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Legislatura X - Commissione speciale tutela minori - Resoconto del 14/10/2019 pomeridiano

    Resoconto integrale n. 16

    Seduta del 14 ottobre 2019

     

    Il giorno 14 ottobre 2019 alle ore 14,30 è convocata, con nota prot. n. AL.2019.22000 del 08/10/2019 presso la sede dell’Assemblea legislativa in Bologna Viale A. Moro n. 50, la Commissione speciale d’inchiesta circa il sistema di tutela dei minori nella Regione Emilia-Romagna

     

    Partecipano alla seduta i consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    BOSCHINI Giuseppe

    Presidente

    Partito Democratico

    4

    presente

    SENSOLI Raffaella

    Vicepresidente

    Movimento 5 Stelle

    2

    presente

    TARUFFI Igor

    Vicepresidente

    Sinistra Italiana

    1

    presente

    ALLEVA Piergiovanni

    Componente

    L’Altra Emilia Romagna

    1

    assente

    BARGI Stefano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    BENATI Fabrizio

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    BERTANI Andrea

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    CALLORI Fabio

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    CALVANO Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    5

    presente

    DELMONTE Gabriele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    FACCI Michele

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    GALLI Andrea

    Componente

    Forza Italia

    1

    presente

    LIVERANI Andrea

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Daniele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Francesca

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MONTALTI Lia

    Componente

    Partito Democratico

    4

    assente

    MORI Roberta

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    PETTAZZONI Marco

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    PICCININI Silvia

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    assente

    POMPIGNOLI Massimiliano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    PRODI Silvia

    Componente

    Misto

    1

    presente

    RAINIERI Fabio

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    RANCAN Matteo

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    SASSI Gian Luca

    Componente

    Misto

    1

    assente

    TAGLIAFERRI Giancarlo

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    assente

    TORRI Yuri

    Componente

    Sinistra Italiana

    1

    assente

    ZOFFOLI Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

     

    È presente il consigliere Gianni BESSI in sostituzione di Lia MONTALTI.

     

    Partecipano alla seduta: A. Dellapina (Associazione Nidi Violati), D. Severi (Comunità Giovanni XIII), A. Chiodoni (Comunità Giovanni XIII)

     

    Presiede la seduta: Giuseppe Boschini

    Assiste la segretaria: Annarita Silvia Di Girolamo

     


    DEREGISTRAZIONE CON CORREZIONI APPORTATE AL FINE DELLA MERA COMPRENSIONE DEL TESTO

     

    Giuseppe BOSCHINI, Presidente della Commissione. Buona giornata a tutti.

    Oggi abbiamo all’ordine del giorno l’audizione dell’associazione Nidi Violati, l’audizione della Comunità Papa Giovanni XXIII e poi, come sempre, eventuale dibattito e discussione.

    Mentre facciamo intanto magari accomodare l’associazione, ricordo ai Commissari e ai nostri ospiti che la Commissione d’inchiesta istituita in ambito regionale non gode delle prerogative dell’articolo 82 della Costituzione. L’eventuale audizione da parte della Commissione di persone indagate avviene esclusivamente in ragione del loro ruolo, a prescindere dalla circostanza che siano coinvolti o meno in procedimenti giudiziari. La nostra istruttoria non mira all’accertamento di eventuali reati, spettando l’azione penale solamente al pubblico ministero.

    Gli esiti e gli atti della nostra inchiesta potrebbero tuttavia essere richiesti o messi a disposizione della magistratura. Ricordo ai collaboratori regionali che da parte loro non è opponibile alla Commissione il segreto d’ufficio, ai sensi dell’articolo 60 del regolamento. Ricordo ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio presenti in aula i doveri e gli obblighi derivanti dal loro ruolo in merito alla denuncia all’autorità giudiziaria di un reato di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, nonché le eventuali sanzioni derivanti dall’omessa o ritardata denuncia.

    Ricordo altresì che ai sensi dell’articolo 70 della legge 184/1983 i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio sono tenuti a riferire alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni sulle condizioni di ogni minore, di situazioni di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio. In caso contrario sono punibili ai sensi dell’articolo 328 del codice penale.

    Ricordo che la nostra attività è come di ordinario soggetta alle norme vigenti in materia di trattamento dei dati personali, in particolare la normativa che tutela i dati sensibili dei minori, nonché le norme in materia di offesa dell’altrui reputazione.

    Infine si fa presente, lo ricordo anche alla nostra ospite, che l’audizione oltre ad essere verbalizzata integralmente in forma audio e trascritta è soggetta a diffusione in diretta tramite streaming sul sito istituzionale dell’Assemblea legislativa, salvo diversa indicazione o richiesta. Pertanto, ricordo che la normativa vigente prevede sanzioni, in caso di diffusione di dati sensibili e giudiziari, quali nomi di minori o di persone sottoposte a indagine, o altri dati o informazioni che ne consentano anche in via indiretta l’identificazione.

     

    -     Audizione dell’Associazione “Nidi Violati”

     

    Presidente BOSCHINI. Abbiamo con noi, in rappresentanza dell’associazione Nidi Violati, che quindi rappresenta diverse realtà che sono state in qualche modo anche richieste per rappresentare la voce, il punto di vista dei genitori, quindi ringrazio la signora Antonella Dellapina per la sua presenza. Il tema che è stato consegnato per questo intervento è “Informazioni sul sistema degli affidi dal punto di vista delle associazioni dei genitori”. La signora Dellapina ci ha chiesto di poter introdurre, quindi le diamo subito la parola per una decina di minuti, e poi procederemo con eventuali domande.

    Signora Dellapina, nel ringraziarla quindi per la sua disponibilità e la sua presenza, le do la parola (bisogna schiacciare il bottone di destra del microfono).

     

    Antonella DELLAPINA, Associazione Nidi Violati. Intanto buon pomeriggio e grazie per avermi chiamata qui ad argomentare su una questione che probabilmente necessita di un quadro completo per il discorso degli affidi dei nostri fanciulli e dei nostri adolescenti.

    Noi abbiamo approfondito per la campagna nazionale Nidi Violati la tematica dei nidi puliti violati da false tutele e affidi illeciti. Quanti sono è il dato che manca, a livello nazionale.

    Proseguo con il discorso dei princìpi che noi sposiamo in relazione alla mera tutela del minore, che è il superiore interesse del fanciullo, che trova solenne proclamazione all’articolo 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo. Il principio che l’Ordine mondiale della sanità ha dichiarato con il maltrattamento e l’abuso infantile come problema di salute pubblica è il principio della mera tutela del minore, che mette in prima istanza anche pratiche atte a scongiurare l’incardinarsi di false tutele basate su accuse infondate.

    Questo fa parte di uno dei princìpi. Abbiamo prestato anche molta attenzione al discorso del principio dell’affido del minore come servizio alla persona. “Affidare”, dal punto di vista semantico, significa lasciare con fiducia qualcosa o qualcuno alle cure di altri. Il vero affido è quindi partecipato, è condiviso, è temporaneo, è di conforto, è di aiuto, non si basa solo su indagini psicosociali, e non si deve basare solo su questo.

    Noi abbiamo riscontrato ad esempio che sono molti i numeri verdi predisposti alla denuncia e alla segnalazione. Molti meno e molto meno strutturati quelli che invece servono per chiedere ed offrire aiuto. La campagna nazionale diritti e Nidi Violati nasce nel 2015, a seguito della pubblicazione del libro Nidi Violati, che racconta una delle tante storie di falsi affidi che voi avete sentito, o che sentite, con il sostegno dell’associazione Intesa San Martino di Parma. Si è occupata di contrastare ed informare, più che altro, sul fenomeno degli allontanamenti coatti dei minori dalla famiglia, agiti in assenza di prove, poi in famiglie assolte.

    Ha individuato gli stessi marcatori di false tutele sui minori riscontrabili da nord a sud Italia. In audizione alla Commissione bicamerale infanzia, nell’ottobre 2017, ha introdotto questo delicato argomento all’interno delle istituzioni ministeriali. Ad oggi sta diventando un’associazione chiamata “Nidiamo”, che mette al centro il diritto di crescere nel proprio nido, pulito, d’origine.

    Questa è un’attenzione che vediamo poco riconosciuta, in Italia. Il nido noi lo consideriamo quell’entità emotiva, affettiva, relazionale, fatta di colori, di suoni, di rituali rispetto alla quale noi dobbiamo garantire la permanenza del bambino e la sua crescita all’interno del nido, sia come genitori, ma anche in situazioni di separazioni conflittuali e anche come istituzioni. Prima di violare questo nido, la violazione di questo nido deve avere delle motivazioni oggettive molto forti. Quando dico “noi”, vedete che sono numerosi, ad esempio, i libri scritti, che raccontano di false tutele, o di situazioni di affido illegali, illegittime, poi vedremo. Quando dico “noi” dico anche associazioni di genitori e di nonni allontanati dei bambini in assenza di prove.

    Per un bambino, essere staccato dal nonno, quel nonno che magari lo ha accudito, è un danno, se non c’è una motivazione oggettiva; federazioni, associazioni nate per contrastare l’allontanamento coatto dei figli in assenza di prove, comitati sinceramente preoccupati, che chiedono modifiche del sistema minorile, associazioni di genitori che da decenni hanno segnalato sospetti di falsa tutela, fino agli ordini professionali, ai garanti dell’infanzia, al difensore civico, ai politici, hanno anche presentato esposti, movimenti e gruppi anche sui social, perché ormai tutti sono in rete.

    Da anni, quindi, con grandi difficoltà, il mondo del volontariato si occupa di informare sul rischio della falsa tutela agita sui minori, attraverso convegni, interviste, presentazione di libri. Molto spesso ci siamo chiesti: esiste una banca dati regionale su questa tipologia di volontariato? Come vengono intercettate le istanze che riguardano la disfunzionalità del sistema minorile? La falsa tutela è un rischio negato dal sistema minorile. La falsa tutela agita sui minori prende il via dal superamento del principio giuridico binario del vero o del falso, principio che si basa sui fatti delittuosi accertati e realmente accaduti.

    Il superamento di questo principio ha portato a considerare indicatori aspecifici di tipo psicodiagnostico, comportamentale e pratiche di ascolto arbitrario come elementi probatori di violenze intrafamiliari, valicando gli indicatori di tipo fisico e anche prove di tipo investigativo. Sono tutte cose che questa Commissione ormai conosce abbastanza bene. Che cosa intendo con “prove di tipo investigativo”?

    Nel libro Nidi Violati, ad esempio, c’è la storia di una adolescente che inizia la scuola superiore. A fine anno viene allontanata dalla famiglia, sulla base di una segnalazione dello psicologo della scuola. Sono state messe le cimici, in casa, per mesi: siamo nell’ordine di 7.000 intercettazioni ambientali e centinaia di telefonate all’interno della famiglia, che dimostravano che la famiglia era sana. Nonostante questo è stato applicato il 403. Voi state parlando con una persona che precedentemente a questi fatti pensava così: se gli hanno tolto i figli, qualcosa avranno fatto. Davanti a una situazione di questo tipo, che mi ha poi portato proprio a confrontarmi, a chiedere, non ci volevo credere, quindi ho elaborato la cosa nel tempo, confrontandomi con più associazioni, con più professionisti, con più esperti. Effettivamente, questo rischio c’è, lo abbiamo anche visto.

    La falsa tutela da dove parte? Parte da una segnalazione di abuso sessuale, maltrattamento o altro, così come la vera tutela. La segnalazione è un atto dovuto. In un paese civile nessuno deve temere di inoltrare o, se innocente, di ricevere una segnalazione. Arrivare alla segnalazione secondo me è stata una conquista di questo paese, e questo la dobbiamo tenere come punto fermo. Ma il problema qual è? Che in Italia questo è molto pericoloso, perché risulti da subito colpevole, i figli trattati come vittime malate, e anche in assenza di prove vengono allontanati dalla famiglia d’origine in modo coatto, attraverso il 403, e finiscono in affido eterofamiliare.

    Del 403 avete già sentito parlare. È un articolo approvato il 2 marzo 1942, e anche dal punto di vista del significato semantico del testo non ha più corrispondenza con la società di oggi e andrebbe abrogato. Le leggi vigenti sui minori, i protocolli, le linee-guida, gli accordi, eccetera, non fanno cenno a come scongiurare l’incardinarsi di falsi, a seguito dei quali figli e genitori innocenti entrano nel sistema strutturato per chi delinque.

    Ma esistono gli innocenti? Ultimamente, si parla di non meno di 500.000 minori in carico ai servizi sociali e non meno di 50.000 minori collocati fuori dalla famiglia d’origine. Sono tutti salvati? Quanti sono i danneggiati? Vi ho portato la ricerca dell’Università di Padova, che ha analizzato 465 processi di abuso sessuale sui minori. Togliendo le archiviazioni, scopri che ha calcolato le assoluzioni, perché il fatto non sussiste e le assoluzioni per non aver commesso il fatto. Il risultato è che un imputato su due viene processato ingiustamente.

    Questi sono dati. L’allontanamento, quindi, in questi casi, l’affido eterogeneo dei figli è ingiusto, ingiustificato, illegittimo, illegale, illecito? Perché non esistono dati sulle false tutele? Non si conosce il numero reale dei figli allontanati dalla famiglia d’origine dagli anni Novanta ad oggi, e questa è una criticità. Di questi non si conosce il numero di figli sottratti ingiustamente. Il sistema di tutela minorile non è in grado di fornire dati sulle false tutele, non sono mai state previste, individuate, contate, analizzate, studiate, comparate: non ci sono dati. Non sono contemplate nelle leggi e protocolli vigenti. Bisogna concludere che il sistema tutela minori non ha le competenze in merito.

    Come si incardina una falsa tutela? Sono tre i blocchi: la segnalazione, l’allontanamento, le indagini conoscitive preliminari, le assoluzioni. Questo è lo storytelling, una narrazione della falsa tutela che noi abbiamo riscontrato in più situazioni, anche tutte quelle situazioni che vi ho fatto vedere prima.

    La falsa tutela nasce dalla segnalazione, ad esempio, della scuola. La scuola si è dotata di soggetti- sentinella e di esperti (ogni scuola ha almeno uno psicologo) che validano l’attendibilità dell’ascolto del minore in assenza di consenso informato. I bambini cioè si appartano con questi adulti, per confidarsi e raccontare il loro vissuto, ma le modalità di ascolto del minore non sono tracciabili.

    Per quello che riguarda invece le segnalazioni pervenute alla sanità, ci sono i pediatri. Adesso verranno formati e sensibilizzati, quindi diventeranno soggetti-sentinella. Stiamo attenti, perché è probabile che anche qui aumentino le segnalazioni che provengono dai pediatri, perché se noi andiamo a sensibilizzare, a formare soggetti-sentinella, dobbiamo aspettarci anche che le segnalazioni aumentino, è fisiologico, è naturale. È dopo che dobbiamo decidere. Apro una parentesi: ultimamente fra gli indicatori c’è anche la difficoltà di apprendimento, quindi l’insegnante avvisa la famiglia di questa difficoltà di apprendimento ed è il pediatra che manda il bambino dal neuropsichiatra, quindi il passaggio del pediatra, che diventa un soggetto-sentinella su un indicatore di questo tipo, può veramente aumentare le segnalazioni. Stiamo parlando di segnalazioni, non abbiamo ancora stabilito se c’è la vittima, stiamo parlando di segnalazioni.

    Il servizio sociale tutela minori: anche da lì partono e arrivano le segnalazioni, dall’assistente sociale. Ultimamente sto sentendo parlare, e secondo me è molto scorretto, di dividere gli assistenti sociali fra quelli bravi e quelli cattivi. È una cosa che secondo me non va bene. L’assistente sociale è sempre bravo, per un genitore, chiaramente, fino a quando non entra nel bussolotto dell’affido. In quel contesto diventa un soggetto di parte, apre un fascicolo di indagini investigative psicosociali sulla famiglia che manda al Tribunale dei minori, col 403 che può togliere un figlio. Quindi, o si dividono queste due competenze; oppure bisogna essere molto chiari su questo punto.

    Poi ci sono pure le segnalazioni dai familiari o anche da un vicino di casa. A seguito della segnalazione, il minore viene allontanato dalla famiglia d’origine, collocato in un luogo definito sicuro, che è un atto amministrativo, che è poi comunicato al Tribunale dei minori, che formula un decreto provvisorio d’urgenza che i genitori non possono impugnare. Quindi, proseguono le indagini conoscitive preliminari.

    Durante queste, il minore, che è considerato vittima, anche se non è ancora neanche iniziato il processo, probabilmente, viene collocato in una comunità terapeutica. perché se c’è il sospetto di abuso, c’è una situazione di malattia, di intervento terapeutico. Non può vedere i suoi cari e su di lui si attiva l’osservazione in contesto, i progetti educativi, la psicoterapia. Viene resettato dall’affetto dei suoi cari, in preparazione dell’incidente probatorio, cioè dell’audizione con il giudice, che può avvenire anche dopo mesi o anni. C’è una diversità fra l’ascolto e l’audizione: l’ascolto è nella fase della segnalazione, invece l’audizione, quando il bambino viene audito, è già in fase processuale. I genitori non hanno possibilità di contraddittorio, non sanno dove il figlio vive, ciò che viene deciso e agito su di lui. Saltuariamente vengono previsti incontri in ambiente neutro, alla presenza di un educatore.

    In questo caso abbiamo raccolto molte testimonianze che ci dicono: “Io non sono più il genitore dei miei figli da tanto tempo, perché durante questi incontri protetti io devo fare il giullare. Mio figlio deve essere felice, deve uscire da lì felice, perché se contesta qualche cosa può essere rischioso”. Il tribunale predispone, con la consulenza tecnica d’ufficio (CTU), una consulenza tecnica di parte, però per chi ha i soldi. Durante questa fase, il minore viene trattato dagli esperti. In genere, sono una decina di persone tra educatori ed esperti che viaggiano sulla testa di questi bambini.

    L’assoluzione. Al termine delle indagini preliminari, il giudice archivia o chiede il processo, il quale accerta l’innocenza dell’imputato, che viene assolto. I danni esistenziali, morali e patrimoniali sono compiuti, irreversibili e permanenti. Frequentemente i figli restano in struttura o vengono collocati in affido eterofamiliare o in adozione, e la famiglia d’origine non esiste più, è stata distrutta.

    È un sistema blindato. Aprendo i faldoni e leggendo anche gli atti, abbiamo scoperto, così come anche l’inchiesta “Angeli e demoni” ha portato alla luce, che il sistema è veramente chiuso, è blindato. “X” è un soggetto, “X”, in qualità di responsabile tutela minori, li allontana con l’articolo 403, che firma e invia al tribunale dei minori. È con un fax che vengono tolti i bambini alle famiglie. A seguire, riceverà il decreto provvisorio d’urgenza. “X” può partecipare ai piani di zona anche per la parte di programmazione relativa alla tutela minori. “X” può presiedere la Commissione per l’autorizzazione alle strutture residenziali, quindi le comunità, che viaggiano su parametri minimi ed essenziali. Sempre “X” può trasferire i minori nella comunità della quale ha autorizzato l’apertura, ha organizzato la formazione del personale e ha presenziato all’inaugurazione. Sempre “X” può organizzare, sul territorio di appartenenza, la formazione dei soggetti sociosanitari che si occupano di tutela minori e può promuovere una équipe di lavoro sul tema. “X” può chiedere e ottenere di diventare curatore speciale del minore che allontana e che trasferisce dalla comunità per la quale ha autorizzato l’apertura. “X” può scegliere di nominare gli esperti che preparano il minore all’incidente probatorio, “X” può accompagnare i minori che ha allontanato e di cui è curatore speciale all’incidente probatorio e farli seguire dal CTU. “X” può decidere di secretare gli atti amministrativi riguardanti il minore. Sulla parola “secretare” noi abbiamo molte perplessità. Un genitore non può accedere a questi atti.

    L’inchiesta “Angeli e demoni”. Gli inquirenti hanno condotto un lavoro investigativo prezioso durante le indagini. Non esiste il “caso Emilia”, siamo d’accordo, ma esiste l’Emilia che della mera tutela del minore ha fatto un caso. Guardate che queste investigazioni, queste indagini sono granitiche, resteranno e diventeranno un documento importante, al di là di come andranno i processi, perché quella è una questione fra le persone e la giustizia. Tutti hanno potuto vedere e sentire quello che, ancora oggi, accade durante l’ascolto del minore, che noi come associazioni sospettiamo, temiamo e denunciamo da anni. Hanno permesso alla società scientifica di riconoscere alcune pratiche dell’ascolto del minore, dalle quali si dissocia. Proprio vedendo i filmati hanno potuto vedere: “Vedete, quello si chiama svelamento progressivo, questo…”. C’è anche chi parla di torture.

    Le piazze. Le piazze si sono aggiunte alle associazioni, ai comitati, alle famiglie, ai genitori. Le piazze chiedono che nessuno possa più trattare i nostri figli e nipoti nei modi emersi dalle investigazioni – questa è una richiesta che noi abbiamo costantemente – sia in fase di allontanamento coatto sia in ambito psicologico, psicoterapeutico, clinico e anche neuropsicologico durante l’ascolto e l’audizione del minore. Guardate che sempre di più, se non si va all’accertamento di alcune informazioni, in tutta la regione e in tutta Italia le piazze chiedono che i figli delle persone innocenti tornino a casa. Questa è una richiesta forte, che credo non possa più essere disattesa.

    L’ascolto del minore e i rischi conosciuti da tempo. È dagli anni Settanta che la società scientifica internazionale avverte sul rischio di indurre falsi ricordi nella mente umana. Su questo avvertimento non sono state declinate linee guida. Non esistono. La professoressa Giuliana Mazzoni, ricercatrice e docente – la cito perché ha fatto delle interviste, quindi magari qualcuno di voi le ha anche viste, per cui possiamo condividere meglio i contenuti –, denuncia pubblicamente il pericolo di incardinare false memorie durante l’ascolto arbitrario dell’esperto, e non, sul minore. Arbitrario perché l’esperto ti dice: “L’esperto sono io, decido io”. Chiede di intervenire con urgenza dal punto di vista normativo, dato che le linee guida non sono condivise e cogenti. Quindi, noi non abbiamo una normativa su questo. L’inchiesta “Angeli e demoni” rivela, infatti, che l’ascolto e l’audizione del minore non hanno ancora norme certe e condivise.

    Le linee guida, anche quelle nostre regionali, in genere contengono due scuole di pensiero. La prima è costituita dagli indicatori di tipo psicodiagnostico e comportamentale, che hanno come soggetto il minore. Infatti, è scritto che bisogna osservare se un pianto è improvviso (il soggetto è il minore), l’ostilità, l’aggressività, la difficoltà di apprendimento eccetera. La seconda scuola di pensiero, invece, è una sorta di manuale che vede il perito come soggetto. È al perito che danno indicazioni su come comportarsi per raccogliere la confidenza e la testimonianza del minore. Ma esistono altre scuole di pensiero: ad esempio, indurre un minore a dichiarare falsi abusi rientra in una forma di abuso. Di questo non c’è traccia.

    La società scientifica e internazionale, oltre a non riconoscere gli indicatori di abuso di tipo comportamentale, si dissocia dall’utilizzo delle teorie della memoria repressa, dello svelamento progressivo, del bombardamento d’amore, degli strumenti biomedicali (che non sono gli elettroshock) utilizzati in fase di ascolto e psicoterapia del minore. Questo è stato spiegato dal professor Corrado Lo Priore, psicologo e psicoterapeuta forense dell’università di Padova.

    Apro una parentesi sugli strumenti biomedicali. Quando è uscita questa informazione, noi abbiamo subito pensato che non si trattasse di elettroshock, però abbiamo atteso che qualcuno ci desse una spiegazione. Allora, è stato intervistato un medico che fa formazione in questo senso e la nostra richiesta è stata questa: va benissimo, ma è uno strumento pediatrico? Viene usato dai pediatri? E nelle varie fasi dell’età evolutiva? Ci sono studi, ricerche? È uno strumento che va a sollecitare il sistema nervoso centrale e corticale: ci sono studi su questo? Ci sono controindicazioni? Viene applicato nelle varie parti del corpo: quali? Su questo non abbiamo avuto nessun riscontro.

    Ad ogni modo, abbiamo le linee guida nazionali. Finalmente, nel 2010, i massimi esperti della società scientifica nazionale hanno steso le linee guida. Ebbene, a pagina 10 si legge: “Nessun test psicodiagnostico è in grado di provare una specifica esperienza di vittimizzazione, come pure di discriminazioni tra i bambini abusati da quelli non abusati. Non è attualmente sorretto da copertura scientifica attribuire a singoli segni psicodiagnostici, in special modo se derivati da interpretazioni simboliche, il ruolo di indicatori di specifiche esperienze traumatiche o vittimizzazione”. Ma come, se le segnalazioni da parte dei soggetti sentinella viene proprio su indicatori di tipo comportamentale e psicodiagnostico. Come conciliamo queste due indicazioni?

    A pagina 11 si legge: “L’avvio di un percorso terapeutico prima dell’acquisizione della testimonianza in sede di incidente probatorio può costituire elemento di influenzamento della genuinità della resa testimoniale”. Ma come, se il minore allontanato viene affidato a una comunità terapeutica, con tanto di psicoterapia settimanale e di reset dagli affetti familiari.

    Perché i figli dei genitori innocenti non tornano a casa? Allora, entriamo nella nostra regione e leggiamo il Quaderno n. 18 “Violenze e salute”, approvato nel 2005 dalla Regione Emilia-Romagna. A pagina 24 si legge: “Le false accuse costituiscono sicuramente un fenomeno fortemente enfatizzato ai fini di negare l’evidenza della diffusione degli abusi. Egli riporta come ‘in una ricerca realizzata in Canada sono stati analizzati 7.672 casi di maltrattamenti su bambini segnalati ai servizi sociali: solo il 4% di questi casi era costituito da false denunce’”. Però, adesso abbiamo altri studi che dicono altro, quelli dell’Università di Padova, ad esempio.

    “Lo stesso autore – non sappiamo chi – rileva come i dati relativi alle false accuse non possono basarsi sulle archiviazioni e sulle assoluzioni giudiziarie, in quanto il responso giudiziario non può considerarsi come un fondamento di verità clinica e sociale, confondendo la verità giudiziaria (che si basa sul vero e sul falso) con quella scientifica (che è una verità relativa). Questa verità scientifica è così relativa da non garantire la mera tutela dei nostri figli e nipoti, le teorie e le pratiche di ascolto non sono condivise e cogenti, non esistono norme certe, il sistema tutela minori non ha competenze sulle disfunzionalità, non sa quanti bambini sono stati salvati, ma soprattutto non conosce quanti bambini sono stati danneggiati. Il sistema non prevede e declina come proteggere i minori dalle false memorie, dai falsi positivi, da interessi di parte ideologico, economico, conflittuale, da abusologi, sessuofobici e qualcos’altro che magari non conosciamo ancora. Il sistema è autoreferenziale e mancano la verifica, il controllo sistematico e il monitoraggio delle prassi e dei procedimenti agiti sui minori.

    Ciò che emerge dal lavoro degli inquirenti, secondo l’ordinanza del Gip, è chiaro dolo, dice la dottoressa Mazzoni. Da “Veleno” ad “Angeli e demoni” l’ascolto sul minore non è cambiato

    In conclusione, il sistema è autoreferenziale perché manca di competenze relative alle false tutele. Sostanzialmente, tutte le relazioni che arrivano anche agli organi di controllo sono positive. È blindato, quindi non è garantito il diritto di accesso agli atti amministrativi dei minori da parte dei genitori. Gli atti amministrativi possono essere secretati. Ricordo che “secretare” esprime il potere dello Stato di nascondere fatti inerenti a questioni politiche o militari per la sicurezza del paese. Manca il contraddittorio tra le parti, quindi il giusto processo. Quindi, come arrivare a conoscere il fenomeno delle false tutele. Il Ministero di giustizia non può entrare nel merito delle sentenze. Questo nessuno lo può fare: la sentenza va accolta. Tuttavia, tramite l’analisi degli atti depositati nei tribunali, può capire come si sono incardinate le false tutele e le disfunzionalità del sistema, che va modificato, conoscere il numero di minori allontanati e collocati in affido eterofamiliare dagli anni Novanta nella nostra regione, analizzare i casi archiviati e assolti da parte di una commissione eterogenea nella composizione, formata da esperti al di sopra delle parti e in grado di validare i marcatori delle false tutele, riconoscere alle persone coinvolte nelle false tutele il patimento di una grave ingiustizia e il relativo indennizzo per i danni subìti, rivedere il sistema con lo scopo di raggiungere al più presto la mera tutela dei nostri fanciulli e adolescenti, che hanno il diritto di crescere nel proprio nido e con i propri genitori per bene. Del resto, è di questo che stiamo parlando: figli e genitori innocenti.

    È con le parole di questa canzone, Il peso del coraggio, che vi saluto, perché molti genitori e figli, per abbracciarsi, hanno dovuto metterci molto coraggio “per sopportare il peso di ogni scelta, il peso di ogni passo, il peso del coraggio”.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Adesso immagino che la signora ci lascerà copia della documentazione.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. È forse una delle prime, una delle primissime. Comunque, il dato citato dalla signora mi sembra che sia 500.000 sotto tutela e circa 50.000 allontanati dalle famiglie. Ci ha detto questo, signora, è vero?

     

    DELLAPINA. Sì. Non meno.

     

    (interruzione)

     

    DELLAPINA. È un dato stimato.

     

    Presidente BOSCHINI. Non meno di 500.000 minori in carico ai servizi sociali e 50.000 collocati fuori famiglia. In effetti, sono dati un po’ diversi da quelli che ci hanno portato altri soggetti. Comunque, adesso valutiamo anche la significatività delle fonti.

    Io ho iscritti i colleghi Sensoli e Calvano. Quindi, do la parola alla collega Sensoli.

     

    Consigliera Raffaella SENSOLI. Grazie, presidente.

    Ringrazio la signora Dellapina per averci illustrato la ricerca che è stata fatta. Poi anche a me piacerebbe capire la stima dei numeri come è stata fatta, visto che nelle sedute precedenti sono emersi altri numeri rispetto a quelli presentati. Comunque, le chiedo se è disponibile a lasciarci il materiale che ha illustrato, in modo tale che ogni consigliere possa eventualmente ricavarne degli spunti di analisi anche per quella che sarà la relazione finale che farà questa Commissione.

    Ascoltando quello che è stato detto relativamente al ruolo degli assistenti sociali, le chiedo se può essere d’aiuto una divisione dei ruoli all’interno del servizio tutela minori, cioè tra quegli assistenti sociali che devono servire da supporto alle famiglie in difficoltà e che, per carità, possono eventualmente rilevare degli elementi che possono far pensare a una possibilità di maltrattamento o di abuso, ma che sostanzialmente devono rimanere una forma di sostegno alle famiglie, e le figure più investigative, e se avete fatto una ricerca, avete studiato se ci possano essere eventualmente anche percorsi formativi diversi tra la figura di sostegno e la figura di investigazione o di ricerca di eventuali abusi.

    Vengo a una seconda domanda. Ho visto tutto l’elenco delle possibilità concesse a “X”, così come sono state illustrate nelle slide, e ritengo che tutte queste possibilità poste in capo a “X” siano un po’ troppe e soprattutto in conflitto l’una con l’altra. Forse in alcuni casi possono essere un po’ contraddittorie l’una con l’altra quando si ricerca la vera tutela del minore. Probabilmente anche una divisione di tutte queste possibilità o limitare tutte queste possibilità potrebbe essere di aiuto. Poi magari mi dirà lei la sua opinione. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Magari ascoltiamo anche la domanda del collega Calvano. Poi le do la parola, signora.

    Prego, collega Calvano.

     

    Consigliere Paolo CALVANO. Grazie, presidente. Farò una premessa prima di fare alcune domande. La premessa è questa. Da quando è in corso questa Commissione stiamo ovviamente acquisendo dati, opinioni, ci stiamo tutti facendo un’idea. Io, ad esempio, mi sono fatto due idee, così lei può capire in che modo sto osservando le questioni oggetto di Commissione. La prima è che mi sono convinto che non esista un’adeguata tutela giudiziaria per la famiglia di origine quando ci troviamo in presenza di un allontanamento. Penso che questa sia una di quelle cose – non lo penso solo io, lo pensa anche il Garante nazionale dell’infanzia – su cui sia necessario intervenire. Penso anche una seconda cosa, penso che sia indispensabile che si rafforzi quella norma regionale che noi abbiamo messo nel 2008 che parlava dell’opportunità di far intervenire équipe di secondo livello quando si è in presenza di situazioni critiche, perché le équipe di secondo livello garantiscono, a mio avviso, una terzietà ancor superiore rispetto ad altri e consentono di valutare le situazioni più complicate. Quindi, io ho questo punto di vista. Ci tengo a precisarlo perché non vorrei che poi le domande apparissero incoerenti rispetto a questo, invece, in realtà, sono coerenti.

    Prima domanda. Lei ci ha parlato di 500.000 bambini sotto tutela in Italia e di 50.000 bambini, se non ho capito male, allontanati dalla famiglia. Le chiederei la fonte di questi dati perché la fonte ministeriale a nostra disposizione, datata 2015, per carità, però son passati tre anni, quindi non credo ci sia stata una differenza così sostanziale, parla di 26.000 bambini allontanati. Attenzione, non 26.000 bambini allontanati in modo coercitivo, ma in modo coercitivo o non in accordo con la famiglia addirittura la metà di quei 26.000. Stiamo parlando di una cifra molto lontana da quella che lei oggi ha riportato qui. Le chiedo di dirci qual è la fonte, altrimenti rischiamo di raccontare una realtà che non è quella che vediamo.

    Lei in un passaggio dice che in particolare in Italia il fatto di aver introdotto un sistema di tutela del minore è diventato pericoloso per il minore stesso e puntualizza “in Italia”. Come sono solito fare in questa Commissione, provo a ricordare i dati degli altri paesi, perché detta così sembra che l’Italia sia uno di quei paesi in cui – e parlo di Italia, non di Emilia-Romagna perché il tema, come ha ben detto lei, è di carattere nazionale – i servizi tendono a prendere i bambini e ad allontanarli.

    Il dato italiano, sempre stando a fonti ministeriali, se ci sono altre fonti le recepisco con grande piacere, parla di un 2,6 per mille di allontanati complessivi tra volontari e involontari quando nel resto d’Europa siamo intorno al 10 per mille, cioè quattro volte tanto il dato italiano. Questo non significa che siccome siamo meno degli altri paesi europei siamo a posto, però evidenzia che c’è un tema un po’ più grande che dobbiamo capire come affrontare e anche di questo le chiedo una spiegazione.

    Chiedo anche un’altra cosa. Lei ha sostanzialmente detto, citando alcuni casi o rifacendosi ad alcune realtà, che ci sono affidi che durano troppo. Io le do ragione, nel senso che l’affido viene immaginato con l’obiettivo di aiutare il minore nella sua situazione di difficoltà e soprattutto con l’obiettivo di aiutare la famiglia d’origine, perché l’obiettivo della normativa nazionale e regionale è di ricostruire il nucleo di origine, ed è un obiettivo ampiamente condivisibile.

    Tuttavia, nei casi che ci dice lei sembra quasi che quando c’è un affido è finita, non si torna più in famiglia. Le chiedevo, sulla base di questo, lei ha un dato che ci può essere utile per i lavori di questa Commissione sulla durata media degli affidi? Le faccio questa domanda perché, se prendo alcuni casi singoli, io arrivo a dire quello che dice lei, cioè se un affido dura illo tempore è un problema. Però, se prendo altri casi noto di affidi che durano tre mesi, quattro mesi, noto affidi, stando alla mia esperienza, in cui le due famiglie, quella di origine e quella affidataria, diventano famiglie che insieme affrontano la crescita del bambino, anche una volta terminato l’affido. Siccome non possiamo basarci ognuno sulle esperienze che ha, io rischio di raccontare esperienze di affidi straordinari e lei rischia di raccontarmi esperienze di affidi drammatici in cui il bambino viene portato via da una famiglia d’origine e messo in un’altra famiglia. Ci sono tutti e due i casi. Bisogna che riconduciamo questa cosa ad un’oggettività, perché altrimenti va alla fortuna del singolo capire quale affido ha incontrato, quale situazione di affido ha incontrato.

    Le chiedo se ha un dato che ci evidenzia una durata media degli affidi. Io non ce l’ho a disposizione, ma l’audizione di oggi mi consentirà di chiederlo e di provare a ricercarlo.

    La quarta questione è un po’ delicata, a mio avviso. Lei ha detto che un assistente sociale è bravo finché non entra “in conflitto” con la famiglia, perché si accorge che c’è un problema e quindi da quel momento in avanti diventa controparte.

    Su questo cercherei di fare una disamina un po’ più approfondita, nel senso che, detta così, rischiamo obiettivamente di mettere con le spalle al muro gli assistenti sociali che magari provano a fare il loro mestiere, sempre premettendo il fatto che se c’è qualcuno che non fa il suo mestiere deve smettere di farlo. Questo vale sempre per me dentro le premesse che ho detto all’inizio.

    Anche su questo le chiederei di esplicitare un po’ meglio il concetto, perché altrimenti rischiamo davvero di dire che sono bravi solo gli assistenti sociali che non vedono mai una situazione o che non percepiscono mai una situazione di abuso. È molto pericoloso fare un’operazione di questo genere, perché obiettivamente rischiamo di mettere alla berlina un’intera categoria di professionisti. Ci sarà qualcuno che sbaglia, come in tutte le categorie di professionisti, ma ce ne sono tanti altri che il loro mestiere cercano di farlo nel miglior modo possibile, e io penso che ce ne siano davvero tanti. Anzi, forse, sposando una teoria del collega Taruffi, ne abbiamo troppo pochi di assistenti sociali per il lavoro che devono fare e quindi andrebbe probabilmente rafforzata anche questa figura in termini numerici e quantitativi.

    Per il momento mi fermo qua. Poi, nel caso in cui avessi altre domande, mi riservo di riprendere la parola.

    Grazie, presidente.

     

    Presidente BOSCHINI. Sono già diverse domande. Per cui, do la parola alla signora per le risposte. Cerchiamo di seguirle tutte, sennò poi magari la aiuto a richiamarle. Prego.

     

    DELLAPINA. Grazie per le domande. Partiamo dal discorso degli assistenti sociali. È pericoloso passare il messaggio che ci sono assistenti sociali bravi e assistenti sociali cattivi. Quello che stiamo notando negli ultimi anni è che molti genitori dicono “io non ci vado dall’assistente sociale, io non chiedo aiuto, perché se chiedo aiuto mi tolgono i figli”. Questo è un segnale pericoloso, estremamente pericoloso. Noi dobbiamo dare messaggi chiari e il messaggio chiaro è che l’assistente sociale, nel momento in cui individua un rischio di pericolo, è tenuto a fare la segnalazione.

    Molto spesso le famiglie che invece si rivolgono all’assistente sociale lo fanno perché hanno bisogno di un aiuto, di un conforto, non di un’indagine psicosociale e diagnostica, che tra l’altro temono perché comunque essere messi sotto indagine psicologica non è mai piacevole. In questo senso rispondo anche poi alla domanda della consigliera Sensoli.

    Come associazione abbiamo il dovere di raccogliere le segnalazioni e di portare le istanze nelle varie sedi anche istituzionali, io sono qui per questo, ma non è compito nostro fare le indagini, andare a trovare i numeri. Voi dovreste già sapere quanti bambini sono stati salvati o danneggiati da questo sistema. È proprio un compito di vigilanza della Regione. Noi possiamo venire qui a dirvi che associazioni, movimenti, gruppi ci segnalano una disfunzionalità.

    Dopodiché, tutti gli accertamenti… Ecco perché c’è bisogno che questa Commissione non continui, ma che vada oltre. Questa Commissione deve poter raggiungere gli accertamenti, arrivare agli accertamenti. Siete voi che dovete sapere i numeri. Dovreste già saperli, a nostro avviso. Anche questo, il fatto di non conoscere dati certi è segno che qualcosa non funziona.

    Non so se ci sono altre domande. Nelle risposte mi perdo.

     

    Presidente BOSCHINI. C’era la domanda della collega Sensoli, se può avere senso distinguere la figura…

     

    DELLAPINA. Può avere senso, però io faccio parte di quel mondo delle associazioni di persone molto serie. Credo che prima di mettere le mani a nuove leggi, a nuovi indicatori, si debba passare dagli accertamenti. Quella è la strada. È la strada che vi può portare a rivedere il sistema dei minori per raggiungere la mera tutela del minore e quindi in qualche modo evitare il più possibile i falsi positivi, i falsi ricordi e tutte queste cose che noi abbiamo sempre sospettato e che stanno venendo fuori dall’indagine “Angeli e demoni” che dobbiamo ringraziare. Questi inquirenti hanno fatto un ottimo lavoro, che gli va riconosciuto. Io sento parlare poco di questo. Questi dati e queste investigazioni potranno aiutarci, potranno aiutarvi anche a capire meglio come migliorare e correggere il sistema.

    I bambini vanno tutelati, sempre e comunque. Ci sono abusi all’interno della famiglia, ci sono maltrattamenti all’interno della famiglia, ci sono abusi fuori dalla famiglia e il sistema deve essere perfetto. Non possiamo permetterci errori sulla vita delle persone.

    Vengo ai dati. Ho raccolto dei dati, ce li ho qui nel cellulare. Posso, però, farveli avere. Vi posso far avere la documentazione. Ribadisco, il fatto che voi non abbiate i dati non è, secondo me, una cosa…

     

    (interruzione)

     

    DELLAPINA. Però, non avete i dati degli errori. Voi avete i dati dei bambini allontanati sulla base della segnalazione. La segnalazione diventa probatoria e quindi il bambino dalla segnalazione viene già trattato come una vittima. La segnalazione, però, non è ancora accertamento dell’abuso o del maltrattamento. Quindi, i dati corretti sono quelli che contano i bambini in entrata e quelli in uscita, cioè quelli che vi dicono quanti bambini sono veramente stati salvati e quanti, invece, sono stati danneggiati. Questi sono i dati che vi mancano, perché parlare di dati in senso generale, comparare questi dati così, senza conoscerli bene analiticamente, non dice molto. Che cosa dice?

     

    (interruzione)

     

    DELLAPINA. Dai dati che mi dice lei comunque i bambini danneggiati quali sono? Quanti sono?

     

    (interruzione)

     

    DELLAPINA. Quanti sono?

     

    (interruzione)

     

    DELLAPINA. Quelli ce li ha! Questi bambini li hai allontanati e quindi sono allontanati. Di questi allontanati quanti sono stati salvati e quanti danneggiati? È un dato che non avete. Perché esistono quelli danneggiati? Esistono i falsi positivi? Esistono? Possiamo credere che tutti i bambini allontanati siano stati tutti salvati quando abbiamo, come abbiamo visto, libri, indagini, associazioni, movimenti che dicono invece che c’è qualcosa che non va? Ci sono segnalazioni agli Ordini. Quante segnalazioni agli Ordini sono arrivate qui in Regione negli ultimi vent’anni? Quante? Quante segnalazioni sono arrivate al Garante dell’infanzia? Quante al Difensore civico? Quante sono? Avete questi dati? Questi vi avrebbero fatto capire che qualcosa non funziona. Comunque, la fonte ve la mando, ve la faccio avere.

     

    Presidente BOSCHINI. Se ha poi ulteriori dati o fonti da darci, sicuramente per noi sono fondamentali per valutare la affidabilità.

    Ho iscritta la collega Prodi. Prego.

     

    Consigliera Silvia PRODI. Grazie, presidente. Ringrazio per la presenza la signora Dellapina.

    Visto che parliamo di dati, le chiedo, visto che sono andata sul sito dell’associazione Nidi Violati, ma non mi sembra una associazione, vorrei capire se Nidi Violati è una associazione, quando si è costituita e se esiste uno statuto. Dal sito non mi sembra una associazione. Lei è qui come rappresentante di un’associazione. Non mi è chiaro.

    Vorrei sapere anche quanti sono i membri di questa associazione. Vorrei sapere quanti casi voi avete censito/monitorato, la quantità assoluta. Per capire anche se lei ha delle competenze specifiche in merito, vorrei sapere qual è il suo background. Le persone audite normalmente si qualificano anche in base alle proprie competenze.

    Lei ha parlato di linee guida nazionali. In tutte le Commissioni a cui abbiamo assistito abbiamo capito che non esistono linee guida nazionali ai sensi della legge Gelli del 2016. Mi chiedo se lei ha un dato diverso rispetto al nostro, perché a noi non risulta.

    Dopodiché, sugli indicatori d’abuso vorrei veramente ricordarle che ci sono evidenze scientifiche che invece ci dicono che esistono indicatori di abuso, che non ce n’è uno solo, ma ci sono combinazioni di rilevanze che sono di diverso tipo che possono far pensare a una diagnosi di abuso.

    Vorrei, perlomeno nell’esposizione, invitarla a una rilevazione di punti di vista molto diversi della comunità scientifica. Questa Commissione li sta audendo, ma ai fini anche della conoscenza – non so se ha avuto modo di seguire le Commissioni precedenti – le ricordo che siamo una platea abbastanza svezzata rispetto a questi temi.

    Le rivolgo un’altra domanda. Lei ha parlato di piazze. Ha modo di quantificare il tutto? Mi sembra sempre abbastanza particolare riferirsi alle piazze. Lei ha usato l’aggettivo “sessuofobico”: le chiedo di contestualizzarlo.

     

    Presidente BOSCHINI. Vuole già rispondere? Okay. Si tratta di tre-quattro osservazioni. Può rispondere direttamente. Prego.

     

    DELLAPINA. Nelle slide iniziali ho precisato che la campagna nazionale Nidi Violati è stata sostenuta e fa parte dell’associazione Intesa San Martino di Parma.

    Proprio in queste settimane, anche dopo la vicenda “Angeli e demoni”, stiamo diventando l’associazione “Nidiamo”. L’associazione Intesa San Martino ha un proprio Statuto. Sono decine e decine le persone che si sono rivolte a noi. Abbiamo anche organizzato convegni a Parma con persone, con tecnici esperti. Sul sito trova tutti i riferimenti.

    Abbiamo cercato di seguire genitori e casi per poterli aiutare. La maggior parte delle persone rimane stordita da certe accuse. Molti genitori ci chiedono: “Adesso dove vado a chiedere le informazioni?”. Il vostro presidente ha suggerito di farsi seguire da subito da un legale, ma i legali costano. Molte persone non hanno la possibilità di pagare un legale, quindi si affidano e si appoggiano a noi come associazioni. Il nostro suggerimento è sempre quello di leggere gli atti, quindi di recarsi presso le cancellerie dei tribunali, però molto spesso il genitore sostiene di non avere le competenze per capire cosa c’è scritto. Noi associazioni, quindi, abbiamo anche l’incarico di spiegare la narrazione, la storia di un allontanamento e come può avvenire questo allontanamento, perché molti non riescono a capire.

    Le modalità che in genere abbiamo riscontrato nei casi che abbiamo seguito ‒ e che condividiamo anche con altre associazioni; parliamo di decine di casi, di situazioni ‒ sono, sostanzialmente, due. Io, chiaramente, porto l’esperienza diretta. Abbiamo letto alcuni atti che i genitori ci hanno consegnato. Io non posso consegnarli a voi, chiaramente. Sostanzialmente, le modalità di allontanamento sono due. La prima modalità riguarda il 403: tu vai a scuola, vai a prendere tuo figlio, non lo trovi più e, alla fine, ti chiedi che cosa è successo. Solo dopo mesi riesci a capire, perché dopo circa sei mesi puoi accedere agli atti, se hai un legale che ti assiste. L’altra modalità è quella, invece, di chiedere aiuto al sistema degli assistenti sociali e, alla fine, a un certo punto, sulla rilevazione di alcune osservazioni e indagini psicosociali, entri nel bussolotto dell’affido. Questi sono i due tronconi.

    Queste persone che vengono a chiedere aiuto sono persone pulite. Le persone che delinquono lo sanno, sanno anche come fare per evitare la giustizia, come diceva prima il consigliere. Noi abbiamo un riscontro oggettivo su questo. Dopo “Angeli e demoni” abbiamo avuto pressioni per costituire un’ulteriore associazione ad hoc su queste tematiche.

    Non ricordo le altre domande.

     

    Presidente BOSCHINI. Quella sugli indicatori di abuso, se lei esclude a priori che ci sia non un singolo, ma combinazioni di indicatori in grado di far pensare ‒ non rendere automatica, ma far pensare ‒ a una diagnosi.

     

    DELLAPINA. Anche in questo caso, la cosa corretta da fare è aprire quei faldoni, studiare e fare accertamenti su come sono stati incardinati alcuni falsi. È lì che si trova la risposta a queste domande. Studiando e analizzando la questione si trovano risposte. Non ci si può basare su percezioni. Ha perfettamente ragione lei.

    L’accertamento è la prima cosa che questa Commissione deve chiedere. L’accertamento di quei casi che sono stati assolti laddove il fatto non sussiste, laddove il giudice ha stabilito che archivia perché la notitia criminis non regge. Lì è sicuramente da ricercare un falso o un qualcosa che non ha funzionato nel sistema. Per cui questi bambini sono stati allontanati ingiustamente, perché non c’era il pericolo.

    I bambini vanno allontanati su fatti realmente accaduti, perché lì il bambino è vittima e lì entra in un percorso di psicoterapia che lo può aiutare. Se il bambino non ha subìto l’abuso ed entra in un percorso di psicoterapia per abuso viene danneggiato.

     

    Presidente BOSCHINI. C’era anche l’osservazione sulle piazze. Era una domanda, collega Prodi, quella sulle piazze?

     

    DELLAPINA. Le mie competenze, rispetto all’infanzia, riguardano 300 bambini da me seguiti in tutti questi anni. Io sono insegnante. Li ho seguiti dal punto di vista cognitivo (ho studiato, ho dato l’esame di psicologia e di neurologia) e anche dal punto di vista dell’associazione, quando mi sono avvicinata a questo mondo pensando che non potessero incardinarsi dei falsi e allontanare dei bambini sulla base di ipotesi e non di certezze.

    Spero che questo vi basti. Diversamente, mi dispiace. In ogni caso, sono qui per testimoniare un lavoro fatto dal mondo del volontariato che probabilmente, da quello che capisco, non è arrivato a voi.

     

    Presidente BOSCHINI. Vedo iscritti il collega Calvano, non so se per ulteriori domande, e i colleghi Callori e Bertani. Prego, collega Calvano.

     

    Consigliere CALVANO. Grazie, presidente. Lei invitava noi a raccogliere i dati. Le posso assicurare che alcuni li raccoglierò, se esistono. Il tema degli osservatori è un tema reale e lo abbiamo già approfondito in questa Commissione prima di questa audizione. Invito lei a fare altrettanto, però. Mi permetta.

    Con lo streaming abbiamo persone che ci seguono a casa. Da parte sua queste persone hanno sentito dire che in Italia c’è mezzo milione di bambini sotto tutela. Lei ci ha detto che...

     

    (interruzione)

     

    Consigliere CALVANO. C’è scritto “sotto tutela”. Nella slide c’è scritto...

     

    (interruzione)

     

    Consigliere CALVANO. Bisogna stare attenti, però. Un bambino in carico ai servizi sociali è un bambino dislessico che a scuola fa fatica e viene seguito da qualcuno? Cavolo! Per fortuna che è in carico ai servizi sociali. Se mia figlia avesse questa sfortuna io sarei ben contento di avere un sistema pubblico in grado di aiutarla a superare un problema di dislessia. Non sarei contento se avesse difficoltà di apprendimento, ma sarei ben contento di avere un sistema pubblico in grado di aiutarla a migliorarsi e a recuperare.

    La questione è molto delicata. Se ai 500.000 aggiungiamo i 50.000, che sono numeri ben più alti di quelli ufficialmente detti dalle istituzioni, diventa fondamentale chiarire questo aspetto. Glielo dico perché mi pare un tema non irrilevante.

    Facendo le mie solite premesse, nelle quali credo, penso che il problema lo avremmo anche se ci fosse un solo bambino in tutta Italia allontanato illegittimamente dalla famiglia. Il problema ci sarebbe anche se ce ne fosse uno solo. Così sgombriamo il campo. Io sono altrettanto convinto, ma spero su questo che lei sia d’accordo, che se c’è un solo bambino che non ci accorgiamo essere maltrattato in famiglia e che viene lasciato in una famiglia in cui corre dei pericoli anche quello sia un problema della stessa identica natura. Portare via un bambino illegittimamente da una famiglia è una cosa aberrante, ma lasciare un bambino in una famiglia in cui corre un pericolo di vita è altrettanto aberrante.

    Se non chiariamo questo punto di vista, rischiamo di dare una lettura che porta ad analizzare i numeri che lei ci ha dato ‒ che a me non tornano, ripeto, quindi attendo nei prossimi giorni i numeri che lei ufficialmente ci manderà ‒ con occhi un po’ diversi da quelli che dovremmo utilizzare.

    Aggiungo una cosa. Io le ho chiesto la durata media dell’affido ben consapevole di non avere un dato. Quando io non ho un dato, come in questo caso non lo ha lei, non mi permetto di dire che gli affidi sono tutti esclusivamente temporanei, come dovrebbe essere. Non lo dico perché non ho il dato che me lo dice. Questo vale anche per chi ritiene che gli affidi siano generalmente non temporanei. Se uno me la pone così vuol dire che ha un dato che glielo dice. Ecco perché io le chiedo il dato. Sono convinto di doverlo avere io, ma non mi azzardo a pronunciarmi su un elemento generale se non ho il dato generale. Mi limito a dire che, laddove ci sia un affido che non ha gli elementi di temporaneità che dovrebbe avere, eccetera, è bene tenere un occhio di attenzione, perché l’obiettivo della legge regionale e nazionale, con tutte le lacune che, soprattutto a livello nazionale, ci sono, è quello della ricostruzione del nucleo originario della famiglia, sul quale troverà nel sottoscritto sempre un grande difensore.

    Il concetto, però, che l’istituto dell’affido si sta trasformando in un passaggio di bambini da una famiglia all’altra credo debba essere espresso con cautela, con molta cautela. Ripeto: la mia esperienza è di centinaia di affidi, che conosco personalmente, che hanno avuto una durata temporanea e che sono andati a buon fine. È un’esperienza mia, però, che non elevo a situazione generale. Elevo a esperienza personale, che racconto in quanto tale. Altrimenti dovrei dire che gli affidi funzionano tutti alla stragrande. Invece non lo dico, perché sono consapevole che, anche in presenza di un affido che non funziona adeguatamente, io non sono nelle condizioni di dire che l’affido funziona alla stragrande. Sono nelle condizioni di dire che so che in moltissimi, centinaia, migliaia di casi ‒ perché li conosco ‒ si è trasformato in un istituto, in un aiuto che ha salvato la famiglia d’origine, così come il bambino.

    Ci tenevo a questo aspetto. Non vorrei che passasse il messaggio che noi non abbiamo dati e che non li cerchiamo. Quando non abbiamo dati ‒ almeno il sottoscritto ‒ cerchiamo di non generalizzare. Chiedo agli interlocutori di fare altrettanto, altrimenti inizia una battaglia sulle conoscenze che ognuno di noi ha personalmente, che sono, ovviamente, conoscenze molto diversificate e che, quindi, portano a volte anche a conclusioni diverse.

    Le faccio un’ultima domanda. Queste erano più considerazioni, però ci tenevo a chiarire questi aspetti. Lei ci dice che c’è un rischio di non giudizio adeguato da parte dei soggetti che prendono in carico i minori e che guardano la situazione della famiglia, e che, quindi, questo è un problema. Bene. Le ripeto, io sono uno di quelli che ritiene che l’équipe di secondo livello debba essere attivata spesso e con una certa attenzione, cosa che purtroppo non è avvenuta, nonostante la legge regionale su questo fosse stata lungimirante nel 2008. Lei, poi, ci dice che anche laddove ci sono state sentenze che hanno, purtroppo, confermato l’analisi dell’assistente sociale o dello psicologo o dell’équipe che ha considerato il caso, anche quelle sentenze forse sono da rivedere. Bene. Quindi, quando c’è la verità? È una domanda che faccio a lei perché non è di poco conto. Potremmo trovarci nella condizione ‒ come dice lei e come a volte è successo ‒ di bambini che vengono allontanati quando non devono essere allontanati, ma possiamo trovarci anche nella situazione di bambini che dovevano essere allontanati e non vengono allontanati, e poi quei bambini, purtroppo, non li vediamo più.

    A mio parere, bisogna avere equilibrio su entrambe le situazioni, altrimenti rischiamo di perdere di vista la tutela del minore.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Proviamo a contenere i tempi, altrimenti ci allunghiamo molto. Prego, collega Callori.

     

    Consigliere Fabio CALLORI. Grazie, presidente.

    Ringrazio la rappresentante dell’associazione. Vorrei iniziare sgombrando il campo delle assistenti sociali brave e cattive. Parlo per me, ma penso di parlare anche per altri: mai nessuno in questa sala si è permesso di fare elenchi di assistenti brave e di assistenti cattive. A me infastidisce molto anche sentire alcuni assistenti sociali che parlano in modo non corretto. Le faccio un esempio. Mi riportavano che qualche giorno fa una assistente sociale in pensione si è lamentata notevolmente: “Io sono la prima assistente sociale a lavorare nei Comuni e voi non dovete permettervi in Commissione di parlare in un certo modo”. Noi in Commissione diciamo innanzitutto quello che vogliamo dire. Se questa è una Commissione d’inchiesta, è anche una Commissione che deve cercare di capire dove c’è l’errore. Come ci sono bravissime assistenti sociali, ce ne sono alcune che non hanno lavorato bene. Questo è innegabile e lo determinano anche le carte che sono al vaglio dei tribunali. Questo per sgombrare il campo degli assistenti sociali. Ci tengo a fare chiarezza su questo punto.

    C’è un’altra cosa che mi interessava chiederle e sottolinearle. Leggevo nel vostro sito che la campagna nasce nel 2015; si è occupata di contrastare il fenomeno degli allontanamenti coatti dei minori dalle famiglie d’origine; è stata fatta un’audizione presso la Bicamerale infanzia e adolescenza nell’ottobre 2017. Mi sembra di leggere quello che è avvenuto in questo periodo per quanto riguarda i minori. Le domande sono queste. Dall’audizione fatta nel 2017 ad oggi cosa è cambiato? Se avete fatto un’audizione ‒ non ho ancora avuto il tempo di leggere la relazione ‒ penso che abbiate segnalato anomalie presenti nel sistema, come si sta facendo oggi. Da allora ad oggi è cambiato qualcosa o è rimasto tutto inalterato? Perché le faccio questa domanda? Se nel 2015 voi siete nati come associazione per denunciare questi fatti, nel 2017 siete andati alla Bicamerale in Parlamento per denunciare queste cose e ad oggi non è successo niente e se adesso abbiamo una Commissione d’inchiesta regionale e dovrebbe esserci una Commissione d’inchiesta anche parlamentare, che vedremo se e quando partirà, mi pongo una domanda. Nella relazione che faremo alla fine emergeranno le anomalie di un sistema, che dovranno essere corrette. Chiaramente, se le lasciamo come sono non si risolve il problema, ma si rigenera. Dal 2017 ad oggi è cambiato qualcosa o, in base a quello che voi avete detto, non è cambiato nulla?

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, signora Dellapina, se vuole cominciare a rispondere sia alla domanda di Calvano che a quella di Callori.

     

    DELLAPINA. Vado sempre rispondendo dall’ultima in su.

    Dal 2017 ad oggi non è cambiato niente. La relazione della Commissione tra l’altro è stata ferma molto tempo. Le cose che sono state denunciate nei vent’anni, perché sono vent’anni che arrivano segnalazioni… Voi avrete anche modo di poterle chiedere al vostro Garante dell’infanzia, al Difensore civico, sono arrivate da parte di genitori, di associazioni, quindi anche il lavoro della Commissione che ha portato alla luce tutto quello che anche l’indagine investigativa di “Angeli e demoni” ha confermato, non ha prodotto nessun cambiamento nel sistema. Ecco perché secondo me questa Commissione non deve allungarsi nel tempo, ma deve andare oltre e chiedere diversi accertamenti: proprio per avere quei dati che sono stimati. Perché sono stimati i 500.000 e i 50.000? Perché c’è tutto uno spezzettamento di numeri, che poi sono fermi al 2014, qualcuno si è mosso al 2016, e poi ci sono delle indagini anche retroattive di un anno. Quanto alle indagini retroattive di un anno, in un anno un bambino non va neanche a incidente probatorio: come facciamo a capire, analizzando i dati retroattivi di un anno, se ci sono state delle disfunzionalità? Non abbiamo ancora l’iter, per quello noi chiediamo che partano dagli anni Novanta, perché lì avrete un trend, potete veramente capire che cosa è successo e che cosa non è successo per evitare alcune cose. Il suggerimento che voglio dare a nome delle associazioni, quindi, è quello di procedere con la richiesta di accertamenti.

    Per quello che riguarda i dati, posso dire che sono dati stimati. Sono dati stimati perché c’è una frammentazione di dati che effettivamente non porta a… Anche questo è un problema per chi vuole effettivamente lavorare in un certo modo. Perché alcuni dati sono fermi al 2014? Non si sa, non è dato saperlo.

    Per quello che riguarda gli affidi, forse mi sono espressa male: io non ho capito la domanda sugli affidi temporanei. La nostra preoccupazione è un’altra: è il fatto che il bambino venga tolto dalla famiglia e messo in affido eterofamiliare solo sulla base di una segnalazione. Qui rischia di rimanere per anni, e addirittura di non vedere più la famiglia, quando poi magari dopo cinque, dieci, vent’anni, si accerta che il fatto non sussiste. Quindi, non c’è il fatto provato, reale, che doveva motivare l’allontanamento del minore. La parte della segnalazione, secondo noi, che è la più scoperta, va in qualche modo analizzata, per poter creare, come diceva il consigliere, uno spartiacque dalla segnalazione. Poter dividere quelli che sono effettivamente dei dati di rischio e di pericolo per il bambino e quelli invece che sono dati soggettivi, che sono riconducibili magari a un disagio o a uno stato di malessere generale. Questa cosa non si fa e porta a dei rischi.

    Spero di aver risposto.

     

    Presidente BOSCHINI. Mi pare di sì. Poi non ho ulteriori iscrizioni. Do la parola al consigliere Bertani. Se non ci sono nuove iscrizioni è l’ultimo giro che facciamo per la signora Dellapina.

     

    Consigliere Andrea BERTANI. Grazie, presidente.

    Intanto la ringrazio per la sua presentazione. Io cerco di cogliere gli aspetti che secondo me sono un contributo importante alla nostra riflessione. Intanto, una riflessione coi colleghi: non è che tutte le volte che abbiamo un audito dobbiamo fare le analisi del sangue, mettendo in dubbio i dati o le affermazioni che vengono fatte, come abbiamo detto anche altre volte. Cerco di cogliere degli spunti che sono interessanti, spunti, fra l’altro, che già ci sono arrivati, e che mi sembra che già tanti consiglieri abbiano colto. Questa stessa relazione mi sembra che sia stata fatta anche nel 2017, in audizione in Commissione parlamentare dell’infanzia e dell’adolescenza. E lì non mi sembra che siano stati sollevati i dubbi che sono stati sollevati oggi.

    Tolto questo, che è un discorso più nostro, interno, mi interessa il tema dei dati. Il dato dei 500.000 e dei 50.000, rispetto ai dati che noi fino ad oggi abbiamo sentito, effettivamente mi ha colpito, quindi certe affermazioni vanno supportate sicuramente meglio. Mi piacerebbe avere, se poi ce la fa avere, la ricerca dell’Università di Padova che lei citava. Però il tema dei dati sicuramente c’è. Anch’io ho cercato di capire: anche solo dal punto di vista del dato contabile, abbiamo visto che la Regione non è in grado, in questo momento, di darci una risposta. Noi in questo momento sappiamo che la Regione finanzia i piani sociosanitari tout-court, gira i soldi ai Comuni per i piani, e o alle Unioni dei Comuni, però non abbiamo una rendicontazione precisa di come questi vengono spesi in consulenze esterne, in sostegno alle famiglie affidatarie, o in spese alle strutture. Questo già è un segnale che effettivamente su questo c’è molto da fare. Come pure il tema dei dati del numero di bambini allontanati, o delle segnalazioni delle famiglie, che in qualche modo o vorrebbero fare il corso, o segnalano anche solo alle associazioni… Il tema, questo è grave, e io concordo, che ci dice che degli assistenti sociali c’è una parte di famiglie che non si fida perché percepisce l’assistente sociale come colui che interviene sulla famiglia allontanando i bambini, è un tema importante. Anche su questo, la testimonianza delle associazioni, ne abbiamo sentite altre, è ovvio che è una visione parziale, perché alle associazioni si rivolgono quelli che vivono questa situazione, una situazione di sofferenza. Che poi ci sia un allontanamento giusto, o un allontanamento sbagliato, è fatica discriminarlo. Però, almeno la fetta di visione di realtà che ci portano è quella, e io penso che dobbiamo raccogliere lo spunto che ci deriva, perché sapere, anche qui, il solito equilibrio, concordo, che i servizi sociali ci servono per salvare i bambini che effettivamente sono in una situazione di maltrattamento, abbandono e abuso, ma anche sapere che ci sono dei casi, e questi casi dai quali è scaturita anche questa Commissione ci sono, e ci dicono che ci sono degli allontanamenti che sono dei falsi positivi, che o derivano da dolo, o che derivano da non capacità degli assistenti sociali, insufficienza del numero, over segnalazione o comunque over valutazione di alcuni segnali, è un tema che c’è. Noi quindi dobbiamo capire come risolverlo. Su questo purtroppo di dati non ne abbiamo. Quindi, sapere quante segnalazioni sono arrivate al Garante, anche da parte di famiglie che ritengono di essere state ingiustamente colpite da un provvedimento di allontanamento, al Difensore civico, o anche solo alle associazioni. Questo dato difficilmente lo sappiamo, e anche a livello nazionale, avere il numero, a posteriori, dei casi che si sono risolti con un’archiviazione, anche questo è un dato che purtroppo non abbiamo.

    Secondo me quindi il tema dei dati è un tema importante, che dobbiamo affrontare. E lo spunto di oggi secondo me è questo. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Io ho ancora Rancan. Dopo Rancan chiudiamo.

     

    Consigliere Matteo RANCAN. La mia, presidente, non è una domanda, ma è più che altro una considerazione.

    Premessa: ribadisco e ringrazio il collega Callori per aver sollevato l’argomento. Eravamo presenti entrambi quando ci è stata segnalata questa questione. Fondamentalmente, per quanto riguarda gli assistenti sociali, non c’è nessuno, qui, che vuole dividere il mondo tra buoni a cattivi. Io parto dal presupposto che l’assistente sociale se è lì e ricopre quel ruolo, comunque abbia la competenza e la capacità di svolgere il ruolo per il quale è stato chiamato, per il quale comunque sta lavorando. Ovviamente anche gli assistenti sociali sono persone che verranno valutate, che vengono valutate sul loro lavoro. Sicuramente quindi ci sarà chi è più bravo, chi è meno bravo, chi magari fa qualche sbaglio, qualche errore, qualcuno magari anche in malafede, determinate volte; ma non è che si vuole dividere gli assistenti sociali tra buoni e cattivi. Anche gli assistenti sociali sono persone, quindi sappiamo bene come si comportano poi di conseguenza.

    Questo proprio perché c’è stato – questo è un inciso con cui esco un po’ dal seminato – questo evento dove un ex assistente sociale ormai in pensione ha riportato, in modo anche abbastanza duro: “voi in Commissione, di Bibbiano non dovete parlare degli assistenti sociali, perché gli assistenti sociali…”, quasi per dire “lavatevi la bocca quando parlate degli assistenti sociali”, come se noi non potessimo parlare di questa categoria. Questo ci ha un po’ messo sul chi va là. Quando si millanta “io sono stata la prima a venire a lavorare in questo Comune…”, quando uno si crede sempre più bravo degli altri, molte volte ci sono dei problemi. Abbiamo visto cosa accade a chi si crede il primo della classe, essendo anche un po’ supponenti e arroganti: forse è meglio che venga detto dagli altri se uno è davvero bravo, piuttosto che continuare a esaltare il proprio ego in questo modo.

    Detto questo, aggiungo sola una cosa ricollegandomi a quello che ha detto il collega Bertani. Io non sono solito guardare chi invita chi nelle audizioni. Capisco chi invita chi, perché poi, dall’altro lato della barricata, quando si bombarda di domande qualcuno dalla parte opposta, si capisce chi ha invitato chi. A me dispiace un po’ che troppe volte si arrivi a questo giochino dove si vuol fare le pulci a chi, come, quando, il curriculum, eccetera. Se no va a finire che tutte le volte siamo punto e a capo, è già successo varie volte. A me questa cosa dispiace, ma lo dico come linea generale, perché so che lei è qui come volontaria, nei fatti. Anzi, io la ringrazio per il suo tempo, perché al di al di là di tutto è venuta, immagino che magari non sia facile parlare davanti a una Commissione, dove certe volte si vuol fare anche fin troppo da chissà cosa, filosofeggiando, eccetera. La ringrazio per il suo tempo, quindi, come ringrazio per il loro tempo chiunque è venuto qua, sia tecnici che volontari, perché non è ovviamente facile.

    Dico ai colleghi che è inutile – volevo farlo nelle comunicazioni finali, però purtroppo sono stato sollecitato – continuare a chiedere quali sono le sue competenze, perché sappiamo benissimo che l’Ufficio di Presidenza della Commissione, a prescindere dalla persona che invita, ha già dato l’okay, ha già fatto una scrematura e ha dato il suo benestare a tutte le audizioni. Io quindi do per scontato che chi viene qua a parlare possa avere titolo e competenze nell’ambito in cui viene, per farlo. Questo per eliminare questa sfumatura secondo la quale bisogna far notare che qualcuno che viene qui non abbia le competenze. Altrimenti, lo dico anche all’Ufficio di Presidenza come sollecitazione, non invitiamolo, altrimenti cosa stiamo qua a fare?

     

    Presidente BOSCHINI. Non so se la signora Dellapina ha qualcosa da rispondere, in chiusura. Erano più considerazioni, queste ultime. Se vuole aggiungere qualcosa, prego.

     

    DELLAPINA. Vi ringrazio per l’attenzione.

    Non ho altro da aggiungere. Vi auguro buon lavoro. Non sarà facile.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Naturalmente, anche a lei.

     

    -     Audizione della Comunità Papa Giovanni XIII

     

    -     Eventuale dibattito e discussione

     

    Presidente BOSCHINI. Mentre facciamo entrare, per la seconda audizione, l’associazione Papa Giovanni XXIII, approfitto, anche in risposta all’osservazione che faceva adesso il collega Bertani, per dire che è arrivato, proprio in corso di seduta, il documento che era stato anticipato dagli uffici di bilancio, quindi dal dottor Pignatti, eccetera, con anche dati specifici sulla Val d’Enza. Lo trasmetteremo a breve, appena fisicamente lo avremo revisionato per l’invio.

    Facciamo accomodare la Giovanni XXIII, per procedere alla seconda e ultima audizione della giornata.

    Buonasera. Prego, potete accomodarvi qui.

    Sono con noi il signor Daniele Severi e l’avvocato Annalisa Chiodoni, in rappresentanza della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il tema che era stato loro affidato per questa audizione è il seguente: “Informazioni sul sistema degli affidi in Emilia-Romagna dal punto di vista delle comunità di accoglienza”. Qui abbiamo appena sentito il punto di vista delle famiglie genitoriali di origine; ora ascoltiamo il punto di vista delle comunità di accoglienza.

    Chiedo ai rappresentanti della Comunità Giovanni XXIII se vogliono introdurre, se preferiscono fare una breve introduzione e presentazione. Ci hanno portato un documento che credo sia stato or ora distribuito.

    Chiedo se preferiscono introdurre brevemente cinque minuti, veramente, il documento, per poi passare eventualmente alle domande dei commissari.

    Do la parola al signor Severi. Prego.

     

    Daniele SEVERI, responsabile Comunità Papa Giovanni XXIII. Grazie per questa opportunità che ci date.

    Tra l’altro, nella premessa dobbiamo dire che siamo anche marito e moglie, al di là dei ruoli, e viviamo dentro una delle varie case-famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Intanto, dicevo, è un’opportunità essere qui questa sera, e quindi poter anche raccontare quella che è stata l’esperienza e quello che è il contributo che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha dato in questi cinquant’anni di vita della comunità e a favore dei minori e delle loro famiglie.

    La nostra comunità, se la dovessimo sintetizzare, potremmo dire che ha come cavallo di battaglia quello di dare una famiglia a chi non ce l’ha. È una comunità riconosciuta dalla Chiesa, è un ente ecclesiastico, il nostro, fondato da don Oreste Benzi. La prima nostra casa-famiglia è nata a Rimini, dove siamo partiti proprio con l’accoglienza dei bambini e dei minori. Oggi è presente con 500 realtà in tutto il mondo. La principale nostra realtà è quella della casa-famiglia, noi diciamo la vera casa-famiglia, una casa-famiglia al cui interno vivono una mamma e un papà, con i propri figli naturali, e accolgono persone che non hanno la possibilità di avere una famiglia.

    La nostra casa-famiglia è una realtà socioassistenziale, una multiutenza complementare, per cui all’interno accogliamo sia minori, ma anche adulti, adolescenti, o anche bimbi con disabilità. In questo momento in Emilia-Romagna abbiamo 96 strutture di accoglienza, di cui 64 sono case-famiglia. Le persone accolte in Emilia-Romagna ad oggi sono 544, di cui 99 sono minori. Il 14 per cento di questi minori ha una disabilità. Inoltre, sono presenti, sempre come realtà della comunità Papa Giovanni nella Regione Emilia-Romagna, 33 famiglie affidatarie.

    La nostra comunità, proprio operando in tutta Italia, in tutto il mondo, perché le nostre realtà sono presenti in tutti e cinque i continenti, non solo accoglie le persone, ma lotta anche per promuovere i diritti delle persone. Questo ha fatto sì che don Benzi sia stato impegnato in questi cinquant’anni in prima linea, proprio nella definizione della legge, quella che poi è stata la 184 dell’83, e le leggi successive, nondimeno anche tutta la promozione per la chiusura degli istituti, dove don Benzi per anni ha fatto tutto un lavoro, a livello politico, istituzionale e a livello di collaborazione con gli altri enti a livello nazionale.

    Oggi vorremmo anche portarvi il documento a cui abbiamo allegato anche cinque proposte che riteniamo importanti, necessarie da mettere a fuoco. Una prima proposta che abbiamo messo nel documento è quella della prevenzione. A tal proposito, abbiamo un progetto pilota proprio qui in Emilia-Romagna, a Forlì, dove io e mia moglie ci viviamo anche dentro, che è il “Villaggio della Gioia”, una struttura riconosciuta dalla Regione Emilia-Romagna e dal Tribunale per i minorenni di Bologna, al cui interno vivono tre case-famiglia, insieme ai loro figli naturali, e accogliamo famiglie intere. Perché questo? Il Villaggio della Gioia è un’evoluzione delle case-famiglia. Infatti, abbiamo visto che, per quanto tante volte è necessario l’allontanamento, non sempre è il desiderio del bambino. Il desiderio più profondo di ogni bambino è quello di poter stare con mamma e papà. Allora abbiamo creato questa realtà dove accogliamo l’intera famiglia, per evitare, laddove è possibile, l’allontanamento dei minori dai loro genitori. Questo fa sì che al Villaggio della Gioia abbiamo tre case-famiglia, ma anche sei appartamenti, dove vivono sei famiglie in sei nuclei familiari. Sono nuclei mandati dai servizi sociali, per i quali c’era una forte criticità sulle capacità genitoriali, e al Villaggio della Gioia fanno dei percorsi di recupero sia sulla genitorialità sia per quanto riguarda il rapporto di coppia. In quale maniera? Attraverso un percorso soprattutto di vicinanza con le case-famiglia, che diventano a loro volta educanti delle famiglie. È davvero bello il lavoro tra i figli naturali e questi bimbi che vivono insieme, perché c’è una comunanza.

    Abbiamo anche altre proposte, che chiedo alla collega di presentare.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego.

     

    Annalisa CHIODONI, avvocato Comunità Papa Giovanni XXIII. Grazie.

    Le proposte, comunque, le trovate nei documenti. Noi, in primo luogo, vogliamo dire che crediamo molto nel primo comma dell’articolo 1 e, quindi, nello spirito normativo della legge sull’affidamento, e cioè il diritto del bimbo a vivere e crescere, e non solo ad essere educato, dentro la famiglia naturale. Crediamo che sia un diritto importantissimo, fondamentale per i bimbi, dal momento che nelle esperienze di questi vent’anni, anche come coppia genitoriale, di affidamento abbiamo visto che, per quanto possiamo sforzarci in tutti i modi di essere famiglie sostitutive laddove c’è una nevralgia o una fragilità, il grande desiderio del bimbo è quello di crescere e di rimanere dentro la propria famiglia naturale. A volte – lo dico forse anche in maniera provocatoria – abbiamo visto che una famiglia naturale fragile è meglio di una famiglia affidataria con tutte le professionalità che la legge richiede. Per quanto noi cerchiamo di svolgere il nostro ruolo al meglio per accogliere questi bimbi, comunque il loro desiderio più grande è quello.

    Proprio nell’ottica della prevenzione, quindi, abbiamo steso alcuni suggerimenti per quelle che sono state le nevralgie che abbiamo visto in questi lunghi anni, sia criticità che abbiamo visto nel funzionamento del Tribunale per i Minorenni, sia criticità che abbiamo visto nell’operato dei servizi sociali, che comunque non devono mettere in ombra le tante buone prassi che si sono sviluppate in Emilia-Romagna.

    Apro e chiudo una piccola parentesi. Ringraziamo questa Regione per averci concesso la sperimentalità del Villaggio della Gioia, perché non era così semplice ottenerla, sensibilizzarla a una nuova cultura, che è quella di evitare l’allontanamento e prevedere decreti del tribunale per i minorenni che non vedano più mamma e bambina e struttura, ma che prevedano mamma e papà e struttura, che è un inedito, un progetto pilota a livello nazionale, per il quale ringraziamo questa Regione. Speriamo di finire la sperimentazione. È già il quarto anno che ci sperimentate. Effettivamente, per noi è un progetto molto valido.

    Alcune criticità le abbiamo viste anche noi, anche in questi anni. Sull’operato che possiamo promuovere oggi, è un operato di buona prassi. Abbiamo visto che, laddove, in particolare a Rimini, si è creata una rete di funzionamento tra il servizio sociale e le associazioni che operano sull’affido nel monitoraggio delle famiglie affidatarie e negli abbinamenti, il rischio che ci sia una arbitrarietà eccessiva nel fotografare la situazione di crisi della famiglia naturale è molto più lenito. Per esempio, nel Villaggio della Gioia siamo otto in équipe a studiare e a cercare di far fronte alla singola famiglia affidataria e molto spesso tutte le sfaccettature, tutte le criticità, ma anche tutte le positività di una famiglia naturale sono molto difficili da individuare, quindi diventa molto difficile avere uno sguardo critico. Immaginiamo se questo debba essere fatto soltanto da un assistente sociale. Ci rendiamo conto che, a volte, il servizio sociale, per carenza di organico e anche per come è strutturato oggi, fa fatica, nella veste di una singola assistente sociale, a capire tutte le dinamicità di una famiglia naturale. Così come fa fatica, dal nostro punto di vista, ad avere quella neutralità, ma soprattutto quella professionalità e quello sguardo profondo che, invece, sono necessari nel momento in cui si va a comprimere il diritto naturale del bambino a vivere nella famiglia.

    Le reti sono buone prassi molto importanti. Il nostro desiderio sarebbe, in primis, che il servizio sociale operi in équipe e non più singolarmente con l’assistente sociale. Tuttavia, laddove c’è un caso di criticità, a volte abbiamo visto che la famiglia naturale è un po’ trascurata: si allontana il bimbo, si fa il progetto di tutela nella famiglia affidataria o nella casa-famiglia del bambino, ma la famiglia naturale, che magari era già fragile, rischia di sgretolarsi, e sulla famiglia naturale si lavora poco. Si potrebbe lavorare molto di più.

    Noi, quindi, suggeriamo innanzitutto che si formino due équipe. Quando il bambino viene allontanato dalla propria famiglia naturale, è necessaria una équipe del servizio sociale in rete, se vuole, con le associazioni che operano sui minori, ma anche una seconda équipe che lavori sulla famiglia d’origine; diversamente, la famiglia d’origine, se prima era già fragile, dopo la troviamo ancora più fragile, se non si incide in maniera molto energica e non ci si lavora. Questo potrebbe essere un aspetto di fragilità, che soltanto con lo sdoppiamento dell’équipe si potrebbe migliorare.

    Così come abbiamo visto che scelte politiche importanti potrebbero fare la differenza. So che questa Regione, per esempio, ha fatto una campagna intitolata “La casa popolare non è per sempre”, nel senso che ha cercato di rivedere i criteri di assegnazione delle case popolari. Allo stesso modo, io dico che “l’affido non è per sempre”, perché il desiderio della fede è l’atto d’amore gratuito per eccellenza, “accolgo questo bimbo perché possa tornare a casa sua”, “accolgo questo bimbo perché quella famiglia si possa riprendere”, e allora sarebbe opportuno fare scelte politiche come quelle di prevedere, per esempio, un punteggio o una corsia preferenziale per le famiglie che hanno dei decreti in essere, così come avviene per le case popolari, dove si ha un punteggio in più se si ha uno sfratto esecutivo. Ma, allora, perché non assegnare un punteggio in più o una corsia preferenziale a chi manca la casa dove crescere il proprio figlio? Quindi, si potrebbe provare a pensare che la famiglia naturale che ha un decreto esecutivo di allontanamento del bambino possa avere degli strumenti operativi subito, una lista dedicata negli uffici di collocamento, un punteggio dedicato non solo a chi ha lo sfratto esecutivo, ma anche a chi ha il provvedimento esecutivo che gli ha tolto il proprio figlio.

    Questa è un’altra delle scelte politiche che cerchiamo di proporre, perché abbiamo visto che la famiglia fragile ha bisogno di un’équipe che lavori sulle capacità genitoriali, ma ha bisogno anche di un lavoro, ha bisogno di una patente. Anche recentemente, su mandato dell’assessore della mia città, Forlì, sono andata a chiedere degli aiuti economici, che possono essere anche un bonus patente. Quindi, sarebbe opportuno che ogni Comune, ma anche la Regione preveda dei fondi, perché genitori che hanno il bambino sotto decreto possano avere degli aiuti concreti, possano raggiungere un’autonomia concreta. Le famiglie che vengono da noi, al Villaggio della Gioia, hanno questa come priorità, innanzitutto la patente. La patente è uno scoglio importante, perché con la patente io posso avere molte più opportunità di lavoro. Poi ho il problema del reperimento del lavoro e il problema della casa.

    Queste sono scelte politiche, ma sono scelte importanti, che stanno nelle mani di chi ci governa, affinché concretamente una famiglia fragile sia monitorata dal servizio sociale, ma anche dalle amministrazioni. I servizi sociali cercheranno di supportarla, ma con delle buone leve perché quella disuguaglianza sociale che esiste tra ricchi e poveri, tra persone agiate e persone disagiate possa essere riequilibrata.

    Lascio spazio a voi, anche perché il resto lo trovate nel documento. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille. Ho iscritti i colleghi Galli e Bertani. Quindi, do la parola al collega Galli. Prego.

     

    Consigliere Andrea GALLI. Grazie. La vostra spiegazione è stata molto chiara ed è stata una delle poche pagine che mi fanno pensare che ci sono speranze per risolvere questo problema. La domanda che vi faccio, in realtà, è una domanda di esperienza. Dalla voce degli assistenti sociali che abbiamo sentito alla vostra impostazione c’è una differenza molto forte. Voi proponete, ad esempio, di stanziare dei fondi per aiutare le famiglie in difficoltà, dimodoché possano avere una casa e trovare un lavoro, e cioè risolvere alla radice i problemi che hanno portato magari una famiglia a disgregarsi e a causare una serie di problemi all’interno della famiglia, coinvolgendo anche i minori. Ebbene, per la vostra esperienza - dato che la vostra impostazione, che mi sembra molto corretta, e cioè in una famiglia che diventa affidataria ricreare l’atmosfera di una famiglia, un padre e una madre, è diversissima da quella di altri ospiti che sono venuti, in queste settimane, a spiegarci la situazione - queste sono due visioni complementari o sono proprio due visioni opposte, come mi sembra, e cioè che una strada escluda l’altra? D’altronde, da quello che ho sentito la vostra impostazione è molto precisa e molto diversa.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, collega Bertani.

     

    Consigliere BERTANI. Grazie, presidente.

    Intanto ringrazio i nostri ospiti per l’approccio, perché venire qua con proposte già messe per iscritto mi sembra molto importante e interessante.

    Vengo alla prima domanda. Ci avete appena detto che, nelle vostre case-famiglia, avete 99 minori. Ebbene, avete un dato su quanti di questi sono allontanati dalla famiglia? Quindi, mi riferisco non a quelli consensuali, ma a quelli con un decreto di allontanamento oppure con un articolo 403. Inoltre, di questi che accogliete come famiglia qualcuna di queste aveva un decreto di allontanamento e, invece, entrando nella vostra struttura, il Villaggio della Gioia, l’allontanamento è stato evitato? Penso che questo sia un dato importante.

    Altra domanda. Secondo voi, come si può equilibrare il potere che in qualche modo è assegnato all’assistente sociale? Intendo potere nel senso di potere discrezionale. A volte, per limiti di organico o per limiti di formazione o per come è strutturato il servizio, l’assistente sociale si ritrova questo grande potere, che può essere usato bene – grandi poteri, grandi responsabilità – ma può essere anche usato male, o per incapacità o per dolo eccetera. Oppure, anche la formazione che manca agli assistenti sociali. Del resto, se voi ci dite che l’obiettivo è quello di sostenere la famiglia tutte le volte che è possibile, allora vi chiedo: questo manca un po’ nella formazione degli assistenti sociali? Lo chiedo perché forse gli assistenti sociali tendono ad avere una formazione un po’ più “burocratica”, in cui devono gestire il caso in qualche modo, e a volte magari, nel gestire il caso, la soluzione più semplice è l’allontanamento più che il sostegno del nucleo familiare, che certamente è complicato perché, come dicevate voi, serve la casa, serve tutto il resto.

    Ancora, sempre dal vostro osservatorio, dite: l’affido non è per sempre. Quindi, vi chiedo se, a vostro modo di vedere, è vero che gli affidi purtroppo tendono a diventare, a volte, un sine die. Cioè, quando c’è un allontanamento, purtroppo il rientro in famiglia sembra non arrivare mai. Quindi, vi chiedo se avete un dato sui tempi di rientro.

    Inoltre, visto che siete in tutta Italia, vorrei sapere se ci potete fare una fotografia su come si colloca la regione Emilia-Romagna rispetto all’Italia in termini di criticità, svantaggi e aspetti positivi. Qua adesso siamo molto focalizzati sull’aspetto over-segnalazioni, over-allontanamenti, perché i servizi sociali sono molto presenti, ma forse in altre zone d’Italia abbiamo meno tutela dei minori perché i servizi non esistono. Vi chiedo se avete uno spaccato su questo aspetto, perché sarebbe davvero interessante.

    L’ultima domanda che vi faccio riguarda la definizione di casa-famiglia. Purtroppo, seguendo quello che fate, ho notato che la definizione di “casa-famiglia” è mal fatta. Infatti, voi ci dite che per voi la casa-famiglia è una struttura in cui ci sono due figure genitoriali fisse, che vivono come una famiglia, quindi una famiglia allargata, in cui entrano altri bambini, oppure ci sono anche adulti, persone con disabilità, mentre nella conoscenza generale la casa-famiglia è una struttura. Qua abbiamo parlato, ad esempio, di case-famiglia per anziani, che in realtà sono dei mini-ospizi, quindi già si fa confusione su cosa sia una casa-famiglia. La settimana scorsa c’è stato un caso di alcuni adolescenti che hanno rapinato una sala slot e ci è stato detto “ah, questi venivano da una casa-famiglia”. Sono convinto che venissero da una struttura, da una casa-appartamento eccetera. Quindi, vi chiedo se si può risolvere questa denominazione che crea confusione, secondo me, all’interno dei servizi sociali, ma anche nell’opinione pubblica. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, proviamo a dare un po’ di risposte a questi diversi punti.

     

    SEVERI. Rispondo intanto alla prima domanda che ci è stata fatta, dicendo chi sono le famiglie di origine. È vero che sono famiglie che molto spesso hanno dei lavori precari, lavori interrotti, e che non hanno un’abitazione, però è altrettanto vero che dietro a questo molto spesso c’è anche una storia per cui sono arrivati a quel punto. Quindi, sono anche famiglie che, a loro volta, non hanno neanche interiorizzato dei modelli, per cui molto spesso non sanno che cosa significa essere responsabili di una famiglia, essere genitori, essere coppia. Pertanto, molto spesso sono famiglie compromesse sotto tanti aspetti.

    Nel Villaggio sono passate oltre 140 persone e sono stati accolti 30 nuclei familiari, per cui cominciamo ad avere i primi monitoraggi di queste realtà. Ebbene, sono famiglie che hanno al loro interno tutta una serie di conflittualità. Per esempio, moltissime hanno i rapporti interrotti, arrivano da noi con figli già allontanati, hanno già due o tre separazioni alle spalle cadauno, hanno figli con altre persone, non hanno il senso delle conseguenze di quello che succede. Dunque, sono situazioni anche molto complesse.

    Oggi è vero che in Italia, grazie alla legge n. 184, siamo passati a delle forme di tutela e di protezione dei minori, però è altrettanto vero che dobbiamo lavorare maggiormente sul versante di recupero della famiglia di origine. Ora, che cosa voglia dire recuperare una famiglia di origine, dove molto spesso ci sono forti e profonde carenze, è qualcosa che ancora è abbastanza nuovo in Italia. Certo, la legge stabilisce che il primo diritto del bambino è vivere all’interno della propria famiglia, ma ad oggi ci sono ancora poche esperienze che vanno in questo senso, e cioè strutturazione di percorsi e di modelli per recuperare queste famiglie.

    Abbiamo visto, ad esempio, che una delle cose che rendono molto difficile e anche lungo l’affidamento familiare è che, quando viene tolto un bambino a queste famiglie e viene detto a una famiglia di questo genere “devi trovarti un lavoro entro dodici mesi” o “dovete risolvere la vostra conflittualità”, queste famiglie non hanno modelli e non sanno da che parte farsi. Pertanto, fare un incontro con una psicologa del servizio una volta al mese è acqua per loro, non serve. Non a caso, la motivazione alla base della scelta di vivere insieme a loro è proprio quella di tentare di fare un intervento molto massiccio. Infatti, noi viviamo insieme ventiquattr’ore e cerchiamo non tanto di spiegare a questi genitori come si fa a essere genitori, ma di fargli vedere sul campo altri genitori che fanno i genitori, così come i figli vedono sul campo altri bimbi come fanno a essere figli, che cosa vuol dire essere figli. Ecco, il nostro modello è proprio quello di mettere a fuoco dei percorsi che siano efficaci nel tempo e che aiutino queste persone a cercare di rimuovere le cause per cui spesso non hanno un lavoro, non hanno una tenuta sulle relazioni, non hanno una casa eccetera.

    È importante, quindi, cominciare a ragionare su percorsi concreti (casa e lavoro) per allargare la rete, ma anche su luoghi dove fare percorsi costruiti, percorsi piuttosto intensivi su ciò che significa essere famiglia, e sentiamo che il Villaggio è uno di questi.

    Un’altra cosa che vorrei sottolineare, e poi lascio anche la parola ad Annalisa, è l’aspetto della lunghezza degli affidamenti.

    Effettivamente ci sono, e lo vediamo un po’ in tutta Italia, molti affidamenti che hanno dei tempi lunghi, non sempre tempi necessari per lo sviluppo del bambino. A volte, sono tempi lunghi perché tra la relazione con cui è stato fatto un allontanamento e l’arrivo del decreto che dice che tipo di decreto e che cosa succederà a quel bimbo, passano dei mesi, quindi nel passaggio dai servizi sociali a quello che il tribunale dà come ordine, come tempi di lavoro per la famiglia e per i servizi sociali.

    Un altro aspetto è che molto spesso i tribunali dicono comunque all’interno dei decreti di fare delle valutazioni sulle capacità genitoriali, di fare delle valutazioni sui minori. Anche qui, molto spesso ci troviamo in tante ASL, in tanti Comuni, dove c’è una difficoltà tra i vari servizi a parlarsi, e quindi non c’è un linguaggio comune tra Sert, servizi per le tossicodipendenze, chi si occupa di malattia e salute mentale, minori, neuropsichiatria infantile, psicologi. Abbiamo avuto dei casi, ultimamente, in cui per situazioni importanti, dove dovevamo prendere delle decisioni, ci è voluto un mese per trovare tre-quattro operatori che trovassero un’ora libera in contemporanea. Questo vuol dire che quel bambino quel mese è stato lì solo per aspettare un appuntamento.

    Anche quello dei tempi è un tema. Quando vengono date le prescrizioni di fare dei percorsi di valutazione, molto spesso sono tempi lunghi, non dettati dal bisogno del bambino, ma dettati purtroppo dall’organizzazione che c’è in questo momento, dal personale presente nelle ASL. Non è che troviamo in giro per l’Italia persone di cattiva volontà. Sicuramente troviamo un’organizzazione che non va di pari passo con i tempi del bambino.

     

    Avv. CHIODONI. Riprendendo quello che diceva appunto nella prima domanda, perché proponiamo la casa e i percorsi per il lavoro e l’avviamento al lavoro, le patenti eccetera? Un po’ ce lo spiegava anche Maslow: nei bisogni dell’uomo rispondiamo ai bisogni primari e poi curiamo l’anima. Se, però, questa gente non ha da mangiare, se questa gente ha il portafogli vuoto e non ha una casa dove andare, è fatica che tu gli proponga un percorso sul recupero della genitorialità quando lui ha i bisogni cogenti, quotidiani di sfamare la propria famiglia.

    Rassereniamoli, calmiamoli, diamogli i diritti fondamentali, e poi lavoriamo sull’anima, ma prima c’è l’aspetto materiale. Come per tutti noi, bisogna che sulla tavola qualcosa ci sia. La conflittualità della coppia a volte è esagerata da questi elementi di povertà.

    Per quanto riguarda gli affidi giudiziari consensuali, noi parliamo sempre dell’affido consensuale giudiziario, e in realtà la legge ha previsto tre tipi di affidi: consensuale, giudiziario e privato. Sono pochissimi gli affidamenti consensuali rispetto a quelli giudiziari. Almeno nella nostra esperienza, la percentuale è sicuramente molto bassa.

    L’affidamento consensuale si basa sul servizio sociale che offre un aiuto alla famiglia naturale e sulla famiglia naturale che si riconosce bisognosa di aiuto, e quindi suggella quest’accordo.

    Questo dato, il riconoscimento di essere se stesso bisognoso di aiuto, capite bene che è difficile da… Ci vuole una forte capacità critica e una consapevolezza di sé. Queste famiglie, che molto spesso sono a loro volta magari cresciute in ambienti disgreganti, fanno fatica ad avere questo tipo di lettura.

    Gli affidamenti sine die, però, e mi riallaccio anche a una delle ultime domande, che sono tanti, non sono sine die – questa è la nostra esperienza – perché si sono dimenticati i fascicoli sulle scrivanie dei tribunali. Spessissimo, sono sine die, e ne siamo testimoni noi coi figli che abbiamo accolto, perché realmente c’è una famiglia naturale che non si riprende, che ha delle incapacità genitoriali serie, ma anche una riserva d’amore verso quel figlio inesauribile. Seppure incapaci, quindi, perché magari a volte hanno rallentamenti cognitivi, o comunque hanno un forte disagio, amano quel figlio. E la volontà è quella di mantenerli sine die perché dal tribunale vedo questa scelta, che non è quella adottiva, per salvaguardare quella riserva d’amore che c’è, che non è sufficiente per crescere. Non è sufficiente amare i propri figli, purtroppo, per essere dei bravi genitori, però è una riserva d’amore che viene tutelata.

    Questi figli che potrebbero sembrare nel limbo, in realtà hanno la tutela di una famiglia alternativa che possa rispondere ai loro bisogni, ma possono mantenere il legame importantissimo con quella famiglia naturale. Quindi, non sono sine die perché sono dimenticati. Sono sine die per questo motivo, almeno questa è la nostra esperienza.

    Noi siamo genitori non solo naturali ma anche adottivi e abbiamo due adozioni, un’adozione in casi particolari e l’altra adozione legittimante. Abbiamo un po’ tutti gli aspetti. In entrambi i casi abbiamo visto che il tribunale ha fatto qualsiasi cosa allungando l’adottabilità di questi minori perché si potesse recuperare una famiglia fragile, perché i genitori potessero fare il programma terapeutico aspettando anche due o tre anni, perché potessero riprendersi da una ricaduta, da uno stato di carcerazione. Molto spesso, i tempi sono lunghi per queste chance che vengono date alle famiglie naturali.

    Noi siamo d’accordo per dargliele, perché la ferita dell’abbandono non si lenisce mai. I miei figli o i figli che sono stati adottati questa disperazione dell’abbandono ce l’hanno dentro. Io posso amarli anche all’inverosimile, ma loro, che conoscono la loro storia, sanno che dietro di loro ci sono un papà e una mamma che non hanno conosciuto. Siamo, quindi, anche per mille possibilità alla famiglia naturale perché rimanga il legame con la riserva d’amore, ma contemporaneamente garantendo il diritto del bambino di crescere in una famiglia che abbia le capacità.

    Come evitare la discrezionalità del servizio sociale? È quello che appunto proponiamo con queste équipe di valutazione. Non può essere un’assistente sociale sola a relazionarsi a un Tribunale per i Minorenni, non può essere. Non ce la facciamo noi, che siamo tre case-famiglia, tre coppie di coniugi che da 25 anni facciamo questo “mestiere”, a capire cosa scegliere per una famiglia… Non può essere un assistente sociale solo. Ci vuole un’équipe e ci vuole anche una rete.

    Per questo, non è che ci vogliamo infilare in competenze che non sono nostre, ma quando i servizi sociali lavorano in rete con le associazioni che si occupano di quel settore, ovviamente non per bimbi che hanno dentro la propria struttura, ma mantenendo la neutralità del caso, si riesce a far sì che quella relazione sia frutto di un’osservazione multiocchi.

    Il legislatore ha fatto un’importantissima novella nel 2015, quando ha detto, nel momento in cui si deve guardare la responsabilità genitoriale e il tribunale è chiamato a fare un provvedimento sulla limitazione della responsabilità genitoriale o sul rientro del bambino a casa, che deve sentire la famiglia affidataria e deve sentire anche la struttura.

    Non so se sapete che in realtà il 90 per cento dei decreti del Tribunale per i Minorenni mette il bambino in affidamento al servizio sociale. Quindi, se si scrive che devi sentire l’affidatario, ma poi si continua a darlo ai servizi sociali, diventiamo strutture di collocamento, non siamo i veri e propri affidatari in maniera giuridica.

    Questa novità è molto importante, ma poi è molto importante la buona prassi. Se scrivi nella legge che devi sentire l’affidatario e continui a mantenere l’affidamento al servizio sociale, senti sempre loro.

    Ora, qual è stata la nostra esperienza?

    Forse perché la Papa Giovanni ha anche una sezione legale, quindi magari riusciamo a interfacciarci meglio, ma quando non siamo d’accordo con la relazione del servizio sociale e con quelle che possono essere le proposte, chiediamo per iscritto al Tribunale per i Minorenni, in questo caso di Bologna, di essere ascoltati, perché pensiamo che vivendo 24 ore su 24 con questi bambini abbiamo qualcosa da dire. La nostra esperienza è stata che siamo stati ascoltati per la maggior parte delle volte.

    È chiaro che non tutte le famiglie affidatarie o non tutte le strutture hanno il servizio legale dietro, e quindi riescono ad avere questa “possibilità” di interloquire. Questa è una prassi molto importante, invece, da poter sviluppare perché quella discrezionalità del servizio sociale venga meno.

    Non vi sto a parlare della riforma che… Come avvocato, ho seguito tante famiglie naturali, quindi il grido di quelle mamme, di quei papà ai quali venivano tolti i figli, l’ho sentito sulla mia pelle. È vero, ci vorrebbe una riforma. Voi sapete che non c’è contraddittorio nel processo minorile civile, non ci sono prove da portare, c’è una relazione del servizio sociale e, se mi va bene, e qui parlo da avvocato, se ho la struttura che ha detto bene di me, ho qualche chance; se quella struttura non ha detto bene di me, per tanti motivi, io non ho possibilità di portare prove.

    Adesso, questo non è il nostro ambito, perché appunto siamo qui come struttura, ma come avvocato vi posso dire che è da rivedere. Il processo è contraddittorio nel civile quando parlo di contratti o di fusioni aziendali: non vedo perché non possa esserlo quando si parla di minori. Sicuramente, questo è un aspetto da rivedere.

    Quanto alla formazione dei servizi sociali, sono d’accordissimo con il consigliere che ci ha fatto questa domanda.

    Un auspicio? I servizi sociali di prima nomina non possono occuparsi di decreti di affidamenti giudiziari. La neodiplomata assistente sociale giovane e inesperta non può avere 150-200 casi e non può, dal nostro punto di vista, perché non ha la formazione… La si mette a fare il tutoraggio. Allora, facciamo una buona prassi: che si affianchi per i primi sei mesi a chi è più esperto di lei, sei mesi perché sono generosa, perché possa rendersi conto della materia umana che sta trattando. A volte, vediamo un turnover pazzesco di servizi sociali, su un caso si avvicendano cinque-sei assistenti sociali, a volte con una formazione non specifica soprattutto, subito sul campo, sugli aspetti più delicati. Questo è un auspicio.

    Ci dicevano che un assistente sociale - questi numeri, non li ho verificati – ha quasi una media di 450-500 casi. Ora, quando sento questi numeri, mi dico che forse da quell’assistente sociale non posso pretendere un lavoro migliore, ma allora non posso neanche pretendere che quella relazione sia presa come unica relazione sul tavolo del tribunale. Riconosco che non può fare diversamente, ma il tribunale deve riconoscere che quella visione è parziale, perché è una visione fatta da una persona che ha una mole di lavoro così importante che non riesce a fare altro.

    Cos’è la casa-famiglia?

    Innanzitutto, l’Emilia-Romagna, come anche il Piemonte e altre regioni, ci hanno riconosciuto come casa-famiglia multiutenza. Noi non nasciamo come struttura d’accoglienza 0-3, 3-6, 6-12. Siamo innanzitutto una vera famiglia sostitutiva, ispirata alla vecchia famiglia patriarcale, perché dal nostro punto di vista l’anziano può stare col minore; abbiamo due figli disabili grandi, uno cerebroleso, l’altro autistico. Ovviamente, con il criterio della genitorialità responsabile, abbiamo avuto anche bambini in affidamento, perché pensiamo che, così come in una famiglia normale naturale c’è l’eterogeneità delle persone che ci abitano, allo stesso modo, volendo mutuare quelle esperienze e proporre una famiglia sostitutiva, siamo una famiglia in cui ci può essere la zia anziana o zitella – adesso non mi viene il nome giusto – con il minore o la persona affetta da disabilità. Noi diciamo che per essere famiglia sostitutiva bisogna vivere. Il papà e la mamma non hanno il turno di otto ore, ma vivono all’interno della propria famiglia 24 ore su 24, ed è per questo che le mie ferie sono le nostre ferie, le nostre domeniche sono le loro domeniche. È per questo che la nostra cucina è la cucina di tutti e viviamo insieme in questa promiscuità che fa sì che un minore, una mamma col bambino, si innestino dentro la nostra famiglia coniugale.

    Nella Regione Emilia-Romagna la legge regionale le chiama tutte comunità di tipo familiare e dentro c’è la casa-famiglia multiutenza, come ci sono tante altre case-famiglia. Dal nostro punto di vista, siamo diversi e offriamo un servizio diverso. A volte, magari per adolescenti con particolare problematiche, una comunità differente dalla casa-famiglia può essere anche più idonea, ma in generale diciamo che ogni figlio ha bisogno di un papà e di una mamma. Il turnover degli operatori, magari specializzati e bravissimi, non è la famiglia sostitutiva che noi proponiamo.

    Non c’è ancora stato chi abbia diversificato all’interno delle comunità di tipo familiare come Regione la casa-famiglia come un genere a parte. Noi siamo stati riconosciuti come casa-famiglia multiutenza, quindi è stato un traguardo importantissimo che l’Emilia-Romagna ha raggiunto, come successivamente altre Regioni d’Italia. Il legislatore, quando parla dell’affidamento, all’articolo 2, fa una gerarchia, e cioè dice: prima la famiglia naturale, poi la famiglia affidataria; tra le famiglie affidatarie, devo scegliere la famiglia preferibilmente con figli minori; se non trovo la famiglia preferibilmente con figli minori, cerco la famiglia senza figli minori, poi la persona singola, poi le comunità di tipo familiare. È una gerarchia, quella. Vuol dire che, quando un assistente sociale ha un bimbo, deve cercare prima di tutto famiglie affidatarie con figli. La scaletta è gerarchica.

    Questa gerarchia c’è, dal nostro punto di vista, perché si riconosce che c’è una valenza di proposta diversa. Anche nelle comunità di tipo familiare siamo molto diversi, per cui una normativa specifica a oggi non ce l’abbiamo. Siamo tutti in questo grande genere che è la comunità di tipo familiare, con queste differenze enormi per cui ci sono comunità di tipo familiare per lo più dove ci sono gli operatori che turnano, e molto spesso sono divise per fasce di età. Non voglio dire che siano degli istituti, come a volte ho sentito dire, no. Sicuramente, il carattere familiare è aiutato dai numeri ristretti, però certamente ci sono operatori che turnano, quindi mi sveglio con Paolo e vado a letto con Francesco. La differenza la percepite facilmente.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Collega Zoffoli, prego. Poi, Callori.

     

    Consigliere Paolo ZOFFOLI. Grazie, presidente.

    Intanto, ringrazio della testimonianza. Oltretutto, conoscendovi, so bene che le cose che dite quotidianamente da decenni le mettete in pratica, e quindi le attivate sul territorio e siete, credo, un punto di riferimento, ma anche un esempio di buone pratiche che possono anche succedere dalle nostre parti.

    Vorrei, però, puntualizzare una delle cose che, chi mi conosce sa, ho anche come mio pallino personale. Voi avete messo in evidenza una parola che non sempre in questa Commissione abbiamo sentito: prevenzione.

    Secondo me, è alla base dell’affido. Se non si riesce a prevenire, o comunque a fare in modo che ci sia una serie di azioni per fare in modo che la famiglia naturale torni nella possibilità di avere riaffidato il minore, in quel caso ci deve essere l’adozione. È meglio rompere subito un cordone ombelicale quando non si è in grado di trovare le possibilità per rimettere la famiglia naturale in condizioni di riprendere il minore.

    La nostra strada principale, però, deve essere quella, attraverso la prevenzione, mi viene da dire ancora prima che i bambini nascano, addirittura nei percorsi nascita, in una serie di osservazioni, di tutele di cui il territorio anche nella sua comunità complessiva deve farsi carico per fare in modo che ci sia una famiglia in grado di farsi carico di minori.

    Questo, secondo me, è il passaggio fondamentale se vogliamo capire bene che cos’è l’affido. Non c’è ombra di dubbio che il primo passaggio è quello di mettere in sicurezza il minore. Se, però, riteniamo che mettere in sicurezza il minore sia l’allontanamento senza aver fatto una serie di operazioni collaterali, non abbiamo fatto bene il nostro mestiere.

    Chi è stato sindaco, come me, lo sa: ci sono tante condizioni per le quali una famiglia può andare in crisi. Nel momento in cui c’è la crisi, i primi che subiscono delle conseguenze sono i minori, non c’è ombra di dubbio. Quando i genitori non hanno il lavoro, non hanno la casa, non hanno da sfamare i figli, è evidente che c’è una situazione talmente complessa che poi i minori sono i primi, anche se non materialmente con maltrattamenti reali dal punto di vista fisico, a subire maltrattamenti psicologici, pressioni eccetera, che comunque creano un minore con tanti problemi. Chi è insegnante elementare o alla materna sa che arrivano tanti bambini con tante famiglie che hanno problematiche.

    La sottolineatura, quindi, è di pensare a un affido come a un momento di grande aiuto che la comunità fa attraverso i professionisti in grado di aiutare e supportare dal punto di vista psicologico, economico eccetera, comunità che si fa carico di aiutare e coadiuvare le famiglie in difficoltà perché possano tornare – passatemi il termine – in bonis a riprendere in maniera continuativa e con soddisfazione la famiglia naturale del bambino. È un percorso che dobbiamo fare.

    Credo che la vostra testimonianza di oggi, al di là delle tante testimonianze che purtroppo sentiamo anche molto negative, come quella precedente alla vostra di oggi, ci debba riportare a pensare a quale sia il ruolo dell’affido e a come sia possibile, da una parte, prevenire la necessità dell’affido e, dall’altra, attivare un affido tale che permetta di supportare, di aiutare la famiglia in difficoltà dopo aver messo in ogni modo come prima cosa a tutela il minore. Il minore, però, lo tuteliamo solo se tuteliamo la famiglia e la facciamo crescere.

    Questo è un po’ il messaggio che credo oggi fosse importante che veniste a dire qui, in maniera che anche chi deve aiutare questo percorso, anche legislativo, possa essere messo in condizione di fare un buon lavoro. Se non partiamo dalla parola prevenzione, non faremo bene il nostro lavoro.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Direi che questa è più una considerazione rafforzativa che una domanda. La parola al collega Callori.

     

    Consigliere CALLORI. Grazie, presidente.

    Grazie anche ai rappresentanti della Comunità Papa Giovanni.

    Anch’io voglio associarmi a chi mi ha preceduto. Quando ho amministrato il mio Comune, dove è presente una comunità, una casa-famiglia, devo dire che c’è stata un’ottima collaborazione, soprattutto proprio su questi temi legati al sociale, indipendentemente da minori o famiglie in difficoltà. Non posso che ringraziare voi per ringraziare anche loro per il lavoro che hanno svolto in collaborazione anche con l’amministrazione comunale, e non solo. Mi riferisco anche a tutte le altre associazioni, alle altre realtà del territorio, non solo comunale ma anche provinciale. Hanno, infatti, anche altre iniziative che hanno toccato la prostituzione e quant’altro. Ripeto che vi ringrazio perché come comunità siete attivi su diversi temi legati al mondo del sociale.

    Leggendo velocemente la relazione che ci avete prodotto, ho focalizzato due o tre cose.

    Innanzitutto, mi ha fatto piacere leggere quando parlate delle vere case-famiglia, quando dite che la legge stabilisce che i bambini da 0 a 6 anni debbono essere inseriti in comunità di tipo familiare con operatori che si turnano, mentre voi dite: no, perché a nostro avviso è bene che i bambini siano accolti in famiglie o case famiglia dove ci sono un papà e una mamma. È chiaro che si lega maggiormente anche al fatto di dove sono stati tolti e dove dovrebbero poi rientrare. Sicuramente, penso che anche questo sia motivo di una richiesta per modificare quelle leggi che fino a oggi hanno tenuto una linea, ma poi devono essere anche modificate e cambiate.

    Condivido e voglio anch’io rafforzare quello che dite per quanto concerne i servizi sociali.

    Già prima si accennava. Molte volte, non per sminuire il lavoro delle assistenti, ma una persona giovane, senza esperienze, gestisce dei casi in un certo modo, e invece dovrebbe essere aiutata e supportata per poter far sì che anche lei si crei una formazione tale per cui possa gestire al meglio. Condivido pienamente questa vostra prima affermazione.

    Col turnover avete toccato una nota dolente. Io conosco diversi Comuni che hanno assistenti sociali presi da cooperative di servizi e ogni sei mesi cambiano, perché magari non sono simpatiche al sindaco o all’assessore. Anche qui, ci vuole una linea chiara. Un assistente sociale deve avere almeno un lasso di tempo minimo per poter gestire dei casi. Se ogni sei mesi viene cambiato perché, ripeto, non soddisfa le esigenze dell’amministrazione, non va bene. Anche su questo vanno messe sicuramente le mani e fatte riflessioni.

    Per quanto riguarda il lavoro di due équipe, più volte è emerso che una relazione di un assistente sociale non deve essere sufficiente a un tribunale per poter dare delle sentenze.

    È chiaro, si tratta di avere delle équipe diverse che si possono confrontare con persone anche totalmente diverse. Si parlava a volte anche delle équipe di secondo livello, fatte da colleghi, ma è difficile che tra loro i colleghi possano contraddirsi. È giusto che ci siano delle équipe diverse con persone eventualmente anche di altre regioni che possano valutare il caso come caso, non dando magari degli okay perché ci si conosce.

    Un’altra cosa che vorrei sottolineare è relativa al lavoro di rete. Penso, però, che abbia un’importanza notevole – già l’avete sottolineato voi – che anche i genitori debbano poter essere auditi e confrontarsi. Abbiamo notato più volte che questo è un tassello importante che manca.

    Ultima cosa, abbiamo sui territori delle associazioni, dei gruppi familiari che fanno dei lavori immensi come volontariato. Io posso citarne una, nata nel mio territorio da qualche anno: Famiglia affianca famiglia. È nata spontaneamente da famiglie, assistenti sociali e amministratori che collaborano insieme per affiancare quelle famiglie che hanno queste problematiche e anche farle emergere. Molte volte, come si diceva, non vengono fatte emergere per la paura poi che l’assistente sociale o qualcun altro gli possa togliere i figli.

    Penso che tutto questo che nasce sui territori sia un lavoro importante e che debba essere messo più in evidenza.

    Le questioni sono un po’ queste. Un consiglio che vi chiedo riguarda la possibilità di modificare quelle norme che abbiamo visto che vanno modificate e il tenere in considerazione quei progetti che magari sono più territoriali, ma che possono avere una valenza anche regionale se ben strutturati e ben fatti.

     

    Presidente BOSCHINI. Magari, ascolterei anche Calvano, visto che per ora qui i punti sono abbastanza chiari.

    Prego, collega Calvano.

     

    Consigliere CALVANO. Grazie, presidente.

    Grazie ai nostri ospiti. La testimonianza che ci portate della vostra esperienza sarà certamente molto utile per affrontare i temi che questa Commissione si è prefissa di affrontare.

    Uno di questi è come migliorare l’approccio alla tutela dei minori. Siamo alla ricerca non solo di capire cosa è successo dove le cose non hanno funzionato, ma di capire come migliorare il sistema. Quindi, vi ringrazio doppiamente, perché nel vostro documento non c’è solo una descrizione di quello che siete, di quello che fate, ma anche di come a vostro avviso, dal vostro punto di vista, possono essere migliorate le cose. Ci sono spunti, nelle idee che avete messo, a mio avviso molto interessanti e che spero questa Commissione abbia la forza e la capacità di recepire al meglio. Grazie per questo e per il lavoro che voi e le persone che vi aiutano, che sono impegnate con voi, fanno tutti i giorni. È, infatti, uno di quei lavori che si fa tutti i giorni, tutto il giorno, notte compresa.

    Faccio una domanda specifica.

    Nella nostra normativa regionale abbiamo inserito il fatto che il minore allontanato abbia come destinazione principale una famiglia affidataria con le caratteristiche che diceva lei, ma poi al secondo comma individuiamo invece le comunità familiari come altro luogo nel quale questi minori e le loro famiglie possono trovare forme di assistenza.

    Obiettivamente, da quando abbiamo modificato la norma, nel 2011, se non vado errato, sono aumentate le comunità familiari. In Emilia-Romagna ne abbiamo anche molte di più rispetto ad altre regioni. Cito solo il caso della Toscana. Da noi sono quintuplicate rispetto al numero toscano, se non ho dati sbagliati.

    Credo che questa possa essere una ricchezza, però al contempo chiedo a voi, cioè a chi gestisce comunità che hanno una struttura, una forza, se a vostro avviso la Regione non dovrebbe iniziare a interrogarsi se sia opportuno avviare un percorso di accreditamento per queste strutture.

    Oggi c’è un’autorizzazione al funzionamento che avviene all’inizio del percorso e controlli, credo, ogni sei mesi obbligatori. Quando le comunità funzionano, se ne potrebbe fare anche a meno, però a volte ci può essere anche chi magari pensa di funzionare bene e non funziona adeguatamente, creando un danno agli ospiti, alle persone che sono lì.

    La domanda è: a vostro avviso è opportuno avviare un percorso di accreditamento anche di queste strutture che consenta di monitorarle con più attenzione e di evitare che qualcuno le utilizzi in modo errato rispetto invece a chi (ritengo che voi siate uno di questi casi) le utilizza nel modo giusto e adeguato, a tutela della rete dei servizi sociali della nostra Regione.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Chi vuole rispondere?

     

    SEVERI. Intanto volevo fare questa sottolineatura: penso che ci siano state in Italia delle leggi che hanno dato delle svolte molto importanti nel sociale. Cito, ad esempio, la legge n. 285 della Turco, che modificò il nostro modo di lavorare perché, mettendo dei fondi su progetti solo in rete, ha educato lo Stato sociale a lavorare in rete, e questa è stata una svolta importantissima, con un abbassamento dei costi, con un miglioramento delle performance degli obiettivi che c’erano nei progetti.

    Penso che il sistema di controllo delle strutture non sia da intensificare tanto sulla struttura in sé o sull’irrigidimento delle modalità di osservazione, ma si debbano strutturare dei percorsi quasi obbligatori di lavoro in rete. Ci sono ancora delle cooperative che non lavorano in rete, questo non va bene, perché intanto è un arricchimento reciproco, ma è anche un controllo reciproco che si fa del lavoro degli altri, per cui diventa molto importante nelle autorizzazioni mettere anche questa parte del saper lavorare in rete con il privato sociale e con il pubblico.

    Abbiamo delle esperienze molto belle ad esempio sul Comune di Rimini in questo senso, dove il privato sociale insieme al Comune segue tutto l’iter delle famiglie affidatarie, dei collocamenti, tutto il percorso, aspetti dove il privato controlla meglio il pubblico e il pubblico controlla meglio il privato, dove c’è un reale aiuto e sostegno, ma anche controllo.

    Anche rispetto a quello che diceva il consigliere Zoffoli, considero importante pensare che, attraverso alcune leggi che voi potete fare o alcuni fondi che potete dare, potete modificare il modo di lavorare del privato sociale, che fino ad oggi ha pensato a togliere il minore e metterlo in un luogo protetto, mentre potete aiutarci a fare questa svolta e fare in modo che si creino dei luoghi di accoglienza per famiglie in difficoltà, per evitare l’allontanamento.

    Il Villaggio della Gioia è semplicemente un piccolo modello che stiamo portando, però penso che voi potete... perché ho visto che funziona, laddove ci sono delle leggi pensate per guidare e non per tamponare un problema, ma per capire qual è lo sviluppo.

     

    Avv. CHIODONI. Aggiungo solo un’altra cosa: la ricchezza della rete secondo noi, dal confronto che abbiamo fatto, dovrebbe essere prescritta anche per la famiglia affidataria. La famiglia affidataria fa quattro colloqui ed è famiglia affidataria, ma noi siamo stati genitori affidatari ed è un compito tosto, devi essere innanzitutto un genitore in equilibrio.

    Noi ad esempio abbiamo avuto una bimba che aveva 20 giorni ed è andata in adozione che aveva un anno, è una lacerazione del cuore, dovete immaginarlo, c’è un maternage così intenso nel primo anno di vita di un bambino che io mi sono detta, avendo i miei figli e quindi essendo già appagata la soddisfazione della mia maternità, che magari una famiglia che non ha figli o ha delle fragilità può essere più vulnerabile di fronte a certi affidamenti.

    Quando faccio l’abbinamento, quindi, devo pensare bene a dove metto quel bambino, non dico che le persone singole o le famiglie affidatarie senza figli naturali non debbano fare affido, dico che c’è affido e affido, e anche questo tipo di formazione e di idoneità all’affido, perché l’idoneità è quella e poi sei idoneo da 0 a 18 da 18, ma l’abbinamento è una cosa seria, importantissima, che la legge sull’adozione specifica bene, ma sull’affidamento è demandata solo all’assistente sociale, che va nella sua banca dati.

    Se li metti in rete e obblighi la famiglia affidataria a rimanere in rete e partecipare agli incontri, confrontarsi, portare l’esperienza, e a continuare a formarsi, forse riusciamo ad avere un pochino più di equilibrio, che non dico che non c’è, ma a volte è migliorabile.

    Tutti qui dobbiamo essere in formazione, le strutture, la famiglia affidataria, i servizi sociali e la famiglia naturale, perché è un discorso complesso. L’accreditamento in alcune regioni c’è, ma va a finire che risolviamo sui metri quadrati, evitiamo le cineserie (dieci bambini in una stanza), ma la qualità dell’intervento, il pregio dell’offerta di affidamento non riesce secondo me con l’accreditamento della struttura.

    Con l’accreditamento della struttura vai a normare, come poi in parte è già fatto, l’aspetto strutturale dell’abitazione e le qualifiche professionali, penso che sia più incisiva l’obbligatorietà del lavoro in rete e dover rispondere man mano che l’affidamento è in itinere, non solo all’inizio ed eventualmente alla fine, ma rimanere in verifica costante per tutti gli interlocutori dell’affido, riportando, come si diceva nel precedente Consiglio, sul discorso dei servizi social, altra cosa che noi abbiamo messo nelle buone prassi.

    Quando c’è il decreto che prescrive al genitore che deve fare un percorso sulla capacità genitoriale e mi mandi i genitori dalla psicologa, che è quella che ha firmato la relazione sull’allontanamento, il rapporto di fiducia non scatterà mai, quella famiglia non si aprirà mai, perché in quella psicologa vede soltanto l’orco cattivo che le ha portato via il bambino.

    Questa incompatibilità dobbiamo iniziare a tirarla fuori: la psicologa che giustamente ha firmato la relazione di allontanamento del bambino non può essere quella alla quale mando la coppia genitoriale perché accresca le proprie capacità genitoriali, perché sarà una coppia genitoriale che non si aprirà mai perché ha paura di quell’assistente sociale! Questa è una buona prassi che i servizi sociali potrebbero iniziare ad adottare, riconoscersi incompatibili, e le due équipe che proponiamo, quella sul minore e quella sui genitori, potrebbero in questo caso aiutarsi molto.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Ho ancora la collega Mori. Poi, se non ci sono altre iscrizioni, chiudiamo qui.

     

    Consigliera Roberta MORI. Grazie molto per la presenza, la disponibilità e anche l’illustrazione dello svolgimento di un supporto non indifferente al sistema di welfare complessivo, che sicuramente si articola e si traduce in tante modalità. Questa è una modalità convincente e apprezzabile per i casi che possono essere considerati.

    Chiederei una conferma, per verificare se ho compreso bene quello che avete detto rispetto a due cose. La prima cosa riguarda il tema della relazione firmata solo dall’assistente sociale per quanto riguarda l’allontanamento di un minore.

    Lo chiedo perché, visto che abbiamo audito testimonianze che hanno sempre teso a confermare che, a fronte di un allontanamento, non è mai solo l’assistente sociale a sottoscrivere una relazione al giudice, ma è sempre affiancata da psicologi, vi chiedevo rispetto a questo una specifica, ossia in quali casi questo sia avvenuto e, nel caso in cui non possiate confermare ora, eventualmente di far avere alla presidenza i casi e le segnalazioni, perché, visto che è una premessa metodologica quella delle linee di indirizzo regionali, in caso di allontanamento se c’è soltanto la firma dell’assistente sociale mi sembra una cosa che non va bene, quindi vorrei capire se questo sia accaduto.

    Per quanto riguarda il tema della presa in carico da parte dei servizi del minore o della famiglia, voi dite molto giustamente che a volte ci sono delle situazioni materiali di bisogni contingenti, impellenti e urgenti che aggravano le situazioni del nucleo familiare e fanno esplodere delle difficoltà che si scaricano sui più fragili, che possono essere minori. Vi chiedo, quindi, se la vostra esperienza sia quella di un servizio sociale che prende in carico solo il minore e non la famiglia.

    Lo chiedo perché la mia esperienza da ex sindaco di un Comune invece è un’esperienza diversa, che, a fronte di specifiche formazioni di assistenti sociali, vede l’assistente sociale prendere in carico il minore però, a fronte di elementi diffusi del nucleo familiare da considerare, vengono erogati dal Comune dei buoni spesa o altri supporti al sistema familiare anche in vista di un riallineamento di momenti di crisi momentanea.

    Ci sono effettivamente casi in cui questo riallineamento è molto complicato e quindi è chiaro che neanche i buoni spesa e il pagamento delle utenze riescono a riallineare. Visto che la mia esperienza è stata questa, però capisco che le esperienze sono tante, vi chiedevo se l’esperienza prevalente sia in questo senso, cioè un focus esclusivo e non una presa in carico della famiglia.

    Lo chiedo perché anche per questo, visto che dovremo riflettere su qualche intervento, se non legislativo, di correzione o comunque di rafforzamento della cosiddetta "multidisciplinarietà" della presa in carico, mi farebbe piacere capire su queste due descrizioni quale sia il focus. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, per un intervento conclusivo.

     

    Avv. CHIODONI. Sicuramente – mi agganciavo prima sullo psicologo – le relazioni di segnalazione iniziali di solito sono assistente sociale e psicologa, a volte assistente sociale, psicologa e dirigente del servizio, a meno che non sia un 403, che invece è un provvedimento d’urgenza addirittura firmato dal sindaco, e anche lì c’è una nevralgia, perché tra il 403 e il decreto provvisorio a volte passano dei mesi in cui la famiglia è sospesa, basta una telefonata al Telefono Azzurro che magari arrivano dirompenti le volanti e portano via i bambini, e i primi due o tre mesi finché non arriva il decreto provvisorio il bambino è portato via, a volte è veramente un pericolo per l’incolumità che è il presupposto del 403, però i tempi si allungano e la famiglia naturale rimane in questo uragano.

    Le relazioni di segnalazione di allontanamento generalmente sono multidisciplinari, tant’è che dicevo che quella psicologa non può essere la stessa dalla quale mandi i genitori a fare il percorso proprio perché firma la relazione prima di quella del distacco nell’affido giudiziario.

    Le relazioni successive sono a firma dell’assistente sociale, a volte con la psicologa, a volte della stessa assistente sociale, ma che fanno permanere lo stato di affidamento. Io dico che nel tavolo del Tribunale per i Minorenni non ci può essere solo quel servizio, che sia una firma o a doppia firma, che mi incontra una volta ogni due o tre mesi e che non ha né lo sguardo sulla coppia, né lo sguardo sul bambino, magari non così oculato come l’abbiamo noi.

    Questo anche perché le relazioni dei servizi sociali a volte chiedono a noi strutture di mandare loro una relazione perché devono fare una relazione, quindi è la relazione della relazione, che però a volte viene tradotta, smussata, spezzettata, perché siamo noi l’occhio, cioè loro sono l’occhio del Tribunale sul territorio, ma noi siamo l’occhio diretto sul bambino, quindi questo passaggio di relazione a volte si perde in dei pezzi oppure vengono portate delle conclusioni diverse.

    È per questo che dico che per la famiglia naturale gli avvocati devono avere la possibilità della prova in contraddittorio, le case-famiglia affidatarie devono avere la possibilità della loro relazione, i servizi sociali devono continuare ad avere la responsabilità della loro relazione, ma così come è complessa la prova nel contraddittorio nel civile, deve essere complessa anche qua.

     

    SEVERI. Velocemente, rispetto al lavoro delle famiglie di origine, quando l’assistente sociale che ha allontanato quel bambino deve seguirlo in famiglia affidataria e vede tutti i miglioramenti, implicitamente alla famiglia di origine ha detto che in questo momento non è in grado di essere un buon genitore, quindi capite che questo assistente sociale si deve mettere 2 o 3 vestiti per poter essere quello che davvero crede fino in fondo a quella famiglia che è così limitata in quel momento, ma anche per la famiglia di origine non è così semplice affidarsi in un percorso di recupero, molto spesso vengono consumati i tempi davanti all’assistente sociale per proclamare quello che è un suo diritto, riavere il bambino, vedere il bambino, non è nella possibilità con quell’assistente sociale di ragionare su quali sono le cause, perché c’è una relazione viziata.

    Spesso quando una famiglia di origine va dall’assistente sociale nella migliore delle ipotesi si sente dire tutta una serie di cose che può fare, quindi può fare la richiesta della casa popolare, può andare a chiedere al Centro per l’impiego, può andare per i bonus, può andare per gli aiuti per il bebè, però questi sono degli interventi in un certo senso riparatori o comunque che tamponano, ma non vanno alla radice, per andare a radice bisogna instaurare una relazione veramente di aiuto con questa famiglia, che non può essere con l’assistente sociale, per quanto brava sia, perché è quella che ha allontanato i minori.

    Per questo prima abbiamo parlato di una doppia équipe, ogni famiglia, ogni situazione dovrebbe essere seguita, bambino e famiglia affidataria, da un assistente sociale e una psicologa che crede fino in fondo (questo lo dice anche il CBM di Milano, lo sostengono molti ricercatori), ma un’altra équipe dovrebbe seguire la famiglia di origine, per dire come possiamo fare, adesso che ti hanno tolto i figli, e deve credere fino in fondo in questa possibilità, questa è la nostra sfida tutti i giorni, continuare a credere in queste famiglie nonostante tutte le difficoltà che tutti i giorni tirano fuori.

    C’è un aiuto, ma è un aiuto che comunque resta in superficie, non va alla radice, quindi spesso non va a togliere le cause che hanno prodotto quello, perché ci sono percorsi che questi genitori devono fare.

    Sarebbe quindi importante poter suddividere i compiti e le funzioni in un percorso di affido, quindi chi si occupa di minori e di famiglie affidatarie e chi si occupa della famiglia di origine e del suo recupero.

     

    Presidente BOSCHINI. Ringrazio davvero i rappresentanti della Comunità Papa Giovanni XXIII per la loro presenza e per il loro contributo. Prego, collega Bertani.

     

    Consigliere BERTANI. L’esperienza è interessante ma, visto che i tempi della Commissione sono ristretti, una proposta che faceva la Commissione è che, finito il nostro lavoro, come Commissione potremmo andare a visitare la struttura, magari incontrando anche una di queste famiglie e capendo come funziona, però quando abbiamo finito i lavori perché i tempi sono quelli che sono.

     

    Presidente BOSCHINI. Molto volentieri. Se ci ospitano, veniamo con grande interesse. Prego, collega Facci.

     

    Consigliere Michele FACCI. Presidente, volevo rappresentare in diretta a tutta la Commissione quello che ho già scritto oggi in una comunicazione alla Presidenza rispetto all’audizione che abbiamo avuto il 30 settembre con la funzionaria (…omissis…) perché abbiamo appreso ieri (dai giornali oggi) che la dottoressa (…omissis…) è stata iscritta nel registro degli indagati della Procura di Reggio Emilia per fatti legati a una presunta sua partecipazione rispetto ad una richiesta di assegnare ad Hansel e Gretel un determinato appalto.

    Ragioniamo ovviamente nell’ambito della presunzione di non colpevolezza, però questo è un fatto nuovo che a mio avviso rende necessario (questa è la richiesta che ho già rappresentato) che venga trasmesso da parte della Presidenza alla Procura il testo dell’audizione della funzionaria. Io non so se in quella audizione vi siano gli estremi per poter procedere o non procedere, ma, alla luce di questo fatto e siccome rispetto a una mia precisa domanda la dottoressa ha risposto in ordine al rapporto con Hansel e Gretel e anche all’incarico che ha avuto Hansel e Gretel, queste sue dichiarazioni potrebbero (uso sempre il condizionale) essere utili a chi sta facendo indagini. Credo che nella funzione pubblica che abbiamo una messa a disposizione da parte nostra all’autorità giudiziaria delle trascrizioni dell’audizione possa essere certamente utile.

    L’ho scritto e ho visto anche che c’è già un’agenzia, però in ogni caso volevo verbalmente motivare meglio questa nostra richiesta fatta ovviamente a nome del Gruppo e spiegare anche agli altri commissari.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, collega Facci. Abbiamo visto la sua lettera, quindi confermo, come del resto leggiamo ogni volta, che i nostri atti sono anche finalizzati a contribuire all’attività della magistratura inquirente.

    Mi riserverei, se riesco già domattina prima dell’Ufficio di Presidenza, di fare un controllo più approfondito del testo effettivo dell’intervento della dottoressa (…omissis…) e poi valutiamo, magari anche domani, nell’Ufficio di Presidenza, quali possono essere i passi giusti. Ribadisco che di fondo la nostra attitudine è sicuramente quella della collaborazione con la magistratura e quindi valuteremo con molta attenzione la sua richiesta.

    Grazie a tutti. La seduta è tolta.

     

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