così definito, era questa la domanda rimasta. Usiamo l’ultimo minuto e chiudiamo tutto in tempo perfetto per le 14,30.

     

    Dott.ssa BUCCOLIERO. Provo a rispondere velocemente. Mi è difficile, perché è una domanda su cui potrei raccontare molto, in quanto mi sta a cuore anche che il tribunale non sia una scatola nera, ma sia un luogo che fa conoscere le proprie prassi. Se vuole, a parte le racconto di più.

    Quello che io ho visto non è un business osceno, intanto, e io credo che chi dice queste cose debba sempre motivarle e portarle avanti con dei dati alla mano. Credo anche che se la persona che ha avuto questa percezione era in quel momento un pubblico ufficiale, avesse il dovere di parlarne con la Procura della Repubblica, e non, o non primariamente con i giornalisti. Questo tanto per dire una cosa molto chiara.

    Sulle camere di consiglio a geometria variabile, non le definirei assolutamente così. Dalla fine del 2013 in avanti, cioè da quando si sono costituiti dei gruppi fissi di magistrati, questo è ulteriormente assolutamente falso. Nel senso che è previsto dall’inizio dell’anno chi ci sarà quel giorno, e se invece di esserci quello c’è un altro dello stesso gruppo di lavoro dello stesso magistrato è solo perché ha la febbre alta, ma non esiste la geometria variabile.

    Se il servizio è sempre favorevole all’allontanamento dei minori: assolutamente no. Anzi, a me arrivano informazioni ma non così circostanziate da poterle presentare pubblicamente, però vi invito a pensarci, di servizi dove ci sono dirigenti che dicono: allontaniamo il meno possibile perché non abbiamo i soldi per pagare le rette. Quindi, i servizi non considerano una cuccagna il fatto di poter allontanare un bambino, non solo per tutto il rumore che si muove intorno, per le proteste – certo, anche –, ma anche perché gli aspetti economici sono molto rilevanti. Se cioè si ha l’impressione che una famiglia con quattro figli stia subendo delle cose gravissime e portiamo via la mamma e i bambini, la retta di cinque persone per un Comune piccolo gli fa sballare il bilancio, non è una cosa che gli fa simpatia.

    Giudice tutore: può darsi, io non conosco l’occasione, quindi non lo so, se qualcuno l’ha detto sarà stato vero. Quello che so per certo è che il Tribunale per i minorenni di Bologna, soprattutto negli ultimi anni, da quando anche il CSM ha posto in maniera più stringente l’incompatibilità, è stato severissimo sulle incompatibilità. Le cito un giudice onorario che in corso d’opera ha cominciato a lavorare per una comunità per bambini: è stato posto davanti all’obbligo di scegliere; ha scelto la comunità ed è uscito dal tribunale; le cito un collega che è stato giudice onorario dal 2014 al 2016: del triennio successivo non è stato rinnovato perché non lui, ma sua figlia era operatrice in una comunità per minori. Per cui, l’attenzione del Tribunale per i minorenni di Bologna sul conflitto d’interessi dei giudici onorari, da quello che io vedo da parecchi anni, è assolutamente stringente.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie davvero al dottor Lucarelli e alla dottoressa Buccoliero per la loro disponibilità e per averci anche atteso. Grazie anche ai colleghi della Commissione a cui abbiamo rubato una parte di tempo.

    Grazie a tutti e buona giornata.

     

    La seduta è tolta.

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