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Legislatura X - Commissione speciale tutela minori - Resoconto del 17/10/2019 pomeridiano

     

    Resoconto integrale n. 17

    Seduta del 17 ottobre 2019

     

    Il giorno 17 ottobre 2019 alle ore 14,30 è convocata, con note prot. nn. AL.2019.22325 dell’11/10/2019 e AL.2019.22434 del 14/10/2019 presso la sede dell’Assemblea legislativa in Bologna Viale A. Moro n. 50, la Commissione speciale d’inchiesta circa il sistema di tutela dei minori nella Regione Emilia-Romagna

     

    Partecipano alla seduta i consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    BOSCHINI Giuseppe

    Presidente

    Partito Democratico

    4

    presente

    SENSOLI Raffaella

    Vicepresidente

    Movimento 5 Stelle

    2

    presente

    TARUFFI Igor

    Vicepresidente

    Sinistra Italiana

    1

    presente

    ALLEVA Piergiovanni

    Componente

    L’Altra Emilia Romagna

    1

    assente

    BARGI Stefano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    BENATI Fabrizio

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    BERTANI Andrea

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    CALLORI Fabio

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    CALVANO Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    5

    presente

    DELMONTE Gabriele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    FACCI Michele

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    GALLI Andrea

    Componente

    Forza Italia

    1

    assente

    LIVERANI Andrea

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Daniele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Francesca

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MONTALTI Lia

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MORI Roberta

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    PETTAZZONI Marco

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    PICCININI Silvia

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    POMPIGNOLI Massimiliano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    PRODI Silvia

    Componente

    Misto

    1

    presente

    RAINIERI Fabio

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    RANCAN Matteo

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    SASSI Gian Luca

    Componente

    Misto

    1

    presente

    TAGLIAFERRI Giancarlo

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    TORRI Yuri

    Componente

    Sinistra Italiana

    1

    assente

    ZOFFOLI Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

     

     

    Partecipano alla seduta: L. Vecchi (ANCI Emilia-Romagna), L. Costi (ex Sindaco Comune Mirandola), F. Morcavallo (già Giudice presso il Tribunale dei Minori di Bologna), G. Mengoli (Coordinamento Regionale delle Comunità per Minori).

     

     

    Presiede la seduta: Giuseppe Boschini

    Assiste la segretaria: Annarita Silvia Di Girolamo

    Funzionario estensore: Vanessa Francescon


    DEREGISTRAZIONE CON CORREZIONI APPORTATE AL FINE DELLA MERA COMPRENSIONE DEL TESTO

     

    -     Audizione di Luca Vecchi – ANCI Emilia-Romagna

     

    Giuseppe BOSCHINI, Presidente della Commissione. Prima di iniziare la seduta abbiamo un minuto di riprese dei colleghi della stampa, la RAI e gli altri, però sedetevi, altrimenti non siete credibili.

    Dichiariamo aperta la seduta odierna, che, come sapete, è dedicata integralmente alle audizioni di Luca Vecchi in rappresentanza di ANCI Emilia-Romagna, del Coordinamento regionale delle comunità per minori, di Luigi Cozzi, ex sindaco del Comune di Mirandola, e dell’avvocato Francesco Morcavallo, già giudice presso il Tribunale dei Minori di Bologna, con all’ultimo punto dell’ordine del giorno eventuale dibattito e discussione, come sempre.

    Non avendo da approvare il verbale, ringrazio immediatamente il sindaco Luca Vecchi per la sua presenza e per la cortesia con cui ha accolto la nostra richiesta. Ricordo che è qui nella sua veste di rappresentante dell’ANCI Emilia-Romagna per il tema del welfare, poi non si distingue dalla figura del sindaco di Reggio Emilia, ma la sua presenza qui naturalmente è in quanto delegato dell’ANCI.

    Il tema su cui abbiamo quindi settato l’audizione è generale, informazione sui sistemi e sulle politiche per la tutela dei minori e l’affido dal punto di vista istituzionale dei Comuni, quindi questo è il punto di vista che vi chiediamo oggi, il punto di vista dell’ANCI e quindi dei Comuni italiani per quanto riguarda i sistemi e le politiche per la tutela dei minori.

    Il sindaco Vecchi ha chiesto di iniziare con una sua introduzione, in genere lavoriamo dedicando una decina di minuti all'introduzione e poi passiamo a raccogliere eventuali richieste di domande e approfondimenti da parte dei consiglieri.

    Do lettura del consueto ammonimento sulle condizioni del nostro lavoro. Ricordo ai commissari e ai nostri ospiti che la Commissione d’inchiesta, istituita in ambito regionale, non gode delle prerogative di cui all’articolo 82 della Costituzione, ossia dell’equiparazione ai poteri e ai limiti dell’autorità giudiziaria. L’eventuale audizione da parte della Commissione di persone indagate in procedimenti penali avviene esclusivamente in ragione del loro ruolo, a prescindere dalla circostanza che essi siano coinvolti o meno in procedimenti giudiziari.

    La nostra istruttoria quindi non mira all’accertamento di eventuali reati, spettando l’azione penale esclusivamente al pubblico ministero. Gli esiti o gli atti della nostra inchiesta potrebbero tuttavia essere richiesti o messi a disposizione della magistratura.

    Ricordo ai collaboratori regionali che da parte loro non è opponibile alla Commissione d’inchiesta il segreto d’ufficio. Ricordo ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio presenti in Aula i doveri e gli obblighi derivanti dal loro ruolo in merito alla denuncia all’autorità giudiziaria o ad altra autorità di un reato di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, ai sensi dell’articolo 331 del Codice penale, nonché le eventuali sanzioni derivanti dall’omessa o ritardata denuncia, ai sensi del 361 del Codice penale.

    Ricordo altresì, ai sensi dell’articolo 70 della legge 184 del 1983, che i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio sono tenuti a riferire alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio.

    Ricordo che la nostra attività come di ordinario è soggetta alle norme vigenti in materia di trattamento dei dati personali, in particolare la normativa che tuteli i dati sensibili dei minori, nonché alle norme in materia di offesa dell'altrui reputazione.

    Infine si fa presente che l’audizione, oltre a essere verbalizzata integralmente in forma audio e trascritta, è soggetta a diffusione in diretta tramite streaming sul sito istituzionale dell’Assemblea legislativa, salvo diverse indicazioni o richieste. Ricordo che le normative vigenti prevedono sanzioni in caso di diffusione di dati sensibili e giudiziari, quali i nomi di minori, di persone sottoposte a indagine o altri dati e informazioni che ne consentano, anche in via indiretta, l’identificazione.

    Nel ringraziarlo, do quindi la parola al sindaco Luca Vecchi.

     

    Sindaco Luca VECCHI, ANCI Emilia-Romagna. Grazie, presidente, grazie, consiglieri, grazie dell’invito. Come è stato già anticipato nell'introduzione del presidente, mi è stato chiesto di portare un contributo in rappresentanza dell’ANCI Emilia-Romagna. anche in virtù del fatto che da circa cinque anni ricopro il ruolo di delegato al welfare nell’ANCI nazionale e nello specifico, anche in questo preciso momento storico, coordino direttamente il Tavolo nazionale dei minori presso l’ANCI, che coinvolge diverse decine di Comuni italiani, con i rispettivi amministratori, tecnici e dirigenti.

    Non mi chiamo fuori dalla consapevolezza di essere, come già è stato detto, anche sindaco di Reggio Emilia, ma tenevo a questa premessa perché è dentro questo contesto che credo sia giusto collocare le ragioni di un intervento e anche la piena e massima disponibilità alla risposta ad ogni tipo di domanda che subentrerà in seguito.

    Il mio dunque è un contributo di natura politica, che vorrei portarvi modestamente con l’esperienza di un sindaco da cinque anni e delle cose che dicevo poc’anzi, contributo politico ad una Commissione che sta indagando un sistema, un fenomeno, perché penso che sia compito dei sindaci emiliano-romagnoli e più in generale italiani interrogarsi su quali siano i punti di forza e i punti di debolezza delle modalità con cui attualmente è organizzato il sistema della tutela, della protezione e dei servizi ai minori, al fine di sottoporre a un legislatore, regionale o nazionale che sia, un contributo necessario per migliorare complessivamente la qualità del sistema, lavorando non soltanto sui punti di forza ma anche evidenziando gli eventuali punti di debolezza che io proverò anche a chiarirvi dal mio punto di vista.

    Al di là di una legittima, fisiologica contrapposizione politica che può animare le parti politiche su questi temi, sono abbastanza convinto del fatto che questa materia vada affrontata con un certo grado di prudenza, di distacco e di obiettività. Lo dico non soltanto perché, rappresentando l’ANCI, rappresento Comuni di colori politici molto diversi, ma perché penso che se si fa questo sforzo si possa riuscire, con un maggior grado di chiarezza, a capire dove bisogna intervenire.

    I servizi sociali nascono, nel caso specifico dei minori, per proteggere i minori, per proteggere i bambini e per creare condizioni di migliori opportunità della loro crescita, partendo magari da condizioni di grande fragilità. Se la rappresentazione mediatica a un certo punto diventasse opposta, cioè che i servizi sociali generano abusi o quant’altro, significherebbe che qualcosa non funziona, che certamente va indagato nel merito, ma che almeno dal mio punto di vista va respinto alla radice.

    Credo che da questa vicenda storica si debba uscire non soltanto con gli inevitabili esiti di natura processuale, che andranno considerati con la dovuta serietà e attenzione, ma anche con un grado di consapevolezza politica che non metta in discussione la qualità complessiva di un sistema di servizi sociali che, non tanto a Reggio Emilia o in Emilia-Romagna ma in tutta Italia, laddove interviene, interviene con il preciso proposito di creare condizioni di migliore opportunità nei confronti di persone fragili, nel caso specifico di minori e di persone quindi che hanno bisogno anche di un sostegno, di un aiuto e di una protezione.

    Da questo punto di vista penso che ci siano alcuni nodi che sia giusto e doveroso tentare di affrontare. Uno di questi riguarda l’organizzazione dei servizi. Dalla postazione che ricopro anche sul piano nazionale quello che ho potuto constatare in questi anni è che è l’organizzazione dei servizi sociali anche rispetto alla tematica dei minori è estremamente variegata e non è certamente omogenea sul territorio nazionale, ci sono città dove ogni 4.000 abitanti c’è un assistente sociale, altre che più o meno non hanno assistenti.

    Diventa quindi preliminare questo tipo di condizione e di consapevolezza perché incide certamente anche sulle policy, sulle politiche e sulle modalità di attuazione di determinati progetti.

    Ci sono situazioni a maggior grado di internalizzazione e situazioni a maggior grado di esternalizzazione, ci sono situazioni a maggior grado di specializzazione rispetto ad altre.

    La consapevolezza di un sistema molto variegato, disarticolato e certamente non omogeneo nell’approccio alle politiche sui minori a livello nazionale credo che sia una consapevolezza che chiunque ha compiti legislativi deve avere.

    Per quanto ci riguarda, a Reggio, credo da ormai circa da vent’anni, quindi ben al di là delle mie esperienze e del mio mandato, il sistema dei servizi sociali è organizzato intorno ad una serie di principi fondamentali, a cui crediamo molto, innanzitutto il principio dell'organizzazione territoriale (abbiamo quattro poli territoriali), il principio del nucleo familiare prima ancora di ogni altra considerazione come elemento fondamentale di partenza.

    Lì si concretizza un principio che è alla base del funzionamento dei servizi, che è il concetto della presa in carico a volte del minore, altre volte del disabile, altre volte della nuova povertà, altre volte della famiglia in difficoltà. Il concetto della presa in carico è qualcosa di molto diverso dalla mera erogazione di un servizio a domanda individuale, cioè è il tentativo di costruire un percorso, un accompagnamento, un progetto di vita, che da una condizione di fragilità faccia uscire la situazione soggettiva da quella condizione.

    Questo (voglio sottolineare questo aspetto) può anche apparentemente sembrare un elemento di minore specializzazione, ma è certamente un elemento di maggiore presidio di prossimità del sistema delle relazioni di comunità e dunque anche della capacità di intercettare il bisogno e la fragilità, di cui prendersi carico e poi che vanno accompagnate in un determinato progetto.

    Credo che l’organizzazione sia un focus che va fatto non soltanto in termini di risorse, ma anche per capire quali siano i modelli organizzativi all’interno dei Comuni italiani con cui provare ad indirizzare il miglior risultato possibile,

    La seconda considerazione che vorrei farvi riguarda alcune figure in particolare, che credo debbano essere esaminate nel loro profilo professionale. Mi riferisco in particolare alla figura dell’assistente sociale.

    Premesso che considero gli assistenti sociali (ne ho conosciuti tanti animati da una grande passione, da una grande professionalità, da una grande vocazione verso la persona e verso la persona fragile) persone che non fanno quel lavoro per guadagnare tanto, perché guadagnano poco, e tuttavia sono persone che sono inserite dentro un contesto organizzativo in tutti i Comuni italiani, che li espone giustamente e necessariamente ad alti livelli di responsabilità e anche quindi di rischio. Credo che, proprio per tutelarle e proteggere al meglio il buon esito della loro professionalità, debba essere nostra consapevolezza il grado stesso di rischio e di vulnerabilità della loro stessa azione.

    Faccio sempre un esempio, che vorrei fare ai consiglieri regionali qui presenti perché penso che possiate afferrare molto bene di cosa stiamo parlando. Nell’organizzazione gerarchica di una Amministrazione comunale sopra l’assistente sociale a Reggio Emilia c’è un coordinatore di polo, sopra ancora c’è un dirigente di servizio, sopra ancora c’è un dirigente d’area, un Direttore generale, un assessore, un sindaco.

    Non è così dappertutto, ma va osservato che, se trasponiamo ad altri livelli della Pubblica Amministrazione l’equivalente gerarchico, ci sono le condizioni per dire che probabilmente in nessun altro ambito della Pubblica Amministrazione a quel livello gerarchico c’è un livello di responsabilità e di discrezionalità che credo vada protetto e tutelato da un lato, ma messo a fuoco con la dovuta consapevolezza dall’altro, nell’interesse del buon esito del servizio.

    Si diventa assistenti sociali con una laurea breve, ci si può trovare ventenni in condizioni di buon grado di solitudine, in piccoli Comuni, a gestire casi estremamente delicati. L’assistente sociale non è quello che decide, ma è quello che valuta, è quello che legge le cose, le scrive e alla fine mette la firma, anche attraverso una certa autonomia professionale.

    Credo che avere la consapevolezza che nel sistema complessivo della gestione dei minori questo può diventare un anello debole sia anche un modo per fare uno sforzo di valorizzazione e di arricchimento del contenuto professionale di queste figure.

    L’ulteriore considerazione che vorrei fare riguarda il tema delle famiglie affidatarie, che è stato toccato a più riprese. Sono famiglie animate e spinte da un sincero intento altruistico e solidale, penso che la società in cui viviamo abbia molto bisogno di persone di questo genere, è altrettanto evidente che compete anche a noi, che abbiamo un ruolo politico-amministrativo e anche istituzionale, capire quali siano le condizioni migliori dentro cui va collocato anche il ruolo e il processo che può portare ad un affidamento.

    A Reggio Emilia abbiamo ormai sperimentato e consolidato un processo molto regolato, che parte dall’individuazione di queste famiglie all’introduzione di percorsi di selezione, di formazione, di approfondimento delle situazioni soggettive, fino ad arrivare al momento stesso del cosiddetto "abbinamento", con un procedimento molto simile a quello dell’adozione, ancorché lo stesso regolato in modo molto più formale. Credo però che questi processi e queste procedure, laddove si riuscisse a trovare una più formale regolamentazione, potrebbero cautelare meglio il buon esito dell’operazione stessa.

    Chiudo il mio intervento introduttivo suggerendo alcune questioni su cui credo si debba lavorare. Da mesi si parla giustamente e necessariamente di queste vicende, penso che noi non dobbiamo perdere di vista che dentro i processi e le procedure che hanno a che fare con la gestione delle politiche sui minori persiste un grande bisogno di implementazione della capacità stessa di ascolto dei minori.

    L’iter decisionale che porta ad una decisione che, giusta o sbagliata, è sempre una decisione pesante, che cambia la vita di persone, in particolare la vita di famiglie e di minori, è un iter decisionale che non può prescindere da una quantità e una qualità adeguata di ascolto di chi è direttamente interessato. Credo che questo sia il modo migliore per esplicitare una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza che riconosce i diritti dei minori in modo coerente e conseguente.

    Personalmente non sono innamorato dei metodi e penso anche che in questa materia, più che il metodo scientifico, serva la consapevolezza che siamo di fronte ad un ambito molto umanistico, che non siamo qui a sviluppare una formula matematica che alla fine produce un esito certo, ma che servono anche altre virtù, ed in queste virtù e in queste metodologie la necessità di ascoltare i minori credo non debba essere persa di vista.

    Due considerazioni ulteriori riguardano gli operatori, perché è una domanda che mi viene da loro, cioè quella di intensificare i livelli di supervisione del loro stesso lavoro attraverso strumenti, modi e forme che è compito del legislatore anche individuare, ma che credo rappresenti anche un modo per rafforzare ulteriormente le garanzie stesse del buon esito del loro lavoro.

    L’ultima considerazione riguarda il trattamento psicologico del minore. Dopo la decisione che in un qualche modo cambia la sua vita noi non possiamo pensare di non accompagnare il percorso del minore con una adeguata dose di assistenza, di sostegno e di supporto anche in tal senso. Mi fermerei qui per rendermi anche disponibile a tutte le domande.

    Naturalmente ho con me anche quelli che sono i numeri dell’organizzazione stessa dei nostri servizi, in caso specifico a Reggio Emilia. Non ho problemi anche ad esternarli, non ho problemi neanche a consegnarli all’attenzione stessa della Commissione. Non vorrei tenerla troppo lunga. Sono qui a disposizione di ogni vostra ulteriore domanda. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille, sindaco Vecchi.

    Ho già iscritto per un primo intervento il collega Delmonte. Prego.

     

    Consigliere Gabriele DELMONTE. Grazie, presidente. Ringrazio per la presenza il sindaco Luca Vecchi nella sua veste ANCI, in questo caso come convocazione, almeno era avvenuta così.

    Cerco di restare in questo ambito, nel senso che lei è responsabile del welfare per l’ANCI nazionale. Ho trovato la data. Dal 1° dicembre 2015 – ho trovato on-line questa data – è incaricato, da Piero Fassino, di questo incarico. Durante questa nomina l’incarico che le è stato affidato è un virgolettato di Piero Fassino, dato quel giorno in un comunicato stampa congiunto tra voi due in cui si diceva che lei “sarà responsabile di seguire l’evoluzione normativa e tutte le politiche pubbliche di pertinenza della materia delegata e di istruire e formulare proposte relativamente alle posizioni che l’associazione dovrà di volta in volta assumere e presentare, sempre riguardanti questa materia”.

    Non vuole essere assolutamente una provocazione, però le chiedo una cosa. Qui stiamo evidenziando, nell’arco del nostro lavoro, che ormai va avanti da settimane, effettivamente, se non vogliamo chiamarla una carenza normativa, se non altro alcune lacune, alcune interpretazioni che si possono dare o a delle linee guida o delle linee d’indirizzo o a delle normative magari un po’ troppo libere su certi contesti, ma anche un’eccessiva – l’ha citata anche lei – a volte, non l’ha detto come eccessiva, discrezionalità nel giudizio degli assistenti sociali, che può essere un problema in alcuni casi ed è magari, invece, anche la formula per tenerle libere e più rapide in altri.

    Sono passati quattro anni. Lei ha mai evidenziato questi problemi di carenza normativa? Le problematiche le ha mai portate nei contesti ufficiali o li evidenzia solo oggi qui? Questo era il suo compito, di fatto. Lei doveva guardare tutto l’apparato normativo a tutela dei Comuni che, di fatto, hanno in capo ai servizi sociali, capire se c’erano delle lacune ed evidenziarle per la tutela stessa dei Comuni – ricordiamo che l’ANCI a questo serve – ed evidenziare e magari fare delle proposte per migliorare alcuni aspetti normativi e quindi migliorare anche il lavoro dei servizi sociali dei vari Comuni o Unioni di Comuni.

    Le chiedo se ha mai fatto proposte – probabilmente le ha fatte e non le troviamo noi, non sono tutte on-line giustamente queste cose – ufficiali in merito, magari portandole a livello nazionale o a livello regionale; se ha mai evidenziato questi problemi e se ha intenzione magari di prendersi carico, anche dall’esito di questo iter che stiamo facendo all’interno di questa Commissione, che finirà con una relazione che verrà approvata poi dalla Commissione stessa e credo anche in aula adesso nell’iter, quindi è una posizione ufficiale dell’Assemblea che evidenzierà sicuramente dei problemi a livello almeno normativo o di alcune lacune, se si può prendere carico qui di portare poi queste osservazioni che noi faremo all’ANCI e comunque anche all’ambito nazionale come le compete dal ruolo assegnatole.

    Lei ha parlato adesso come ultimo punto, credo, il quarto, del supporto psicologico del minore. Le faccio una domanda un po’ forse vaga, nel senso che è proprio una riflessione che faccio insieme a lei, cercando di ottenere magari dei suggerimenti. Abbiamo notato, sempre parlando e affrontando queste tematiche, che, ovviamente, per alcuni motivi, c’è un supporto psicologico del minore fino a quando è minore. Al momento del compimento del diciottesimo anno di età c’è un po’ un fuggi-fuggi dai servizi sociali o perlomeno un cambio di ambito, passando dai minori a un altro ramo di supporto, ed è come se di colpo tutti i problemi psicologici al compimento del diciottesimo anno di età sparissero. Ovviamente, sappiamo che non è così e quindi le chiedo se lei ha dei suggerimenti o magari proprio un suo parere personale e politico su come possa essere gestito all’interno dei servizi sociali di un Comune o di un’Unione questo passaggio tra l’area minori ed effettivamente un’altra area che “minori” non può essere, dal momento in cui il ragazzo non ha più meno di 18 anni.

    Non posso evitare di osservare come la cronaca abbia portato in questi giorni il caso di un’indagine di (…omissis…), parliamo della settimana scorsa se non erro, che ha portato, come titolavano i giornali, il caso affidi anche all’interno del Comune di Reggio Emilia, ovviamente per un caso di una persona non di un’Istituzione o di un ente.

    Secondo lei è ancora opportuno che lei ricopra questo ruolo a livello nazionale per l’ANCI, nonostante i problemi sui minori, sul welfare in particolare, evidenziati dalla cronaca solo nel nostro territorio? Glielo chiedo come riflessione.

     

    Presidente BOSCHINI. A volte raccogliamo anche più di una domanda, ma visto che sono già quattro domande, direi, sindaco, che può senz’altro rispondere. Grazie.

     

    Sindaco VECCHI. Ringrazio il consigliere. Vorrei innanzitutto spiegarle una cosa. L’ANCI non è una persona fisica, ma è un’Istituzione che rappresenta migliaia di Comuni.

    La delega che ho ricevuto da un presidente che si chiamava Fassino, e l’ho ricevuta di nuovo da un altro presidente, che è il sindaco di Bari che si chiama Antonio Decaro, mi affida un ruolo, ma è un ruolo che non mi affida una discrezionalità di azione libera e personale.

    Io sono in stretta relazione con le strutture dell’ANCI e la partecipazione e il protagonismo di tantissimi Comuni che negli organismi dell’ANCI sono presenti su questi temi.

    Lei mi chiede su che cosa ci siamo impegnati in questi anni. Le rispondo anche se chiaramente stiamo andando fuori dal tema, ma non è assolutamente un problema perché la domanda l’ha fatta lei. Noi abbiamo seguito tutta la normativa del REI. Abbiamo seguito tutto il reddito di cittadinanza, abbiamo seguito tutta la legge sul “Dopo di noi”, abbiamo seguito insieme alla delega welfare e alla delega immigrazione dell’ANCI tutta la questione dei minori non accompagnati, abbiamo seguito tutta la legge sul terzo settore. In questo momento, in particolar modo, stiamo seguendo la partita dei minori, ma delle interlocuzioni per esempio con il Garante dell’infanzia sono presenti da sempre tra l’ANCI e il Garante.

    Il compito dell’ANCI è quello di fare proposte, ma il compito dell’ANCI è anche quello di interagire e porsi in relazione con il legislatore e con il Governo nell’ambito di quei processi legislativi che voi stessi conoscete e su cui non sono le opinioni di una conferenza stampa o di un comunicato stampa che fanno la differenza, ma sono gli atti.

    Quello che posso dirle è che dal reddito di cittadinanza al reddito di inclusione questo è stato certamente un percorso legislativo che ha impegnato e coinvolto l’ANCI in modo molto significativo per le ricadute che queste innovazioni legislative avevano sul sistema dei Comuni. Così è stato sulla legge del “Dopo di noi”, così è stato sulla legge del terzo settore.

    La tematica del welfare, come forse lei sa, è una tematica molto ampia e il modo di lavorare con cui l’ANCI ha agito storicamente è sempre stato quello di agire anche e soprattutto sulla base di quella che è l’agenda politica del momento storico ed in particolar modo l’agenda politica dei Governi indipendentemente dal loro colore politico e del legislatore nazionale.

    In questo momento specifico l’ANCI ha già avuto un’interlocuzione con il Garante dell’infanzia nei mesi scorsi, un confronto. L’ANCI ha istituito, come le dicevo all’inizio, un tavolo specifico sui minori, che sta sviluppando un approfondimento finalizzato ad elaborare una propria autonoma proposta da sottoporre non soltanto al Garante dell’infanzia, ma anche in particolar modo agli organi competenti, cioè al legislatore italiano, al fine di verificare la possibilità anche di innovazione della normativa vigente stessa.

    Se la risposta non basta, possiamo ritornarci.

    Per quello che riguarda, invece, la seconda domanda, il supporto psicologico, passiamo da una dimensione politica ad una dimensione molto tecnica. Questa è una consapevolezza che dobbiamo avere. Personalmente, non mi ritengo un tuttologo. Penso che stare al proprio posto quando si tratta di materie di questo genere sia un’azione di buonsenso.

    Credo, però, di poterle dire, sulla base della mia capacità di ascolto e di relazione con gli addetti ai lavori, che il tema del supporto psicologico ai minori sia un aspetto fondamentale. Il passaggio dalla minore alla maggiore età è un passaggio che non ho bisogno di spiegare a lei che cosa significa anche dal punto di vista normativo: scattano delle situazioni soggettive diverse. Ciò non toglie ‒ dico la mia opinione ‒ che, laddove ci siano situazioni di forte fragilità (familiare, personale, soggettiva), personalmente non ritengo che il compimento della maggiore età rappresenti il punto di arrivo e di compimento di un percorso di accompagnamento che si vuole, in qualche modo, finalizzare a superare quella condizione di fragilità.

    Dunque, vanno create le condizioni, compatibilmente con le risorse, con le volontà politiche, con le modalità organizzative che ogni Comune italiano può avere, per continuare un percorso che, se magari fino a quel momento ha prodotto degli avanzamenti, dei miglioramenti, li possa produrre anche in seguito. In questo senso, le dirò anche di più. Noi, come lei ben sa, perché anche lei è di questa terra, apparteniamo a una terra che ha sviluppato una profonda cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Questo non è un giudizio politico. Questo è un dato storico, che non serve a rivendicare un’eccellenza, ma serve quantomeno ad avere tra di noi un adeguato livello di consapevolezza di ciò che storicamente si è fatto da generazioni di amministratori, da generazioni di addetti ai lavori in questi settori.

    Credo ci siano tutte le condizioni per riuscire a consolidare quanto di buono c’è e ad avere con grande obiettività anche la capacità di mettere a fuoco i punti di debolezza e di migliorarli con gli strumenti necessari, che a volte sono strumenti normativi. Altre volte è semplicemente un tema di risorse, di competenze. Altre volte ancora è un tema di volontà politica. Non possiamo negare che la volontà politica, non necessariamente legittimamente, su questi temi tende ad essere unanimemente convergente.

    Per quanto riguarda l’ultima domanda che lei ha fatto, relativamente alla (…omissis…), nel caso specifico devo dirle questo: credo che le indagini della magistratura vadano rispettate nella loro autonomia. Questa è la mia abitudine. Io non sono uno che in questi frangenti assume toni altri. Noi abbiamo fiducia che questa vicenda, del tutto marginale rispetto alla vicenda complessiva della Val d’Enza, possa trovare ‒ mi auguro anche rapidamente ‒ un suo inequivocabile chiarimento. Abbiamo fiducia anche perché conosciamo la persona e la professionista. Aggiungo, però, che nella consapevolezza del ruolo istituzionale che ricopriamo e nella consapevolezza dell’organizzazione complessa, come una Pubblica amministrazione, noi non abbiamo esitato, con la dovuta tempestività, a produrre delle decisioni che hanno comportato l’applicazione della procedura della rotazione straordinaria sulla base degli indirizzi ANAC. In questo momento, la funzionaria non ricopre più il ruolo che ricopriva nelle settimane scorse. È stata destinata ad altre funzioni. Questo credo sia il modo corretto ‒ a garanzia della sua posizione, da un lato, e a garanzia stessa di coloro che stanno legittimamente e giustamente indagando, dall’altro ‒ per interpretare un sincero e autentico spirito garantista.

    Per quanto riguarda la possibilità che io continui a fare o meno il delegato welfare dell’ANCI, questa è legata semplicemente alla volontà politica del presidente e alla sua volontà di ricondurre al sottoscritto la giusta e necessaria fiducia. Io non sono qui a chiedere posti, a chiedere ruoli. Già devo fare il sindaco di Reggio. Questa cosa è più che sufficiente come dimensione dell’impegno. Non è certamente la vicenda a cui lei ha fatto riferimento che può indurre sostanzialmente ad un’autovalutazione in questo senso. Il mio mandato è a disposizione in ogni istante, ma è a disposizione dei soggetti competenti a decidere se va rinnovata una fiducia oppure no.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, sindaco.

    Ho iscritti i colleghi Callori e Calvano. Prego, collega Callori.

     

    Consigliere Fabio CALLORI. Grazie, presidente. Ringrazio anche il sindaco di Reggio Emilia.

    Io sono un po’ in difficoltà. Io conosco bene il mondo ANCI. Sono anni che ne faccio parte. Sappiamo bene che ANCI in ogni Regione, anche in Emilia-Romagna, definisce le varie cariche e compone i vari Consigli direttivi e le varie Commissioni. In Emilia-Romagna è chiaro che i Comuni, per la maggioranza, sono di estrazione di centrosinistra. Quindi, la quota maggioritaria di ANCI è riservata ai sindaci di centrosinistra; una parte minoritaria va ai sindaci di centrodestra e una piccola parte ai sindaci civici. È chiaro che tutti quelli che, alla fine, hanno un ruolo, anche nelle Commissioni, tutti i presidenti, sono presidenti che hanno anche una connotazione politica, quindi, giustamente, sono stati eletti anche con quella parte politica.

    Le Commissioni molte volte in ANCI si fanno ‒ passatemi il termine ‒ tanto per farle. Non sono sempre Commissioni con ruoli fondamentali. Questa volta, però, penso che la Commissione welfare dell’Emilia-Romagna, proprio in base a quello che è avvenuto in Val d’Enza, abbia un ruolo importante. Guardavo prima il sito dell’ANCI, anche per vedere un attimo i comunicati, le cose che sono state fatte. Ho visto che il presidente della Commissione welfare, quindi lei, come sindaco… Ci sono diversi comunicati sui giovani, sull’attenzione per i bambini, su tanti temi, ma non vedo nulla su Bibbiano. La Commissione ANCI Emilia-Romagna non ha preso posizione, non ha fatto nessun comunicato su quello che è successo in Val d’Enza. Questo ‒ non che mi preoccupi ‒ mi dispiace.

    Qui abbiamo audito tante associazioni, dagli assistenti sociali alle case famiglia, a chi fa volontariato, e tutti hanno preso una posizione. A favore, contro o quant’altro, però c’è una presa di posizione. Io, in questo caso, non ho visto questa presa di posizione. Chiaramente si è ancora in tempo a prenderla. Mi chiedo oggi: c’è la volontà di ANCI, quindi della Commissione welfare, di prendere una posizione su Bibbiano oppure il suo presidente, oggi qui, che rappresenta ANCI Emilia-Romagna ci vuole ufficialmente dare la posizione di ANCI Emilia-Romagna, Commissione welfare, su quello che è accaduto a Bibbiano? A Bibbiano non è accaduta una cosa su cui si può passare sopra. C’è una Commissione regionale di indagine, c’è la magistratura che sta indagando. Quindi, è una cosa abbastanza pesante e importante, soprattutto per il sistema Emilia-Romagna. Giustamente, focalizziamo partendo dalla Val d’Enza, per poi vedere quello che è successo anche in altre zone.

    Oggi le chiedo se ci ufficializza una posizione chiara e netta di ANCI e la sua, come presidente della Commissione welfare, che poi è la voce di ANCI.

     

    Presidente BOSCHINI. Visto che è una domanda precisa, raccogliamo anche quella del collega Calvano. Dopodiché, diamo spazio alle risposte.

    Prego, collega Calvano.

     

    Consigliere Paolo CALVANO. Grazie, presidente. Grazie, sindaco.

    Una premessa che vale, credo, per tutti noi. Oggi si sta chiedendo ad ANCI cosa ha fatto sulla vicenda dei minori più in generale (sentivo dal 2015 in avanti). Mi permetto di dirlo ai colleghi, di dirlo a loro e di dirlo a me. Molte delle cose che noi stiamo sentendo in questa Commissione d’inchiesta, comprese le relazioni che ascolteremo dopo e altre che abbiamo ascoltato nei giorni scorsi, sono già state fatte un anno e mezzo fa presso la Commissione parlamentare per l’infanzia e per l’adolescenza. In particolare, in quella Commissione si fece un’indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, che durò due anni.

    Mi si potrebbe chiedere: cosa c’entra questo? C’entra eccome. Purtroppo, bisogna che ce lo diciamo tutti, l’attenzione che abbiamo posto sul tema in quel momento probabilmente non è stata sufficiente. Siccome non c’erano casi di cronaca che ci inducevano ad occuparci di questo, se ne sono occupati molto quelli che fanno parte di quella Commissione e, nonostante alcune conclusioni che ci sono in quella indagine, finché non è venuto fuori il caso di Bibbiano, tutte le forze politiche – non è un j’accuse nei confronti di qualcuno, però è una riflessione che dobbiamo fare su come a volte facciamo politica tutti – probabilmente non hanno fatto adeguatamente quello che dovevano fare.

    Lo dico perché oggi al Governo c'è il PD, ma un po’ di mesi fa erano al Governo altri partiti, che avevano anche loro a disposizione l’indagine conoscitiva fatta due anni fa, che – ripeto – conteneva già alcune delle cose che finiranno nella nostra relazione.

    Credo che questo debba farci riflettere, perché non possiamo pensare di occuparci di minori solo quando emerge un caso che ha a che fare con i minori. Su questo mi permetto un appunto, perché i fatti parlano chiaro: in quella Commissione di due anni fa alcune forze politiche si sono occupate di minori più di altri, non posso negare che, con tutti gli atti che ho raccolto, ho visto un’attenzione da parte del PD, che presiedeva quella Commissione così come da parte anche del Movimento 5 Stelle che non è stata la stessa attenzione che ci ha messo certamente il Centrodestra, che avrà avuto le sue ragioni, non le metto in discussione, però purtroppo è così.

    Se andate a prendere gli atti di quella Commissione, quando non andava di moda (passatemi il termine brutale) parlare di minori c’è chi se ne è fregato! Devo dire meno il mio Partito di altri. Lo dico perché davvero ci può essere utile la relazione conclusiva di quella indagine anche per quello che dobbiamo fare di qui al prossimo mese.

    Fatta questa premessa, aggiungo che anche l’ANCI fu chiamata in quella Commissione, ma (lo dico al sindaco Vecchi) fu chiamato un altro sindaco che era Biffoni per parlare dei minori fuori famiglia, ma stranieri, perché c’era un tema collegato agli stranieri non accompagnati, quindi ci fu un'audizione di ANCI, ma riguardò non chi si occupa di welfare, ma chi si occupava di minori immigrati.

    Detto questo, nella relazione che lei ha fatto, di cui condivido molti aspetti, sia quelli positivi che quelli più critici, lei ha evidenziato una cosa molto condivisibile, su cui le chiedo un parere e anche un consiglio. Lei dice che gli operatori chiedono più supervisione, perché giustamente hanno addosso una responsabilità enorme nel momento in cui fanno valutazione, occorre riconoscere che la legge 14 del 2008 dell’Emilia-Romagna, all’articolo 18, indica proprio questa opportunità, cioè quella di coinvolgere l’équipe di secondo livello.

    Lì viene indicata come un’opportunità, ma i fatti di questi anni ci portano a dire che forse è opportuno che noi stringiamo le maglie di quella legge e che questo articolo 18 diventi più cogente, più coercitivo nei confronti dei Comuni e delle Conferenze socio-sanitarie.

    Significa forse qualche costo in più, qualche procedura in più, però le chiedo da sindaco se lei ritenga opportuno che noi si intervenga su un articolo 18 già pensato nella logica di una maggiore supervisione ma in una logica volontaristica, se non addirittura renderla una logica più cogente e coercitiva. Le chiedo un parere su questo.

     

    Presidente BOSCHINI. Diamo la parola al sindaco Vecchi per queste prime risposte.

     

    Sindaco VECCHI. Grazie, rispondo innanzitutto alla prima domanda. Sulla vicenda della Val d’Enza dichiarazioni ce ne sono state a non finire, abbiamo occupato mesi e mesi di pagine di un confronto politico e di una rappresentazione mediatica che ognuno giudica come vuole, legittimamente, e che non ha nulla a che vedere con il rispetto doveroso e necessario di quella che è l’evoluzione dell’inchiesta e dell’iter processuale, ma ha configurato intorno a quel tema un livello di scontro altissimo dal punto di vista politico, di speculazione altissima dal punto di vista politico, ognuno per proprie legittime esigenze di posizionamento proprio.

    Io stesso come sindaco di Reggio ho preso posizione su quella vicenda, quindi non sono certo uno che si è sottratto ad una compiuta riflessione sulla vicenda, però mi faccia dire questo. Io sono un sindaco, nel caso specifico qui rappresento l’ANCI, dunque con la consapevolezza di rappresentare sindaci che non hanno il mio stesso colore politico, penso che il compito dell’ANCI non sia quello di partecipare ad una competizione polemica sulla stampa su qualsiasi argomento che accompagna le vicende politiche del nostro Paese, ma credo che il compito vero dell’ANCI sia quello di collaborare a tutti i livelli istituzionali per portare l’esperienza dei sindaci, dei grandi Comuni, delle città medie, dei piccoli comuni per migliorare i processi legislativi e innovativi del nostro Paese.

    Potrei anche chiedervi (lo dico non perché ci creda, ma come elemento di provocazione) cosa abbiate fatto voi sulla questione dei minori, cioè se partiamo da questa dinamica di mera competizione polemica, a parte il fatto che qui in questa sala non dobbiamo convincerci l’un l’altro e sarebbe un confronto politico abbastanza sterile.

    Penso che davanti ho una Commissione d’inchiesta di un’Istituzione regionale, che ha funzioni legislative, voglio umilmente provare ad interpretare quelle sensibilità, quelle riflessioni che in sede ANCI in tantissimi contesti ho intercettato, per rappresentare in alcuni casi preoccupazioni critiche, in altri casi elementi da rafforzare e da valorizzare ulteriormente.

    Penso che ci siano dei momenti in cui si dà tregua alla mera e facile competizione politica e si cerca insieme, rispettosi ognuno dei propri ruoli ed anche dei propri convincimenti politici, di capire qual è il contributo di merito per fare andare avanti le cose.

    Io oggi sono qui per questo, la campagna elettorale l’ho finita tre mesi fa, ho vinto, quindi sono più molto tranquillo da questo punto di vista.

    Il mio è davvero un contributo sincero e disinteressato di chi può provare ad aiutare e un lavoro serio, che questa Commissione sta facendo e che dalle tante audizioni che avete fatto e dal percorso di ascolto che avete compiuto vi metterà sicuramente nella condizione di poter operare al meglio dal punto di vista delle vostre autonome prerogative legislative.

    Sono qui con questo spirito, pronto a rispondere ad ogni domanda. Per quanto riguarda l’ANCI, a parte il fatto che non sono presidente della Commissione, come ho detto all’inizio sono il delegato welfare nazionale dell’ANCI, l’ANCI ha un delegato regionale e un presidente regionale, abbiamo insieme ritenuto che, essendoci un delegato nazionale in Emilia-Romagna che si sta costantemente occupando di questa vicenda, potesse essere ragionevole che non si sottraesse a partecipare a questa seduta.

    Se avessi voluto essere strumentale ad altri fini e avessi voluto evitare la difficoltà o la complicazione di un confronto politico, avrei potuto tranquillamente trovare il modo per non essere presente qui oggi, ma questo lo dico proprio perché ci tengo, al di là delle appartenenze politiche, a portare un contributo serio a questa vicenda.

    Per quanto riguarda la posizione del consigliere Calvano, vi ho rappresentato questa sensibilità che ho raccolto nel confronto con tanti operatori, che chiedono quello che è stato definito un impianto più cogente dell’articolo 18, cioè che ci sia un rafforzativo del ruolo della supervisione del loro operato e ho capito che questa sincera testimonianza deriva da una consapevolezza della delicatezza e della responsabilità che queste figure professionali si trovano ad interpretare nella gestione di casi estremamente delicati.

    Questo può giustificare il fatto che vi possano essere soggetti altri, soggetti anche terzi, non necessariamente riconducibili dentro un inquadramento gerarchico dell’Amministrazione, con i quali sottoporsi ad un confronto, ad una supervisione che non fa altro che incrementare, a mio avviso, o implementare quei livelli di prudenza, di consapevolezza e di saggezza che accompagnano processi decisionali abbastanza delicati.

    Mi sono permesso di suggerirlo, perché so che questa è una di quelle cose che un legislatore, se ha la volontà politica in questo senso, può decidere di innovare.

     

    Presidente BOSCHINI. C’era anche la domanda del collega Calvano sul come non lasciare soli…

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. A posto, perfetto. Ho equivocato io.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Perfetto, a posto. Non ho interpretato correttamente io, mi scuso.

    Collega Delmonte, prego. Poi la collega Prodi.

     

    Consigliere DELMONTE. In realtà, forse è più una risposta al collega Calvano. È una sollecitazione. Ha passato gli ultimi quattro mesi, collega Calvano, in quanto anche rappresentante regionale di un partito, a dire di non fare differenze di partito perché questa questione non è né di destra, né di sinistra e poi si arriva qui dentro e si dice “Attenzione, noi abbiamo sempre fatto tutto come sinistra, la destra se n’è sempre fregata”. Questa è la frase che lei ha detto.

     

    (interruzione)

     

    Consigliere DELMONTE. Ha detto “se ne frega, se n’è fregata”. Può prendere la registrazione. Questa è la sua frase. Poi dice “Noi ce ne siamo sempre occupati, non solo quando va di moda”. Ha detto anche questa frase. “Non solo quando va di moda”. Mi dispiace, ma ha appena smentito il sindaco Luca Vecchi, che ha detto: “Per quattro anni mi sono occupato di REI, terzo settore, Dopo di noi. Il settore minori l’ho preso in carico solo ora che si sta parlando di Bibbiano”. Questo ha dichiarato prima. Può andarlo a sentire. Ha fatto esattamente questa affermazione, dicendo che dal 2015 ad oggi – anche giustamente, per l’amor di Dio, il welfare è tanto, non è solo quel settore – per quattro anni ha fatto tutto tranne che i minori e se l’è preso in carico o in gestione solo ora che è scoppiato il caso Bibbiano.

    Giusto o sbagliato, non mi interessa, però è esattamente la direzione opposta a quello che lei ha appena dichiarato “Ce ne siamo sempre occupati”. Il presidente ANCI è vostro, prima e dopo, sia nel 2015 che oggi. Il presidente della Commissione al Governo, come lei ha detto, è vostro. Il responsabile delegato nazionale welfare è qui ed è vostro. Chi doveva controllare? Noi? Avevate tutti i ruoli possibili e immaginabili per poter controllare, verificare, proporre e correggere. Tutti, e non avete fatto nulla. Si fa presto a dire “Ne abbiamo parlato”.

     

    (interruzione)

     

    Consigliere DELMONTE. Posso parlare? Grazie. Voi dovevate intervenire e occuparvene. Se l’avete fatto come avete fatto a Bibbiano o in altri posti, era meglio non farlo. Quando siete intervenuti nell’ambito dei minori, soprattutto mettendo piede all’interno del sociale, avete fatto dei danni, andando a danneggiare l’autonomia decisionale e l’autonomia dei servizi sociali, mettendoci il becco politico. Questo è quello che emerge dagli atti e questo è quello che noi condanniamo.

    Se lei vuole portarlo su un discorso politico, io lo ribalto politicamente dicendo che voi nei ruoli che ricoprite e che avete ricoperto non avete assolutamente svolto il ruolo di controllo, partendo dal sindaco qui presente Luca Vecchi nel suo ruolo di delegato nazionale al welfare.

     

    Presidente BOSCHINI. Mi permetto soltanto di ricordare a tutti che il nostro compito qui è chiedere e acquisire informazioni dalla persona audita, in questo caso il sindaco Vecchi.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Come vede, non ho interrotto niente. Ricordo sempre che noi abbiamo al termine delle nostre audizioni lo spazio per il dibattito in cui credo sia giusto anche eventualmente rinfacciarci le cose che riteniamo di avere detto politicamente magari in un senso o nell’altro, anche per rispetto ai nostri ospiti.

    Ascolterei anche l’intervento della collega Prodi e poi darò la parola al sindaco per una ulteriore risposta.

    Collega Prodi, prego.

     

    Consigliera Silvia PRODI. Ringrazio il sindaco Luca Vecchi della sua presenza qui oggi. Per quanto riguarda l’intervento del collega Delmonte, magari ne parliamo dopo, così ci rinfreschiamo anche un po’ la memoria su quello che abbiamo detto in anni passati riguardo i modelli socioeducativi.

    In Commissione abbiamo audito Carmine Pascarella, che ci ha dato un esempio, secondo me, anche di altissima qualità in tema di gestione dei servizi. Nel suo intervento ha sottolineato due aspetti che, secondo me, sono cruciali. Uno è il tema dell’esternalizzazione dei servizi. Lui, appunto, vede in questo un vulnus perché l’esternalizzazione è uno di quei tasselli che allontanano da una procedura, da un approccio standard rispetto all’approccio ai casi. So che questo poi va nel tema della certezza della disponibilità delle risorse. Comunque, il tema dell’esternalizzazione è uscito ed è uscito non solo in quella seduta, ma in altre. Pascarella l’ha portato con una certa competenza ed evidenza.

    L’altro, che è un po’ grosso modo quello che diceva anche il collega Calvano, è su come avere un sistema in qualche modo centralizzato di verifica e di discussione, di controllo dei casi.

    Lui diceva che prima della riforma della legge n. 56 sulle Province il sistema provinciale era un sistema che garantiva uno scambio, un controllo maggiore.

    La riflessione è se la dimensione provinciale può tornare a essere un modello. Mi viene in mente un modello tipo hub and spoke. Può essere un riferimento da riprendere, perché poi dobbiamo scrivere la relazione e quindi la mia domanda è se questa può “tornare” ad essere, ripensandolo, una dimensione che può aiutare nello scambio, non solo controllo, ma proprio uno scambio proficuo per evitare forse delle sacche di eccessiva arbitrarietà. Sottolineo “può”.

    Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, sindaco.

     

    Sindaco VECCHI. Ringrazio la consigliera Prodi. Intanto sul tema esternalizzazione e internalizzazione. Qui io sono un po’ di parte. Rappresento un Comune che mantiene un grado molto, molto elevato di internalizzazione dei propri servizi socioeducativi. Noi continuiamo ad assumere le cuoche degli asili, continuiamo ad assumere gli atelieristi. Abbiamo una media di un assistente sociale circa ogni 4.000 abitanti in un paese dove tante città hanno un assistente sociale ogni 10.000 e tanti territori, tanti ambiti non hanno programmazione sociale a medio termine.

    Dire che serve un grado di internalizzazione adeguato, per quanto mi riguarda, è assolutamente condivisibile e questo non lo dico perché voglio in qualche modo demonizzare il ruolo del privato, chiunque esso sia, ma perché noi complessivamente ci siamo organizzati così storicamente, ci siamo riusciti fin qui e questo certamente ha garantito livelli anche di qualità complessiva del sistema dei servizi di un certo tipo. Però, penso che la dialettica internalizzazione/esternalizzazione non possa essere affrontata prescindendo però da un tema, che riguarda il modo in cui, negli ultimi almeno 10-15 anni, a prescindere dai colori politici dei Governi, è stato gestito il rapporto con le Autonomie locali in termini di risorse e risorse finanziarie/risorse umane.

    Se noi cominciamo ad affrontare tematiche come è stato per lungo tempo il blocco del turnover, come è stato per lungo tempo il Patto di stabilità e ne potrei citare tanti altri di vincoli che l’impianto centrale del Paese ha scaricato sulle Autonomie locali è chiaro che troveremmo lungo la strada le ragioni per cui tanti Comuni, non tanto per volontà politica di una parte o dell’altra, ma per stato di necessità, cioè per evitare situazioni di pre-dissesto o addirittura di default, hanno dovuto, nella migliore delle ipotesi esternalizzare, nella peggiore delle ipotesi smontare tout-court interi servizi. Non mi riferisco tanto ai minori, ma più in senso lato a livello socioeducativo, culturale, eccetera.

    Credo sia fondamentale mantenere molta attenzione sull’efficacia dei livelli di indirizzo, programmazione e supervisione perché i processi di esternalizzazione laddove vengono compiuti possono essere compensati e controbilanciati se quella capacità di indirizzo e di controllo è sostanziale e non virtuale.

    Dopodiché, è chiaro che il mio auspicio politico e personale è che le Amministrazioni vengano messe nella condizione di poter avere risorse adeguate per sviluppare le risposte adeguate sulla tematica delle politiche sociali. Qui stiamo parlando di questo.

    Io ho ben chiaro da dove prendiamo le risorse a Reggio, anche e soprattutto per occuparci dei minori. Noi siamo una città che continua ad avere il 100 per cento di un’azienda, che si chiama “Farmacie comunali riunite”, che ogni anno, da sempre, genera molti utili che noi riversiamo sul sistema sociale del welfare della città. Stiamo parlando di circa 250 milioni di euro nell’arco degli ultimi quindici anni. Se non avessimo avuto quello strumento, l’efficienza di quella partecipata, noi stessi avremmo fatto molta fatica a garantire standard organizzativi adeguati alle esigenze della complessità e della delicatezza di cui stiamo parlando.

    Ultima considerazione. Una delle cose che si nota nell’analisi e nell’ascolto dei Comuni è che ci sono Comuni organizzati, dove c’è il sistema dell’équipe multiprofessionale, dove c’è il ruolo dell’educatore, c’è il ruolo dello psicologo, c’è il ruolo dell’assistente sociale, ci sono meccanismi di lavoro in squadra, cosa che tende in qualche modo a creare condizioni di maggiore garanzia del risultato, perché sono più teste che seguono per anni lo stesso caso. Queste situazioni stanno insieme con situazioni di grande solitudine in tanti altri Comuni italiani, anche a prescindere dalla volontà politica.

    All’inizio ho fatto un esempio. Pensiamo a un’assistente sociale ventenne, neolaureata e lanciata in prima linea. Quando dico che il profilo professionale degli assistenti sociali va messo a fuoco con lucidità, anche per tutelarli meglio, a garanzia del risultato finale, lo dico pensando a queste situazioni, cioè ad una situazione organizzativa del welfare italiano che non è certamente omogenea e che non è riconducibile unicamente alla contrapposizione politica degli schieramenti. Ha diverse visioni del bene comune. C’è un tema organizzativo di risorse umane che, in una certa misura, crea o meno le condizioni di agibilità e di funzionalità stessa del sistema.

    Rispondo semplicemente all’obiezione fatta dal consigliere Delmonte. L’ANCI non ha un compito di controllo. Sarebbe anche facile chiedersi nei quindici mesi che abbiamo alle spalle che cosa si è prodotto dal punto vista governativo in materia di minori. Il potere sta lì, in chi ha la capacità di indirizzare un percorso legislativo. L’ANCI deve seguire con grande attenzione i processi legislativi in corso in un Paese, a prescindere dai colori politici dei Governi, e ‒ ribadisco quello che ho detto all’inizio ‒ deve portare un autonomo contributo, che nasce dalla gestione complessiva degli enti locali, cioè l’esperienza dei sindaci e delle Amministrazioni locali. È un contributo che può essere utile ad arricchire un sistema di competenze istituzionali di cui il Paese si avvale per cercare di orientare e indirizzare nella giusta direzione i propri percorsi legislativi e innovativi.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, sindaco.

    Ho iscritti i colleghi Facci, Callori, Boschini, Calvano, Mori e Sassi. Invito tutti a responsabilizzarsi un po’ sui tempi, perché la giornata è lunga e sono già quasi le quattro.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Il collega Facci passa.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Ah, in coda. Va bene. Collega Callori, prego.

     

    Consigliere CALLORI. Grazie, presidente.

    Vorrei ritornare sulla risposta del sindaco. Io ho posto una domanda per conoscere la legittima posizione di un’associazione, che ha anche il compito di prendere posizioni. L’ANCI deve difendere e tutelare anche, e soprattutto, i Comuni.

    In certi Comuni sono avvenute alcune anomalie. Qui siamo tutti amministratori e sappiamo come girare attorno alle cose per non rispondere. Quando si amministra, però, bisogna anche assumersi la responsabilità delle scelte che si fanno. Lei mi può dire un suo parere personale o il parere di ANCI, però un parere io avrei piacere a sentirlo per capire quello che pensa ANCI di quanto successo in Val d’Enza.

    Perché dico questo? Perché ANCI dovrà fare delle proposte, come associazione, per migliorare le cose. Sennò, alla fine, sentiamo che le assistenti sociali vengono denigrate, mancano... Non in tutti i Comuni abbiamo assistenti fisse, ma in molti Comuni sono a scavalco o non le hanno. Oppure vanno dalle cooperative a prendere le assistenti. In alcuni Comuni durano sei mesi e poi le cambiano, perché non hanno feeling con gli assessori o i sindaci. I problemi sono tanti.

    Non possiamo girare attorno al problema e non rispondere. Rifaccio la domanda di prima. Chiedo di avere una risposta sulla posizione che prende ANCI rispetto a quello che è successo in questa partita di Bibbiano e della Val d’Enza. È importante perché questa cosa si sta diramando anche in altre regioni. Ancor di più, visto che lei rappresenta a livello nazionale un’associazione, se capita anche in altre regioni lei potrebbe essere chiamato. Cosa direbbe? “Non lo so, non è compito nostro, ci vuole un assistente sociale ogni 4.000 abitanti”. Non sono risposte. Ci vuole una presa di posizione chiara su quello che è successo per capire quale vuole essere, anche da parte di ANCI, il futuro su queste tematiche.

     

    Presidente BOSCHINI. Se il sindaco, naturalmente, ritiene di aver già risposto alla domanda reiterata va bene.  Altrimenti, ci dirà se vuole integrare.

    Io, sindaco, aggiungerò soltanto una domanda da parte mia. Poi le do la parola.

    Volevo chiederle un parere, sia dal punto di vista della sua esperienza di sindaco sia in qualità di rappresentante ANCI, su due aspetti. Uno è molto legato a quello che lei ci diceva sulla solitudine dell’assistente sociale, tema che condivido molto. Ci siamo concentrati spesso sul tema delle relazioni che gli assistenti sociali fanno all’Autorità giudiziaria minorile. Nelle linee di indirizzo regionali noi indichiamo il fatto che chi scrive la relazione e la firma, di conseguenza, è l’assistente sociale, eventualmente con gli altri professionisti coinvolti (psicologo, neuropsichiatria infantile, eccetera). E poi auspichiamo, come linea di indirizzo regionale, che la lettera di trasmissione di questa relazione all’Autorità giudiziaria sia una lettera del dirigente del servizio o del settore, a seconda di come è organizzato il Comune. Le chiedo intanto un suo parere su questo, cioè su come lasciare meno soli gli assistenti sociali dal punto di vista della responsabilità negli atti che si firmano.

    Mi faccia fare un esempio non corretto. Un TSO lo firma un sindaco. È chiaro, perché è un atto decisionale ultimativo. In questo caso, è la magistratura che deve emettere ‒ lo sappiamo tutti bene ‒ un decreto. Non tocca sicuramente ai servizi sociali territoriali. Però c’è una forte sproporzione tra un controllo molto centralizzato che può avvenire su un atto, come per esempio un TSO, e una segnalazione, che ugualmente può avere conseguenze molto importanti sulla vita delle persone, che è lasciata a un D1, o qualcosa del genere, un assistente sociale. Intanto le chiedo un primo parere su questo aspetto di inquadramento e di firma degli atti degli assistenti sociali.

    Le chiedo un’altra cosa più politica, quindi sicuramente più da ANCI. Noi ci siamo spesso confrontati con il tema, assolutamente evidente nella normativa italiana, che la responsabilità sulle politiche per i minori è dei Comuni. Non c’è dubbio. La Regione può intervenire con le linee di indirizzo, può ‒ come ha fatto ‒ intervenire, per esempio, per regolamentare l’autorizzazione delle comunità di accoglienza, eccetera, però non c’è dubbio che, nella loro autonomia, sono gli enti locali ad avere la responsabilità per la tutela e la gestione dei minori. Da qui nascono tanti problemi di omogeneità, di rispetto di quest’autonomia.

    Visto che noi dovremo dare qualche parere e suggerimento normativo, le chiedo se dal punto di vista di ANCI o dei Comuni, in ogni caso, c’è un’idea su come provare a rispettare l’autonomia degli enti locali e, al tempo stesso, affrontare il problema dell’omogeneità delle risposte dei servizi a livello regionale o anche nazionale, quindi come possiamo, da legislatori, non violare l’autonomia degli enti locali e, al tempo stesso, provare a essere più incisivi per l’omogeneità dei servizi.

    Grazie.

     

    Sindaco VECCHI. Io non mi chiamo fuori, quindi integro la risposta precedente al consigliere Callori. La mia posizione l’ho espressa come sindaco di Reggio e me ne assumo la responsabilità. Gliela ribadisco. Non ho alcun problema in questo senso. Quanto è avvenuto ed è ancora in corso, nel senso che c’è un’inchiesta in corso nella vicenda di Val d’Enza, è un qualcosa che ci ha preoccupato notevolmente.

    Personalmente, come ho detto e chi mi conosce sa, sono abituato a lasciare alla magistratura l’autonomia del proprio corso prima di tirare delle conclusioni. Lo dico perché siamo in un Paese in cui, quando si aprono delle inchieste, poi succede di tutto, e interpretare una sincera vocazione garantista significa rispettare le autonome prerogative degli organi competenti, nel caso specifico della magistratura, la quale ha indagato e sta indagando su presunte responsabilità di singole persone, come essa stessa ha sottolineato, le quali dal mio punto di vista, se si accerterà che hanno compiuto delle valutazioni anche e soprattutto gravi, è giusto che abbiano la sanzione severa coerente e conseguente.

    Questo, però, attenzione, non può toglierci dalla giusta e necessaria attenzione di quella che invece è una valutazione eminentemente politica sull’impianto complessivo delle politiche che hanno a che fare con il sistema della tutela dei minori in Val d’Enza come in Regione Emilia-Romagna come in tutta Italia, che invece credo sia il nostro campo di confronto e di lavoro e che penso che questa Commissione stia facendo molto bene.

    Quel percorso processuale produrrà degli esiti e bisognerà prenderne atto, come è giusto che sia, ma poi arriva il momento in cui da ogni vicenda giudiziaria devi saper cogliere quello che dal punto di vista di un Ente locale piuttosto che di un legislatore diventa è una riflessione giusta e necessaria per poter contribuire a migliorare il funzionamento di un sistema.

    Le dico una cosa di cui sono molto convinto: penso che l’evoluzione e l’innovazione del sistema dei servizi sociali in Italia non può pensare di essere indirizzata/frenata o assecondata solo in ragione di quelle che sono o che non sono inchieste, indagini o percorsi processuali in corso. Il sistema nel suo complesso, la politica e le istituzioni nel loro complesso devono avere l’autonomia di riuscire ad intuire cosa c’è di buono e cosa c’è da cambiare. Questo penso che sia il nostro compito, a prescindere dalla vicenda in corso tuttora in Val d’Enza.

    Dico questo con molto rispetto della sua posizione, ma anche con consapevolezza di ruolo (la definisco così) e credo che, se ragioniamo in questi termini a prescindere dall’appartenenza politica, diventa molto difficile mettere in discussione la qualità e la professionalità di un lavoro enorme che centinaia e centinaia di operatori svolgono in Italia nel campo della cura, della fragilità e delle persone. Starei molto attento ad imboccare una direzione che, come esito storico di questa contemporaneità che stiamo vivendo, possa in qualche modo scoraggiare la vocazione e la passione di tanti che per decenni si sono impegnati nella professionalità della cura delle persone ed in particolar modo di quelle più fragili.

    Il nostro compito è capire se un sistema è sicuramente imperfetto e migliorarlo, ma questa consapevolezza di questa vulnerabilità e di questa fragilità credo che non dobbiamo perderla di vista.

    Venendo alla risposta del presidente, è una bella domanda, perché interroga il ruolo di indirizzo di Enti sovraordinati agli Enti locali e l’autonomia degli stessi Enti locali. Oggi abbiamo toccato diversi temi, li avete toccati anche voi nelle tante audizioni, è chiaro che ci sono dei nodi che devono essere affrontati da un legislatore ai suoi vari livelli. Prima il consigliere Calvano parlava del tema della supervisione, e credo che lì la decisione stia nel valutare se è un’opportunità o è qualcosa di più cogente, se è qualcosa di più cogente, a prescindere dalla volontà politica di chi sta sotto negli Enti locali, bisogna disporlo a mio avviso in modo legislativo.

    Ugualmente il tema, di cui oggi non si è parlato, degli standard di qualità delle strutture. Lo dico provocatoriamente e brutalmente: devono essere accreditati oppure possono semplicemente rientrare dentro criteri di valutazione qualitativa un po’ più flessibili ed elastici? Penso che bisognerebbe aspirare anche ad una certificazione di affidabilità e di qualità degli standard, che certamente un legislatore può codificare.

    Dopodiché è abbastanza inevitabile che a valle, in ragione della volontà politica, delle risorse e dell’organizzazione che si ha, gli Enti locali organizzino i loro servizi sulla base di precisi indirizzi propri. Vi porto in questo caso un contributo che riguarda in senso stretto Reggio Emilia città.

    Reggio Emilia città nel 2011 decide di darsi, in materia di politiche dei minori, un indirizzo nuovo, a rafforzamento dell’idea che il nucleo familiare e il minore sono al centro dell’azione e che l’allontanamento è l’extrema ratio in mancanza di ogni altra opzione in campo. A rafforzamento di questo indirizzo viene introdotto lo strumento, con tutte le risorse coerenti e conseguenti, dell’educativa familiare intensiva.

    Nel 2011 i minori che Reggio Emilia seguiva con educatori che stavano in famiglia erano 12, nel 2018 sono 262. Naturalmente per noi questo ha voluto dire un investimento massiccio sul supporto educativo alle famiglie, per aiutarle a creare le migliori condizioni per esplicitare al meglio la genitorialità, ed è un indirizzo politico molto chiaro anche rispetto a possibili, altri esiti e a possibili, altre strade che un altro indirizzo politico poteva dare.

    Credo che, anche dal punto di vista della dimensione stessa quali-quantitativa degli affidamenti, un indirizzo di questo genere porti con sé coerenti conseguenze anche in termini di riduzione degli stessi, perché con ogni probabilità abbiamo creato le condizioni perché nuclei familiari in condizioni di grande fragilità, aiutati e supportati in questo modo, siano stati aiutati, integrati e rafforzati.

    Bisogna avere contezza di quali sono i nodi da affrontare, alcuni di questi possono essere affrontati a livello del legislatore, altri devono inevitabilmente e tornare sul livello degli Enti locali.

    C’è una cosa a cui non ho risposto alla consigliera Prodi che riguarda il ruolo delle Province. Credo che, dal punto di vista della programmazione, l’ambito comunale sia troppo stretto, anche fosse soltanto la città, quindi penso che sia ragionevole pensare di allargare. Dopodiché entriamo in un campo, quello del ruolo delle Province, che, per come sono posizionate oggi, se si affidano loro le competenze che avevano in passato e che poi sono state tolte, tutto questo può avvenire soltanto se c’è una chiarezza molto forte di indirizzo e di allocazione di risorse umane e finanziarie coerenti e conseguenti.

    Se così non fosse, è inutile che ci incamminiamo, perché penso che le Province già oggi siano in una condizione di non facile capacità di espletare le funzioni loro rimaste, e dal punto di vista della capacità di continuare ad avere un ruolo importante sulla programmazione di tutto ciò che è materia del sociale  possono avere un ruolo importante, ma, se si va in questa direzione, devono essere dotate di una dotazione di risorse superiore a quella attuale.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, sindaco. Prego, Mori.

     

    Consigliera Roberta MORI. Grazie, presidente, grazie, sindaco Vecchi. Sulla scia dei ragionamenti di propositività che possono da lei essere supportati con esperienza sicura, le chiedevo quali potrebbero essere i rafforzamenti, seguendo anche il ragionamento del presidente della Commissione.

    Ad esempio, durante le audizioni è ritornato spesso il tema della necessità di darsi conto dei dati con un Osservatorio almeno regionale. Dico "almeno regionale" perché il non plus ultra sarebbe un Osservatorio di caratura nazionale, ovviamente ufficiale, quindi di rango ministeriale, che in qualche modo desse contezza non soltanto dei minori in carico alla pubblica amministrazione, ma anche della transizione dei minori, del termine delle procedure, con una necessità di interlocuzione coerente, stabile e anche obbligata tra giustizia, quindi i tribunali e le procure, e i Comuni, le Regioni, eccetera. Questo può essere fatto soltanto a livello nazionale. Poi c’è il livello regionale, che noi stiamo tentando umilmente di interpretare, che è quello di un osservatorio che possa, in nuce, darci contezza almeno del quadro del perimetro regionale, ovviamente sempre con la necessità di una moral suasion, di una collaborazione che non può essere obbligata perché ovviamente la Regione non può per legge obbligare né le Procure a dare i dati, né le forze dell’ordine, né i servizi sociali, eccetera, se non in una logica di collaborazione.

    Le chiedevo il tema dell’osservatorio come lei lo vede e se l’ANCI potesse in questo senso farci anche da supporto nel caso in cui la Regione si determinasse in questo senso per rendere protagonisti i Comuni, con una disponibilità che noi sappiamo essere impegnativa.

    Chi ha fatto il sindaco sa che quando si raccolgono dati significa impegnare moltissimo gli operatori e le operatrici. C’è poi un tema, invece, più di controllo, quel controllo che anche qui deve essere inserito in ciò che è possibile e di competenza fare e non ciò che è uno stato di polizia improvvisato per un’inchiesta in corso vuole far fare, perché qui il tema del controllo va declinato per non essere anticostituzionale rispetto alle funzioni e alle competenze di ciascuno. A livello regionale, proprio perché non possiamo avere un tema di controllo così cogente e imperativo come invece a livello nazionale potrebbe, quella che si può prefigurare è una cabina di regia rafforzata con la presenza eventualmente anche di magistrati minorili oltre che garanti e componenti che in qualche modo supervisionano l’applicazione e l’attuazione degli indirizzi regionali, per abusi e maltrattamenti sui minori. Quindi, anche su questo se dal suo osservatorio le cose che le sto dicendo possono essere utili o vanno in qualche modo a rendere maggiormente ridondante la filiera, il rafforzamento della filiera.

    Glielo chiedo perché dal punto di vista del Comune semmai si ha contezza di più livelli che a noi sfuggono immediatamente.

    C’è poi il tema dell’esperienza degli assistenti sociali. Dall’esempio che lei ha fatto, che è un esempio, a mio parere, molto calzante, parrebbe dunque che soprattutto per i temi dei minori… Dico per i temi dei minori perché stiamo parlando di persone senza capacità giuridica piena. Quindi, quando eventualmente la capacità giuridica genitoriale è messa in discussione da vicende un po’ anomale bisogna in questo senso cercare di capire come fare per intervenire. Sostanzialmente lei dice che ci vorrebbe una certa esperienza prima di poter prendersi in carico casi relativi ai minori. Lo dico perché anche in questo senso, visto che abbiamo audito anche la presidente dell’Ordine degli assistenti sociali regionali eccetera, questo è un elemento che potrebbe diventare se non proprio con imperatività normativa, perché ci pensa anche qui sempre lo Stato, non possiamo pensarci noi, però potrebbe diventare un elemento di impegno di maturità delle professionalità acquisite, quindi deontologico piuttosto “che”.

    Rispetto, invece, al tema della formazione, che anche qui attiene molto alla capacità di presa in carico assolutamente consapevole, chiedo se vale la pena integrare la formazione sull’abuso eccetera con una formazione educativa. Lo dico perché, ad esempio, la prolusione di cultura educativa di Reggio Children, sia in Italia che nel mondo, è un elemento che un po’ è ai margini della cultura sociale dell’abuso, eccetera. È ai margini perché appunto è educazione, è educativo, sta in altre parti. Forse integrare il tema della formazione con questo approccio, questo aspetto, del ruolo dell’educazione degli insegnanti della scuola forse potrebbe essere significativo. Le chiedevo anche questo. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Non so se vuole già rispondere, visto che sono due o tre domande. Ne raccogliamo ancora. Prego, collega Sassi.

     

    Consigliere Gian Luca SASSI. Grazie, presidente. Ho preso spunto, in realtà, da alcuni interventi e sulla scia di interventi che ho fatto anche in audizioni precedenti cerco di stare sul concreto.

    Non tendo a fare il giudice, il giurato o la giuria perché non è il mio ruolo. A me interessa capire una cosa. Lei come delegato al welfare dell’ANCI, forte della Commissione parlamentare di cui ci parlava e ci ricordava il collega Calvano, avvenuta anni fa, dove hanno fatto le stesse audizioni eccetera, eccetera vorrei sapere se nell’interlocuzione all’interno dell’ANCI con colleghi di altri Comuni o comunque nella dialettica interna ci siano state segnalazioni o richieste o preoccupazioni o quanto meno evidenze di difficoltà riguardo alla operatività dei servizi sociali, del sistema in generale e quindi non solo emiliano-romagnolo. Noi ci concentriamo lì, però l’ANCI è nazionale. In particolare, ovviamente, ci interessa di più l’Emilia-Romagna, ma se anche ci fossero delle evidenze in altre Regioni sarebbe interessante prenderne atto.

    Chiedo se all’interno del vostro lavoro ci siano state negli anni queste evidenze, per capire se non altro se questo – mi devo fare un po’ violenza nel dirlo – sistema Bibbiano, continuano a chiamarlo così erroneamente e in modo anche provocatorio, inutile, si sia reso palese in altre situazioni, non con le stesse evidenze, ovviamente, ma con le stesse difficoltà in termini di gestione del sistema, perché quelle le stiamo un po’ rilevando noi. Noi le stiamo rilevando perché stiamo ascoltando gente, ma esistevano prima ancora dell’esistenza di questa Commissione solo che allora non le stavamo concentrando in un luogo solo. Immagino che da qualche altra parte ci possano essere queste difficoltà.

    Vorrei capire se, forte del suo ruolo all’interno di ANCI, queste difficoltà o queste evidenze siano mai state segnalate. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, sindaco. Dopo abbiamo un ultimo blocco di domande e poi chiudiamo.

     

    Sindaco VECCHI. Grazie, presidente. Parto dalle domande della consigliera Mori. Credo che un osservatorio regionale capace di raccogliere e aggiornare con continuità anche soltanto dati fondamentali che hanno a che fare con le politiche sui minori e non soltanto sui minori certamente è d’aiuto, può coinvolgere l’ANCI, può coinvolgere tutti i Comuni. È di aiuto perché ci consentirebbe, in termini di analisi comparative, di avere molto rapidamente una consapevolezza di punti di forza e di punti di debolezza territoriali. Tanti dati già ci sono presso ANCI. Strutturare ulteriormente questa situazione in termini di osservatorio, secondo me, può rappresentare non una sovrastruttura, ma qualcosa di utile.

    C’è poi l’altra questione che certamente va studiata e io non mi sento di avere la competenza tecnica per farlo. Mi riferisco agli elementi definiti da lei di cabina di regia e quindi di controllo anche sovraordinato rispetto all’autonomia operativa degli enti locali nella gestione di queste situazioni. La brutalizzo così: tutto ciò che in un qualche modo rende partecipi più teste nella valutazione di processi decisionali complessi, che non durano il tempo di una decisione, ma che accompagnano la vita di tante persone. Nel momento in cui si concretizza questa decisione, c’è sempre una cosa che si ripete tutte le volte: queste sono decisioni di rottura, cambiano la vita delle persone. Non è detto che la cambiano in meglio. Per cui, tutto ciò che viene ulteriormente presidiato, verificato e sottoposto a controllo credo non sia una sovrastruttura burocratica, ma sia un qualcosa anche a garanzia degli operatori stessi, che in prima linea sono chiamati a prendersi la responsabilità di fare determinate valutazioni.

    Per quanto riguarda l’integrazione tra la dimensione educativa e quella sociale, le porto questo mio contributo, in questo caso non come ANCI, ma come sindaco di Reggio Emilia. Il sindaco di Reggio Emilia, chiaramente, conosce perfettamente la cultura dell’infanzia che nasce dentro il mondo dei nostri nidi, delle nostre scuole e conosce altrettanto la sensibilità, la professionalità, la forma mentis dei tantissimi operatori sociali che si occupano di minori, magari nella nostra stessa città. Tutto ciò che aiuta l’incontro, il confronto e anche la contaminazione di linguaggi, di metodi che, però, hanno sempre al centro la cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, il diritto del bambino, del minore ad avere una sua centralità dentro un percorso educativo, dentro un percorso, in alcuni casi, anche di aiuto e di sostegno, tutto ciò che integra queste dimensioni professionali e le fa dialogare, secondo me, è utile. Questo lo dico in base all’esperienza reggiana, ma penso possa essere tranquillamente generalizzabile.

    Rispondo alla domanda del consigliere Sassi. L’ANCI ha più volte ‒ non so se in sede regionale; certamente in sede nazionale ‒ evidenziato le criticità che si trovano alla base dell’operatività, come lei l’ha definita, del sistema dei servizi sociali. Qual è l’elemento di novità di questi mesi nel dibattito pubblico? Provo a brutalizzarla per rendere l’idea. Noi abbiamo avuto per molto tempo una rappresentazione nella narrazione pubblica dell’operatività del sistema dei servizi sociali come di un qualcosa che fa del bene, con gli operatori che lanciavano il loro costante grido d’allarme sulle condizioni, talvolta anche assolutamente precarie, in cui erano costretti ad operare nel produrre quel bene. Piaccia o non piaccia, le vicende di questi mesi hanno almeno tentato un ribaltamento di narrazione, che non parte da una narrazione positiva, ma parte da una narrazione negativa e, magari, arriva a dire: “Non ve ne eravate accorti”. Attenzione. “Non ve ne eravate accorti” non l’ha detto lei. È una mia provocazione. Intanto aspettiamo di vedere come si compie un determinato percorso, però che vi siano delle criticità che da tempo vengono manifestate da parte di tutti coloro che operano nel più ampio campo del sociale in Italia, questo sì. Lo ha fatto l’ANCI e lo hanno fatto tanti altri.

    Io prima ho citato il tema del turnover, il tema della formazione, il tema delle risorse. Si è citato quest’oggi il tema delle esternalizzazioni piuttosto che delle internalizzazioni. Le grandi criticità che sono alla base di come il welfare italiano si è voluto negli ultimi vent’anni e si è concretizzato negli ambiti del welfare di comunità certamente sono state in tutte le sedi ‒ non soltanto da ANCI a più riprese ‒ rappresentate. Forse non sono mai state assunte nel dibattito politico italiano come priorità del Paese. Penso che questo non riguardi soltanto il tema dei minori. Secondo me riguarda anche il tema degli anziani, riguarda il tema della disabilità, riguarda in particolar modo alcuni elementi di criticità sociale di questo Paese che necessiterebbero di politiche più strutturate e di un’allocazione complessiva di risorse decisamente più elevata.

    Questa è la mia opinione. Credo di avere anche interpretato la sincera preoccupazione che lei rappresentava e che, in qualche modo, mi trova anche d’accordo.

    Vorrei dire un’ultima cosa ‒ prima non ho risposto al presidente ‒ rispetto al tema di chi firma. Colgo l’occasione anche per rispondere alla domanda della consigliera Mori sul tema degli assistenti sociali. Come tutelare meglio il ruolo dell’assistente sociale: questa deve essere la preoccupazione. L’esito storico non può essere quello di uscire depauperandone il valore professionale. Come tutelare al meglio questo tipo di ruolo, anche attraverso un inevitabile e necessario confronto con l’Ordine di competenza, è una preoccupazione politica che credo trasversalmente debba interrogare tutti. Certamente, tra i tanti temi, tra i tanti nodi che vanno affrontati, c’è anche il fatto che ci si trovi, in questo ruolo, a fare delle valutazioni. Le decisioni le prendono altri.

    Mi pare di ricordare il presidente del Tribunale dei minori quando, a un certo punto, ha detto in modo molto chiaro ed efficace: “Gli assistenti sociali sono per il Tribunale dei minori l’equivalente della Polizia giudiziaria per una Procura”. È una metafora, se vogliamo, un po’ forzata, però rende l’idea di un trasferimento di autonomia e di responsabilità che va aiutata a creare le condizioni del miglior esito possibile. Per evitare che venga travolta di fronte a determinate situazioni, deve essere maggiormente aiutata e maggiormente tutelata. Come farlo? Penso si debba aprire un confronto con l’Ordine professionale di competenza e non soltanto fare una riflessione interna alla politica e alle Istituzioni.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Per l’ultimo intervento, la parola al collega Facci.

     

    Consigliere Michele FACCI. Buonasera, sindaco. Molte cose sono state dette, quindi vorrei provare a parlare di quello che, a mio avviso, non è stato detto, partendo da alcune sue affermazioni. In particolare, mi ha colpito quando ha detto: “Noi, nel Comune di Reggio Emilia, nel 2011 abbiamo adottato un nuovo indirizzo nella gestione del problema degli affidi. In particolare, abbiamo questo protocollo, sostanzialmente, per il quale l’allontanamento deve essere l’extrema ratio”. Questo già lo dice la legge, che l’allontanamento deve essere l’extrema ratio. Un protocollo che ribadisca questo non fa male, certamente, però a mio avviso non è innovativo.

    Quello che trovo, però, contraddittorio è ciò che il Comune di Reggio Emilia ha fatto, in realtà, in tutti questi anni. Fondamentalmente, guardando i documenti che in queste settimane abbiamo avuto dalla Regione e dai vari uffici, in realtà emerge come, di fatto, l’attività di una realtà come Hansel e Gretel abbia trovato terreno fertile esclusivamente nel contesto reggiano. Uno si chiede anche perché, come mai, soprattutto quando questa è una realtà già in qualche modo conosciuta per portare avanti delle modalità un po’ estreme nell’approccio alla questione della valutazione degli abusi, presunti abusi, nelle metodiche di formazione, nella considerazione rispetto al tema degli allontanamenti. Una persona si pone delle domande. Anche perché l’inchiesta di Reggio Emilia, che riguarda il centro La Cura di Bibbiano, ha al centro Hansel e Gretel.

    È vero che noi non dobbiamo sostituirci alla magistratura, che bisogna avere il massimo rispetto e anche la massima cautela. Nel momento in cui, però, si tratta di un Comune importante come quello di Reggio Emilia, che lei amministra dal 2014 perché questo è il secondo mandato, quindi un ampio decorso temporale, dove c’è un diretto controllo di tutto il sistema del welfare, in particolare il sistema dei servizi sociali, lei ha relegato la questione, se non ho trascritto male, perché nelle prime risposte al collega Delmonte, in riferimento alla (…omissis…) lei ha detto che c'è un’indagine, ovviamente non diciamo niente, ma fondamentalmente è una vicenda marginale.

    Io dico che non è una vicenda marginale, perché si collega al rapporto con un centro privato, che di fatto è al centro, da ormai molti anni, di tutte le vicende che hanno avuto a che fare con indagini della magistratura. Arrivo alla domanda, però la premessa era necessaria.

    Voi dite "nel 2011 adottiamo un indirizzo nuovo, allontanamento extrema ratio", ma è una contraddizione con un coinvolgimento di Hansel e Gretel al centro dell’attività dei servizi sociali. Trovo ad esempio un convegno realizzato da Hansel e Gretel in collaborazione con il Comune di Reggio, oltre che ovviamente con il Servizio sanitario regionale, ma questa oramai è una costante, convegno dell’8 giugno 2018 che Hansel e Gretel fondamentalmente ha gestito in pieno. C'era l’avvocato di Foti, c’era lo stesso Foti, c'erano alcune persone coinvolte nelle indagini, quindi di fatto Hansel e Gretel sembrava che avesse l’appalto dei vostri servizi, sembra avesse nel momento in cui diventa centrale.

    Quando per esempio il dottor Masi (sappiamo che tutti chi è) ci fornisce le schede che riguardano le modalità di intervento dei servizi sociali, in particolare gli accordi a livello locale per l’accoglienza e la presa in carico delle persone di minore età vittima di maltrattamenti o abusi, abbiamo la scheda di Reggio Emilia che fa pensare, quindi chiedo a lei come questo possa essere ritenuto normale.

    Sappiamo che vi sono i centri di primo livello e di secondo livello, la legge regionale, la nostra legge 14 del 2008, dice che le équipe di secondo livello dovrebbero essere a livello provinciale o sovradistrettuale, quindi non distrettuale, ma nella scheda di Reggio Emilia in realtà troviamo delle indicazioni diverse. Si imposta infatti l’attività in modo, uno, che il secondo livello coincida con il primo, e questo già contrasta con la legge regionale e vorrei chiedere come mai Reggio Emilia decide di avere un secondo livello che coincide al livello distrettuale e quindi comunale, e due, perché quando si fa riferimento ai professionisti cui rivolgersi si mette in alternativa sullo stesso piano, come se fossero ovviamente equivalenti, psicologo aziendale o intervento presso il centro specialistico, centro Hansel e Gretel?

    Ecco perché dico che Hansel e Gretel è centrale nella vostra attività: lo avete scritto sulle schede vostre, sugli accordi, Hansel e Gretel, non "eventuali privati che possano essere selezionati all’esito di un bando pubblico, qualora il pubblico non abbia le risorse", no, Hansel e Gretel.

    Capisce quindi che delle persone che estremizzano una metodica che ormai qui abbiamo affrontato, che è quella della ricerca dell’abuso, dell’intervento in casi di potenziale abuso, degli allontanamenti, delle terapie invasive nell’approccio al minore (questo di Hansel e Gretel emerge, è noto, è scritto, tanto che la stessa Soavi, che è venuta qui in questa sede, ci dice "li abbiamo allontanati"), Reggio Emilia le codifica.

    Chiedo quindi a lei, visto che è sindaco dal 2014, quindi, anche se non è lei ovviamente il responsabile specifico del settore, è il sindaco, (…omissis…) è la responsabile del Servizio (…omissis…) del Comune, quindi una figura apicale di questo settore, tanto che mi interessa non la contestazione accusatoria ma quanto ha raccontato qua e che poi noi abbiamo ritenuto potesse essere oggetto di valutazioni, quando le viene chiesto come mai ci si rivolga ad Hansel e Gretel risponde: "perché non sempre vi sono nel pubblico delle esperienze di quel livello e quindi è necessario", senza considerare che, se dobbiamo rivolgerci ad altri soggetti, il pubblico deve farlo con le modalità che le leggi amministrative prescrivono.

    Era necessario tutto questo chiarimento complessivo per poi porre la domanda: perché Hansel e Gretel è centrale nel vostro welfare, tanto da essere codificata nelle vostre schede di accordo di livello locale per l’accoglienza e la presa in carico dei minori in caso di presunti maltrattamenti o abusi? Come valuta questa presenza oramai oggettiva (è scritto nelle vostre carte)? Non ritenete a questo punto che il pubblico potesse svolgere un’attività egualmente soddisfacente o comunque per quale motivo non è stato coinvolto?

    Voglio ricordare che a Bologna, che non è molto distante da Reggio Emilia, c’è un’équipe di secondo livello estremamente efficiente, Il faro, che ovviamente fa parte del Servizio sanitario regionale, quindi perché Hansel e Gretel è centrale nella vostra attività di welfare su questo settore?

     

    Presidente BOSCHINI. Prima di dare la parola per un ultimo intervento con cui chiudiamo, posso solo chiedere, collega Facci, se lei faceva riferimento nella sua domanda agli accordi di programma per l’integrazione sociosanitaria 2018-2020 di Reggio Emilia e all’accordo di programma relativo alla programmazione di gestione delle funzioni sociali?

    Lo chiedevo solo perché ha fatto un riferimento su una domanda specifica, fra l’altro portando anche un fatto nuovo per la nostra discussione, per cui la Presidenza aveva piacere di capire a quale documento stesse facendo riferimento fra i tanti a nostra disposizione.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Le schede, cioè quelle che chiamano "la checklist di Masi", per capirci, quelle del 2016-2017 di cui ha parlato Masi.

    Perfetto, così adesso è chiaro a quale documento faceva riferimento. Grazie. Prego, sindaco.

     

    Sindaco VECCHI. Rispondo al consigliere Facci e cercherò di mettere in fila la quantità impressionante di inesattezze che in assoluta buona fede lei ha detto, quindi adesso l’aiuto a fare un po’ di chiarezza oggettiva.

     

    (interruzione)

     

    Sindaco VECCHI. No, scusi, adesso parlo io, perché sono state dette delle inesattezze abbastanza pesanti.

    Intanto il Comune di Reggio Emilia non ha appaltato un bel niente ad Hansel e Gretel, e questa non è una posizione politica ma è un dato oggettivo, non ha appaltato oggi, non ha appaltato mai, quindi evidentemente lei ha in mano un documento sbagliato o forse l’ha letto male. Prima questione.

    Seconda questione. Hansel e Gretel (cito le sue parole) non è centrale nel nostro welfare, io sono sindaco di Reggio Emilia e Hansel e Gretel non ha mai avuto e non ha alcun ruolo nell’ambito della nostra Amministrazione, punto.

    Attenzione, perché la Val d’Enza è un’altra cosa, cioè adesso io non lo dico per prendere le distanze dalla Val d’Enza, me ne guardo bene proprio perché ho massimo rispetto di tutto quello che sta accadendo, però l’Unione dei Comuni della Val d’Enza ha fatto una scelta, a suo tempo, di affidare determinati servizi e di costruire un certo tipo di rapporto con Hansel e Gretel, e lo ha fatto nell’esercizio delle sue autonome prerogative.

    Il Comune di Reggio Emilia ha fatto altre scelte. Siccome qui lei mi tira in ballo in questo caso non come ANCI ma come Comune di Reggio Emilia, questa cosa gliela devo precisare, siccome lei sostanzialmente dice "avete appaltato ad Hansel e Gretel, avete affidato un ruolo centrale nel vostro welfare ad Hansel e Gretel e non avete valorizzato il sistema pubblico", attenzione, consigliere, perché è l’esatto contrario nel mio Comune!

    Siamo un Comune ad alto tasso di internalizzazione e non abbiamo in questo momento alcun rapporto professionale con Hansel e Gretel. Un convegno c'è stato, peraltro organizzato da più Comuni, ma partecipare ad un convegno e ascoltare gli esiti di un convegno – mi permetta – è qualcosa di ben diverso dal gestire l’intero sistema delle politiche educative di un’Amministrazione e di una città. Punto numero 1.

    Punto numero 2: noi non abbiamo approvato alcun protocollo che dà indirizzo a considerare l’affidamento come l’extrema ratio finale, perché questo in una certa misura è implicito e in ogni caso nella sostanza è una decisione che concretizza un’autorità giudiziaria, non un organo politico. Questa è un’altra cosa che dobbiamo avere chiara e tutti quanti: per quanto ci riguarda è nelle cose che, laddove un giudice arriva a ritenere che si debba disporre un allontanamento, è perché è evidente che si sono tentati ed esplorati tutti i percorsi precedenti, che a volte durano da anni, per creare le condizioni della piena genitorialità e delle migliori condizioni di crescita e di formazione del minore in oggetto, punto.

    Dopodiché è chiaro che chi svolge con professionalità e magari lo fa anche attraverso un’istituzione pubblica molto importante, molto organizzata come il Comune che io rappresento, queste politiche, è chiaro che strada facendo sviluppa anche un sistema di competenze, di lettura delle situazioni, che arriva a creare le condizioni per aprire anche nuovi percorsi progettuali.

    Questo è quello che è accaduto nel 2011 quando, di fronte a determinate situazioni soggettive, talvolta indicate dall’autorità giudiziaria, altre volte semplicemente intercettate dal sistema del presidio territoriale di prossimità dei nostri servizi, di fronte a famiglie in grandi difficoltà, prive di una rete di relazioni, di fronte a minori che non andavano nemmeno a scuola, di fronte a casi estremamente gravi, si è ritenuto che la competenza educativa a supporto del nucleo familiare fosse una strada nuova da percorrere e da valorizzare con determinazione.

    Questo ha voluto dire mandare in quella famiglia per diverse ore al giorno un educatore ad aiutare il minore, ad aiutare i genitori, a creare le condizioni migliori per espletare la genitorialità, a salvare delle famiglie, a salvare delle esistenze. Questa strada, che abbiamo iniziato ad esplorare nel 2011 (o non ero sindaco) e che in quel momento riguardava 12 minori, oggi ne riguarda 262, quindi possiamo dire che avere sviluppato una professionalità e una competenza in questa linea è qualcosa che giorno dopo giorno ha dato dei risultati.

    Abbiamo deciso di consolidare un indirizzo politico allocando lì ogni anno delle risorse importanti, perché 262 minori seguiti con un educatore sono risorse, vuol dire toglierle da altre parti del funzionamento di una città.

    Per quello che riguarda tutta la tematica degli affidi, il trend del Comune di Reggio Emilia negli ultimi cinque anni è un trend assolutamente costante. In questo momento abbiamo un totale di 260 minori in affido, di questi circa la metà per decisione consensuale sia nel caso di affidi part time sia nel caso di affitto a tempo pieno ne abbiamo oltre 100 che sono frutto di un percorso consensuale con le famiglie, circa 130 che sono frutto di provvedimento giudiziario.

    Mi pare che siano numeri che, rapportati ad una città di 173.000 abitanti, non sono certamente anomali e di evidenza quantitativamente fuori scala, però ci tenevo a precisare questa cosa, perché evidentemente lei mi ha scambiato per qualcuno di un altro Comune, perché noi non ci avvaliamo di Hansel e Gretel e l’indirizzo che abbiamo perseguito da molti anni a questa parte è un indirizzo diametralmente opposto. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, Facci.

     

    Consigliere FACCI. Io prendo atto di quello che il sindaco dice, ma leggo, per cui o questa scheda che ci hanno fornito gli uffici è falsa oppure, se è vera, il sindaco dice – in buona fede certamente – delle inesattezze. Quindi delle due l’una, carta canta, ce l’avete data voi.

    Adesso la leggo e la metto a disposizione, ma – ripeto – ci è stata fornita dalla Commissione.

     

    Sindaco VECCHI. Se posso, volentieri glielo chiarisco...

     

    Consigliere FACCI. Quindi, che sia Reggio, che sia Modena o sia Bologna, trovo abbastanza anomalo che in una scheda del genere si faccia riferimento, mettendolo sullo stesso piano alternativo, psicologo aziendale, quindi azienda ASL, quindi pubblico, o intervento presso il centro specialistico Hansel e Gretel, quindi un privato, quel privato, sullo stesso piano.

    Se c’è un refuso, bene, qualcuno ci dirà chi lo ha fatto e perché, ma, se questo è vero, questa è la realtà di Reggio Emilia, quindi è un problema che forse dovremmo chiarire, ma credo sia nel suo interesse chiarirlo, sindaco. La carta è qui, se la carta è sbagliata, è sbagliata per tutti, ma, se mi attengo alla carta, la carta è questa.

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Facci, mi permetta: non è sbagliata – penso – la carta, naturalmente io non sono altro che il trasmettitore, ma devo dare per presupposto che sia corretta, né mi pare scorretta la risposta del sindaco.

    Forse l’equivoco sta nel fatto che lei presuppone che quella sia una carta compilata dal Comune di Reggio Emilia, ma non è così: quella è una carta compilata a livello provinciale dall’Azienda sanitaria dell’ASL di Reggio Emilia. Ricordiamo tutti cosa ci disse Masi, abbiamo fatto anche un monitoraggio da parte del coordinamento attraverso delle checklist, alla domanda sul monitoraggio "è assicurato per ogni persona di minore età vittima di maltrattamento o abuso (stiamo parlando solo di maltrattamento e abuso, non di tutti i minori) un programma di trattamento integrato?" non nella diagnosi e nella valutazione verso il tribunale, siamo nella terapia, viene risposto "previsto, ma non sempre assicurato", e "se sì, specificare da quale professionista o servizio, psicologo aziendale o intervento presso centro specialistico, centro Hansel e Gretel".

    Mi sembra del tutto evidente che nel territorio reggiano ci fossero territori su cui (la interpreto così e non mi pare in discrasia con quello che abbiamo letto su tutti i giornali) dove, come ha detto il sindaco, l’intervento era dello psicologo aziendale, cioè della neuropsichiatria infantile o di altro psicologo dell’ASL, e territori in cui, come sappiamo da tutte le rassegne di stampa degli ultimi tre mesi, esisteva un centro specialistico in cui il centro Hansel e Gretel poteva fornire anche consulenza psicologica e terapia.

    Non credo che sia un fatto nuovo, mi sembra che siamo qui esattamente per questo. Questa è la mia interpretazione, può essere sbagliata, ma ci tenevo a dire che non è un documento del Comune, in cui il Comune si avvale di Hansel e Gretel, è scritto chiaramente a livello della provincia di Reggio Emilia che c’è lo psicologo aziendale su certi territori e su altri, come abbiamo saputo dalle notizie di stampa, esisteva anche l’intervento di Hansel e Gretel.

    Questa è la mia interpretazione, può essere sbagliata, ma ci tenevo, visto che siamo entrati molto nel merito, a fare questa discussione. Chiuderei qui perché siamo in gravissimo ritardo, ringrazierei il sindaco Vecchi per la sua cortesia e disponibilità e passiamo all’audizione successiva.

     

     

    -     Audizione del Coordinamento Regionale delle Comunità per Minori

     

    Presidente BOSCHINI. Passiamo all’audizione di Giovanni Mengoli in rappresentanza del Coordinamento regionale delle comunità per minori.

    Mentre facciamo il cambio di postazione, chiedo la vostra attenzione per due comunicazioni. Vi è stata distribuita oggi pomeriggio una proposta di bozza di indice per la relazione, che è in corso di distribuzione in questi minuti insomma (è in partenza la mail con questa indicazione), e come siamo rimasti d’accordo nell’Ufficio di Presidenza di martedì scorso allargato ai Capigruppo (lo ribadisco qui perché non tutti erano presenti) chiederei entro lunedì di far pervenire eventuali osservazioni. Nel corso della seduta di lunedì, se avete delle osservazioni da far pervenire, in sede di dibattito finale senz’altro le accogliamo con interesse.

    Siccome avevamo discusso sulla tema delle audizioni dei consiglieri, vi segnalo che il giorno 23 la collega Mori sarà disponibile nell’ambito del dibattito per un confronto al posto dell’audizione. Vi segnalo che ugualmente si sono resi disponibile non in quella data ma nella data in cui riterremo, se lo si ritiene opportuno, sia il collega Del Monte che il collega Zoffoli, quindi qualora lo si ritenesse anche loro sono disponibili per affrontare ugualmente un confronto.

    Saluto Giovanni Mengoli in rappresentanza del Coordinamento regionale delle comunità per minori, che ringrazio per la sua presenza, ci scusiamo anche per averlo fatto aspettare, ma siamo un po’ in ritardo e quindi cercheremo, per quanto possibile, di essere rapidi.

    Il tema su cui lo abbiamo invitato è il tema della esperienza delle comunità nel sistema di tutela dei minori e degli affidi, quindi gli chiedo se intenda partire da una sua breve comunicazione, come siamo abituati a fare.

    Bene, le lascio la parola per 5-10 minuti di introduzione e poi raccoglieremo le domande dei commissari.

     

    Giovanni MENGOLI, Coordinamento regionale delle Comunità per minori. Buon pomeriggio, sono Giovanni Mengoli, sono qui in rappresentanza del Coordinamento delle comunità minori della Regione Emilia-Romagna, che è un’associazione di secondo livello che si è costituita nel 2013.

    Noi rappresentiamo al momento 73 comunità per minori, autorizzate secondo la Direttiva regionale 1904, che fanno riferimento a 28 enti gestori su tutto il territorio della Regione. Leggo questa nota per introdurre, poi sono disponibile a rispondere alle domande della Commissione.

    Nel sistema di accoglienza per i minori della Direttiva 1904 le comunità per minori che qui rappresento di solito sono l’ultimo elemento della filiera di cura, quando gli altri interventi che vengono disposti dai servizi sociali su mandato del Tribunale dei minori non hanno funzionato o non sono stati efficaci. Li elenco, a partire da quella che potrebbe essere definita educativa domiciliare, l’affidamento in famiglia, l’inserimento in comunità semiresidenziali, le case famiglia, in parte (non dobbiamo nasconderlo) anche perché il nostro intervento tra le misure che ho descritto è sicuramente quello più costoso.

    Devo aggiungere che è anche vero che vi sono situazioni nelle quali constatiamo che avviene un inserimento tempestivo del ragazzino minorenne che viene allontanato, ex articolo 403, per mettere in sicurezza il minore e anche per permettere a servizi sociali e di mandare un messaggio chiaro alla famiglia rispetto all’inadeguatezza che è stata circostanziata. In questo modo si dà un segnale e soprattutto si mette in sicurezza il ragazzino.

    Abbiamo registrato in questi anni l’inserimento di diversi ragazzi che vengono inseriti da fallimenti adottivi. Un punto interrogativo che potrebbe aprire un dibattito futuro è che sarebbe interessante tematizzare il tema dei fallimenti adottivi e quindi anche dell’istruttoria legata all’adozione.

    Le comunità per minori sono composte da équipes di professionisti che garantiscono una presenza h 24, secondo quanto previsto dalla Direttiva regionale 1904 e permettono interventi su situazioni che normalmente sono già piuttosto compromesse. L’accoglienza si rivolge di norma a preadolescenti e adolescenti, quindi parliamo della fascia 14-18 anni.

    I ragazzi che arrivano da noi generalmente capiscono che è un’opportunità per il loro percorso, visti i fallimenti a cui sono stati soggetti in precedenza, e, se non lo capiscono, sono loro stessi che si allontanano e non accettano di rimanere e mettono i servizi sociali a volte in scacco, perché devono trovare altre soluzioni per rispondere al fatto che altrimenti si trova un minore senza una collocazione. Stiamo parlando di ragazzini, soprattutto quando andiamo verso l’adolescenza, con un vissuto fortemente compromesso, potete immaginare, oltre a problematiche di tipo psicopatologico, anche da uso di sostanze e quindi già giri abbastanza compromettenti dal punto di vista anche della tutela del ragazzo.

    Volevo segnalare (questa è una specificità) che l’accoglienza di un minore nel nelle comunità comporta che la comunità prende in qualche modo in carico anche la famiglia di origine o la famiglia adottiva, spesso in ottemperanza alle disposizioni del Tribunale dei minori e a quanto viene concordato insieme ai servizi sociali, all’interno di quello che si chiama Progetto Quadro e del progetto educativo individualizzato. Per questo vengono organizzati a volte incontri, che sono supervisionati dagli operatori della comunità, esercitando una funzione di controllo e allo stesso tempo di sostegno alla relazione genitoriale.

    Sovente, inoltre, quando la permanenza in comunità è prevista per un tempo significativo, la famiglia necessita anche di essere accompagnata a imparare a relazionarsi con un figlio che spesso fa fatica a riconoscere (quando parliamo di fallimenti adottivi siamo a questo livello) e che i genitori fanno fatica a gestire e non riescono a capire.

    In questo senso sottolineerei che una problematica che non è mai stata chiarita è chi deve lavorare con la famiglia di origine quando il ragazzino viene distaccato temporaneamente dal nucleo originario, se i servizi sociali sanitari o le comunità di accoglienza, perché una parte del lavoro viene svolta anche dalla comunità, ma la valutazione circa il recupero delle funzioni genitoriali normalmente è in capo ai servizi sociali, anche se constatiamo (credo che questa sia una delle problematiche emerse nelle audizioni precedenti) che i servizi sociali e sanitari sono sommersi, sovraccarichi di problematiche da affrontare, e quindi dedicano poco tempo a questo aspetto fondamentale.

    I ragazzini sono distaccati temporaneamente dalla famiglia, mi sembra sbagliato parlare di allontanamento, anzi qui vorrei provare a spezzare una lancia per cambiare anche la semantica di come tecnicamente vengono chiamati questi inserimenti, in quanto si tratta di un distacco temporaneo che serve alla famiglia per recuperare le funzioni genitoriali, che hanno portato al disagio che ha prodotto tutti quegli elementi che sono poi stati segnalati del fatto che il ragazzo non sta bene.

    In questo senso sottolineo che è sicuramente una carenza il fatto che spesso i servizi sociali lavorano in emergenza, e, una volta che hanno messo in protezione il ragazzino inserendolo in comunità, si devono occupare di altri ragazzi, quindi dal punto di vista politico è chiaro che una scelta importante sarebbe anche dare priorità a questo aspetto, innanzitutto chiarire chi debba lavorare con la famiglia sapendo che è importante farlo insieme, e nello stesso tempo anche potenziare questo lavoro.

    Sottolineo anche che la permanenza dei minori nelle comunità per legge non dovrebbe mai superare i due anni, come prevede il Progetto quadro. Il Progetto quadro è quel documento che normalmente viene definito al momento dell’ingresso, in cui i servizi sociali ci dicono in che direzione dobbiamo lavorare, valutano se il ragazzo possa rientrare a casa una volta recuperate quelle competenze di cui i genitori sono deficitari oppure dobbiamo lavorare per l’autonomia.

    Abbiamo anche dei ragazzi (sono diversi) che si preparano all’autonomia. In questo senso sarebbe importante audire un'associazione che si chiama Agevolando, che è nota in Regione, alla cui nascita ha collaborato anche il Coordinamento delle comunità minori e che è proprio un network di ex minori che sono stati nelle comunità e per tante ragioni sono diventati autonomi. Questo network li mette in rete tra loro e aiuta a rispondere ai bisogni di un ragazzino che diventa neomaggiorenne.

    Dopo i fatti di Bibbiano riscontriamo che i servizi sociali con cui noi ci interfacciamo sono paralizzati, non prendono decisioni sulle situazioni di disagio dei minori, pur ricevendo segnalazioni, diverse comunità ci segnalano che hanno, avevano delle interlocuzioni aperte per possibili distacchi prima della fine di giugno, che poi sono state improvvisamente interrotte. Alcuni dei ragazzi che sono nelle comunità sono in confusione, sentono che gli attori della filiera non sono concordi, chi è genitore sa bene cosa significa triangolazione, da parte di alcune famiglie dei ragazzi presenti nelle strutture si è anche manifestato un allarmismo, domandandosi cosa sta succedendo all’interno delle comunità e in quale modalità si lavora. Noi siamo aperti, creiamo anche delle giornate aperte, perché tutti possano venire a conoscere come lavoriamo.

    Segnalerei anche la strumentalizzazione mediatica che è seguita, in particolare perché siamo molto preoccupati della rottura della filiera educativa. Qui faccio riferimento proprio alla tenuta sociale del nostro territorio e quindi in ultima analisi mi riferisco alla Costituzione. La Costituzione italiana chiede responsabilità a tutti i cittadini, quindi dobbiamo tutti contribuire a collaborare perché la società evolva verso il bene. Credo che uno sfilacciamento non sia positivo.

    Alcune soluzioni o rilancio di alcune cose. Innanzitutto l’inserimento in comunità dovrebbe essere l’extrema ratio di una serie di altri interventi, in un mondo perfetto le comunità per minori non dovrebbero esistere, noi dovremmo lavorare per scomparire o per non esserci, perché questo significherebbe che i minori crescono nelle famiglie senza manifestare disagio.

    In realtà, dai nostri osservatori, soprattutto se andiamo nelle periferie urbane delle città capoluogo di provincia, ci si rende conto che non è così, ci sono grandi segnali di disagio che vengono manifestati con tanti sintomi (l’uso delle sostanze, la delinquenza, il degrado urbano, atti violenti).

    Rispetto a possibilità di rilancio e di soluzioni, noi siamo disponibili a portare la nostra professionalità per potenziare interventi a favore della tutela dei minori che siano più leggeri, sempre secondo la DGR 1904 che parla di comunità semiresidenziali, dove ad esempio i minori vanno durante il giorno e alla sera tornano in famiglia. Constatiamo che questo tipo di intervento nei vari territori della Regione è poco utilizzato e anche poco apprezzato dai servizi, e dove esiste alcune situazioni vengono dismesse.

    Vogliamo mettere a disposizione le competenze e le professionalità dei nostri educatori per svolgere il lavoro di rinforzo della genitorialità laddove questa è deficitaria, in raccordo con i servizi sociali e sanitari che sono imballati nella gestione delle emergenze, e anche nel potenziamento di questa filiera dei minori che domanda un rispetto reciproco e sapere che tutti stanno facendo il loro pezzetto. Non c’è uno più importante degli altri, noi con tutta l’umiltà stiamo al nostro posto, però chiediamo anche che il terzo settore sia valorizzato e che la riflessione interna al ripensamento dei servizi sociali e sanitari e su come sta cambiando il fenomeno dei minori tenga in gioco le nostre considerazioni e le nostre riflessioni. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Siccome non vedo nessuno prenotato, comincio io, poi vediamo se la discussione si innesca. Volevo chiederle due o tre cose.

    Ci ha già dato una serie di profili dei minori che si trovano presso le comunità, in genere 14-18 anni, quindi non stiamo parlando di bambini, ma della fascia adolescenziale, prima dell’arrivo all’età dell’autonomia, ci ha parlato di uso di sostanze, di minori che vengono da atti violenti, da un contesto di degrado in alcune periferie urbane, addirittura di famiglie che hanno avuto un insuccesso educativo come addirittura una famiglia che ha preso un figlio in adozione e poi lo rifiuta.

    Intanto le chiedevo un panorama un po’ realistico dei casi che arrivano nelle comunità e delle loro storie, perché credo che noi dobbiamo anche capire di che tipo di situazioni minorili stiamo parlando.

    Ci interessa molto il tema del supporto educativo alla famiglia di origine, cioè applicare davvero lo spirito della legge e delle linee di indirizzo regionale. Quali potrebbero essere dal vostro punto di vista gli strumenti di lavoro per dare davvero supporto educativo alla genitorialità delle famiglie di origine? Ha già accennato alcune piste come le comunità semiresidenziali, gli incontri con la famiglia di origine, ma c'è un tema di spostare di più gli educatori dalle comunità a dei servizi territoriali di educativa per le famiglie? Sareste disponibili a ragionare con le vostre competenze educative su questo tema dell’educativa territoriale? Questo è un secondo blocco di domande.

    Terzo tema. Abbiamo parlato poco fa con il sindaco Vecchi del tema dell’accreditamento. Ci sono pareri diversi, qualcuno è spaventato dalla pesantezza dell’accreditamento, però è anche vero che voi dovete lavorare in emergenza e i servizi sociali non possono fare una gara d’appalto per dare un minore che va distaccato nel giro di poche ore, quindi c'è bisogno di servizi accreditati. Come Coordinamento delle comunità sareste favorevoli che nelle raccomandazioni di questa Commissione ci fosse anche di suggerire di prendere in esame la prospettiva dell’accreditamento e non solo dell’autorizzazione di queste comunità?

    Magari intanto rispondiamo a questo, poi nel frattempo si sono prenotati altri. Prego.

     

    MENGOLI. Sul panorama di come sono composte le comunità per minori, una premessa: farò una serie di tipologie di casi, però (lo dico innanzitutto a me) sono delle persone, non sono dei numeri e non sono delle tipologie, quindi davvero è importante la storia di ogni singolo ragazzo che noi intercettiamo.

    In questo momento le comunità educative per minori si stanno anche differenziando, perché si stanno creando due binari, primo dei quali quello per i cosiddetti "minori stranieri non accompagnati", che seguono un regime anche più leggero, ormai abbastanza assodato in alcune province del territorio della Regione, anche se lo ritengo buono ma non può essere valido per tutte le tipologie di minori stranieri non accompagnati, perché abbiamo dei minori stranieri non accompagnati piuttosto compromessi, quindi su questi sarebbe importante l’intervento in comunità educative, perché possono garantire contenimento (non dico tutti, però alcuni sicuramente).

    Il panorama delle comunità per minori è composto da ragazzi, normalmente adolescenti, che sono temporaneamente distaccati da dove si trovavano, molto compromessi (soprattutto l’uso di droghe leggere non dico che ormai è quasi l’abitudine, però è gente per cui era un "rimedio terapeutico" al malessere che sentono), abbiamo in alcune comunità anche i cosiddetti moduli di casi complessi, cioè ragazzi seguiti anche dalla neuropsichiatria, perché hanno problematiche anche a salienza psichiatrica. Un quarto gruppo sono i ragazzi che sono inseriti dal Centro Giustizia minorile.

    Un buon mix dovrebbe quindi tenere insieme queste quattro tipologie di ragazzi, tenete presente che una comunità per minori può accogliere massimo 12 ragazzi, considerando i ragazzi che escono e quelli che entrano un riempimento medio è di circa 10 in un anno e, collegandomi all’ultimo punto che il Presidente segnalava, il tema dell’accreditamento, nelle nostre comunità lavorano tutti professionisti, tutti pagati, tutte le ore, compresa la notte, e in questo senso come gestori e quindi imprenditori abbiamo anche il tema della sostenibilità complessiva dei centri di costo.

    Questa è una valutazione che non è mai stata riportata come Coordinamento, quindi per onestà non posso dire di parlare a nome del Coordinamento, però quando si è parlato di un possibile accreditamento mi sembra che l’orientamento all’interno del Coordinamento delle comunità regionali fosse favorevole, pur sapendo che l’accreditamento comporterà anche un aumento della burocrazia crediamo che questo possa essere compensato dal fatto che si andranno a mappare i bisogni e quindi la risposta.

    L’accreditamento garantisce anche la sostenibilità degli enti, perché si va a capire qual è il bisogno, qual è l’offerta e si incrociano bisogno e offerta per dire che c'è bisogno di una certa tipologia. Le comunità che la direttiva norma sono comunità per pronta emergenza, comunità educative residenziali, comunità educative integrate, che sono quelle che accolgono solo casi integrati sociosanitari, comunità per l’autonomia, che erano nate nel 2011 (la direttiva era del 2011) per la risposta ai minori stranieri non accompagnati, probabilmente quella tipologia sarà da rivedere se non altro come numeri accoglibili, perché altrimenti diventa difficilmente sostenibile con le risorse.

    Fondamentalmente credo che questa sia la direzione su cui andare, un accreditamento che è importante che metta insieme anche il pensiero di chi gestisce la comunità, quindi in una logica di reciprocità e di concertazione che ci si ascolti tutti e che non sia calato dall’alto, però mi sembra che l’orientamento possa essere favorevole.

    Per quanto riguarda il supporto educativo alla famiglia d’origine, avevo già accennato alla questione dell’intervento nelle famiglie, noi siamo disponibili a potenziare su tutti i territori e quindi anche a riconvertire nella logica dell’accreditamento dei nostri servizi in servizi semiresidenziali, con educatori che incontrano le famiglie.

    Per l'esperienza delle nostre comunità (io sono nel gruppo CEIS) abbiamo visto che funziona molto bene quando gli educatori della comunità continuano ad accompagnare i ragazzini anche quando rientrano nella famiglia di origine oppure prima che arrivino, cioè che ci sia questo collegamento. Purtroppo questo spesso si scontra con le gare che i vari distretti vanno a fare rispetto ai vari tipi di intervento, perché vengono tutti i settorializzati, per cui magari su una gara che riguarda l’educativa domiciliare vince un ente che però magari non è il gestore che accoglierà il ragazzino, perché viene fatta un’altra scelta. Sarebbe importante che ci fosse in questo senso della flessibilità.

    Tra gli altri interventi che come professionisti siamo disponibili a dare ci sono il supporto e sostegno per il recupero della genitorialità, quindi anche centri del privato sociale in collaborazione con il pubblico per potenziare e sostenere la genitorialità e fare quello che i servizi sanitari non riescono a fare. I consultori e soprattutto gli psicologi dei consultori sono oberati di lavoro e il nostro costo del lavoro è più basso di quello del pubblico, quindi ci sarebbero anche delle economie che andrebbero a vantaggio del portafoglio regionale.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Il consigliere Calvano ha rinunciato, quindi prego, Pompignoli.

     

    Consigliere Massimiliano POMPIGNOLI. Grazie, presidente, solo due domande per capire il sistema.

    Volevo capire qual è il rapporto che c’è tra gli educatori e la casa famiglia con gli assistenti sociali. Gli assistenti sociali ogni sei mesi devono mandare le relazioni al Tribunale dei minori, parlo di affidi giudiziali, con quel Programma quadro cui accennava prima. La relazione finale dell’assistente sociale viene vista da voi?

    Mi è stato riferito studiando questa questione che fondamentalmente vi viene affidato un programma quadro, sul quale si deve stare, sul percorso dell’affido, quindi la prima domanda è se vedete la relazione finale che l'assistente sociale invia al Tribunale dei minori e l’altra cosa è capire quali sono i costi medi di ogni bambino in struttura e, poiché mi è stato paventato un aumento in virtù dell’adeguamento dei contratti collettivi, se, sulla base del costo medio che è discrezionale per ogni per ogni struttura, se vi sia la necessità di implementare i fondi.

     

    MENGOLI. Per quanto riguarda il rapporto con i servizi sociali e gli assistenti sociali, generalmente il rapporto è fluente, di scambio continuo di informazioni telefoniche per sapere come stia andando il ragazzo. Stimo che un assistente sociale abbia fra i 50 e i 70 casi tra le mani, quindi immaginate in una giornata lavorativa se i ragazzini sono problematici cosa vuol dire il telefono dell’assistente sociale.

    La relazione generalmente viene costruita insieme, nel senso che l’assistente sociale chiede a noi una relazione firmata dal direttore e dall’educatore di riferimento, noi normalmente nelle comunità educative residenziali c'è un educatore di riferimento che ha più il quadro del ragazzo e il direttore che firmano insieme alla relazione, viene inviata e l'assistente sociale ci chiede specifiche, però ad onor del vero io non ricordo di aver visto relazioni che poi vengono mandate al Tribunale dei minori, è chiaro che io sono uno e noi siamo 57 comunità, quindi non è un argomento che abbiamo mai condiviso con il Coordinamento se tutti vedono le realtà, quindi questo lo dico io.

    Per quanto riguarda i costi medi, anche qui bisogna differenziare secondo la tipologia (vi dicevo delle quattro tipologie previste dalla 1904 e probabilmente se ne potrebbero anche inserire altre). Aggiungo anche che è in atto su diversi distretti della Regione anche un’interlocuzione rispetto ai costi medi, è stata fatta nel 2009-2010 una ricerca commissionata dalla Regione Emilia-Romagna al dottor Tanzi della Bocconi che andava a fare un panorama su una quindicina di comunità e aveva fatto dei costi medi, è chiaro che poi i costi sono aumentati tanto (l’assessorato alle politiche sociali ha i dati della ricerca).

    Faccio parte anche del Tavolo di monitoraggio della 1904 sempre in rappresentanza del Coordinamento, quindi ho partecipato ai lavori e abbiamo portato e discusso quei dati. Per le comunità educative residenziali il range giornaliero della retta varia tra i 115 euro e i 135-140 euro al giorno, devo dire che una delle ragioni per cui siamo favorevoli all’accreditamento è che la questione della tariffa andrebbe normata e non ci sarebbero grossi scostamenti.

    Riconosciamo che è normale che ci siano degli scostamenti, perché tenete presente che le comunità per minori nascono legate alle esperienze dei vari territori, quindi ci sono differenze. È molto diverso se uno sta in una comunità che è data in comodato gratuito dalla parrocchia o se deve pagare l’affitto, quindi già questo va a discriminare e ballano delle cifre.

    Per quanto riguarda le comunità integrate nelle ultime ricerche effettuate come Coordinamento le condivisioni delle rette ballavano (qui c’è un range ancora più alto) tra i 220 e i 260 euro al giorno. Tenete presente che le comunità integrate hanno un rapporto educatore/ragazzi di 1 a 3 e massimo 9 ragazzi inseriti, mentre invece le comunità educative residenziali sono massimo 12 ragazzi con un rapporto 1 a 4.

    Per noi il 70 per cento dei costi è rappresentato dal personale, su questo si potrebbe andare a andare a rivedere le percentuali. Adesso abbiamo avuto il rinnovo del contratto collettivo nazionale che ha avuto un aumento medio del 5 per cento, quindi è normale che stiamo chiedendo un piccolo aumento ai vari territori, perché giustamente noi rispettiamo il contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali e per la maggior parte siamo cooperative sociali.

     

    Presidente BOSCHINI. Callori, prego.

     

    Consigliere CALLORI. Grazie, presidente. Grazie anche al rappresentante delle comunità, se non ho capito male del gruppo CEIS, solo per dire che devo ringraziare chi lavora in questi gruppi perché non solo trattano minori, ma trattano anche tante altre problematiche che molte volte servono non solo alle famiglie, ma anche ai ragazzi stessi per essere alleviati e sollevati dalle problematiche che hanno.

    La domanda che le faccio è questa: visto che si parla di comunità per minori e quindi di Coordinamento regionale, ci sono delle comunità per minori storiche, che hanno un’esperienza, una dotazione di personale che possono già a colpo d’occhio capire come affrontare i casi, e ce ne sono altre mediamente giovani, che sono nate perché c’è questo bisogno, perché nei Comuni quando hai un caso grave il sabato sera o la domenica mattina spesso l'assistente sociale non sa dove sbattere la testa per collocarlo, perché non può aspettare il lunedì, ci sono delle cose che devono essere fatte immediatamente per mettere in sicurezza il minore, poiché ci sono comunità storiche, mediamente storiche e comunità più giovani, ci sono comunità nate perché hanno capito che questo è anche un business?

    A volte mi viene il dubbio che oggi abbiamo il business degli anziani e abbiamo una casa protetta, abbiamo il business dei minori e abbiamo una struttura per minori, quindi il termine è un po’ forte, però, lasciando stare il business, hanno le competenze, le capacità e le qualità per affrontare certi temi? Abbiamo dei temi più leggeri e delle tematiche più problematiche.

     

    Presidente BOSCHINI. Raccogliamo anche l’integrazione di Pompignoli e poi rispondiamo.

     

    Consigliere POMPIGNOLI. Secondo lei, anche sulla base di quello che è successo in Val d’Enza e il caso Bibbiano e visto il rapporto che diretto e quotidiano che voi avete con i bambini rispetto a quello degli assistenti sociali, che non sarà sicuramente quotidiano, ma sarà mensile, ritenete opportuno, anche sulla base di un controllo reciproco delle varie relazioni, vedere la relazione finale che l’assistente sociale manda al Tribunale dei minori?

     

    MENGOLI. Rispondo prima a questa ultima domanda, visto che mi ricollego anche a quanto dicevo prima. Sicuramente sarebbe molto interessante poterla vedere e anche vedere con puntualità per i casi inseriti dal penale.

    Vi faccio un esempio banale ma che intuite subito: se un ragazzino del penale trasgredisce una prescrizione e noi segnaliamo (di solito lo facciamo il giorno dopo) all’assistente sociale e l’assistente sociale segnala subito e io potessi essere certo che ha segnalato alla Procura minori la trasgressione, che poi dopo la passa al Tribunale, questo manderebbe un messaggio immediato anche dal punto di vista educativo al ragazzo. Se un adolescente fa una trasgressione e nessuno gli dice niente o la risposta arriva dopo un mese, pensa che va bene quello che ha fatto, quindi anche come Coordinamento sarebbe importante vederla.

    Per quanto riguarda invece i ragazzi che sono temporaneamente allontanati perché ci sono problematiche genitoriali, capisco anche la prudenza dell’assistente sociale che magari non ci mette in copia in conoscenza alla trasmissione, perché magari ci sono anche dei riferimenti personali che non è detto che la comunità sappia, però in una logica di corrispondenza e di mutualità reciproca penso che avrebbe un valore, anche perché noi lavoriamo con il segreto professionale, quindi non è che vai a divulgare tutto, quindi darebbe valore e noi avremmo un quadro chiaro di quello che viene demandato al Tribunale.

    Tenete presente che spesso noi siamo chiamati dal Tribunale minori, sia per i ragazzi inseriti al penale che per provvedimenti civili, per la relazione, quindi quando entra il ragazzino con l’assistente sociale di norma entra in Tribunale minori anche l’educatore che segue il ragazzo e il direttore della comunità, perché è importante.

    Incrociando i dati della Regione noi rappresentiamo circa il 65-70 per cento delle comunità per minori della regione, ce ne sono alcune che non rappresentiamo perché non hanno aderito, pur essendo noi disponibili e sebbene l’obiettivo sia quello di raccogliere tutti. Non abbiamo questa sensazione soprattutto su comunità educative residenziali che ci sia il business, perché ve lo assicuro che il lavoro è molto impegnativo e soprattutto non si improvvisa, perché quando hai a che fare con ragazzini che usano sostanze, fanno agiti aggressivi e lo fanno anche in presenza di educatori, non è così semplice gestire la cosa.

    Sottolineo in questo senso che una nostra preoccupazione riguarda il tema del personale, lo ricollego a al fatto che per noi è fondamentale che nelle comunità educative ci siano entrambi i generi, maschile e femminile, ma purtroppo, anche andando a vedere gli iscritti a scienza della formazione perché i nostri sono educatori professionali, la stragrande maggioranza sono educatori di profilo femminile e questo crea un problema.

    La direttiva permette che un terzo dell’équipe si riqualifichi o comunque sia inserita nell’équipe sulla base della competenza del gestore, in prospettiva a medio e lungo termine, dopo l’uscita della cosiddetta "legge Iori", che impone che nei servizi per minori siano solo educatori professionali, siamo abbastanza preoccupati perché abbiamo bisogno di assumere educatori maschi, ce ne sono pochissimi sul mercato, dalle Facoltà universitarie sono pochi e soprattutto il nostro è un lavoro che non facilmente si sposa con le esigenze di una famiglia, nel senso che se l’educatore vuole avere una famiglia facendo i turni fa un po’ di fatica, quindi spesso c’è un turnover.

    Rispetto alla domanda del consigliere Callori mi verrebbe da dire che gli enti più storici hanno un personale con meno turnover, perché hanno personale più fidelizzato, appartenente, quelli meno storici hanno più turnover e chiaramente capite che questo in tema di competenza e professionalità va a discapito. Spero di essere stato chiaro.

     

    Presidente BOSCHINI. Non ho ulteriori iscritti, quindi, se non ci sono ulteriori domande, noi ringraziamo moltissimo Giovanni Mengoli per le informazioni molto concrete e precise che ci ha fornito. Lo abbiamo fatto aspettare un po’ ma ne è valsa la pena. Grazie mille e buon lavoro!

     

     

    -     Audizione di Luigi Costi – ex Sindaco Comune Mirandola

     

    Presidente BOSCHINI. Possiamo fare accomodare Luigi Costi per la successiva audizione. Luigi Costi viene audito nella sua qualità di ex Sindaco del Comune di Mirandola al tempo dei fatti delle indagini che oggi vengono catalogate sotto il termine “Veleno”, ma a quei tempi si chiamava “Processo pedofili Bassa Modenese”.

    Il tema su cui è stata richiesta l’audizione, che mi sembra sia stata richiesta dal collega Galli anche se purtroppo non lo vedo presente, è il seguente: informazioni sul ruolo svolto dal Comune di Mirandola in materia di servizi per i minori, anche con riferimento ai fatti giudiziari della cosiddetta Bassa Modenese.

    Chiedo al sindaco Costi (perché sindaci si rimane tutta la vita, almeno moralmente) se preferisca iniziare da una sua introduzione o eventualmente rispondere a domande dei commissari.

     

    Sindaco Luigi COSTI, ex sindaco Comune Mirandola. Se la richiesta del consigliere Galli è già una domanda, io sono qui per questo. Oppure passiamo direttamente alle domande, come preferiscono i commissari.

     

    Presidente BOSCHINI. Se vuole considerarla una domanda, in assenza di Galli, la consideriamo una domanda del richiedente: informazioni sul ruolo svolto dal Comune di Mirandola in materia di servizi per i minori, con riferimento ai fatti della Bassa Modenese.

    Se vuole introdurre brevemente su questo, poi vediamo se ci sono domande.

     

    Sindaco COSTI. Io sono stato sindaco di Mirandola dal 1999 al 2009. I fatti, come sapete, sono iniziati nel caso della Bassa Modenese nel 1997.

    Mi sono occupato della vicenda della pedofilia indirettamente, perché i servizi sociali dell’area nord erano affidati in gestione con convenzione all’Azienda sanitaria locale di Modena, per cui noi trattavamo l’argomento ogni anno in sede di bilancio, per discutere dei bilanci preventivi e dei bilanci consuntivi che l’azienda ci presentava relativamente alla gestione dei servizi. Ovviamente quella è l’occasione per fare il punto, per raccogliere pareri e per dettare eventuali indirizzi nei limiti dei nostri poteri.

    Il mio ruolo era specifico, perché il Comune di Mirandola è il Comune capo distretto, quindi in quanto sindaco capo distretto avevo la prima responsabilità dei rapporti con la direzione aziendale.

    Della vicenda specifica io mi sono occupato due volte su richiesta dei genitori affidatari, nel 2002 e nel 2008, recandomi al Cenacolo Francescano di Reggio Emilia, nel 2002 perché i genitori affidatari lamentavano una insufficiente protezione dei bambini, nel 2008 perché gli Enti locali avevano deciso, d’intesa con l’azienda, di ritirare le deleghe e di gestire in proprio i servizi, e i genitori chiedevano rassicurazioni sul mantenimento degli impegni che le istituzioni avevano preso nei loro confronti a tutela dei minori.

    Nel primo appuntamento del 2002 fui ricevuto da suor Anna Rita Ferrari, fondatrice e presidente del Cenacolo Francescano, ebbi l’opportunità di incontrare alcuni dei ragazzi che erano stati allontanati dalle famiglie e che avevano subìto, stando agli esiti dei processi, le violenze. Ovviamente io non parlai con loro di queste vicende, ricordo solo che la ragazza con maggiore età a margine mi disse che la cosa che li feriva di più era di non essere creduti.

    I genitori invece mi raccontarono le loro esperienze di genitori affidatari del tenore di quella che voi avete sentito nella deposizione della signora Nicoletta Berni, che anche allora era il riferimento del gruppo dei genitori di Reggio Emilia.

    Ricordo che la discussione poi passò sulle questioni più propriamente operative, soprattutto su richieste di raccomandazioni che riguardavano l’attività dell’ASL e soprattutto degli avvocati dell’azienda a tutela dei minori.

    La seconda volta parlammo sostanzialmente delle deleghe e io confermai che avremmo mantenuto gli impegni che avevamo assunto e già approvato da anni, anche perché, come sapete, in materie come queste i Sindaci hanno il dovere di garantire il personale, le risorse, ma in materia di affidi o tantomeno in materia di procedimenti penali non possono intervenire.

    Vista la rilevanza mediatica della vicenda, lessi poi per conto mio una buona parte degli atti processuali.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, sindaco Costi (continuo a usare questa terminologia). Ci sono ulteriori domande o interventi? Se non ci sono ulteriori domande, ringrazio Luigi Costi per la sua partecipazione, prendiamo atto delle informazioni che ci ha dato e che, visto che avremo ulteriori audizioni su questo tema di Mirandola nelle prossime settimane, sono state utili.

    Prego.

     

    Consigliere DELMONTE. Intanto mi dispiace, capisco la situazione un po’ difficile, nel senso che effettivamente non capisco bene il senso dell’audizione su un tema che non riguarda specificamente questo, però vorrei cercare qualcosa di utile.

    Da un’esperienza passata che aveva causato dei problemi (su questa ci può essere qualche similitudine) cerco di capire questo. Ovviamente era una gestione completamente differente dei servizi sociali, come lei ha detto, più riferiti all’ASL e tra l’altro neanche alla stessa ASL di riferimento specifico, però le chiedo questo. C’è stato ovviamente uno scossone dal punto di vista mediatico ma immagino anche all’interno degli uffici del suo Comune, così come dei Comuni limitrofi, soprattutto nell’ambito sociale. Come sindaco con gli altri sindaci del territorio come avete affrontato un passaggio da quel caos a una nuova normalità all’interno degli uffici, visto che comunque è un passaggio che dovrà affrontare anche l’Unione dei Comuni della Val d’Enza, dal perdere una credibilità ma anche una fiducia nell’operatività degli addetti dei servizi sociali nel muoversi, anche se immagino che la mediaticità del periodo fosse leggermente diversa da quella attuale soprattutto per l’esaltazione che ora danno i social e certe dinamiche che all’epoca non c’erano?

    Non so come fosse la realtà in quel periodo, quindi se può dare qualche spunto da questo punto di vista. Grazie.

     

    Sindaco COSTI. Mi sembra una domanda molto ampia. Dico subito che di Bibbiano so solo quello che ho letto sugli organi di informazione. La differenza fondamentale ad oggi mi sembra questa: nella Bassa Modenese si sono svolti tutti i processi fino al terzo grado ed oltre, quindi siamo in presenza di una verità di tipo giuridico, processuale, che almeno per quanto mi riguarda in uno Stato di diritto è la verità pubblica, nel caso di Bibbiano mi pare che inchieste siano in corso, mi auguro che siano celeri, efficaci e rigorose.

    Penso che tutti abbiamo interesse che le responsabilità individuali vengano individuate e colpite, che se ci sono dei gravi errori, dei comportamenti o dei reati, vengano sanzionati, ma – ripeto – la situazione della Bassa è completamente diversa, né mi risulta ci siano mai stati rapporti con i protagonisti della vicenda di Bibbiano. Per dire una cosa precisa, noi non abbiamo mai avuto rapporti con il Centro Hansel e Gretel.

    Vengo al cuore della sua domanda. Io non ho mai perso fiducia nei servizi sociali e negli operatori dei servizi sociali dell’area nord, perché, per quello che li ho conosciuti io e per i confronti che abbiamo avuto, mi pare che si siano comportati professionalmente bene e correttamente. Quello che ci hanno chiesto dall’inizio era di essere aiutati, perché stavano affrontando una situazione eccezionale e imprevista, che avrebbero voluto volentieri evitare, perché nessuno si getta a capofitto in una vicenda così spinosa e drammatica.

    Noi cercammo di sostenerli con personale e con le risorse, e nel 2000, a riprova che l’intenzione era di collaborare e di lavorare con tutti i soggetti e di non lavorare in casa, di non stare chiusi in casa propria, costruimmo un protocollo d’intesa con la Prefettura e tutte le altre Istituzioni (il Tribunale dei minori, l’Arma dei Carabinieri, la Polizia di Stato), per coordinare le attività di tutti i soggetti che si occupavano della tutela dei minori.

    Non so dirle se poi gli esiti siano stati quelli che ci aspettavamo, però credo di poter affermare con molta serenità che da subito l’intenzione degli operatori dei servizi sociali e nostri di amministratori fu quella di cercare collaborazione, di aprire porte e finestre alle collaborazioni per la gestione dei servizi, augurandoci che la cosa finisce lì, perché, se avessimo avuto l’esplosione di altri casi, sarebbe stata una questione piuttosto complicata.

    Per il resto lei sa che gli operatori dei servizi sociali, nel momento in cui si occupano di funzioni genitoriali, dipendono dal Tribunale dei minori, e nel momento in cui si occupano di vicende processuali, dipendono dal Tribunale penale, e in quelle materie i sindaci non hanno titolo di intervenire. Noi avremmo dovuto interrogare i magistrati, ma non funziona così.

    Tutto quello che è accaduto è accaduto sotto la supervisione e la direzione della magistratura, quella del Tribunale dei minori e quella penale, ci sono stati non so quanti processi, sicuramente nove perché tre processi fino al terzo grado più altri, sono intervenuti 30 o 40 giudici diversi, hanno ascoltato le parti, i periti di parte di tutte le parti, si sono avvalsi di periti propri, di esperti propri quando c’erano dei dubbi sulle perizie delle parti, e hanno tratto delle conclusioni, mi pare senza accettare teoremi, in maniera molto rigorosa, perché, se ricordo bene (scusate se vado a memoria perché non mi sono riletto e non ho fatto i conti in dettaglio), mi pare che abbiano condannato 9 o 10 persone e assolte altrettante, quindi vuol dire che hanno correttamente esaminato le responsabilità individuali, così come dice la nostra Costituzione.

    Questo è quello che io ho potuto vedere. Nel frattempo, il personale è anche cambiato, perché, come è normale e fisiologico, ci sono persone che sono andate via a fare per esempio la libera professione o comunque erano già in libera professione ma si sono rese autonome dalle strutture pubbliche ed altre che hanno cambiato attività (questo mi pare normale nella Pubblica Amministrazione).

    Non ho mai avuto modo di... Certo, domande me ne sono fatte tante. Ripeto, mi sono preso la briga di leggere gli atti dei processi, che sono dei faldoni piuttosto pesanti e avrei preferito fare altro, per cercare di capire se effettivamente c’erano degli elementi... Io non discuto che i magistrati siano sempre infallibili, però, da quel che ho letto io, mi pare che abbiano fatto un lavoro serio, importante, piuttosto approfondito, e che alla fine siano giunti a conclusioni molto chiare. Gli abusi ci sono stati, comprovati sia dalle dichiarazioni dei ragazzi che dalle analisi cliniche, tutte le dichiarazioni dei ragazzi sono state sottoposte a contraddittorio, nessuna situazione è stata accettata così come veniva presentata dal pubblico ministero e alla fine in tutti i gradi di giudizio si sono fatti una convinzione e hanno concluso.

    Io mi sono attenuto a queste verità. Dopodiché, di fronte a vicende di questa portata e di questa pesantezza, è chiaro che è giusto farsi delle domande, le domande sono legittime, bisogna trovare le risposte. Siccome però ci sono state anche illazioni e le illazioni sono passibili di contestazione e, se necessario, di ricorso, nel caso di accuse bisogna portare delle prove, o testimoniali o di atti. Per quanto abbiamo potuto vedere quando abbiamo controllato i Bilanci, non abbiamo ravvisato comportamenti che facessero sospettare azioni o comportamenti degli operatori meno che regolari.

     

    Presidente BOSCHINI. Benissimo. Aggiungo solo una domanda io, ma si può rispondere con un sì o con un no. Nelle sentenze che lei ha esaminato ci sono state condanne per operatori dei servizi sociali e dei Comuni?

     

    Sindaco COSTI. La ringrazio per questa domanda. Non ci sono state condanne, semmai ci sono degli elogi in alcuni casi, ci sono anche delle osservazioni in altri, ma condanne no, nel modo più assoluto.

    I giudici hanno sottoposto a contraddittorio e verifica sia le deposizioni, che poi sono avvenute in condizioni protette con le parti in causa presenti, sia gli operatori dei servizi, perché il Tribunale dei minori di Bologna nel 2000 o 2001 (vi chiedo scusa ma non ho memoria) incaricò un professionista, il professor Zucchelli o Zucchini, un importante professionista, per esaminare la condizione degli operatori dei servizi sociali di Mirandola, per vedere cioè se avessero degli atteggiamenti, dei comportamenti, delle prevenzioni, dei pregiudizi che potessero far dubitare del rigore della loro azione, e le conclusioni furono assolutamente negative per l’accusa e favorevoli per gli operatori, cioè l’indagine portò alla conclusione che erano persone che facevano il loro lavoro con professionalità, serietà, onestà, il che non vuol dire che non potessero fare errori, ma questo è tutto un altro paio di maniche.

    Quell’indagine non ravvisò problemi di sorta, poi – ripeto – i processi sono processi, nei quali c’è l’accusa e la difesa, e c’è una parte terza che fa i controlli ulteriori e verifica quali sono le possibili verità sia dal punto di vista della credibilità delle testimonianze che delle analisi cliniche che vennero fatte a quel tempo.

     

    Presidente BOSCHINI. Ringraziamo Luigi Costi per le informazioni che ci ha fornito e per averci anche aspettato e fatto tardi con noi e gli auguriamo buon lavoro.

     

    -     Audizione dell’Avv. Francesco Morcavallo – già Giudice presso il Tribunale dei Minori di Bologna

     

    -     Eventuale dibattito e discussione

     

    Presidente BOSCHINI. Passiamo all’audizione di Francesco Morcavallo, già giudice presso il Tribunale dei Minori di Bologna, che ringraziamo per la presenza. Abbiamo chiesto la presenza al dottor Morcavallo con queste motivazioni: le sue valutazioni sulla interazione fra i servizi giudiziari e i servizi sociali per i minori, le condizioni per l’esercizio della funzione di giudice onorario nei Tribunali per i minori, sull’organizzazione delle Camere di Consiglio con riferimento in particolare alla rotazione tra giudici togati e onorari.

    Su queste tematiche chiedo se il dottor Morcavallo preferisca iniziare con una sua breve introduzione su questi temi o voglia partire dalle domande che pongono i colleghi Commissari.

     

    Avv. Francesco MORCAVALLO, già giudice presso il Tribunale dei Minori di Bologna. Mi limiterò a fare una brevissima introduzione solo per dire che sono portatore di un’esperienza che, per quanto riguarda la funzione di giudice nell’ambito del Tribunale per i Minorenni di Bologna, riguarda un periodo compreso tra il settembre del 2009 e il maggio del 2013, con una breve cesura di un anno tra l’estate del 2010 e  quella del 2011, che successivamente è ancora attualmente ho svolto la professione di avvocato, occupandomi anche e in larga misura, nell’ambito di territori anche diversi dall’Emilia-Romagna, di processo minorile e processo della famiglia.

    Con riferimento a situazioni sistematicamente ripetitive  riscontrate sia nell’ambito della precedente esperienza in magistratura, sia nell’ambito della professione che attualmente svolgo, ho avuto spesso occasione di sottolineare quella che a mio avviso è la disfunzione maggiore del sistema di tutela dei minori particolarmente sviluppato su tutto il territorio nazionale, che avevo già avuto modo di riscontrare in questa regione, cioè l’emissione di provvedimenti in larghissima misura e con grandissima frequenza resi inaudita altera parte, cioè sulla base del solo stato degli atti annessi al ricorso della parte pubblica, del pubblico ministero, che è parte, come a tutti noto, legittimata nella materia di cui ci occupiamo, sulla sola base anche di semplici valutazioni contenute nelle relazioni di segnalazione o di fatti ivi ipotizzati e non verificati attraverso l’istruttoria.

    Questo con conseguenze di interventi gravemente invasivi sulla vita dei minorenni e delle famiglie coinvolte, con larghissimo ricorso alla misura dell’allontanamento del minorenne dalla famiglia e con lunghissime collocazioni in affidamento eterofamiliare o presso famiglie diverse da quella di origine o presso strutture, per di più con limitazioni non motivate della frequentazione tra il minorenne interessato e i genitori e familiari, in particolare nei periodi di affidamento eterofamiliare.

    La mia attenzione si è rivolta principalmente a questo aspetto, cioè la decisione del giudice, assunta in via provvisoria e in modo sistematico, inaudita altera parte in modo sistematico, con l'audizione delle parti interessate dopo lunghissimi periodi dalla attuazione dei primi provvedimenti provvisori, con pendenza dei procedimenti per lunghissimi periodi e prolungamento degli affidamenti eterofamiliari ben oltre i termini consentiti normativamente, e soprattutto decisioni emesse senza ipotesi di comportamenti dei genitori violativi dei diritti dei figli e, nei rari casi in cui siano ipotizzati i fatti, senza l’accertamento di detti fatti da parte del giudice.

    Questo è il quadro introduttivo che mi sembra descrittivamente sufficiente, poi sono pronto a rispondere ad eventuali domande.

     

    Presidente BOSCHINI. Benissimo, grazie. Se ci sono colleghi che vogliono prenotarsi per porre domande, possono farlo. Prego, Facci.

     

    Consigliere FACCI. Grazie, avvocato. Nella sua introduzione lei ha già messo a fuoco quelle che sono state le disfunzioni da lei individuate all’interno del Tribunale dei Minori.

    Questa Commissione sta andando avanti da diverse settimane e abbiamo ascoltato vari professionisti, vari operatori, anche persone che hanno associazioni che si occupano della tutela dei minori, insomma il sistema sotto varie sfaccettature, quindi la sua figura è quella che ci racconta o ci descrive l’aspetto interno al sistema giustizia.

    La mia domanda è questa: poiché (può anche essere una valutazione nostra, giusta o sbagliata, però personalmente me la sono fatta e ho anche avuto alcuni riscontri in persone che sono venute in questa sede) l’impressione (le chiedo una conferma o meno)  è che il sistema così come oggi è strutturato a livello generale (poi magari possiamo fare dei focus sui territori) di fatto lascia carta bianca ai primi soggetti che entrano in contatto con i minori e quindi le situazioni familiari, cioè gli assistenti sociali. Secondo lei è corretto sostenere che l’attuale sistema lascia eccessivo potere, perché diventa di fatto un potere, agli assistenti sociali in questa materia?

    Seconda domanda. Per la sua esperienza è possibile rinvenire delle differenze di comportamento nell’esercizio di questo sostanziale potere discrezionale che alla fine viene esercitato? Quindi diverse scuole di pensiero, scuole di formazione o comunque realtà che hanno ricevuto approcci differenti nella gestione della problematica (parliamo di presunti maltrattamenti, presunti abusi, tutta una materia che riguarda questo settore).

    Terza domanda. Quali secondo lei possono essere i correttivi a questo sistema, se i correttivi debbono essere a livello legislativo, quindi norme specifiche, o siano sufficienti modifiche nell'individuazione di protocolli operativi adottati dai vari servizi.

    Queste sono le mie tre domande, poi magari mi riservo di farne altre.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottor Morcavallo.

     

    Avv. MORCAVALLO. La risposta è in linea generale confermativa dell’impressione che lei prospetta in questo senso: sostanzialmente in tutti i casi di ricorso della parte pubblica al Tribunale per i Minorenni o comunque in una stragrande maggioranza dei casi segue un primo provvedimento che, reso inaudita altera parte, è come minimo di affidamento al servizio sociale, categoria che la normativa non prevede, o meglio la prevede a tutt’altri fini e in tutt’altro ambito, affidamento al servizio sociale in bianco.

    Questo induce un effetto particolarmente pericoloso dal punto di vista delle ricadute applicative, perché demanda al servizio sociale non solo l’accertamento dei fatti, che è materia che compete al giudice, ma così falsa e devia l’assistente sociale dalla sua funzione, che è quella della assistenza alla famiglia sulla base consensuale, quindi è un mandato al servizio sociale che consente all’operatore dell’assistenza sociale lo svolgimento dei poteri autoritativi che non sono propri di quella funzione, senza limiti.

    Questo con la conseguenza ulteriore che, sulla base di questi provvedimenti (non parlo di qualunque assistente sociale lavori sul territorio, come in tutte le categorie che sono quelli che sanno lavorare e quelli che non sanno lavorare) è frequentissimo che l’assistente sociale, ai fini di un accertamento di fatti ipotetici o addirittura di fatti da andare a cercare, che non sono nemmeno ipotizzati nella segnalazione iniziale che è solo valutativa, investa anche operatori di altro tipo (psicologi, psichiatri), alcuni dei quali hanno, come convincimento radicato nell’ambito della rappresentazione delle proprie funzioni e dello svolgimento della propria professione, quello di poter partecipare all’accertamento del fatto anche mediante la somministrazione di terapie forzose, cosa che naturalmente, come potete ben capire, è paradossale, perché porta a sostituire all’accertamento del fatto una diagnosi di tipo psicologico-comportamentale o una diagnosi basata su indicatori per quanto riguarda per esempio le ipotesi di abuso sessuale.

    Il mandato in bianco al servizio sociale di accertare i fatti, anziché un provvedimento autoritativo che intervenga solo dopo che sono stati accertati i fatti o che se ne siano ravvisati quanto meno gravi e univoci indizi, determina una deviazione dell'assistente sociale e degli altri operatori che intervengono rispetto alla sua funzione specifica.

    Questo in molti casi (che non vuol dire sempre) porta a imporre trattamenti ai minorenni e alle famiglie anche senza che si arrivi mai nel corso del procedimento alla constatazione di un comportamento del genitore di violazione dei diritti del figlio o comunque di violazione dei doveri che sono configurabili nell’ambito della funzione genitoriale.

    Questo è il quadro, che porta naturalmente a cosa? Alla possibilità che – ripeto – dipende non tanto dalla configurazione della normativa attuale, ma dalla applicazione diffusa che ne viene fatta, cioè mandato in bianco al servizio sociale e agli altri operatori di ricaduta, porta con enorme frequenza a imporre dei trattamenti che non trovano ragione nelle motivazioni dei provvedimenti e che vengono somministrati senza il consenso degli interessati o a minorenni senza il consenso dei genitori.

    Questo porta a uno svolgimento di attività da parte di operatori di vario tipo, anche e soprattutto del settore privato, i quali, in autonomia sostanzialmente incontrollata, decidono quali trattamenti imporre e con che durata, e questo fa il paio con una stortura normativa, quella per cui lo svolgimento di questi trattamenti viene retribuito senza controllo dell’attività o della giustificazione di spesa in base al numero dei trattamenti somministrati, compreso l’allontanamento dei bambini dalla famiglia, e in base alla durata.

    Il cortocircuito è questo: in base a un mandato in bianco del giudice che abdica alla propria funzione, chi ipotizza originariamente, anche in base ad una valutazione astratta, la necessità di somministrare un trattamento lo somministra in autonomia incontrollata e decide addirittura quale ne siano la durata, l’esito e la finalità. Qui mi riferisco a tutti i tipi di trattamento, dagli allontanamenti agli altri trattamenti che vengono somministrati anche a minorenni che rimangono presso i propri genitori, con la conseguenza di un numero enorme sia di allontanamenti, sia di altri trattamenti, perché stiamo parlando di decine di migliaia di allontanamenti in Italia e centinaia di migliaia di affidamenti in bianco al servizio sociale, nell’ordine dei 450-500.000 (dati del Garante nazionale dell’infanzia).

    Di fronte a questa massa di interventi e trattamenti non giustificati da fatti si perdono di vista le situazioni, molto più limitate numericamente, in cui di un intervento specifico c’è bisogno, di un intervento del giudice c’è bisogno, di un accertamento del giudice c’è bisogno. Faccio due esempi: demandare l’accertamento ad una gestione autoritativa, di cui viene dato incarico in modo immotivato agli operatori del servizio socio-assistenziale e sanitario, provoca una disfunzione anche nel caso in cui il fatto ipotizzato e da accertare esista davvero, perché se è l’assistente sociale, lo psicologo, lo psichiatra o comunque lo psicoterapeuta ad andare a indagare per esempio su un’ipotesi di abuso, quello è un modo di inquinare la prova e quindi un esito utile dell’accertamento anche quando l’abuso c’è, quindi è una stortura che impedisce anche una tutela di chi ne ha bisogno, oltre che imporre un intervento autoritativo a chi non ne ha bisogno e dove non ce n’è motivo.

    Ancora, un intervento autoritativo e trattamentale imposto senza ragioni, senza accertamento di comportamenti violativi da parte dei genitori e solo ed esclusivamente sulla base di una valutazione di disagio del minorenne o di disagio familiare in generale a livello sociale o a livello economico, oltre a non essere consentito già allo stato della normativa, ma ciononostante sistematicamente applicato, comporta una conseguenza sul piano sociale a mio avviso e ad avviso di molti particolarmente allarmante: chi si trova in una condizione tale da imporgli di chiedere aiuto al sistema pubblico di assistenza sociale tende a non farlo.

    Non lo fa perché dalla richiesta di aiuto si passa automaticamente alla segnalazione di una situazione di disagio, e nel territorio di questa regione questo è stato dovuto a continue richieste che ci sono state negli anni anche invasive della Procura minorile, si passa automaticamente alla segnalazione di una situazione di disagio e quella situazione di disagio, anziché diventare materia di assistenza su base consensuale, diventa materia di un intervento autoritativo, perché segue il provvedimento del giudice, puramente e semplicemente basato sulla descrizione del disagio familiare, e la rimessione al servizio sociale di svolgere tutti gli interventi che ritenga opportuni anche in cooperazione con altri operatori.

    Questa distorsione è a mio avviso già non consentita dalla normativa attuale, però è innegabile (passo alla seconda parte del quesito) che sia una normativa configurata in modo quantomeno poco dettagliato. Una prima possibilità di intervento, a ordinamento invariato, consiste nel controllo anche da parte degli organi politico-amministrativi sull'attività dell’assistenza sociale, affinché non vengano imposti interventi autoritativi dove non c’è materia per imporli.

    Una seconda possibilità di intervento è quella relativa alla specificazione, quindi a una modifica dell’attuale quadro normativo con l’inserimento di previsioni più chiare in ordine alla necessità di accertamento del fatto e della motivazione come presupposto dell’intervento autoritativo sulla famiglia, alla necessità della instaurazione del contraddittorio e della tutela del contraddittorio nell’ambito del processo, cosa che al momento e nell’attuazione pratica diffusa è assolutamente recessiva e marginale.

    Oggi il processo minorile è un processo senza fatti e senza contraddittorio, gestito completamente su mandati in bianco da soggetti che hanno altre funzioni, cioè funzioni terapeutiche, funzioni educative, funzioni di assistenza, che nel sistema ordinamentale a base costituzionale si giustificano sulla base del consenso, non sulla base di un’imposizione autoritativa, quantomeno dove non ci siano accertamenti di fatto relativi a comportamenti dei genitori che mettano in pericolo i figli.

    Questo è stato più volte rilevato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con condanne che ciclicamente si sono susseguite negli ultimi 15-20 anni. Ci sono poi delle circostanze di aggravamento di questo tipo di quadro, segnatamente con riguardo a cointeressenze che esistono tra operatori del settore pubblico e operatori del settore privato, per i quali non è sostanzialmente praticato alcun controllo sulla partecipazione alla gestione di enti che somministrano trattamenti.

    Si tratta di un controllo che non viene praticato, nonostante le circolari, che lasciano il tempo che trovano, del Consiglio Superiore della Magistratura sulle situazioni di incompatibilità, un controllo che non viene praticato neanche sui magistrati o componenti esperti o soprattutto sui componenti privati dei Tribunali per i Minorenni. Un grandissimo numero in questa regione e anche in altre realtà territoriali svolge, contemporaneamente alla funzione giurisdizionale, anche funzione attuale di assistenza sociale o di gestione o collaborazione in enti privati che somministrano trattamenti ai minori, per cui si crea anche una commistione di interessi, che è stata da lungo tempo denunciata in tutte le sedi istituzionali anche dal sottoscritto, senza che sia stata cercata, né tantomeno trovata una possibilità di soluzione.

    Ne deriva come conseguenza macroscopicamente evidente e diffusa in modo preoccupante che le storture di carattere tecnico e procedimentale che ho sottolineato alimentano un flusso considerevole di denaro pubblico, che confluisce in mani private sostanzialmente sulla base delle determinazioni di chi lo percepisce, perché chi lo percepisce decide se, come, quando e per quanto tempo somministrare il trattamento, sulla base di un mandato in bianco del giudice.

    Se non ci fosse quel mandato in bianco, non ci sarebbe il problema, ma con quel mandato in bianco si pone il problema, perché, nel momento in cui si dà un mandato in bianco, il soggetto che lo riceve può essere capace, bravo, solerte e probo, oppure può essere incapace, sbagliare, tra l’altro comprensibilmente in un mestiere che non è il suo, cioè quello di accertare i fatti e di intervenire autoritativamente, perché quello è solo il mestiere del giudice, oppure può essere interessato a guadagnare del denaro sulla base di quelle attività.

     

    (interruzione)

     

    Avv. MORCAVALLO. Affidati al servizio sociale su base nazionale circa 500.000, affidato al servizio sociale vuol dire che c’è un provvedimento del Tribunale per i Minorenni o del Tribunale ordinario, a seconda del riparto di competenze che ha subito modificazioni, che prevede l’affidamento di quel minorenne al servizio sociale, intervento anche questo autoritativo, che nell’applicazione pratica è considerato minimale ma minimale non è, perché consente al servizio sociale la qualunque.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Prego, consigliera Sensoli.

     

    Consigliera Raffaella SENSOLI. Grazie, presidente. Innanzitutto ringrazio il dottor Morcavallo per essere venuto qua e la mia domanda è relativa ai giudici onorari. Nella sua esperienza, nel periodo in cui è stato all’interno del Tribunale dei Minori, ha avuto modo a di credere o comunque ha avuto notizia che qualche giudice onorario potesse essere in conflitto di interessi?

    Come Regione non possiamo incidere ovviamente sul Tribunale dei Minori, però sarebbe importante da parte delle Amministrazioni locali che seguono e gestiscono i servizi sociali capire se c’è qualche giudice onorario che all’interno del Tribunale dei Minori può avere in qualche modo un conflitto di interesse anche in relazione all’affido o alla gestione appunto dei minori, che magari possono andare, se non in famiglie, in strutture collegate a qualche figura.

    Mi sembra di aver reso il concetto, ma se non mi sono spiegata bene me lo dica, sostanzialmente se ha notato questa cosa. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Ho già quattro richieste di intervento, per cui cerchiamo di regolarci con i tempi.

    Intanto rispondiamo a questo. Prego, dottor Morcavallo. Con una certa attenzione ai tempi, grazie.

     

    Avv. MORCAVALLO. Sarò brevissimo rispondendo solo che ho constatato più di una situazione nel periodo in cui ho svolto le funzioni presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna, componenti privati, cosiddetti "giudici onorari" che avevano le loro case famiglia e le gestivano, giudici onorari che svolgevano contemporaneamente anche ruoli nell’assistenza sociale pubblica.

    Le racconto brevissimamente un episodio: un giorno mi sono trovato in udienza come operatore di riferimento del servizio di assistenza sociale un giudice onorario del Tribunale, me lo sono trovato in udienza, quindi non c’era nemmeno una particolare attenzione a nascondere la situazione di conflitto di interessi, tanto che pensai in modo automatico che fosse cessato dal mandato per decorso del tempo (come si sa, è un mandato temporaneo quello del componente esperto).

    Me lo trovai in udienza come operatore per la situazione specifica del bambino che era interessato nell’ambito di quel procedimento, solo dopo seppi che era giudice onorario del Tribunale perché me lo ritrovai in una Camera di Consiglio, tra l’altro la stessa Camera di Consiglio in cui avevo portato il fascicolo che riguardava quel procedimento, quindi lo riservai naturalmente ad altra Camera di Consiglio, però me ne lamentai energicamente con l’allora Presidente del Tribunale.

    Mi consta che non siano state svolte segnalazioni nemmeno su questo specifico e secondo me gravissimo episodio, né interventi tali da consentire di prevenire, evitare o eliminare situazioni di conflitto di interesse, che in questo caso e in diversi altri è conclamato.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Prego, Calvano.

     

    Consigliere CALVANO. Grazie, presidente. Mi sono concentrato spesso in questa Commissione sul tema dei numeri, perché non lo ritengo irrilevante, ma prima di arrivare alla domanda che le volevo porre faccio alcune premesse, in modo che ci capiamo.

    Penso che anche un solo minore in tutto il sistema che venga allontanato dalla famiglia senza ragioni sarebbe un problema. Considero altrettanto grave se solo ci dimentichiamo di un bambino in una condizione familiare pericolosa per quel bambino, quindi vedo questi come due problemi enormi entrambi, anche se ci fosse un solo caso.

    Grazie al lavoro di questa Commissione sono arrivato a capire che il meccanismo dell'inaudita altera parte forse va superato e dobbiamo trovare il modo di intervenire legislativamente a livello nazionale per migliorare gli elementi di garanzia nei confronti delle famiglie in fase giurisdizionale.

    Fatte queste premesse, alle quali potrei aggiungerne altre, ma penso che alcune saranno nella relazione finale perché ci sono tante cose sulle quali dobbiamo intervenire, credo che sui numeri dobbiamo provare a chiarirci.

    Dico questo perché obiettivamente lei non è il primo a riferire (è successo anche con una costituenda associazione qualche giorno fa) che i minori affidati ai servizi sociali sono 500.000, ammetto che è un numero che io non riesco a trovare da nessuna parte, numero che, se metto a confronto con il numero totale dei minori in Italia da 0 a 18 anni, significa che un minore su 20 adolescenti è affidato ai servizi sociali, perché i minori sono 9,8 milioni.

    Ammetto che mi sembra un numero esorbitante guardandomi attorno, nella mia realtà quotidiana, da padre, quindi le chiedo spiegazioni di questo numero perché non riesco a trovare e anche altri che sono venuti qua a dirlo per il momento non ci hanno mandato spiegazioni di questo numero.

    A questo ne aggiungo un altro che lei non ha detto in questa sede, ma ha detto in altre occasioni, se non vado errato anche in un’intervista su Panorama di diverso tempo fa, in cui parla di 50.000 minori affidati tra comunità familiari e genitori (magari l’intervista la riportava male). Questo è un altro numero che qualcun altro ci è venuto a dire e sul quale ho chiesto spiegazioni, perché gli unici numeri ufficiali che noi abbiamo in un sistema che ha una pecca enorme (è emerso anche dalla Commissione nazionale che è stata fatta su questo tema nella passata legislatura) è che non abbiamo un Osservatorio vero, quindi dobbiamo stare sui numeri ufficiali e gli unici che abbiamo sono quelli del Ministero, che ci dice che a fine 2014 gli affidamenti in Italia sono 25.000, di cui la metà di carattere volontario, quindi di carattere coercitivo stiamo parlando di 12, 13 o 14.000 casi (dati 2014), quindi quelli ufficiali (al momento non ce ne sono altri) che ci sono stati forniti ci dicono questo.

    Questo non significa che non è un problema (l’ho detto in premessa e non sto a ripeterlo) però è importante, nel senso che il dato con cui dobbiamo avere a che fare è un dato che dà le dimensioni di alcuni fenomeni.

    Ne aggiungo un altro. Nella sua relazione ci dice che i Tribunali tendono ad affidare (la banalizzo). L’ultima relazione che noi abbiamo letto della Procura di Bologna in merito alla vicenda della Val d’Enza ci dice che, a fronte di 100 casi in cui ci è stato chiesto da parte dei servizi sociali l’eventuale affidamento, è stato risposto negativamente, il Tribunale ha detto 85 su 100 no, la valutazione fatta è sbagliata, non è attendibile, dei 15 rimasti solo 7 (sono comunque tanti perché anche se fosse 1 sarebbero tanti) hanno fatto ricorso e al momento è stato perso (non so se ci siano ulteriori gradi).

    Anche questo è un dato importante perché, se da un lato ci dice che da parte di quei servizi sociali c’è stata una certa propensione a indicare situazioni complicate al Tribunale, c’è un Tribunale che obiettivamente, se ne ha rifiutato 85 su 100, vuol dire che le ha guardate e ha ritenuto che non ci fossero i presupposti per intervenire, e anche questo è un dato su cui le chiedo una riflessione alla luce delle cose che lei ha detto in premessa, perché vanno in una direzione diversa dalle cose che lei ha detto in premessa, quindi credo che per il lavoro che dobbiamo fare sia davvero opportuno fare chiarezza.

    I dati che le ho dato sull’Italia e che noi abbiamo a disposizione sono dati molto inferiori a qualsiasi altro Paese europeo, nel senso che Francia, Germania e altri Paesi hanno dati che vanno dal 6-7 per mille fino addirittura al 10 per mille, mentre in Italia ci attestiamo al 2,6 per mille tra affidamenti volontari e affidamenti coercitivi o comunque imposti. A me piacerebbe avere un po’ di chiarezza su questo, per evitare che ci raccontiamo dei numeri ogni e che ognuno racconti i suoi. La cosa migliore per evitarlo sarebbe che ci fosse un Osservatorio in cui tutti ci riconosciamo. però almeno proviamo a dare dei numeri citando fonti che ci consentono un minimo di verifica.

    È una raccomandazione che ho fatto anche altre volte, quindi non la prenda sotto un versante personale, vuole essere per noi un elemento di confronto, perché tra 500.000, mezzo milione di bambini affidati ai servizi sociali, e la realtà che io vedo c’è una certa distanza.

     

    Avv. MORCAVALLO. Non lo prendo assolutamente come un appunto anche perché non sono numeri miei, ho sempre citato la fonte, si tratta solo di mettersi d’accordo sul significato del dato, perché circa 500.000 affidati (485.000 e rotti) è un dato che trova negli atti del Garante nazionale dell’infanzia, che mi pare che non possa essere tacciato di esagerazione, se non altro perché non ha mai preso posizione come istituzione rispetto alle storture del sistema. Al più si potrebbe dire che poco ha garantito, ma non che dia numeri esagerati.

    Questi sono gli affidati al servizio sociale, che è diverso da allontanati dalla famiglia, sulla differenza tra 50.000 e 25.000 in realtà un dato preciso non c’è per il semplice motivo che ha indicato lei, cioè non c’è un’anagrafe degli allontanamenti, sono state fatte diverse proposte di legge, una è anche pendente, ma non è stata mai istituita l’anagrafe degli allontanamenti.

    Il dato di partenza anche rispetto ai dati cui avevo fatto riferimento già in un'intervista credo del 2013 era un dato del 2011, proveniente dal Ministero che credo allora si chiamasse delle Politiche sociali, che parlava di 40.000 bambini fuori famiglia, 40.000 era naturalmente un dato in crescita per constatazione di qualunque operatore del settore, quindi è ovvio che, passando dal 2011 al 2013, ho sempre operato una stima prudenziale rispetto alle fonti di studi statistici a cui mi sono riferito, quindi tra 40.000 e 50.000, quindi il dato dei 500.000 e il dato dei 50.000 sono due dati diversi.

    Il dato dei 25.000 del 2014 è un dato profondamente lacunoso, perché è una ricerca fatta sulla base dei dati forniti dalle cancellerie dei Tribunali per i Minorenni, hanno risposto pochissime cancellerie all’interpello, quindi è un dato già solo per questo parziale, poi ogni cancelleria per allontanamento, termine forse da tecnico, ha ritenuto di qualificare ciò che voleva, quindi è un dato eterogeneo per quanto riguarda l'analisi delle fonti di provenienza. Ci sono cancellerie che hanno risposto sull’allontanamento ritenendo che si trattasse delle vicende in cui i bambini si erano allontanati da casa, cosa assurda.

    Quel dato del 2014 non l’ho mai considerato attendibile, ma questo riguarda più chi analizza il dato che chi lo rende.

    Rispetto al dato specifico dei 100, 85 e 15, anche lì bisogna mettersi d’accordo: 15 sono quelli allontanati, su 85 nessuno ha detto che non ci siano stati provvedimenti, mi pare che, almeno dalle parole che ho letto nelle cronache, il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna ha detto che su quegli 85 non ci sono provvedimenti di allontanamento, andiamo a contare quanti e quali e perché, con che motivazione siano i provvedimenti di affidamento al servizio sociale, questo non ce l’hanno detto, quindi è un dato che non c’è.

    Tra l’altro, faccio una riflessione anche sul dato di 15 a 100, premesso che anche uno solo, quindi condividendo la sua premessa: 15 a 100 rispetto alle pendenze del Tribunale per i Minorenni di Bologna, fermandosi solo a quello, è un dato enorme, mettiamo che la Val d’Enza sia un campione, 15 a 100 è un dato enorme su tutti i fascicoli pendenti, perché se la media viene rispecchiata su tutti i fascicoli pendenti, 15 a 100 è un dato enorme di allontanati e spero che non sia quello il dato.

    Vorrei sottolineare che tra l’altro questa enumerazione di dati è stata resa in un contesto in cui il concetto di fondo era "ci sono stati dei casi in cui abbiamo riesaminato i fascicoli e siamo andati a vedere se...", ma in che modo? Prima di tutto, già il fatto che si siano riesaminati dei fascicoli per il fatto che è stata aperta un’inchiesta ed è stato avviato uno o più procedimenti penali è un dato patologico e paradossale, perché e i fatti si accertano prima, non quando si instaurano i procedimenti penali sulla vicenda nell’ambito della quale si è delegato l’accertamento dei fatti ad altri, e non si sa chi e con che criterio, ma la presunzione di innocenza vale per tutti e questa è materia del giudice penale.

    Riesaminare dopo già è patologico, ma riesaminare dopo con che criterio, demandando altre relazioni, quindi basandosi su altre valutazioni? Il giudice non si può basare su valutazioni, si deve basare sull’accertamento dei fatti, in 15 casi su 100 o in 1 caso su 100, come ha detto lei, ma, se fosse 15 su 100 una media ripetibile anche sugli altri territori, sarebbe molto allarmante e significherebbe che in questa regione l’assistenza sociale è finita, perché l’assistenza sociale muore nel momento in cui si passa all’intervento autoritativo, vorrebbe dire che in questa regione l’assistenza sociale è finita e che siamo in una specie di porta dell’inferno, 15 bambini allontanati su 100 sarebbe un dato preoccupante!

     

    Presidente BOSCHINI. Pongo io una domanda al dottor Morcavallo. Ho letto i giornali in questo senso, poi non so naturalmente se i giornali abbiano riportato il pensiero in maniera precisa, cioè che, su 100 casi riesaminati specificamente sulla vicenda della Val d’Enza, casi su cui vigeva un suggerimento dei servizi sociali per un affidamento (così dice Spataro, leggendo i giornali), per 85 il Tribunale avrebbe deciso rigettando questa specie di richiesta, il che porterebbe a pensare che invece esista un’ampia autonomia del Tribunale rispetto al portato della relazione dei servizi sociali.

    Questo è quello che ho letto io, poi se lei vuole commentare... Però tenevo soltanto a dire che mi sembra che la lettura dei giornali ci porti a dire questo, cioè che, su 100 casi in cui era stato richiesto dagli assistenti sociali un affidamento, solo in 15 sarebbe stato comminato dal decreto del Tribunale, però su questo la lascio reintervenire quando vuole.

    Le pongo anche un’ulteriore domanda. Lei ci ha fatto un quadro, con diverse cose che io trovo personalmente condivisibili come per esempio il tema della necessità di una revisione della nostra normativa rispetto al contraddittorio da concedere alla famiglia anche prima che avvenga un decreto di carattere contingente e provvisorio, che poi spesso produce effetti duraturi da parte del Tribunale, quindi su diverse cose assolutamente condivido perché sono di civiltà giuridica.

    Mi chiedevo però nella sua esperienza come mai, se c’è una totale assenza di valutazione dei fatti, di riscontro degli eventi, non avvenga un massiccio annullamento in sede di Cassazione dei decreti e delle sentenze che il Tribunale dei Minori emette. Mi aspetterei, almeno per quelle famiglie che sono in grado di pagarsi un avvocato, che puntualmente, in assenza di un quadro probatorio accertato in così evidente violazione delle norme, come lei ci ha descritto, avvenisse un ingente numero di annullamenti, che avverrebbero tardivamente e con bambini che nel frattempo sono cresciuti, quindi sarebbe comunque un danno enorme, ma le chiedevo se lei abbia contezza di questa presenza di un quadro così significativo didi annullamento di sentenze.

    Le chiedo anche se il fatto che non avvengano troppi annullamenti possa essere dovuto più che altro a un problema di discrezionalità. Il nostro articolo 333 del Codice civile dice che quando la condotta di uno o entrambi i genitori non è tale da dar luogo a una pronuncia di decadenza della potestà genitoriale, ma questa condotta appare comunque pregiudizievole per il figlio il giudice secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti, che possono arrivare fino a all’allontanamento del minore o di un genitore dal nucleo familiare, ma "convenienti" indubbiamente è un termine molto ampio, che lascia grande discrezionalità al giudice.

    È chiaro che se fra quello che il giudice ritiene conveniente c'è l’affidamento al servizio sociale, ma potrebbe essere l'affidamento a una comunità specifica o ad un altro membro della famiglia, è chiaro che poi diventa molto difficile sindacarlo. Come si potrebbe intervenire normativamente, se lei ritiene che questo dia luogo ad affidamenti troppo generici, visto che comunque è il giudice a stabilire che cosa ritiene conveniente, quindi è lo Stato in qualche modo a pronunciarsi? Grazie.

     

    Avv. MORCAVALLO. Sui numeri di prima evidentemente abbiamo letto due giornali, nel senso che non si parlava di 85 rigetti, si parlava di 85 casi in cui non è stato disposto l’allontanamento, il che non vuol dire che non sia stata disposto altro provvedimento autoritativo (questo non è stato detto nell’intervista, poi andrebbero visti, ma non abbiamo la possibilità di vederli, quindi ragioniamo di numeri e dati, ma non siamo nemmeno d’accordo su che tipo di numero sia stato dato, io ho letto una cosa diversa).

    Sulla discrezionalità, non è vero che la norma consenta questa discrezionalità, perché lei l’ha descritta bene, una condotta pregiudizievole, comportamento, nesso di causalità, evento di pregiudizio o di danno. Discrezionale è la misura dell’intervento, ma prima dell’intervento c'è il fatto, e lì sta il problema, nell’applicazione, se si fa un intervento senza fatto, non c’è nessuna discrezionalità possibile, è un errore ed è un abuso grave, perché l’intervento autoritativo in questa materia è un abuso grave, e ci porta alle cicliche condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo.

    Annullamento in Cassazione. Fino a pochissimo tempo fa l’orientamento costante, monolitico era quello della non ricorribilità in Cassazione dei provvedimenti de potestate; un'apertura c'è stata solo nell’ultimo periodo, quindi una statistica su questo ritengo che non si possa fare, perché non era consentito l’accesso in Cassazione fino a un anno e mezzo fa.

    In Cassazione non era impugnabile il decreto de potestate in generale, per un periodo si è ritenuto che non fosse nemmeno reclamabile in Corte d’Appello il decreto provvisorio, ma quello è un orientamento che poi è stato superato, ma in Cassazione non c’era accesso fino a pochissimo tempo fa, le ordinanze e sentenze di segno contrario sono state emesse da pochissimo tempo, tempo che non consente di fare statistica.

    Il fatto che non ci siano annullamenti in Cassazione non mi sembra quindi un dato significativo. Spero di non essere deludente nella risposta, ma è così.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Prego, Piccinini.

     

    Consigliera Silvia PICCININI. Grazie, presidente. Intanto ringrazio il dottor Morcavallo per aver risposto all’invito. Come Movimento 5 Stelle abbiamo depositato questa richiesta anche in virtù della sua storia personale, perché lei ha denunciato le criticità che solleva qui oggi parecchi anni fa, tant’è che nel 2013 ha lasciato il Tribunale per i Minori di Bologna.

    La domanda che mi facevo, essendo adesso nel 2019, è in questi sei anni che abbiano fatto le sue denunce. Dovevamo aspettare Bibbiano perché qualcosa si muovesse? Mi piacerebbe capire in questi sei anni, dopo le sue denunce, cosa è successo, evidentemente poco o niente se sono emersi i casi della Val d’Enza, anche perché leggendo le notizie che si trovano in rete la sua attività è stata in qualche modo ostacolata, dopo aver sollevato criticità rispetto al Tribunale dei Minori di Bologna oggi è intervenuto Spataro sui giornali e mi sembra che si tenda ancora una volta a difendere a tutto campo l’operato del Tribunale.

    Mi chiedevo se secondo lei, nonostante i casi della Val d’Enza, ci sia una presa di coscienza oppure no, perché a me sembra che così non sia, viste le dichiarazioni di Spataro.

    L’altra domanda era rispetto alla sua esperienza è se sia possibile fare una valutazione su quali sono gli allontanamenti di minori in vero stato di pericolo oppure solamente rispetto a dei sospetti, se lei sia stato in grado di capire anche in termini percentuali se ci siano casi in cui l’allontanamento del Tribunale dei Minori di Bologna è avvenuto in maniera corretta oppure se ci può dare qualche dato ovviamente rispetto alla sua esperienza le sue valutazioni su quanti sono stati allontanati in maniera corretta e quanti no.

     

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottor Morcavallo.

     

    Avv. MORCAVALLO. La prima parte della domanda, rispetto alle denunce fatte tanto tempo fa cosa è stato fatto, penso che la domanda contenesse già la risposta, quindi è più un’osservazione che una domanda, osservazione che io condivido, non è stato fatto niente e mi sembra l’elemento più patologico dal punto di vista istituzionale. C’è stata un’indagine conoscitiva della Commissione parlamentare infanzia e adolescenza, ma appunto un’indagine conoscitiva e nulla più.

    Premetto che quando io ero giudice del Tribunale per i Minorenni non era Presidente Spataro, quindi non ho nessun motivo di specifica critica nei confronti di Spataro, non ho motivi per non stimarlo.

    Ho motivi per non condividere un’impostazione, cioè quando il giudice dice "mi devo fidare della relazione dell’assistente sociale, può darsi che alcune volte mi sia fidato male" parlando di sé o dei colleghi è un ragionamento non da giudice, perché il giudice non si fida di nessuna relazione, non si fida di nessuna valutazione, fa un mestiere che consiste in una sola cosa, sicuramente difficile, anzi difficilissima, accertare i fatti, ma lo deve fare lui, non fidarsi di una valutazione o addirittura sostituire quella valutazione ai fatti.

    Anche se quella valutazione fosse stata fatta dalla persona più virtuosa del mondo, è una valutazione e non può essere sostituita ai fatti, è eventualmente un’ipotesi di un fatto, ma quel fatto va accertato, e va accertato nel contraddittorio delle parti.

    Percentuali non gliene do perché sarebbero numeri sparati a vanvera, a differenza di quelli di prima che hanno la loro fonte. Le dico che ho visto ipotesi di allontanamenti fatti in situazioni in cui ce n’era bisogno, un numero marginalissimo che si conta sulle dita di una mano o di due o di tre su una base di osservazione di migliaia di procedimenti.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Prego, Prodi.

     

    Consigliera PRODI. Per quanto riguarda i numeri e l’evidenza del riesame dei fascicoli del Tribunale dei Minori direi che il collega Calvano ha già coperto il mio interesse, perché c’è questa discrepanza e quello che io anch’io ho letto nella relazione del Presidente del Tribunale dei Minori è proprio che tutto sommato viene dimostrato che perlomeno nei casi campione non c’è una così forte "simbiosi" tra Tribunale e servizi.

    La mia domanda è relativamente a quando lei era giudice presso il Tribunale dei Minori, se abbia mai deciso a favore di un allontanamento, perché dalla sua relazione sembra che per lei sia uno strumento avverso, sembra che lei abbia un'avversione a priori verso questo strumento, anche se ci sono evidenze di casi che oggettivamente possono deflagrare in episodi tragici, in cui sono i minori a soccombere. Sto parlando di ieri e di oggi, e la mia domanda è molto specifica proprio perché nella sua relazione sembra che lei avversi a priori sia la professionalità dell’assistente sociale che lo strumento dell'allontanamento (glielo dico avendola sentita parlare oggi per la prima volta).

    L’altra domanda è sulle denunce che ha fatto. Lei ha fatto denunce formali quando era giudice e possiamo rintracciare le sue denunce formali? C'è un tracciato formale delle sue denunce? Perché io ho letto solo dell'episodio di una frattura al Tribunale dei Minorenni che poi ha dato adito ad altre procedure.

    Lei diceva che gli 85 casi di richiesta di trattamento respinti potrebbero aver dato adito ad altri interventi, ma prima il sindaco di Reggio Emilia ci ha detto che il Comune ha predisposto degli interventi di supporto alla famiglia. Le chiedo se nello spettro di interventi ci sia qualcosa che può essere accettabile, l’educatore che va a casa per aiutare il bimbo a fare i compiti o qualcuno che aiuta per andarlo a prendere a scuola. cioè se in uno spettro di interventi esista qualche azione positiva.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottor Morcavallo.

     

    Avv. MORCAVALLO. Grazie. No, non ho nessun pregiudizio riguardo all’allontanamento, né tantomeno riguardo la professionalità dell’assistente sociale. Io ho parlato degli allontanamenti immotivati, cioè la stragrande maggioranza, gli allontanamenti senza fatto o senza pericolo, perché l’allontanamento dall’ordinamento è consentito solo quando sia pericoloso che il bambino rimanga a casa.

    Ne ho disposti io stesso quando constava la situazione di pericolo, ho disposto anche tre adottabilità, ma tre in tutto il periodo (si vadano a vedere le statistiche delle altre adottabilità dichiarate) ed erano tre abbandoni, non valutazioni.

    Nessun pregiudizio, quindi, anzi ho detto prima (forse su questo aspetto non sono stato particolarmente chiaro) che la pletora di interventi autoritativi ingiustificati fa perdere di vista i casi su cui il Tribunale dovrebbe lavorare, i casi in cui poi il bambino muore, i casi che sfuggono di mano, i casi in cui le donne picchiate hanno paura a denunciare perché, se denunciano, perdono il figlio, i casi in cui chi è nell’esigenza di chiedere aiuto economico non lo chiede, perché ha paura di perdere il figlio.

    Non sono quindi pregiudizialmente contro nessuno, tantomeno sono pregiudizialmente contro la professione dell’assistente sociale. Ho detto inizialmente e lo ripeterò fino alla noia, se necessario, che la funzione dell’assistente sociale credo che sia quella più preziosa dal punto di vista istituzionale e sociale, quello del supporto e dell’aiuto è un diritto costituzionalmente garantito alla famiglia, è un diritto garantito anche sulla base della normativa internazionale (articolo 8 della Convenzione europea dei diritti ), ma l’aiuto si attua su base consensuale, non sulla base di un intervento autoritativo svolto sulla valutazione che forse c’è bisogno d’aiuto. L’aiuto è consensuale, l’intervento autoritativo non è un aiuto, è, come ho detto, un provvedimento autoritativo, e il provvedimento autoritativo si giustifica solo sulla base dell’accertamento di condotta, nesso di causalità, danno.

    Le mie denunce sono sicuramente rintracciabili, è un esposto del 2011 molto articolato, credo il più ampio che sia stato mai fatto in materia, a tutte le istituzioni possibili, perché al Consiglio superiore della magistratura, anche in copia a ogni singolo componente, al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, al Ministro della Giustizia, al Presidente del Consiglio giudiziario del distretto di Bologna e credo anche all’Autorità garante per l’infanzia, ma questo per la verità non me lo ricordo, comunque all’Autorità Garante dell’infanzia ho avuto modo di esporre anche in altre in altre sedi e in altri momenti, quindi sono tutte rintracciabili negli atti ufficiali di ciascuna delle istituzioni che ho nominato.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, Calvano.

     

    Consigliere CALVANO. Grazie, presidente. Faccio una domanda diretta: quindi, in presenza di un sospetto abuso o maltrattamento, lei cosa ritiene si debba fare?

    Mi spiego: dalle cose che lei ci dice, sostanzialmente il maltrattamento e l’abuso c’è nella misura in cui c’è una prova fattuale del maltrattamento e dell’abuso, questo può lasciare però scoperti molti ambiti di intervento, in quei casi cosa si fa? Il sospetto maltrattamento o abuso non c’è mai, cioè o c’è il maltrattamento o non c’è il maltrattamento. Glielo chiedo perché non capisco quale sia il confine, da quello che lei ha detto non mi è chiaro e, siccome ci stiamo occupando di minori, dobbiamo capire quando li mettiamo in una condizione di sicurezza.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottor Morcavallo.

     

    Avv. MORCAVALLO. La domanda è chiarissima, non so quanto possa rilevare la mia opinione, ma le dico che con il sospetto nell’ordinamento a base costituzionale non si può far nulla, si può fare qualcosa già in via preventiva con elementi univoci, che pure non costituiscono ancora una prova, ma con il sospetto non si può far nulla né interventi autoritativi minorili, né tantomeno interventi nell’ambito penale.

    Ovviamente finora non abbiamo parlato solo di abusi, stiamo parlando adesso di abusi, che è l’ipotesi certamente più grave, ma se si lavora sul sospetto e sulla base del sospetto si fa accertare il fatto o si manda alla ricerca dell’accertamento del fatto qualcuno che non è il giudice, anche dove c’è l’abuso non lo si riconoscerà mai, perché vanno al diavolo le indagini sull’abuso.

    Quando si demanda all’assistente sociale o allo psicoterapeuta di accertare il fatto, anziché andarlo ad accertare subito e bene quando c’è una denuncia o una circostanziata segnalazione, perché non può essere nemmeno materia di accertamento, ma solo uno spunto di ipotesi e uno spunto di indagine. Un disegno o è al più uno spunto di indagine, perché sarà d’accordo con me che se disegno un fiore più lungo di un altro non vuol dire che sono stato vittima di un abuso, però lei è d’accordo con me, ma non sono tutti d’accordo su questo, perché spesso è successo che chi ha disegnato un fiore più in luogo di un altro è stato considerato potenziale vittima di abuso, anzi sono stati poi svolti interventi autoritativi considerandolo come vittima di abuso, quindi è questo il problema grave.

    Con il sospetto non si fa nulla, ma non nella mia opinione, nell’ordinamento a base costituzionale libertaria, non so se ci siano ordinamenti in cui sulla base del sospetto si agisce autoritativamente, spero di no, ma sulla base della univocità indiziaria allora si può arrivare a un intervento, ma, anche se un intervento sia necessario per preservare la possibilità dell’accertamento, quell’intervento non è mai quello di sottoporre il bambino ad una psicoterapia esplorativa, semmai può disporsi un temporaneo distacco dell’adulto sul quale verta la segnalazione, ma non è necessario togliere il bambino dalla famiglia o sottoporlo a psicoterapie forzose, per andare a vedere se un sospetto sia fondato, ma poi quando si dice sospetto si richiama una categoria piuttosto eterogenea, che arriva fino alla segnalazione anonima o alla segnalazione del vicino di casa.

    Sul sospetto non si fa nulla, altrimenti anche io e lei siamo potenziali abusati e abusatori nello stesso momento.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, Facci.

     

    Consigliere FACCI. In conclusione, perché l’avvocato ha fatto un quadro abbastanza ampio nelle varie risposte a tutti quanti, faccio questa riflessione, perché lei ha fatto delle affermazioni molto nette, che nascono dalla sua ampia esperienza, un’esperienza particolare e direi unica, perché lei è il primo ex giudice, persona che ha avuto un ruolo importante, non so se centrale ma certamente di rilievo, all’interno del Tribunale dei Minori.

    Abbiamo audito la dottoressa Buccoliero, ma è un magistrato onorario, lei è stato un magistrato togato, quindi chi conosce la differenza sa perfettamente anche la particolarità e le diverse peculiarità.

    Questa Commissione dovrà concludere anche cercando, oltre che di mettere a fuoco tutto quello che è successo, di individuare dei correttivi specifici da suggerire a chi ovviamente li può adottare. In maniera quasi schematica ed elementare quali correttivi lei suggerirebbe di apportare? Alcune cose le ha già dette, qualche risposta l’ha già data, però, dovendo concludere il tema che termina con una richiesta di intervento, cosa suggerirebbe per colmare i vuoti che sono stati da lei e individuati? Il fatto che appunto oggi i giudici minorili più di tanto non riescano, perché questa sorta di mandato in bianco agli assistenti sociali è un vulnus dal mio punto di vista, quindi quali sono i correttivi da suggerirci secondo la sua scala di priorità di intervento? Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottor Morcavallo.

     

    Avv. MORCAVALLO. Tre tipi di correttivi. In ambito amministrativo il controllo sulla restituzione di ogni professionalità alla propria funzione, cioè il controllo sull'operatore dell’assistenza sociale, nell’educazione domiciliare, della psicologia e psicoterapia sulla motivazione delle segnalazioni.

    La segnalazione si giustifica già alla base, già nel momento di intervento dell’Amministrazione, quando c’è una circostanza, un comportamento che pone in pericolo il minorenne, quindi controllo sull’operatore dell’amministrazione e del servizio socio-assistenziale sanitario in generale.

    Controllo sulle modalità di scelta, almeno fino a che l’ambito normativo rimane quello attuale, dei soggetti a cui vengono demandati interventi o trattamenti sui minori, quando si tratti di soggetti privati.

    Secondo ambito, ambito di riforma normativa. Condivido i pilastri del disegno di legge 2047 pendente alla Camera, con il lavoro di completamento e di specificazione che si sta facendo in commissione Giustizia alla Camera. I pilastri sono accertamento del fatto come presupposto dell’intervento, quindi fatti e prove anche nel processo minorile, fatti, prove e contraddittorio, e modifica del metodo di finanziamento degli enti che gestiscono trattamenti a minori o allontanamenti, quindi rimborso in luogo del finanziamento incontrollato, controlli anche sulla gestione finanziaria, controlli sul funzionamento in particolare delle case famiglia, esclusione tendenziale del demandare il trattamento diverso dall’allontanamento a soggetti privati anziché a soggetti pubblici, visto che ci sono soggetti pubblici nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e dell’assistenza sociale che sono in grado, nei casi in cui c’è necessità, di svolgere quella funzione senza guadagno specifico.

    Sul piano della fiducia dei consociati, stimolare i consociati a parlare delle proprie situazioni, a parlare delle disfunzioni, a lamentarle, a parlare delle vicende in cui emergano situazioni come quelle di cui abbiamo parlato. Parlare non vuol dire strumentalizzare, perché siamo tutti d’accordo sul fatto che non si tratti di argomenti che hanno un risvolto politico di qualche particolare colore, perché si tratta di situazioni diffuse nell’ambito di tutto il territorio nazionale, io vengo da Roma e negli ultimi 10-20 anni a Roma e nel Lazio si sono susseguite Amministrazioni di tutti i colori possibili e immaginabili e la situazione è analoga a quella della vostra Regione.

     

    Presidente BOSCHINI. Mi inserisco anch’io per una domanda che ho fatto prima che si prenotassero. Vorrei tornare sul tema, su cui mi interessa molto il suo punto di vista, della costruzione della prova, che mi sembra il tema fondamentale che lei ci ha portato, e non è la prima volta che ci viene portato questo tema, sostanzialmente la tesi che la prova debba essere costruita nel contraddittorio, quindi c’è un problema di trasformazione della filosofia di fondo non del procedimento minorile in Italia.

    Lei prima ha detto, rispondendo a me, che la discrezionalità c’è nella misura che dispone il giudice, ma non deve esserci nel modo in cui si accerta la condotta pregiudizievole del genitore verso il figlio, cioè questo è il punto, avere discrezionalità in questo accertamento della condotta pregiudizievole.

    Ammettiamo quindi che un assistente sociale venga a sapere da un insegnante che un figlio non è accudito adeguatamente o riporta magari di essere stato picchiato tra le mura di casa ripetutamente dal genitore, è chiaro che la prova non c’è, però per la normativa italiana, se la interpreto correttamente, l’assistente sociale per il 331 del Codice civile è in qualche modo chiamato a fare una segnalazione, perché la segnalazione del pubblico ufficiale nel nostro ordinamento è sostanzialmente obbligatoria, si rischia l’omissione di atti di ufficio  se non la si fa.

    Se capisco bene, quello che lei dice è che questa segnalazione che per l’ordinamento italiano viene fortemente incentivata, se non addirittura resa obbligatoria, dal Codice civile, non può essere un quadro probatorio che il giudice tiene come unico elemento per disporre il suo decreto. La domanda che le faccio è quindi dal suo punto di vista, se questo è il presupposto che in parte è anche condivisibile, perché anch’io sono a favore di un’evoluzione della norma verso il processo in contraddittorio e non di tipo inquisitorio, come si fa ad accertare ciò che è avvenuto veramente a quel bambino fra le mura domestiche? Ci aspettiamo che venga investita la polizia giudiziaria di questo problema che quindi mentre i genitori sono al lavoro entri in casa e metta le telecamere per accertare?

    La prova deve avvenire nel dibattimento, tema che condivido, davanti al giudice, ma è possibile dimostrare in un dibattimento che quel bambino è stato magari ripetutamente picchiato dal genitore, cioè oggettivamente quanti casi potrebbero essere ricostruiti con delle prove assolutamente corrette dal punto di vista di un processo di tipo contraddittorio secondo lei, nella sfera così volatile e difficile del maltrattamento minorile? Se parliamo dei reati tipici del Codice penale, non è facile spesso documentali e provarli, ma sono fattispecie molto evidenti, invece ciò che avviene fra le mura domestiche è molto delicato da dimostrare in un contraddittorio, quindi (glielo chiedo in positivo) come vede una riforma normativa che porti ad una costruzione della prova che non avvenga fuori dal processo, ma al tempo stesso però sia credibile e non lasci cadere magari moltissimi elementi che le scuole e i vicini di casa possono raccogliere anche utilmente per il magistrato? Spero che sia chiaro il senso della domanda.

     

    Avv. MORCAVALLO. Sulla prima parte sì, il contraddittorio senz’altro, ma il contraddittorio è il connotato processuale della vicenda e poi su che cosa? Il contraddittorio non può che essere su un fatto, la maggior parte degli affidamenti e allontanamenti sono disposti per valutazioni di incapacità dei genitori e inidoneità dei genitori (ognuno la chiama come vuole), quindi quelli non sono fatti, sono valutazioni.

    Ora parliamo dei fatti. Viene a conoscenza di qualcuno un fatto, c’è una segnalazione, sì, la segnalazione è obbligatoria da parte del pubblico ufficiale quando c’è la segnalazione di una circostanza di fatto, che quella circostanza debba essere accertata nel contraddittorio non esclude affatto, anzi presuppone la valorizzazione di tutte le fonti (l’insegnante, il vicino di casa, il parente), ma lei ha mai sentito di un processo minorile in cui venissero sentiti testimoni? Io no, quindi io sono per sentirli i soggetti che ha detto lei, il vicino di casa, l’insegnante, il bambino, anche l’assistente sociale, lo psicologo, di sentirli sul fatto, e li sente il giudice nel contraddittorio delle parti, in tutti i processi del mondo e di qualunque materia, compreso il processo penale su quegli stessi fatti.

    Altrimenti non capisco su cosa si instauri il contraddittorio, se non sul fatto. Uno dei difetti del giudizio minorile è questo, i testimoni non si sentono, cioè tutti quei soggetti che ha enumerato lei, presidente, non vengono ascoltati, viene fatto un riassunto valutativo da parte di un operatore, per esempio di un assistente sociale, ma – ripeto – non è il suo mestiere farlo. Quando parlo di approfondimento del fatto parlo proprio di questo, cioè se un bambino ci ha detto che viene picchiato, sentiamolo, sentiamo l’insegnante a cui l’ha detto, ovviamente non demandiamo all’insegnante, allo psicologo o all’assistente sociale di interrogarlo, li sentiamo, sentiamoli presto, se abbiamo decine o centinaia di migliaia di procedimenti pendenti nei Tribunali minorili, è difficile che ce la facciamo a sentirli presto, apriamo i procedimenti minorili che vanno aperti, cioè quelli sulla base delle segnalazioni di cui ha fatto l’esempio lei, se apriamo solo quelli, possiamo sentire i testimoni anche il giorno dopo. Oggi non vengono sentiti.

     

    Presidente BOSCHINI. Chiedo solo un chiarimento su questo: quindi lei conferma che nella sua esperienza non vengono mai sentiti? Perché qui ci sono state anche le comunità che ci hanno detto che spesso vengono chiamate dal Tribunale a riscontrare gli elementi, a fare verifiche periodiche, gli stessi genitori affidatari ci hanno detto che spesso vengono convocati dal Tribunale, quindi è questo che mi sorprende perché in realtà tanti soggetti ci hanno detto di avere rapporti con il Tribunale che li chiama per riscontri, per verificare l’andamento dei casi, invece lei ci dice chiaramente che nella sua esperienza il Tribunale non solo nel decreto iniziale provvisorio, lo capisco, ma addirittura nella sua pronuncia collegiale, agisce senza dare udienza ai genitori, senza dare udienza all’avvocato del genitore, senza ascoltare eventuali testimoni che l’avvocato voglia portare.

     

    Avv. MORCAVALLO. Il collocatario, la famiglia affidataria non sono per definizione testimoni del fatto o della situazione originaria, non vedo come possano esserlo, sono persone che vengono sentite su una fase successiva, per rendere valutazioni. Tra l’altro, quando le si sente bisognerebbe stare attenti al tipo di interesse sotteso alla loro funzione, soprattutto quando si parla di gestori o collaboratori di strutture private.

    Non sono testimoni della vicenda in base alla quale si è provveduto, testimoni indicati dall’avvocato, testimoni indicati da chiunque non ne vengono sentiti, i genitori, che non sono testimoni se sono interessati dal procedimento, quindi se sono destinatari di una richiesta di limitazione o ablazione dell'esercizio della funzione, vengono sentiti a distanza di molto tempo normalmente rispetto all'emissione del primo provvedimento.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, Callori.

     

    Consigliere CALLORI. Grazie, presidente, grazie, avvocato. Le faccio una domanda per capire, perché poi la nostra Commissione deve non dare giudizi legali, ma trovare delle soluzioni per evitare che succeda quello che è successo.

    Le chiedo in base alla sua esperienza che idea si è fatto di Bibbiano? C’è qualcosa che non ha funzionato o c’è qualcos’altro?

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottor Morcavallo.

     

    Avv. MORCAVALLO. Di ipotesi di responsabilità penale e di fatti penalmente rilevanti non so niente e presumo la non responsabilità di chiunque, quindi il discorso che faccio per i genitori di prole minorenne, come si diceva una volta, lo faccio per chiunque, compresi gli indagati di Bibbiano, anche se rispetto ad alcune ipotesi non si difendono sul fatto, ma si difendono dicendo "ho fatto bene come ho fatto".

    È una disfunzione? Sì, è una disfunzione provocata dal fatto che è stata data carta bianca a quegli operatori. È una disfunzione locale? No, perché si riproduce in moltissimi casi, come abbiamo detto prima, in diversi territori, e di questa Regione e d’Italia.

    Dopodiché, ripeto, le singole responsabilità verranno accertate. Io credo che un sistema virtuoso sia quello che impedisce che si determini questo tipo di disfunzione, impedisce che qualcuno abbia uno strumento forte d’intervento sulla libertà delle persone, quindi un provvedimento del giudice con cui può fare qualunque cosa, anche guadagnare dei soldi sulla libertà e sulla salute delle persone o inquinare la prova dove quelle persone hanno bisogno di tutela, perché hanno subito qualcosa.

     

    Presidente BOSCHINI. Ringraziamo il dottor Morcavallo per la sua cortese presenza e per il tempo che ci ha dedicato e ci diamo appuntamento a lunedì pomeriggio. Grazie a tutti e buona serata.

     

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