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Legislatura X - Commissione speciale tutela minori - Resoconto del 30/10/2019 antimeridiano

    Resoconto integrale n. 22

    Seduta del 30 ottobre 2019

     

    Il giorno 30 ottobre 2019 alle ore 11,30 è convocata, con nota prot. n. AL.2019.23442 del 24/10/2019 presso la sede dell’Assemblea legislativa in Bologna Viale A. Moro n. 50, la Commissione speciale d’inchiesta circa il sistema di tutela dei minori nella Regione Emilia-Romagna

     

    Partecipano alla seduta i consiglieri:

     

    Cognome e nome

    Qualifica

    Gruppo

    Voto

     

    BOSCHINI Giuseppe

    Presidente

    Partito Democratico

    4

    presente

    SENSOLI Raffaella

    Vicepresidente

    Movimento 5 Stelle

    2

    assente

    TARUFFI Igor

    Vicepresidente

    Sinistra Italiana

    1

    presente

    ALLEVA Piergiovanni

    Componente

    L’Altra Emilia Romagna

    1

    assente

    BARGI Stefano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    BENATI Fabrizio

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    BERTANI Andrea

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    CALLORI Fabio

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    CALVANO Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    5

    presente

    DELMONTE Gabriele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    FACCI Michele

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    presente

    GALLI Andrea

    Componente

    Forza Italia

    1

    presente

    LIVERANI Andrea

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Daniele

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    presente

    MARCHETTI Francesca

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MONTALTI Lia

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    MORI Roberta

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

    PETTAZZONI Marco

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    PICCININI Silvia

    Componente

    Movimento 5 Stelle

    1

    presente

    POMPIGNOLI Massimiliano

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    PRODI Silvia

    Componente

    Misto

    1

    presente

    RAINIERI Fabio

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    RANCAN Matteo

    Componente

    Lega Nord Emilia e Romagna

    1

    assente

    SASSI Gian Luca

    Componente

    Misto

    1

    presente

    TAGLIAFERRI Giancarlo

    Componente

    Fratelli d’Italia

    1

    assente

    TORRI Yuri

    Componente

    Sinistra Italiana

    1

    presente

    ZOFFOLI Paolo

    Componente

    Partito Democratico

    4

    presente

     

    Partecipano alla seduta: J. Marzetti (Garante dell’Infanzia e della Adolescenza- Regione Lazio), F. Nicolini (Dir. Gen. Ausl Reggio Emilia), S. Chiodo (Dir. UONPIA Ausl Bologna), G. Gildoni (Dir. UONPIA Ausl Reggio Emilia), G. Melideo (Dir. UONPIA Forlì, AUSL Romagna), C. Tinelli (Pres. Ordine Avvocati Reggio Emilia), F.Emanuelli (Ausl Ferrara), E.Negri (Ausl- Reggio Emilia), M.Tamagnini (Ausl Romagna), C Vagnini (Ausl Ferrara).

     

    Presiede la seduta: Giuseppe Boschini

    Assiste la segretaria: Annarita Silvia Di Girolamo

    Funzionario estensore: Vanessa Francescon


    DEREGISTRAZIONE CON CORREZIONI APPORTATE AL FINE DELLA MERA COMPRENSIONE DEL TESTO

     

    Giuseppe BOSCHINI, Presidente della Commissione. Dichiaro aperta la seduta, che ha il seguente ordine del giorno: Approvazione del processo verbale n. 19 del 2019; Audizione dell’avvocato Jacopo Marzetti; Audizione del direttore generale dell’AUSL di Reggio Emilia, dottor Fausto Nicolini, e degli altri convocati (il numero sarà definito dalle loro presenze); Audizione di Simona Chiodo, direttrice dell’Unità di Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza dell’ASL di Bologna, di Gabriella Gildoni di Reggio Emilia e Giustino Melideo, direttore UNOPIA di Forlì. Da ultimo, chiuderemo con l’avvocato Celestina Tinelli, presidente dell’Ordine degli avvocati di Reggio Emilia.

    La seduta è lunga, quindi vi invito fin d'ora, vista la numerosità dei convocati, a valutare i tempi e le modalità dei vostri interventi con il consueto atteggiamento di autoregolazione.

     

    -     Approvazione del processo verbale n. 19 del 2019

     

    Presidente BOSCHINI. Cominciamo dall’approvazione del processo verbale n. 19.

    Pongo in votazione il processo verbale n. 19. Chi è favorevole? Chi è contrario? Astenuti?

    È approvato all’unanimità.

     

     

    -     Audizione dell’Avv. Jacopo Marzetti – Garante dell’Infanzia e della Adolescenza- Regione Lazio

     

    Presidente BOSCHINI. Passiamo al punto successivo all’ordine del giorno: «Audizione dell’avvocato Jacopo Marzetti, Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza della Regione Lazio».

    La prego di accomodarsi qui davanti a noi, la ringraziamo davvero in modo sentito per la sua presenza, è una presenza non scontata, quindi mi permetta di ringraziarla per la sua disponibilità e cortesia.

    Consigliere Galli, è sempre sull’ordine dei lavori. Che lo sia veramente, perché non tollererò variazioni. Ieri non eravamo esattamente sull’ordine dei lavori. Prego.

     

    Consigliere Andrea GALLI. Volevo dire che per rispetto degli ospiti di oggi, in particolare dell’avvocato che è venuto da Roma, sono presente, ma non cambia l’impostazione di Forza Italia, che non riconosce la legittimità a questo Ufficio di Presidenza...

     

    Presidente BOSCHINI. Non è sull’ordine dei lavori, ma è sulla sua presenza, quindi la ringrazio...

     

    Consigliere GALLI. …a questo Ufficio di Presidenza che si è totalmente delegittimato dalla scorsa settimana quando, per aiutare le elezioni in Umbria finite come sono finite, ha pensato bene di fare una conferenza stampa farraginosa...

     

    Presidente BOSCHINI. La ringrazio, lei è fuori microfono...

     

    Consigliere GALLI. È uguale. Basta che mi ascolti lei, guardandomi negli occhi, mi è sufficiente!

     

    Presidente BOSCHINI. Lei deve intervenire sull’ordine dei lavori, non per dichiarazioni…

     

    Consigliere GALLI. Basta che mi guardi negli occhi, perché lei deve avere una funzione di garante che non ha mantenuto in questa...

     

    Presidente BOSCHINI.  Lei può intervenire per fatto personale, ma non sull'ordine dei lavori.

     

    Consigliere GALLI. A me basta guardarla negli occhi, se mi guarda negli occhi.

     

    Presidente BOSCHINI. Ci siamo già capiti. Allora, riprendiamo dal punto, visto che non c’è alcuna variazione all’ordine dei lavori.

    Nel ringraziare di nuovo l’avvocato Jacopo Marzetti, Garante dell’Infanzia del Lazio, ricordo che è stato convocato sulla seguente tematica: informazioni sulla condizione minorile, il sistema di tutela dei minori e l’affido in Regione Lazio e nel sistema nazionale.

    Do lettura del consueto disclaimer. Ricordo ai commissari e ai nostri ospiti che la Commissione d’inchiesta istituita in ambito regionale non gode delle prerogative del cui all'articolo 82 della Costituzione, quindi non ha l’equiparazione ai poteri e ai limiti dell’autorità giudiziaria. L’eventuale audizione da parte della Commissione di persone indagate in procedimenti penali avviene esclusivamente in ragione del loro ruolo e della loro funzione, a prescindere dalla circostanza che essi siano o meno coinvolti in procedimenti giudiziari.

    La nostra istruttoria non mira all’accertamento di eventuali reati. Gli esiti e gli atti della nostra inchiesta potrebbero tuttavia essere richiesti o messi a disposizione della magistratura. Ricordo ai collaboratori regionali che da parte loro non è opponibile alla Commissione d’inchiesta il segreto d’ufficio. Ricordo ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio presenti in Aula i doveri e gli obblighi derivanti dal loro ruolo in merito alla denuncia all’autorità giudiziaria di un reato di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio a causa delle loro funzioni, ai sensi dell’articolo 331 del Codice procedura penale.

    Ricordo altresì che la legge n. 184 del 1983 all'articolo 70 richiama che "i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio sono tenuti a riferire alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazioni di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio".

    Ricordo che la nostra attività è, come di ordinario, soggetta alle norme vigenti in materia di trattamento dei dati personali, in particolare alla normativa che tutela i dati sensibili dei minori, nonché alle norme in materia di offesa dell’altrui reputazione.

    Infine, si fa presente che l’audizione, oltre ad essere verbalizzata integralmente in forma audio e trascritta, è soggetta a diffusione in diretta tramite streaming sul sito istituzionale dell’Assemblea legislativa, salvo diversa indicazione o richiesta. Pertanto, ricordo che la normativa vigente prevede sanzioni in caso di diffusione di dati sensibili e giudiziari quali nomi di minori o di persone sottoposte a indagine o altri dati che ne consentano anche in forma indiretta l’identificazione.

    Ci siamo già accordati con l’avvocato Marzetti che inizierà con una breve introduzione, quindi gli cedo la parola per questa prima introduzione, poi passeremo alla fase delle domande.

     

    Avv. Jacopo MARZETTI, Garante dell’infanzia e della adolescenza – Regione Lazio. Grazie, presidente. Sono stato chiamato come Garante dell’infanzia nel Lazio, ma a ciò devo aggiungere il fatto di essere il Commissario straordinario governativo del Forteto e membro della squadra speciale istituita dal Ministro Buonafede dopo i fatti di Bibbiano.

    Oltre a portare a conoscenza della Commissione questa brevissima relazione sulla situazione del Lazio, per cui ho portato con me un allegato, che deposito alla Commissione, che è la Relazione annuale del Garante dell’infanzia, che contiene i dati che riguardano gli affidi e le adozioni, volevo fare una brevissima parentesi sulla connessione di queste tre figure che rappresento, ovvero Garante infanzia, Commissario Forteto e Squadra speciale.

    Dico questo perché rappresento brevemente che il Forteto (sapete bene che il Forteto e Bibbiano sono purtroppo i due scandali degli ultimi anni per quanto riguarda la situazione dei minori in affido) di cui sono Commissario è una realtà che è andata avanti per quarant’anni, nonostante le condanne gli autori del reato ancora oggi devono essere condannati definitivamente, in quanto c’è un ricorso in Cassazione che è pendente nei prossimi giorni.

    Il Forteto era un luogo dove venivano mandati i minori tolti alle famiglie e veniva visto come un punto di riferimento non solo per la Toscana, ma per l’Italia intera, come un posto innovativo per quanto riguardava il sistema degli affidi.

    A parte i reati che sono stati commessi al suo interno e quindi le condanne successive, questo sistema è stato supportato per tanti anni dalle Amministrazioni, con le quali si sono fatti diversi convegni, sono stati stanziati diversi fondi per il Forteto, sono stati patrocinati.

    (Omissis…), il guru, era la persona cui venivano affidati i minori e la cosa più grave, che sicuramente è stata particolare e considero importante portare a conoscenza di questa Commissione per evitare che possano succedere fatti simili in futuro, è che il guru (…omissis…) fu condannato per abusi su minori e, nonostante questo, all’epoca il tribunale dei minorenni toscano insieme alla Regione continuavano ad affidare i minori a questa associazione, il Forteto, che poi è un’associazione cooperativa.

    Questo è un fatto molto particolare, perché si era a conoscenza di quello che stava succedendo, ma per un fatto ideologico si era pensato di continuare comunque ad affidare a questa situazione i minori. C’erano due posizioni contrastanti tra la Procura dei minorenni e il Tribunale dei Minorenni e la Procura ordinaria per quanto riguarda questo sistema degli affidi, da un lato si condannava il (…omissis…) per abusi su minori, dall’altro si continuava a mandargli i minori.

    Ho fatto queste premesse perché il caso di Bibbiano non deve assolutamente ripetere quello che è successo all’interno del Forteto. È certo che sia la magistratura sia la politica condannano fortemente (mi auguro sempre più fortemente) i reati compiuti nei confronti dei minori, ma non bisogna limitarsi a condannare questi fatti, ma condannare il sistema che ha portato a questi fatti, perché mi auguro che tra quarant’anni non si parli di Bibbiano come del Forteto, come un grande scandalo in cui non si è capito in quarant’anni cosa è successo, perché c’è anche una responsabilità da parte delle amministrazioni.

    È sufficiente aprire qualsiasi quotidiano toscano per capire che c’è stato un forte scontro tra me e il Presidente della Regione e anche il Sindaco della Città Metropolitana per quanto riguarda una richiesta di risarcimenti danni arrivata dopo quarant’anni al Commissario governativo; quindi, oggi la cooperativa è commissariata, c’è un Commissario governativo, dopo quarant’anni in cui non si è fatto nulla per evitare che succedessero questi fatti anzi per condannarli, chiedono il risarcimento per quello che è successo alla cooperativa. Questo non è un fatto assolutamente giustificabile, quindi mi sono molto adirato.

    Sapete che da anni si prova a fare una commissione d’inchiesta nazionale sul Forteto e ancora oggi è pendente. Successe al Forteto esattamente quello che succede oggi a Bibbiano: furono fatte due Commissioni d’inchiesta regionali in cui furono portati a conoscenza tutti i fatti, ma, nonostante questo, ci sono state delle conseguenze limitate rispetto a quello che è successo.

    Da Garante dell’infanzia reputo quindi opportuno, anche se non è la mia Regione, ma essendo membro della squadra speciale del Ministro, innanzitutto sapere questa Regione come si è comportata nei confronti dei soggetti coinvolti, i minori.

    Perché vi dico questo? Quando sono arrivato al Forteto, i ragazzi, che ormai sono grandi, sono maggiorenni, mi hanno posto all’attenzione il fatto che non si fidavano giustamente del Commissario, dicendomi: "siamo stati affidati quando avevamo 6 anni, dai 6 anni ad oggi che ne ho 30 dove sono state le Istituzioni?", la stessa domanda che da Garante dell’Infanzia mi pongo.

    Oggi si parla di quanto è successo a Bibbiano, dove ci saranno eventualmente le condanne, ma mi domando, come sto facendo per esempio nel Lazio, se ci sia stata una verifica della situazione dei minori coinvolti in queste situazioni. Anche il Lazio ha diversi casi di allontanamento di minori dalle proprie famiglie, quindi come Garante mi sono attivato ad andare nelle varie case famiglia per capire la situazione di questi minori, intanto per sapere cosa ha deciso il Tribunale e quali sono le questioni.

    Un'altra questione particolare è che voi sapete che quando in una Regione succedono purtroppo fatti di cronaca di questa rilevanza, nonostante io abbia non piena, ma totale fiducia nella magistratura, penso che ci sia anche un problema di competenza, perché è paradossale che oggi gli stessi servizi sociali che hanno avuto questi rinvii a giudizio di persone coinvolte siano gli stessi servizi sociali a occuparsi oggi di dove stanno i minori, cosa fanno i minori, in quali centri stanno, chi si sta occupando di questa cosa.

    Lo stesso vale per il Tribunale dei minorenni e il Tribunale ordinario, perché quando succedono questi fatti, nonostante la piena fiducia nella magistratura, è necessario che ci sia una competenza alternativa, perché è chiaro che qualcosa è successo, sicuramente verranno condannate le persone coinvolte, ma anche il sistema ha avuto qualcosa che non ha funzionato.

    Terzo tema che considero importante: sapete il motivo per il quale molte volte si arriva all’allontanamento dei ragazzi dalle famiglie? Uno dei motivi principali è la conflittualità genitoriale. Quali sono le azioni poste dalla Regione Emilia-Romagna volte a evitare questa grossa conflittualità genitoriale? Credo che allontanare un bambino dalla propria famiglia sia un fallimento dell’ordinamento, quindi questo va comunque prevenuto e vanno fatte delle azioni per evitarlo.

    Un altro tema è la questione dei tutori volontari. La legge n. 47 del 2017 ha previsto la figura del tutore volontario per minori stranieri non accompagnati, ma chi è il tutore volontario? Il tutore volontario è un privato cittadino, che mette gratuitamente a disposizione il suo tempo per cercare di aiutare un ragazzo che è stato dato in affido al Comune o ai servizi sociali.

    Questa figura sarebbe essenziale anche all’interno degli affidi per i ragazzi italiani, quindi non solo per i minori stranieri non accompagnati ma per tutti i minori, perché il tutore volontario è una figura esterna, ha comunque il sistema dei servizi sociali, del tribunale e del Comune, ma è un soggetto esterno che può dare grandi risultati per far sì che ci possano essere delle denunce e degli esposti.

    Oggi, probabilmente, se ci fosse stata la figura del tutore volontario, non ci sarebbe stato questo tema di Bibbiano o del Forteto, perché questi fatti sarebbero usciti precedentemente.

    L'ultimo tema è quello dei servizi sociali. Il tema dell’allontanamento dalla famiglia è un tema molto complicato, che va gestito con grande attenzione e soprattutto va gestita una grandissima conflittualità genitoriale. Mi domando quindi come si possa aiutare il sistema di supporto ai servizi sociali.

    Sapete che l’Italia è stata condannata dall’Unione Europea perché i tribunali facevano le sentenze ma non venivano applicate dai servizi sociali, non perché non ci fosse la volontà, ma perché non c'era abbastanza supporto, non c’erano abbastanza persone per poter seguire le sentenze, e questo porta ad alzare ancora più la conflittualità, a volte sino ad arrivare a queste circostanze di cronaca, perché la famiglia si è completamente allontanata ed è iniziata una conflittualità talmente alta che poi è difficile intervenire.

    Come Garante, come Commissario del Forteto e come membro della scuola speciale voglio dare un supporto agli autori dei controlli, perché è importante che anche la Commissione preposta in questo caso e i servizi sociali, così come è stato fatto nel Lazio propongano una mappatura delle case famiglia e degli incontri a sorpresa all’interno delle case, per vedere quello che succede al loro interno.

    Penso che questo sia molto importante, perché ogni tanto qualche consigliere regionale, ma anche comunale o municipale mi chiede se può entrare nelle case famiglia per vedere cosa succede, ma voi dovete entrare, che è una cosa diversa, perché come pubblici ufficiali, come rappresentanti dello Stato avete il diritto ma anche l’onere di capire quello che sta succedendo nel vostro territorio e cercare di intervenire, così come lo ha il Garante dell’infanzia che sta seguendo questo percorso.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille, avvocato Marzetti. Apriamo la fase delle domande, quindi se volete cominciare a prenotarvi potete farlo. Prego, Callori.

     

    Consigliere Fabio CALLORI. Grazie, presidente, grazie, avvocato. Ho ascoltato le sue parole, mi ha fatto molto piacere anche perché oggi abbiamo qui in audizione una persona che ha avuto un ruolo in situazioni simili, ha avuto l’esperienza del Forteto, è in Commissione d’indagine parlamentare, quindi penso che possiamo apprendere molte cose direttamente alla fonte.

    Concordo su quello che diceva all’inizio sul fatto ideologico, penso che qui non sia un problema di fatto ideologico, di scontro politico, ma di tutelare dei minori e delle famiglie che hanno (sarà la magistratura a dirlo) subìto delle ingiustizie.

    Più volte è emerso come non debba più ripetersi un'anomalia Bibbiano (perché qualche anomalia c’è stata e chi di dovere dirà come e cosa), però il problema è, come lei diceva, la verifica dei casi, perché (è una domanda che ho già posto a qualche altro audito senza ottenere risposta), oltre alla verifica dei casi per capire se fossero stati giustamente mandati in affido, laddove anche solo uno che non avrebbe dovuto essere dato in affido è giusto che venga tutelato, a tutte quelle famiglie che scrivono a noi consiglieri mail o messaggi per spiegare la loro situazione ed evidenziare un'anomalia non possiamo dire che porteremo il caso da valutare in Commissione, però io vorrei dare una risposta a queste madri e a questi padri, perché potrebbero essere affidi giusti. Quale risposta possiamo dare?

     

    Avv. MARZETTI. La questione è se il fatto è funzionale o strutturale; cioè, se le famiglie chiedono un intervento sulla sentenza o sul procedimento a loro carico nei confronti del minore, il ruolo sia del Garante che della politica è quello di stare fuori, perché è la magistratura che decide sul fatto.

    Dobbiamo sapere però che l’Italia è tra i primi firmatari della Convenzione ONU dei diritti del fanciullo, quindi molte volte queste famiglie chiedono non solo un intervento, che – ripeto – non può essere dato all’interno della sentenza, ma di verificare come stia il figlio, perché ci sono casi in cui secondo la famiglia c’erano delle problematiche di carattere medico e quindi il Garante ma anche voi consiglieri avete il dovere di attivare non solo gli enti territoriali, ma anche gli ospedali per conoscere le condizioni di salute del minore.

    Spesso succede che vengano previsti dalla sentenza incontri protetti con uno dei due genitori o con entrambi, ed è dovere del Garante, ma anche della politica, soprattutto quando c’è una Commissione d’inchiesta, chiedere se tali incontri vengano fatti, e vedrete che purtroppo vi verrà risposto che spesso quello che viene scritto in sentenza poi non viene applicato per mancanza di risorse nella pubblica amministrazione. Questo non è accettabile, è qui che deve intervenire la parte sia politica che amministrativa, dando degli indirizzi alle parti.

    In sentenza io non posso dire se ci debba essere un incontro protetto o meno, ma, se è stato disposto, voglio sapere se venga fatto, e vedrete che molte volte non viene ascoltata.

    Le famiglie vengono a chiedere aiuto per sapere come uscire da questa condizione, tanti di questi casi sono sorti a causa di conflittualità genitoriale, e, se c’è un sistema di supporto a queste famiglie, è ovvio che non riusciremo ad evitare la conflittualità, ma sicuramente si potrà intervenire affinché questa venga stemperata e si possa fare qualcosa per aiutare la famiglia.

    La famiglia deve essere aiutata, se non ha strutture alle quali rivolgersi per parlare con uno psicologo, uno psicoterapeuta, se non ci sono all’interno dei tribunali le condizioni per capire come difendersi... ma l’importante è rimanere fuori dalla dinamica della magistratura nel fare le sentenze.

    Tanti ragazzi sono stati affidati ai servizi sociali, ma voi avete consapevolezza di dove stanno, cosa fanno, qual era il loro percorso, se vanno a scuola, se fanno sport? Queste sono cose che bisogna sapere e, da quello che ho letto dell’Emilia-Romagna, non mi sembra che voi siate a conoscenza di queste cose che invece sono fondamentali.

    È chiaro che dei reati si deve occupare la magistratura, quindi bisogna starne fuori anche se c’è un problema di competenza, ma voi avete il dovere di sapere cosa sta succedendo, quanti sono i casi di allontanamento dalla famiglia, in quali case famiglia stanno, come sono le condizioni, se stanno andando a scuola, se stanno facendo sport, se ci sono degli incontri protetti, cosa è stato disposto dal giudice. Se non si sa questo, l’intervento diventa difficile.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Se non ci sono altri prenotati, mi aggiungo io. Volevo chiederle, dottore, se possa darci anche un’esperienza, perché siamo molto interessati alle comparazioni fra le esperienze regionali perché, pur essendo una materia di competenza degli enti locali, le Regioni svolgono un ruolo di indirizzo anche in riferimento all’ultimo tema di cui stava parlando, che per noi è centrale (ne abbiamo più volte discusso), di raccolta dati e in qualche caso di Osservatorio regionale.

    Le volevo chiedere se nell’esperienza del Lazio ci siano particolari punti di interesse o di eccellenza sul tema delle banche dati, della raccolta dei dati dagli enti locali o dal Tribunale, quindi se abbiate esperienze interessanti o buone pratiche da questo punto di vista. Le chiedevo anche una sua visione sul rapporto fra servizi sociali territoriali, che siano in capo ai Comuni o alle ASL, e Tribunale per i minori sempre nell’esperienza del Lazio, quindi se ci siano esperienze, conflittualità, buone pratiche, ad esempio prassi e moduli per la trasmissione delle segnalazioni, se siano stati riscontrati problemi, quindi una visione sull’esperienza del Lazio. Grazie.

     

    Avv. MARZETTI. C'è un tema oggettivo di competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale dei minorenni, ovvero non so se siate a conoscenza del fatto che, se una famiglia è in costanza di matrimonio e c’è una separazione, la competenza anche per i figli è del Tribunale ordinario, se invece non c’è un matrimonio, ma c’è solo un’unione di fatto tra due soggetti, la competenza è del Tribunale dei minorenni.

    Questo che sembra un dettaglio in verità è una situazione che porta purtroppo ad allungare di molto i tempi di competenza dei Tribunali e quindi aumentare ancora la conflittualità e quindi il rischio che poi si debbano prendere provvedimenti urgenti.

    Su questo il Tribunale di Roma ha fatto un tavolo sulla violenza sulle donne e sui minori proprio per fare dei protocolli operativi, che poi sono stati fatti, per fare in modo che i fascicoli della Procura ordinaria e della Procura dei minorenni collaborino fra di loro, al fine di evitare che ci siano due procedimenti o comunque che ci sia confusione di competenze. Penso che questo sia molto importante perché agevola molto tutto il percorso.

    Il secondo tema è quello dei tutori volontari. Nel Lazio abbiamo previsto che la figura del tutore volontario sia non solo per i minori stranieri non accompagnati, ma per tutti i minori presenti nel territorio regionale, quindi anche i ragazzi italiani. Questo è importantissimo perché la figura del tutore volontario è fondamentale per segnalare la situazione, perché essendo un privato cittadino è completamente esterno al parametro della sinergia delle varie istituzioni, quindi può denunciare con più facilità e il rapporto è uno a uno.

    Non so come funzioni qui in Emilia-Romagna, ma nel Lazio prima i bambini venivano affidati al Sindaco, che poi delegava i servizi sociali o l’assessore ai servizi sociali e ogni Sindaco o servizio sociale aveva migliaia di ragazzi tra minori stranieri non accompagnati, minori italiani, quindi immaginiamo come il Sindaco di Roma, per quanto bravissimo, avendo migliaia di ragazzi, possa gestire e seguire tutte queste persone, quindi la figura del tutore volontario in questo caso è fondamentale perché agevola in questo senso.

    Con le ASL ci sono vari protocolli operativi anche con il Garante per l’infanzia, affinché ci sia una stretta collaborazione e potere di segnalazione quando purtroppo ci sono delle situazioni che necessitano di un approfondimento. Tutto questo è congiunto insieme alla polizia, con il Garante per l’infanzia del Lazio per la prima volta viene fatta una mappatura delle case famiglie, che è pubblica sul sito internet, in modo tale che tutti possano avere contezza di quante case famiglia e quanti centri di accoglienza ci sono nel Lazio e cercare di muoversi anche in questo senso.

    Penso che la collaborazione tra le istituzioni, soprattutto quando riguardano minori, sia fondamentale, perché tutti bisogna andare nella stessa direzione, che è quella della tutela del minore.

    Per quanto riguarda le banche dati, nella mia relazione ci sono tutti i dati per quanto riguarda gli affidi, le adozioni, i tutori volontari, chiaramente, trattandosi di minori, non si possono mettere nomi e cognomi ma ci sono dei dati simbolici o dei numeri.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Ho iscritti Galli e Bertani. Prego, Galli.

     

    Consigliere GALLI. Grazie, presidente. Mi sembra di aver capito dalla sua relazione e da quello che abbiamo sentito nelle scorse settimane che le eventuali storture che possono nascere nel meccanismo dipendano a volte dagli assistenti sociali, con una preparazione non dico superficiale ma congestionata dai tanti casi da seguire (migliaia di casi, come richiamava poco fa) e dal fatto che il magistrato nel valutare caso per caso si deve avvalere della relazione stilata dall'assistente sociale.

    È evidente che in questi casi un eventuale errore, volontario o involontario, da parte dell'assistente sociale rende impossibile al magistrato valutare correttamente il caso. L'inaudita altera parte con cui il magistrato deve valutare è il fiore all’occhiello di un’eventuale stortura. Il magistrato non ha una controparte, poco fa lei richiamava la figura del tutore volontario come figura terza, che può essere quel meccanismo di garanzia di un sistema.

    Oggi, qui da noi in Emilia in realtà il magistrato valuta senza sentire nessun altro. Sulla base della sua esperienza questo passaggio come si potrebbe risolvere? La figura terza da introdurre può essere valutata da una legge ordinaria oppure da una buona pratica che la Regione può già mettere in casellario da organizzare?

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, dottore.

     

    Avv. MARZETTI. Deve essere chiaro che, quando c'è una problematicità acuta sul minore, le posizioni sono diverse a seconda dell’ideologia che è sotto, cioè è meglio allontanare il minore o lavorare sulla famiglia per risolvere quelle problematiche e mettere al sicuro il minore? Questo è già un punto fondamentale e basta comparare i dati delle varie Regioni (oggi ho dato quelli del Lazio) per capire che tipo di ideologia sia sottesa a questa questione.

    Secondo tema. Assolutamente no, nessun magistrato si deve basare solo sulla relazione dei servizi sociali, perché ai servizi sociali vengono affidate migliaia di ragazzi per varie questioni, di affidi e adozioni, quindi occorrono perizie terze, e, come dicevo, la figura del tutore volontario è fondamentale, è prevista per legge, ma paradossalmente solo per i minori stranieri non accompagnati.

    È necessario che questa figura (lo potete fare e voi come Regione) sia estesa con un protocollo ai minori italiani, in modo tale che ci sia uguaglianza tra i minori italiani e i minori stranieri non accompagnati. Quella è infatti una figura terza, il rapporto è 1 minore 1 tutore, quindi ben diverso e potrà garantire un controllo superiore, una segnalazione superiore.

    Mi domando poi se nella Regione Emilia-Romagna ci sia un rapporto tra tutore pubblico e affidamento dei minori o anche tutore privato e affidamento, cioè un limite che non si può superare, ossia un assistente sociale quanti minori può avere al massimo? Un tutore privato nominato dal giudice quanti minori può avere?

    Questo è importantissimo, perché se diventa una professione e vengono affidati centinaia di ragazzi, è difficilissimo (non parlo solo di affidi, perché vengono affidati per varie questioni, a volte sono curatori, a volte tutori, a volte amministratori) capire esattamente qual è il rapporto, perché se il Tribunale dei minorenni affida sempre ai soliti 50 nomi, il problema è grande.

    Penso che richiedere l’elenco dei minori presenti sul territorio e il numero dei tutori nominati sia molto importante, perché darebbe la possibilità di capire il rapporto. Ho sentito che dopo audirete il presidente dell'Ordine degli avvocati dell’Emilia-Romagna e penso che loro abbiano contezza specifica, avendo un elenco dei tutori nominati dal Tribunale, del rapporto minore/tutore.

     

    Presidente BOSCHINI. Rapidamente, prego, Galli.

     

    Consigliere GALLI. Per la sua esperienza del rapporto un tutore-un minore affidato, ci sono abbastanza tutori nel Lazio che facciano domanda e siano in grado di svolgerlo?

     

    Avv. MARZETTI. Quest’anno abbiamo avuto circa 500 arrivi di minori stranieri non accompagnati, abbiamo una banca dati con più di 800 tutori e sono in formazione circa 1.500 persone.

    Per quanto riguarda i ragazzi italiani, abbiamo consegnato circa un anno fa la lista dei tutori e tutti i ragazzi che necessitano di questa figura vengono affidati alla figura del tutore volontario. La parola "volontario" è fondamentale, perché il tutore è completamente terzo, è un privato cittadino e non un professionista, cioè può essere anche un avvocato o un commercialista, però l’importante è che sia un privato cittadino, cioè che lo faccia non per una questione professionale ma volontariamente, perché quella passione, quel coinvolgimento, quella voglia di integrazione può averla solo un cittadino terzo rispetto al sistema generale degli affidi e delle adozioni.

    È volontario, quindi non è retribuito.

     

    Presidente BOSCHINI. Ho iscritti Bertani e Facci e poi, se non ci sono altre iscrizioni, chiuderei, perché abbiamo più o meno raggiunto l’orario per l’audizione successiva, quindi vi chiedo una certa rapidità. Prego, Bertani.

     

    Consigliere Andrea BERTANI. Grazie. Molto velocemente, ho un paio di domande. Lei parlava di case famiglia e strutture nel Lazio, siccome abbiamo visto che la definizione di casa famiglia anche in Emilia-Romagna è un po’ delicata, volevo capire cosa intendevate voi per casa famiglia nel Lazio, perché nella Regione Emilia-Romagna per casa famiglia si intende una struttura in cui ci sono due figure genitoriali, un padre e una madre di una famiglia che in qualche modo si allarga, e certe caratteristiche definite, mentre in altre Regioni o anche in Emilia-Romagna in altri ambiti come quello degli anziani per casa famiglia si intende una struttura dove ci sono degli operatori.

    Vorrei capire cosa intendiate e se anche da voi esista una struttura intermedia fra la famiglia affidataria e la struttura vera e propria e abbiate visitato queste strutture, e anche il rapporto fra numero di famiglie affidatarie e numero di strutture (lei ha detto che ci ha fornito i dati, ma comunque se ci dà un ordine di grandezza).

    Riguardo al tutore volontario le chiedo se la proposta sia quella di affiancarlo al tutore vero e proprio, perché se un minore è allontanato perché la potestà genitoriale è stata limitata o tolta, il tutore viene affidato d’ufficio, quindi il tutore volontario si affiancherebbe al tutore "legale"?

     

    Presidente BOSCHINI. Raccoglierei anche la domanda di Facci, se è abbastanza puntuale.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Va bene, allora rispondiamo rapidamente a questa e poi ascoltiamo Facci.

     

    Avv. MARZETTI. Per quanto riguarda la differenza tra struttura e casa famiglia, innanzitutto bisogna vedere se è una struttura di accoglienza o una casa famiglia strutturata, è diverso il numero degli operatori e degli psicologi  all’interno, ma all’interno di una casa famiglia ci sono un padre e una madre, e questo è un concetto a me molto lontano perché il padre e la madre sono quei soggetti secondo me naturali che hanno un figlio, quindi non si può in questo caso parlare di padre madre, ma di semplice operatore che si occupa comunque del benessere del minore.

    Penso che questo sia fondamentale, perché altrimenti c’è confusione anche dei titoli di padre e madre.

    Dipende molto dall’età del minore, dal motivo per cui è stato mandato, se è un minore straniero quindi in un centro di accoglienza e soprattutto se il centro non ha solo la competenza di gestire il minore in affidamento, ma anche quella di preparare le famiglie a un affidamento a terze famiglie, quindi non a servizi sociali, ma a famiglie che danno la loro disponibilità per un affido o per un’adozione.

    Questo cambia molto perché la casa famiglia è una casa strutturata per un’accoglienza, ma ha la necessità di avere delle figure che possono accompagnare in questo percorso di affido o adozione e non lasciare per mesi o anni minori all’interno delle case famiglia, che al massimo può essere un posto provvisorio nel quale il minore viene affidato, o viene ridato alla famiglia, come personalmente mi auguro auspicando il riavvicinamento alla famiglia, quindi lavorare sulla famiglia e cercare di portare al riavvicinamento, cosa che molte volte succede se le famiglie sono seguite e supportate.

    Nel caso in cui il minore venisse affidato o adottato da una famiglia terza, ci deve essere tutto un percorso di accompagnamento della famiglia del minore, e, se non c’è questo percorso, falliranno molti degli affidi e molte delle adozioni, con un triplo danno perché non solo il minore viene tolto alla famiglia (e bisognerà capirne i motivi), ma viene affidato a un’altra famiglia che poi non riesce ad arrivare all’obiettivo dell’adozione.

    Ritengo che sia un percorso molto difficile e sia necessaria la collaborazione di tutti gli enti istituzionali, comprese le pubbliche amministrazioni, per dare un servizio per la famiglia e per i minori, affinché vengano garantiti i diritti della Convenzione ONU, di cui l’Italia è tra i primi firmatari.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Da ultimo, Facci.

     

    Consigliere Michele FACCI. Anch’io ringrazio l’avvocato Marzetti e gli pongo alcune domande a completamento di quello che è già stato detto o chiesto dai colleghi.

    Abbiamo audito recentemente l’attuale Garante regionale e anche il precedente Garante, mi ha colpito che fossero venuti in Commissione senza darci dei dati specifici, una statistica come invece mi pare che lei abbia fornito oggi alla Commissione. Secondo lei è corretto che un istituto quale il Garante regionale per l’infanzia debba conoscere e debba essere aggiornato, che vi sia un obbligo o non vi sia, ad avere le statistiche dell’andamento del sistema affidi, perché ha autorità nel settore e quindi è il primo soggetto   istituzionale a dovere conoscere questi dati?

    L’altra domanda che le faccio è se nella sua esperienza di Commissario straordinario del Forteto, Garante del Lazio e componente della Commissione speciale su Bibbiano in tutto il sistema dell’affidamento nelle sue varie sfaccettature vi sia una eccessiva discrezionalità dei servizi sociali, che sono i primi soggetti che si trovano a dover intervenire in queste situazioni che portano a queste procedure? Si può tracciare un parallelismo con le sue esperienze e quindi ritenere che sia un vulnus del sistema anche questa discrezionalità che più soggetti ci hanno riferito? Secondo lei questa discrezionalità esiste e deve essere corretta?

    La terza domanda è una domanda diretta al componente della Commissione Bibbiano. Al netto dell'indagine della magistratura sulla quale nessuno vuole entrare al netto della presunzione di innocenza che dobbiamo riconoscere a ogni persona sottoposta a indagine, cosa ci può dire rispetto a quello che la vostra Commissione ha individuato rispetto a quanto è accaduto a Bibbiano? Questo è un elemento o un elemento che trova una giustificazione in situazioni altre o in disfunzioni che possiamo rinvenire in generale nella materia?

     

    Presidente BOSCHINI. Ricordo al collega Facci che anche il nostro Garante presenta annualmente alla Commissione competente un'articolata relazione.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Le ricordavo l’attività istituzionale del Garante. Prego, dottor Marzetti.

     

    Avv. MARZETTI. Prima di tutto vorrei ricordare a questa Commissione la necessità della terzietà dei Garanti, cioè un ufficio che ha un’utilità di garanzia deve essere un ufficio terzo alla Regione e deve avere totale indipendenza sia di decisioni che di scelte, che è uno dei primi punti della mia legge istituzionale che penso sia la stessa o simile in Emilia-Romagna.

    Questo è un dato importante, perché il Garante proprio per la sua terzietà deve intervenire per conoscere quali sono le azioni da intraprendere e cercare di attivare le istituzioni. Vi faccio un esempio per capirci: come Garante del Lazio sono intervenuto sul tema rifiuti di Roma. perché i rifiuti possono violare un principio garantito dalla nostra Costituzione, la tutela della salute pubblica e dell’ambiente salubre, e per questo ho richiesto al Comune di Roma, alla Regione Lazio e al Ministero della salute i dati circa le ispezioni che sono state fatte per verificare l’ambiente salubre, i parametri di sicurezza della salute.

    Il Garante nei propri compiti ha anche quello di vigilare sui minori ricoverati in strutture presso gli enti territoriali. Io non ho letto la relazione della Garante dell’Emilia-Romagna, che sono convinto che avrà sia le competenze sia i risultati del suo lavoro, però è chiaro che ci deve essere un esercizio volto alla collaborazione con gli enti istituzionali.

    Ad esempio, con il Comune di Roma ogni mese visitiamo almeno cinque case famiglia a sorpresa proprio per entrare all’interno e capire cosa sta succedendo e quello che fanno, siamo capitati in case famiglia dove in un giorno normale della settimana, di martedì o mercoledì, tutte le persone stavano all’interno della casa famiglia, per cui ho chiesto se i minori andassero a scuola. Si fa una serie di domande su questioni sulle quali bisogna intervenire e chiedere alla pubblica amministrazione di intervenire e fare degli atti specifici.

    La vigilanza è un fatto fondamentale, per questo vi ho invitato a costituire con il Garante dell’infanzia una collaborazione al fine di vigilare su queste strutture.

    È chiaro che deve essere messo nella possibilità di farlo, perché non so quanti dipendenti abbia il Garante dell’infanzia, ma, se sono tutti dipendenti regionali, se non ha praticamente l’autonomia ma tutte le volte deve chiedere all’Ufficio di Presidenza della Regione, capite che sì c’è un’autonomia, ma in verità non è un'autonomia perché dipende da quel sistema, invece su questo è importante la terzietà.

    Ho una minore che è stata allontanata dalla famiglia nel Lazio, è stata mandata in un’altra regione. Per domani ho chiesto l’autorizzazione alla Regione per muovermi in un’altra regione, ho chiesto al Garante territoriale per andare a vedere le condizioni di questo minore, perché è un nostro dovere, ancor di più quando c’è una segnalazione, capire cosa sta succedendo e come possiamo intervenire.

    Discrezionalità dei servizi sociali. Lo ripeto, è necessario un implemento dei servizi sociali, una maggiore curricolarità, cioè è necessario che questi servizi sociali abbiano degli elementi ben specifici, non con un semplice diploma universitario, ma con una serie di atti e anche di aggiornamenti costanti, ma poi è una questione ideologica. Se qui in Emilia-Romagna c'è un sistema che una persona che aveva un ruolo ed è rinviata a giudizio, si è basato tutto su quell’ideologia, è chiaro che i servizi sociali non fanno altro che applicare il percorso e l’ideologia di questo sistema, quindi è importante capire se c’è un’ideologia.

    Non sono territorialmente competente, però è chiaro che è una scuola di pensiero, quindi se la scuola di pensiero è di qualcuno che viene addirittura rinviato o forse un giorno condannato è chiaro che qualcosa nel sistema non funziona.

    La Commissione del Ministro Bonafede non è una Commissione d’inchiesta, ma è una Commissione speciale e penso appositamente non si sia voluto chiamarla Commissione su Bibbiano, però certo il fatto che tra le persone che stanno all’interno ci siano tutti gli Ordini degli psicologi e degli avvocati, i servizi sociali, il fatto che abbiano chiamato me come Commissario del Forteto fa capire che probabilmente si tende a dire che non c’è stato un problema su Bibbiano. Ma un problema su Bibbiano c'è e va affrontato con le tematiche giuste e comunque vanno fatti degli interventi, volti non solo a vedere il passato; per il passato, per quanto riguarda i reati, se ne occuperà la magistratura, ma avete il dovere di capire se c'è un sistema ideologico sotto, che continuerà a portare, e si spera che non succeda come al Forteto, per quarant’anni, e magari tra quarant’anni la Regione Emilia-Romagna, quando verrà commissariato Bibbiano dirà "chiediamo i risarcimenti per i danni di immagine che ci ha creato". Quando questo sistema veniva appoggiato… Non so se Bibbiano è stato appoggiato dalle istituzioni, se ci siano stati protocolli d’intesa con queste persone o finanziamenti per queste cooperative. Mi auguro di no perché, se fosse così, ci sarebbe un problema e bisognerebbe chiedersi chi abbia vigilato su questo sistema.

    Ognuno cerca di chiamare il problema in maniera diversa,  però il problema su Bibbiano c’è e oggi siamo qua perché evidentemente qualcosa nel sistema non ha funzionato ed è dovere delle istituzioni intervenire, non solo la magistratura per condannare questi bastardi che hanno compiuto reati nei confronti di minori, perché chiunque compia reati nei confronti dei minori è un bastardo, ma anche andare a vedere dove sono i minori oggi, quali sono le loro prospettive e il loro percorso.

    Sapete che il Tribunale deve avere un percorso almeno di un anno di prospettiva di come il minore deve essere accompagnato e se c’è la possibilità di affidarlo alla famiglia.

    Penso che questo sia un dovere delle istituzioni e come Garante dell’infanzia sento di averlo nel Lazio, ma di poterlo anche chiedere a tutte le istituzioni delle varie Regioni, perché è importante che ci sia questo coinvolgimento e che tra quarant’anni nessuno dica "c'erano state delle condanne e si continuavano ad affidare allo stesso centro? Il servizio e il Tribunale erano sempre gli stessi?".

    Questo non va bene. È successo al Forteto, ma se errare è umano, perseverare è diabolico. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille, avvocato Marzetti. La ringraziamo della sua presenza e del contributo, le auguriamo buon lavoro.

     

    -     Audizione del Direttore Generale Ausl di Reggio Emilia, Dott. Fausto Nicolini e altri convocati (Bologna, Ferrara, Modena, Parma, Piacenza e Romagna)

     

    Presidente BOSCHINI. Passiamo all’audizione del direttore generale dell’AUSL di Reggio Emilia, dottor Fausto Nicolini, del dottor Vagnini in rappresentanza dell’AUSL di Ferrara, del direttore Tonini in rappresentanza dell'AUSL della Romagna, accompagnato dal dottor Tamagnini. Potete prendere posizione qui davanti fino ad esaurimento posti e chi vuole accompagnare si può accomodare di fianco.

    Abbiamo presenti tre direttori generali, accompagnati da ulteriori figure di supporto, e questa è la configurazione che è stato possibile raggiungere con una convocazione collettiva, però abbiamo la circostanza fortunata che rappresentano tre aree vaste e quindi siamo in grado di avere una visione sulle diverse aree vaste. Come sapete, la Romagna raggruppa quattro province e abbiamo quindi anche le diverse aree rappresentate.

    Vi chiedo se preferiate partire da una dichiarazione introduttiva. Benissimo, il dottor Nicolini preferisce procedere a una dichiarazione introduttiva. Inizieremo da queste tre introduzioni, cerchiamo di mantenerci entro tempi contenuti, 5-10 minuti al massimo, e poi ci sarà spazio nelle domande per interagire lungamente.

    Siccome una delle persone presenti, da quanto si apprende dagli organi di stampa, è oggetto di indagine, vi ricordo, come già ricordato all’inizio, che le persone indagate sono qui in ragione della loro funzione e non in quanto altre condizioni avvengano sulla loro persona, e che la nostra istruttoria non mira in alcun caso, perché non abbiamo il potere statutario e costituzionale, all’accertamento di reati, ma soltanto alla nostra normale attività di inchiesta sul funzionamento dei servizi. Prego, dottor Nicolini.

     

    Dott. Fausto NICOLINI, direttore generale AUSL di Reggio Emilia. Grazie, presidente. Farò una breve introduzione composta da tre temi: una mia presentazione personale, la presentazione dell’azienda che dirigo e come viene svolta all’interno dell’azienda la materia sull’integrazione sociosanitaria.

    Io sono il direttore generale dell’AUSL di Reggio Emilia IRCCS, sono un medico di formazione, specialista in pediatria, ho fatto il direttore di distretto per cinque anni nel distretto di Correggio dopo aver fatto il clinico pediatra nei materno-infantili delle Unità sanitarie locali, dove posso confermare che a quei tempi c’era una buona integrazione multidisciplinare.

    I servizi materno-infantili, per chi come me ha l’età e quindi li ricorda, erano composti da tre settori, la neuropsichiatria infantile, la pediatria di comunità e i consultori familiari, e afferivano all’assessorato ai servizi sociali. Questo consentiva di avere una presa in carico con professionalità quali neuropsichiatri, psicologi, ginecologi, ostetriche, pediatri, educatori professionali, ed era facilitato anche il rapporto con i servizi sociali, perché all’epoca c’erano le deleghe e quindi anche la parte dei servizi sociali era all’interno.

    Ho smesso di occuparmi di materia di minori nel 2001, perché nel 2001 sono diventato direttore del presidio ospedaliero di Reggio Emilia, quindi mi sono occupato per dieci anni di ospedale. Sono stato nominato nell’ottobre del 2010 direttore generale dell’azienda e ho mantenuto fino ad ora, tranne un periodo di sei mesi in cui sono stato direttore generale dell’azienda ospedaliera di Reggio Emilia, prima della fusione.

    La complessità dell’azienda. Un’azienda sanitaria, per definizione in letteratura (Nitsberg e Borgonovi) è considerata l’organizzazione più complessa al mondo (questi sono gli aziendalisti di riferimento). Alla convention nazionale di FIASO per il ventennale, tenutasi nel novembre dell’anno scorso, Borgonovi disse che i direttori generali dovevano abituarsi a non pretendere di governare la complessità, ma di governare nella complessità.

    Dico questo non per dire che un direttore generale non può essere a conoscenza di tutti i processi all’interno di un’azienda così complessa, ma semplicemente per dire che l’articolazione aziendale che vi presenterò è necessaria in relazione alla distribuzione delle autonomie decisionali e dei livelli di responsabilità, perché altrimenti non sarebbe gestibile.

    L'azienda AUSL di Reggio Emilia IRCCS nasce dalla fusione delle due aziende sanitarie di Reggio Emilia dall’1 luglio 2017, gestisce una rete ospedaliera di 6 ospedali per circa 1.520 posti letto, un IRCCS, un istituto di ricerca e cura a carattere scientifico, e 250 tra servizi e strutture territoriali, che vanno dalle cure primarie alla salute mentale, alla sanità pubblica che contiene la veterinaria o l’igiene pubblica e la medicina del lavoro.

    Tutte queste strutture fanno riferimento a 6.800 dipendenti più 700 medici convenzionati di diverse categorie, i quali vengono articolati in strutture che sono i dipartimenti. Noi abbiamo 14 dipartimenti, di cui 8 ospedalieri, 4 territoriali e 2 tecnico-amministrativi. Ai dipartimenti afferiscono 150 strutture complesse, che sono gli ex primari di una volta, che si aggregano nei dipartimenti, e i dirigenti sono 1.350.

    In questo ambito è necessario che un’azienda regoli i livelli di autonomia decisionale su diverse materie, perché tutti questi dirigenti, che sono considerati apicali, hanno la necessità di adottare atti in piena autonomia e responsabilità. Tutto questo è previsto e viene normato attraverso l’atto aziendale. Il nostro atto aziendale è del 2018 e ha recepito tutte le indicazioni del Piano sociale e sanitario 2017 -2019 e ha un regolamento interno, che viene determinato attraverso delibere della Direzione generale, che definisce per ogni atto e per ogni settore chi fa cosa, con quale responsabilità e a chi rendiconta.

    L’ultimo pezzo di introduzione riguarda la materia dell’integrazione sociosanitaria. Si tratta di una materia molto complessa, che ha un’evoluzione normativa continua, quindi (parlo anche a nome dei miei colleghi direttori generali) è molto difficile che un direttore generale possa governare o essere tenuto costantemente aggiornato su questa evoluzione.

    Per questo l’azienda (è previsto dal Piano sanitario regionale) ha previsto delle competenze specifiche su dei dirigenti, che sono il direttore delle attività sociosanitarie, che è previsto dalla legge regionale di istituzione del Servizio sanitario ed è un componente della Direzione strategica, poi la materia viene gestita anche dalle Direzioni di distretto.

    Noi siamo 6 distretti per 7 Unioni dei Comuni, i Comuni sono 42 per 530.000 abitanti, quindi da quando sono state ritirate le deleghe (premetto che nella provincia di Reggio Emilia tutte le Unioni e tutti i Comuni hanno ritirato le deleghe sociali con un processo che è partito nel 2000 a Reggio Emilia e si è concluso nel 2007 con il ritiro delle deleghe di Guastalla, e nella Val d’Enza vennero ritirate nel 2006) l’integrazione vede degli interlocutori che sono gli enti locali e i servizi sociali dei diversi distretti, che hanno necessariamente prassi, protocolli e procedure diversificati.

    D’altronde il Piano sociosanitario regionale prevede che i livelli istituzionali di rappresentazione dell’integrazione sociosanitaria siano tre: quello regionale, che non mi compete, dove c’è la cabina di regia, quello intermedio, e viene definita la Conferenza territoriale sociosanitaria come il livello di integrazione sociosanitaria.

    Vorrei chiarire, perché ho visto alcune dichiarazioni, che la Conferenza territoriale sociosanitaria non è l’azienda sanitaria, l’azienda sanitaria è uno dei componenti della Conferenza territoriale sociosanitaria, che è composta dai Sindaci (tra l’altro il direttore generale per statuto non ha diritto di voto nelle riunioni), e poi viene definito il livello locale, che è il livello del distretto.

    La Conferenza territoriale sociosanitaria ha un ufficio di presidenza, un ufficio di supporto, e ha attivato dei Coordinamenti in materia di minori. Esiste il Coordinamento tecnico sull’infanzia e l’adolescenza, ex articolo 21 della legge 2008, esiste il Coordinamento sul maltrattamento e abuso ed esiste il Coordinamento sulla violenza di genere. Questi coordinamenti sono multidisciplinari e multiprofessionali, ma ingaggiano anche altri enti, quali ad esempio, oltre ai servizi sociali e ai rappresentanti sanitari, le Forze dell’Ordine, i Carabinieri, la Questura, c’è una tutela giuridica che da noi è fornita dal Comune di Reggio Emilia e sono stati nominati dei referenti.

    Tra l’altro, il Coordinamento tecnico per l’infanzia e l’adolescenza è organo consultivo della Conferenza territoriale sociosanitaria e ha un ruolo di raccordo con le Direzioni di distretto e con i distretti.

    A livello distrettuale, invece, il referente che abbiamo normato è il direttore di distretto, che, come sapete, è un dirigente dell’azienda, che rappresenta la Direzione generale su quell’ambito territoriale e viene nominato con incarico fiduciario di concerto con gli enti locali di rappresentanza. Il tavolo istituzionale è il Comitato di distretto, e poi esistono degli strumenti che sono il Piano di zona, gli accordi di programma che definiscono i vari rapporti sull’integrazione sociosanitaria e che nella nostra organizzazione aziendale vengono sottoscritti e adottati dai direttori di distretto.

    Mi fermerei qui, devo dire per onestà che ho dovuto ristudiare molta di questa materia per diversi motivi, essendo coinvolto direttamente, ma (spezzo una lancia per i miei colleghi direttori generali) onestamente penso che questa non possa essere una materia costantemente monitorata dalle Direzioni generali, perché vorrebbe dire entrare in argomenti talmente specifici che, se venissero adottati in tutti gli altri settori, dagli ospedali agli altri servizi, renderebbero assolutamente ingestibile per un direttore generale la governance di un’azienda.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie, direttore, anche per quest’ultima puntualizzazione. Ricordo che dopo abbiamo la convocazione della neuropsichiatria, per cui è giusto che qui stiamo più sui livelli politici strategici nelle domande e ci teniamo quelli relativi alla neuropsichiatria per l’audizione successiva, visto che sono state richieste entrambe.

    Lascio la parola alla dottoressa Emanuelli per l'AUSL di Ferrara, sempre con un invito a contenere, per quanto possibile, i tempi. Grazie.

     

    Dott.ssa Franca EMANUELLI, AUSL di Ferrara. Grazie, presidente. Descriverò il modello di funzionamento con il quale opera il servizio della AUSL di Ferrara nell’ambito della tutela dei minori, fornirò uno spaccato dei dati che esprimono la mole di cui si parla e poi spiegherò le azioni messe in campo a prevenzione dell’allontanamento e dell’istituzionalizzazione.

    Nell’azienda AUSL di Ferrara operiamo secondo il modello dell’ETI ed UVM, attualmente. Ci si è giunti dopo una serie di documenti preparatori dal 2006, in cui si cercava di normare e definire le interfacce fra il servizio di neuropsichiatria infantile e i servizi sociali, e nel modello si sono disgiunti i due aspetti, quello tecnico di valutazione che avviene nelle ETI e quello di secondo livello che avviene nell'UVM.

    La distinzione però avviene soltanto in parte, nel senso che da noi, per scelta, nella composizione dell'UVM entrano i direttori delle ASP locali, il direttore del Dipartimento di salute mentale e il dirigente della neuropsichiatria, in modo che diventa anche un luogo tecnico di confronto sulle decisioni che vengono prese a livello dell’équipe territoriale, per cui alle volte si può assistere anche a una discussione nel chiedere spiegazioni ulteriori rispetto a una progettualità locale a livello di  équipe.

    Di cosa stiamo parlando come tipi di dati, quanti minori ci sono? Naturalmente posso riferire i dati della neuropsichiatria infantile, quindi noi abbiamo in carico al 31 dicembre 2018 circa 5.100 pazienti e di questi seguiti a motivo di tutela nel 2018 erano 477.

    Di questi 477, abbiamo visto che la discussione dei casi, la rivalutazione dei loro percorsi è stata fatta per 461 volte nell'ETI, numero che ci ha sorpreso nel momento in cui l’abbiamo definito, perché non corrisponde completamente al totale, in quanto alcuni casi sono stati rivisitati più volte, però è sicuramente molto intensiva l’opera di rivalutazione e di pensiero che c’è intorno a questi casi, al loro andamento, al monitoraggio.

    Questo monitoraggio quando un bambino si trova in comunità viene fatto regolarmente, a cadenza mensile o bimensile, acquisendo informazioni scritte e andando a visitare questi bambini.

    Credo di dover fornire anche il dato di quanti di questi nel 2018 fossero collocati in comunità, e il dato è di 56, quindi 56 su 477, un 11,74 per cento di pazienti in comunità.

    Un indice che noi guardiamo per capire se il nostro tipo di intervento diventi parcellizzato e vada a coprire il bisogno del bambino di essere mantenuto dove incide la sua domiciliarità, sono gli interventi educativi domiciliari, che facciamo laddove c’è un decreto del Tribunale che ha disposto delle misure e dove l’intervento si produce proprio in un intervento a domicilio. Di questi, sempre nel 2018, erano 23 gli interventi domiciliari. Di questi pazienti, il 29 per cento era in comunità. Se facciamo il totale degli interventi specifici su mandato del tribunale ricevuti nel 2018 dall’azienda USL di Ferrara, otteniamo 79 situazioni, di cui 56 in comunità e 23 sostenuti domiciliarmente.

    La cosa interessante è vedere come dando un occhio ai dati del 2019 questa percentuale è salita notevolmente al 38,8 per cento degli interventi domiciliari. Sono aumentati i bambini in comunità, ma sono aumentati in modo importante gli interventi domiciliari.

    Vengo a un’altra azione che abbiamo fatto, che tiene conto delle difficoltà del nostro tessuto sociale, soprattutto in certe aree, come ad esempio il distretto sud-est, al quale afferiscono Comuni con problematiche sociali diffuse e un altissimo valore di abbandono scolastico, quindi luoghi dove ci sono dei problemi molto elevati. Abbiamo partecipato, insieme alle ASP e all’ASP locale, vincendolo, per cinque anni consecutivi, al progetto noto come progetto P.I.P.P.I., ma che in realtà è un acronimo che descrive un programma ministeriale d’intervento per la prevenzione dell’istituzionalizzazione. È un bando nazionale, che è stato vinto. Sono state date risorse all’ASP da poter spendere insieme a noi per progetti domiciliari, educatori a casa, rinforzo dei progetti scolastici e gruppi di genitori con delle disfunzioni e delle problematiche che però potevano essere accompagnati. Nei cinque anni in cui questo progetto è stato vinto sono state seguite 60 famiglie all’anno proprio in quel territorio che è più problematico. Da quest’anno, dal 2019, anche nell’ovest.

    Queste azioni per il mantenimento della domiciliarità fanno parte un po’ dello spirito con cui, a livello tecnico, ci confrontiamo nelle ETI e che hanno come concretizzazione l’adesione a questi progetti e agli interventi domiciliari.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille. Do ora la parola al dottor Tamagnini per la AUSL Romagna.

     

    Dott. Mirco TAMAGNINI, direttore attività sociosanitarie AUSL della Romagna. Sono Mirco Tamagnini, direttore delle attività sociosanitarie dell’azienda USL della Romagna. Sarò sintetico, perlomeno mi auguro, e do solamente i riferimenti organizzativi di come noi ci siamo organizzati e mossi. La nostra è un’azienda, come voi sapete, di recente istituzione e quindi ha cercato di ricomprendere i percorsi provenienti da quattro aziende precedenti. I nostri punti di riferimento sono il Piano sociale sanitario regionale 2017-2019, con particolare riferimento all’attuazione delle schede 16 e 37, l’applicazione della DGR 1102, che riguarda i casi complessi e la stessa Conferenza territoriale.

    L’Ufficio di Presidenza della Conferenza territoriale già nel settembre del 2017 ha approvato delle linee uniche a livello di azienda, attuative di questa DGR che nelle tipologie, in una delle tipologie definite casi complessi, ricomprende proprio anche minori allontanati, inseriti in contesti extra familiari. Gli otto distretti dell’azienda USL della Romagna, pur mantenendo una legittimità di tipo organizzativo di livello distrettuale, hanno unificato alcuni percorsi sia attraverso delle procedure condivise anche con gli enti locali approvati all’interno dell’Ufficio di Presidenza e anche con procedure prettamente aziendali che riguardano la figura sanitaria in particolare dello psicologo rispetto agli elementi di valutazione e di presa in carico dei minori.

    Mi preme evidenziare che l’attuazione di questi punti che ho appena enucleato sono ricompresi anche negli obiettivi dei direttori generali. Faccio riferimento alla delibera di Giunta regionale n. 977 del 2019 sui cui l’azienda ha posto un’attenzione particolare ed è proprio anche di recente istituzione, a livello aziendale, di tre diverse strutture specificatamente dedicate alla presa in carico dei minori ed alla tutela dei minori nei tre diversi ambiti aziendali. Per noi gli ambiti sono corrispondenti alle Province.

    Chiudo dicendo che l’uniformità raggiunta a livello aziendale negli otto distretti vede una particolarità su due degli otto distretti, che sono i distretti di Rimini e di Riccione, sui quali, per una storia di quei territori, era presente la delega dell’attività all’azienda USL prima di Rimini, in questo momento all’azienda USL della Romagna. La delega è disciplinata da atti convenzionali, nei quali vengono mantenute la titolarità e la responsabilità data dalla norma in capo agli enti locali, malgrado la gestione sia affidata all’azienda. All’interno della convenzione sono previsti e sono normati momenti di monitoraggio rispetto alla presa in carico dei minori. Questa attività delegata ha subìto un’ulteriore evoluzione proprio all’interno dell’équipe e delle UVM che costituiscono per noi l’équipe specialistica, la valutazione specialistica non solo valutativa, ma anche di presa in carico.

    Riprendo una parte dell’introduzione fatta dal direttore Nicolini. Sicuramente uno degli elementi che abbiamo potuto analizzare come punto di forza è il fatto che, nell’ambito delle deleghe, operatori sociali e sanitari, pur con responsabilità professionali differenti, hanno una serie di facilitazioni vissute anche nei luoghi in cui loro operano che permettono una integrazione quotidiana favorita anche dalla vicinanza e da alcuni aspetti che possono toccare la quotidianità e la condivisione con gli altri colleghi, in questo caso sanitari.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille. Davvero vi ringraziamo per questo primo contributo. Passiamo alla fase delle domande. Chi vuole prenotarsi? Collega Bertani, prego.

     

    Consigliere BERTANI. Grazie, presidente. Ho alcune domande da fare. Una è sui dati. Noi abbiamo le linee guida regionali che ci dicono che esiste o deve esistere un database regionale dove vengono inseriti e caricati tutti i casi dei minori seguiti dai servizi sociali o allontanati.

    Volevo capire nelle vostre realtà se la compilazione o la manutenzione di questi dati avviene e funziona, perché l’impressione che abbiamo avuto durante le audizioni è che questo sistema ancora non sia completo e funzionante, forse anche perché – magari dalla Romagna ce lo dite meglio – integrare tante realtà diverse non è semplice. Però, secondo noi, è un tema importante perché avere il polso della situazione a livello regionale, ma anche a livello locale, un database serve a quello, è importante perché almeno una delle impressioni che abbiamo avuto è che rispetto al caso Bibbiano avere avuto un monitoraggio di quei dati per vedere dei trend che potevano forse anche essere anomali avrebbe potuto evidenziare che c’era un caso che andava analizzato con più attenzione. Chiedo se magari anche voi, nell’inserimento dei dati o nell’analisi dei dati, avete visto o potete identificare dei trend. Per esempio, lei prima ci parlava di 477 minori sotto tutela, di cui 461 rivalutati. Questo potrebbe essere un dato da tenere monitorato. Se io so che ho 477 minori, ma in realtà faccio dieci rivalutazioni, è un dato che mi deve accendere un campanello d’allarme, perché probabilmente so che è un tema che non viene seguito. Come pure, se in Val d’Enza ci accorgevamo che i casi di scheda violenza aumentano di anno in anno di 50-100 unità rispetto alla popolazione in oggetto, forse un campanello d’allarme – dico sempre “forse” – poteva accendersi. Questa è la prima domanda.

    Volevo capire nelle diverse realtà, quindi la domanda la faccio a tutti, come funziona l’équipe, se è sempre un assistente sociale e uno psicologo, se l’assistente sociale è sempre dipendente del Comune, dell’Unione dei Comuni e delle ASP e cosa cambia in queste situazioni.

    L’esperienza di Rimini mi interessa, perché a Rimini mi sembra di capire che l’assistente sociale è dipendente dell’ASL, è convenzionato. Quindi, l’assistente sociale – la domanda è questa – dipende dall’ASL o dipende dal Comune? Visto che avete un monitoraggio rispetto a tutta l’ASL della Romagna, quali sono i vantaggi e gli svantaggi di questo approccio diverso? Avendo sott’occhio più approcci diversi uno può capire anche quali sono i pro e i contro di certi tipi di approccio.

    L’équipe multilivello, l’UVM, volevo capire se esiste dappertutto, se è a livello di distretto o a livello provinciale e se esiste da voi dappertutto, cioè se copre tutte le realtà. L’impressione che abbiamo avuto è che non sia partita dappertutto. Che cosa fa l’équipe multilivello nelle varie realtà? Nella realtà di Rimini o della Romagna parlate anche di presa in carico. Volevo capire se analizza anche i singoli casi di presa in carico, perché, invece, mi sembra che nelle linee guida o in alcune applicazioni l’unità di valutazione multilivello fa un’analisi forse anche strategica o di formazione o di necessità non dei singoli casi. Volevo capire questo perché il fatto, secondo me, che in prospettiva si valuti che l’unità valutativa – scusate, prima ho detto “multilivello”, ma è “multidisciplinare” – multidisciplinare analizzi anche i singoli casi, secondo il mio parere, potrebbe essere un pro, perché può aiutare a togliere i limiti della sottovalutazione o della sopravvalutazione che, a seconda della formazione o del modo di vedere dei professionisti, può cambiare e in qualche modo può essere temperata.

    L’ultima domanda riguarda la formazione. Il caso di Bibbiano sembra essere legato anche al tipo di formazione o al tipo di visione culturale di alcuni professionisti, perché nel corso dell’audizione abbiamo capito che la valutazione iniziale dei casi era in capo agli psicologi dell’ASL. La parte di consulenza esterna, legata ad Hansel e Gretel, era legata al successivo trattamento o rivalutazione. Invece, la valutazione iniziale, se fosse il caso di allontanare e che tipo di intervento fare, era a carico degli psicologi dipendenti.

    La formazione di questi psicologi potrebbe avere influito sul fatto che alcuni segnali vengono interpretati come necessità di allontanamento piuttosto che no. Volevo capire se, acceso il faro sul caso di Bibbiano, nelle vostre realtà si sta pensando di valutare la formazione che è stata fatta fino ad oggi e se questa vada in qualche modo rivista o riconsiderata all’interno dell’équipe. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Collega Bertani, è una bella sfilza di domande. Speriamo di riuscire a rimetterle…

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Esatto. Mi sono segnato: se le aziende monitorano i dati per vedere eventuali anomalie, come sono composte le ETI, da chi dipende eventualmente l’assistente sociale, se ci sono ruoli dei privati. Dico bene? Vantaggi e svantaggi dell’approccio dove il servizio sociale è appoggiato sulla ASL, se ci sono le UVM dovunque di livello distrettuale o provinciale. Su questo ricordo che comunque avevamo mandato una tabella di recente dove dovreste avere tutto il quadro. Formazione interna ed esterna, se la state riconsiderando. Ecco, questi sono un po’ i temi. Alcuni sono più da Romagna. Magari cominciamo dalla Romagna. Poi, se gli altri vogliono integrare, possono farlo. Grazie.

     

    Dott. TAMAGNINI. Cerco di essere sintetico. Il database regionale viene alimentato sostanzialmente da tutti i distretti. Qui si aprirebbe un ragionamento tra i dati che logicamente servono correttamente per la programmazione alla famosa cartella sociale che, in realtà, è una cosa un po’ diversa dal solo sistema informativo finalizzato alla raccolta dei volumi di attività di prestazioni eccetera. Però, in linea generale il sistema regionale viene alimentato. Utilizziamo questo sistema per la programmazione degli interventi e a livello sia di azienda sia a livello distrettuale questi dati li analizziamo per vedere anche che cosa succede, sia rispetto agli inserimenti, alle prese in carico, agli affidi, eccetera.

    Questi dati, logicamente, con una finalità diversa, sono oggetto anche delle rivalutazioni delle situazioni. Consigliere, questa cosa è ricompresa anche dentro la procedura che le accennavo prima. La procedura approvata dall’Ufficio di Presidenza nella data del 17 settembre 2017 dice che tutti i casi, da parte dell’équipe UVM devono essere rivalutati almeno annualmente.

    Per quanto riguarda le équipe, tutte le équipe di tutti gli otto distretti della Romagna sono composti da assistente sociale e da psicologo, in entrambi i casi dipendenti di enti pubblici.

    L’équipe non sempre è coincidente all’UVM, perché, se posso usare questo termine, l’UVM è dotata anche di un portafoglio, nel senso che quando si decide l’inserimento immediatamente deve scattare la copertura finanziaria per quell’inserimento. Quindi, le équipe, di norma, sono composte dal direttore dell’unità operativa di neuropsichiatria infantile e dal dirigente dell’Unione dei Comuni o del distretto in cui insiste quella unità di valutazione, quella équipe. Quindi, sia le unità di valutazione multidimensionale sia le équipe sono di ambito distrettuale.

    Gli assistenti sociali, come dicevo prima, sono tutti dipendenti di enti pubblici, o dell’azienda o dei Comuni o delle ASP, anche a Rimini. Adesso vengo a questa differenziazione. Logicamente questa è una storia che noi ci portiamo dietro.

    In questo momento gli assistenti sociali che lavorano nell’ambito della tutela minori sui distretti di Rimini e di Riccione sono dipendenti dell’ASL, ma stiamo chiudendo degli accordi con gli enti locali affinché siano gli enti Locali ad assumere gli assistenti sociali che entrano in qualche modo nelle loro piante organiche. Uso un termine vecchio, lo so. Per chi si occupa di personale, so che non esistono più le piante organiche, però sostanzialmente saranno loro a garantire…

    La differenziazione che stiamo facendo è di avere dipendenti aziendali, assistenti sociali che lavorino su servizi sociali aziendali. Questa cosa, però, dal mio punto di vista, dalla valutazione che noi abbiamo portato avanti in questi anni, sostanzialmente non ha un’incidenza sulla qualità degli interventi. Il fatto che si lavori in stretta integrazione con i colleghi degli enti locali, quando l’afferenza degli operatori è chiara, i percorsi di integrazione sono funzionanti, quindi le équipe riescono molto bene ad integrarsi e a lavorare insieme.

    Le relazioni e le valutazioni che gli operatori fanno abitualmente sono firmate sia dall’assistente sociale che dallo psicologo. Questa, come dice la 1102, è l’équipe basic. Questo non toglie che possa intervenire, come immagino approfondirete dopo, la figura del neuropsichiatra. Tutti i servizi di tutela minori sono inquadrati all’interno della neuropsichiatria. Sull’UVM, sull’équipe ho già risposto.

    Vengo alla formazione. La sensazione che ho è che in questi anni si sia posta molta attenzione alla formazione dei professionisti, sia assistenti sociali che psicologi, sia formazioni che vengono poi fatte insieme. Alcune di queste formazioni sono logicamente specifiche, perché, per esempio, nella valutazione del trauma fatta da uno psicologo abitualmente vengono sottoposte delle testistiche che sono proprie della figura dello psicologo, così come sono state fatte formazioni specifiche sulla figura dell’assistente sociale proprio perché gli strumenti di lavoro degli assistenti sociali sono diversi da quelli dello psicologo.

    Chiudo dicendo che, rispetto alle prese in carico, i livelli di responsabilità e di analisi della situazione in carico sono differenti, perché l’équipe fa la propria valutazione, questa valutazione viene sottoposta all’attenzione dei propri responsabili e quindi in alcuni casi lo stesso livello di approfondimento all’interno delle stesse équipe e di UVM possono, qualora i responsabili poi si assumono la responsabilità di far uscire quella relazione e quella valutazione, decidere di incontrare, sul tema specifico, l’équipe che si sta occupando di quella determinata situazione.

    In Romagna le formazioni che si sono susseguite in questi anni hanno toccato aspetti differenti, sia della vita del bambino, della vita della famiglia, e la sperimentazione che diversi distretti hanno portato avanti, proprio per rispettare quello che la norma ci chiede, cioè di mantenere il bambino all’interno del proprio contesto familiare, qualora questo sia possibile, ha cercato di approfondire anche temi che potessero in qualche modo lavorare in maniera specifica sulla famiglia, con tutte le difficoltà. Come voi sapete, le famiglie che approcciano i nostri servizi e l’attività del terapeuta, quindi dello psicologo, spesso accedono su mandato dell’autorità giudiziaria, quindi sono percorsi che vanno tenuti in debita considerazione anche nella clinica.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie.

    Qualcuno vuole aggiungere qualcosa su questi temi? Prego, Nicolini.

     

    Dott. NICOLINI. La nostra modalità organizzativa è questa: noi abbiamo sei distretti. In ciascun distretto, come ho detto, sono state ritirate le deleghe. Ci sono solo due distretti che hanno in gestione l’area minori alle aziende dei servizi alla persona, che sono Guastalla e Val d’Enza. Tra l’altro, questo è avvenuto dal primo gennaio del 2019, quando è stata affidata all’ASP Sartori l’area minori.

    Noi abbiamo un’unica unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile su base aziendale, anche se su tutti i distretti sono articolate delle strutture operative semplici di neuropsichiatria infantile. C’è quindi nell’ambito di ogni territorio, di ogni distretto, la presenza del neuropsichiatra infantile.

    Abbiamo Unità di valutazione multiprofessionali in tutti i distretti. Queste unità sono composte mediamente dall’assistente sociale, dallo psicologo e anche dall’educatore professionale. Poi, in caso di bambini molto piccoli, vengono solitamente attivati anche i pediatri, che possono essere pediatri di libera scelta che hanno in carico il minore. Quando ci sono casi particolarmente critici, particolarmente complessi, vengono poi inviate competenze, sempre di ambito aziendale sanitario che possono essere: ginecologi esperti, formati su questo, medico- legale, neuropsichiatra infantile ulteriore, eccetera. Poi abbiamo un’altra articolazione. Noi abbiamo, all’interno della neuropsichiatria infantile, una struttura operativa semplice di tutela dei minori che è gestita da un dirigente psicologo ed è composta da un organico di psicologi. Questo è il nostro assetto. Per le attività e le funzioni dell’UVM, per i dati, passerei la parola al nostro direttore delle attività sociosanitarie, dottoressa Negri.

     

    Dott.ssa Elisabetta NEGRI, direzione delle attività socio-sanitarie AUSL di Reggio Emilia. Buongiorno a tutti.

    Rispetto al discorso dei dati, convengo con il collega Tamagnini, effettivamente noi all’interno di tutta l’azienda raccogliamo i dati e assolviamo al debito regionale del flusso informativo regionale, quindi il famoso SISAM di cui avete sentito parlare sicuramente in questa sede. È chiaro che siccome tutto è perfettibile, anche sul SISAM ci siamo più volte interrogati anche con i funzionari regionali rispetto all’introdurre delle modifiche che vadano maggiormente incontro alla possibilità di rilevare le criticità che possono sorgere nei territori. Tuttavia, quello è un debito informativo che viene assolto con grande diligenza dai nostri servizi, anche perché la Regione su questo ci chiede di essere molto attenti e vigili.

    Una cosa sulla formazione. Per quanto riguarda la formazione, nel nostro territorio abbiamo fatto formazione, come voi sapete, sulle competenze emotive degli operatori, abbiamo fatto questa formazione nel 2016 per favorire l’integrazione fra personale sanitario e personale sociale. È stata fatta questa formazione a cui partecipavano figure sanitarie dal pediatra di libera scelta al medico ospedaliero del pronto soccorso, allo psicologo, ovviamente, che in ogni territorio, come diceva il mio direttore generale, lavora all’interno dei singoli servizi sociali distrettuali, insieme agli assistenti sociali. L’obiettivo era quello di riuscire a creare delle basi comuni per la lettura delle situazioni che eventualmente si presentassero sul territorio.

    Abbiamo però anche lavorato tanto sulla formazione sanitaria. Voi sapete che la Regione ha emanato diversi quaderni sanitari, come ad esempio il quaderno sanitario sulle fratture, che sono serviti, che servono e che il pane che tutti i giorni gli operatori che lavorano in particolare all’interno dei pronto soccorso “mangiano” perché costituiscono le basi del loro intervento nel caso in cui arrivino ai servizi di emergenza-urgenza situazioni con sospetto abuso e maltrattamento.

    Su quella formazione in particolare abbiamo fatto ben venticinque giornate in azienda. In queste venticinque giornate tutto il personale sanitario ha avuto accesso a questa formazione. Successivamente, per quanto riguarda il discorso dei trattamenti, quindi per rafforzare le competenze dei professionisti, psicologi in particolare, abbiamo fatto molta formazione in ambito di EMDR, una metodica che ha proprio l’obiettivo di lavorare sostanzialmente sui traumi, sia per quanto riguarda i minori che per quanto riguarda gli adulti. Questo per dire che si è spaziato, quindi è vero, c’è bisogno del cambiamento, lo si avverte tuttora, ma credo che in questi ambiti sia funzionale, fisiologico anche al fatto che la nostra realtà appunto è davvero molto complessa. Però, anche per la formazione sull’EMDR, a un certo punto abbiamo sentito la necessità di ampliare lo sguardo e quindi provare ad introdurre altri punti di riferimento.

    Aggiungo una cosa sui dati che ho dimenticato prima. Prima si diceva che i dati sono oggetto di rivalutazione – lei chiedeva. Effettivamente sì, nel senso che anche nel mandato, ad esempio, se penso al coordinamento, maltrattamento e abuso, così come il Coordinamento che si occupa della tutela, appunto ex legge 14, sostanzialmente, i dati sono un elemento importante. Nel mandato di questi coordinamenti, cioè, è previsto che ci siano riflessioni e momenti di confronto, proprio sui dati e sull’evoluzione dei fenomeni a cui facciamo riferimento.

    Aggiungo ancora solo questa cosa: all’interno dei servizi sociali distrettuali è presente in stragrande maggioranza personale degli enti locali, sostanzialmente, quindi assunti direttamente dalle Unioni, dalle ASP, oppure, per quanto riguarda Guastalla, dalla ASBR, che è l’azienda speciale educativa. Siccome però questi servizi sociali sono il frutto di ciò che è uscito dal ritiro delle deleghe, il personale dell’azienda, assistenti sociali prevalentemente, che lavorava all’interno dei servizi sociali quando erano in delega, diversi di loro hanno scelto di andare a lavorare sul territorio all’interno di questi servizi sociali integrati. Nel momento in cui ci sono dei pensionamenti, tendenzialmente gli enti locali privilegiano l’acquisizione diretta di personale.

    Noi quindi stiamo andando sostanzialmente alla pressoché dismissione del nostro personale in questi servizi sociali, ma qualche assistente sociale, ancora dipendente dell’azienda, c’è tuttora, con mandato, ovviamente, ai servizi.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Non so se Ferrara vuole integrare qualcosa. Prego.

     

    Dott.ssa EMANUELLI. Anch’io racconto come siamo organizzati, quindi in tre distretti sociosanitari: la neuropsichiatria infantile ha un’unica unità operativa aziendale anche da noi e tre strutture semplici, una per distretto. Le ETI territoriali sono presenti in tutte le cinque équipe, e sono così composte: hanno una parte fissa che è sempre presente, data da uno psicologo e da un assistente sociale dell’ASP e una parte, invece, “mobile”, data da chi verrà a presentare il caso, quindi possono aggiungersi assistenti sociali dell’ASP, oppure anche psicologi, o neuropsichiatri ed educatori della UONPIA, a presentare la situazione. Dopo questa discussione, il passaggio in UVM, noi abbiamo il livello dell’UVM distrettuale, quindi sono tre. Vi partecipa, oltre, come ho detto prima, i direttori delle ASP locali e il nostro direttore di dipartimento, anche la parte fissa delle ETI, in modo che diventa un momento di confronto anche clinico in cui si entra proprio in merito del singolo caso.

    Per la tenuta dei dati, li teniamo monitorati su due livelli, contando per ogni équipe e rendicontando uno, quali sono i casi nuovi di quell’anno, e un altro, quali sono i casi di ridiscussione. Possiamo osservare che c’è un’omogeneità che descrive: certe équipe tendono a ridiscutere molte volte le situazioni, quindi teniamo monitorato incrociando questo con la gravità e l’emergenza dei casi.

    Per la formazione, parlo della formazione integrata con i servizi sociali, quindi tralasciando la formazione aziendale in questo momento, abbiamo un luogo unico di raccolta dei desideri formativi, che è il tavolo provinciale dell’Ufficio diritti dei minori del Comune capofila di Ferrara, che propone un incontro o due, per cui anche adesso, per l’anno successivo, di quelli che sono i progetti formativi. Chi va? Vanno gli psicologi della UONPIA che si occupano di tutela, vanno anche gli assistenti sociali; ognuno propone i propri bisogni formativi e si fa un progetto insieme per l’anno avvenire. Così avviene la scelta della formazione.

    Di solito sono diversificate, riguardano un po’ gli aspetti giuridici, un po’ l’aspetto di discussione delle situazioni complesse.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille. Ci sono altri iscritti? Consigliere Facci? Avevo l’impressione di aver perso qualcuno. C’era la collega Prodi, poi il collega Facci.

     

    Consigliera Silvia PRODI. Troppo gentile. Faccio una premessa: ringrazio perché quello che voi state dicendo oggi è molto utile, anche se già un po’ tecnico per noi, però lo dipaneremo quando sbobineremo quello che ci state dicendo, perché secondo me è veramente molto importante. Visto però che il nostro scopo sarà anche scrivere una relazione con delle raccomandazioni, personalmente penso, ma credo che sia condiviso, questo pensiero, che sarà necessario mettere mano anche alla legge 14, agli articoli 17 e 21, che sono gli articoli-fulcro.

    Mi piaceva sapere, in particolare dal dottor Nicolini, quale modello organizzativo ha senso pensare e ripensare. Quello che emerge dalle vostre valutazioni è che non c’è una soluzione standardizzata, omogenea, sul piano regionale dell’organizzazione. È un dato che viene a crearsi ed è normativamente consentito, sia chiaro, però la lettura che viene data per ogni territorio è diversa. Questo secondo me è già un dato su cui forse vale la pena riflettere, c’è un dato trasversale. La legge 14 del 2018, nel 2016 è stata rivista, e nello specifico è stato tolto l’articolo 20. A parte che viene di nuovo menzionato nell’articolo 18, quindi c’è già un errore che dovrà essere in qualche riparato, però abbiamo audito anche il professor Pascarella, secondo me abbastanza illuminante, che ci ha parlato di un’organizzazione che quando era provinciale aveva una sua dimensione, un suo senso, poi, venuta a cadere, è stato difficile recuperare.

    La domanda quindi è sul modello organizzativo a valle di questa sottrazione – mi esprimo in questo modo. Anche il Sindaco di Reggio, su questo, nell’ipotesi di avere le risorse, ovviamente, auspicava un’organizzazione di questo tipo. Voi come avete reagito organizzativamente a questa mutazione? Cosa auspichereste? L’altra domanda è sul tema delle esternalizzazioni, più in generale: Bertani si riferiva alla formazione, ma quello che abbiamo dedotto dall’audizione è che ad esempio Reggio ha un modello fortemente in house; ci si sposta di distretto, però limitrofo, e il modello cambia, quindi anche in questo senso come suggerireste di muoverci, a noi, data la vostra esperienza, dovendo andare, io credo, a migliorare un sistema, proprio nell’ipotesi che in questo momento non è che vi stiate, o ci stiamo muovendo normativamente fuori, però come ridisegnare un sistema che sia più leggibile, a livello sia di distretti all’interno di una stessa provincia, ma anche regionalmente. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Vuole rispondere Nicolini, immagino. Prego.

     

    Dott. NICOLINI. Premetto che col dottor Pascarella ho lavorato 30 anni fa nel materno-infantile di Correggio, quindi ci conosciamo da tanti anni. Avevo fatto un accenno a questo ragionamento su cos’era all’epoca il servizio materno- infantile che consentiva di avere… Quello era l’unico servizio realmente multidisciplinare, perché c’erano neuropsichiatri, pediatri, ostetriche, ginecologi, in un’unica direzione. Tengo a far presente che in quasi tutte le direzioni dei materno-infantili c’erano dei direttori neuropsichiatri infantili. Io per esempio ero un pediatra, ma ero un aiuto, non ero un direttore.

    Quello che è stato richiamato, soprattutto sulla legge 14, stiamo parlando dell’articolo 18, sul secondo livello dell’articolo 21, sull’organismo che doveva essere a supporto della CTSS, che poi è stato modificato successivamente, e che comunque prevede un organo consultivo della CTSS. Io penso che sia lì che bisogna lavorare. L’azienda può fare la sua integrazione in ambito sanitario, ma poi ci sono degli attori nell’ambito della gestione multidisciplinare e multiprofessionale che sono degli altri stakeholder molto interessati. Faccio un esempio: l’azienda USL di Reggio Emilia, molto tempo prima alla legge del 2008, aveva istituito un gruppo multidisciplinare, cosiddetto di secondo livello, su abuso e maltrattamento, che era diretto all’epoca dal direttore del programma di psicologia clinica, ma aveva al suo interno medici legali, pediatri, psicologi, e qui c’era anche il dottor Pascarella, ad esempio. Questo gruppo però operava prevalentemente a livello sanitario, cioè supportava i casi dal punto di vista sanitario quando questi casi venivano segnalati o dal pronto soccorso di Guastalla o dal pronto soccorso di Montecchio, eccetera.

    Quando esce la legge, nel 2008, la Conferenza territoriale sociosanitaria di Reggio Emilia ha fatto una scelta diversa: non ha dato fiato a questo gruppo, anche perché c’era il pensionamento di chi lo dirigeva, eccetera, a cui bisognava integrare tutta la componente sociale, ma ha fatto una scelta diversa, che poi è stata riportata anche nella check-list che è stata compilata sul Masi. Si è riportato, cioè, il primo livello chiaramente a livello distrettuale, poi si è fatta la scelta di mandare le competenze specialistiche nei singoli distretti, all’occorrenza, quando c’erano dei casi molto complicati.

    Il suggerimento mio, quindi, è quello che il livello istituzionale intermedio, che è quello della CTSS, che ha all’interno tutti gli attori, e anche degli strumenti tecnici, poiché il coordinamento abuso e maltrattamento, che è stato istituito nel marzo del 2014, nella CTSS di Reggio Emilia, ha lavorato su alcuni aspetti, e questi aspetti sono stati: censimento e mappatura delle procedure, dei protocolli e delle prassi che avvenivano nei diversi distretti. Avere sei distretti sociosanitari vuol dire confrontarsi con sei servizi diversi, che hanno delle pratiche, delle culture organizzative molto differenti. Un Comune grande come quello di Reggio Emilia, ad esempio, è suddiviso per aree.

    Noi abbiamo, per chi non lo sa, mediamente distretti che vanno dalla dimensione dei 65.000 abitanti del distretto di Montecchio della Val d’Enza ai 75.000 del distretto di Guastalla. Poi abbiamo un distretto, quello di Reggio Emilia, che ha al suo interno due Unioni: l’Unione Terre Matildiche e l’Unione Terre di Mezzo che fa 210.000 abitanti. È molto chiaro che l’organizzazione del Comune di Reggio Emilia e delle altre Unioni sia leggermente diversa rispetto all’unificazione dei servizi sociali. Questo, secondo me, è il primo ragionamento.

    Il coordinamento per l’abuso e il maltrattamento, oltre che lavorare su mappatura e censimento delle pratiche, ha cercato di darsi dei criteri per uniformare tutto ciò. Ha lavorato sulla promozione di una formazione congiunta, perché comunque quello è l’organo di riferimento rispetto ai distretti. Come sostiene il Piano sociosanitario regionale, il livello locale porta sulla direzione distrettuale, sul Comitato di distretto l’operatività e la gestione dell’integrazione sociosanitaria, attraverso gli accordi di programma e i Piani di zona, ma poi il livello intermedio, quello che deve in qualche modo integrare il tutto, avviene sulla Conferenza territoriale sociosanitaria. Il perché non si sia creato il secondo livello nel 2008 io non glielo so dire. Io non ero in Conferenza territoriale, perché non ero direttore generale. Il modello portato avanti è stato un modello nel quale comunque l’azienda le sue competenze specialistiche le ha messe a disposizione di tutti i distretti quando c’erano dei casi.

    Un altro miglioramento che penso di poter suggerire, ma solo perché ho studiato la materia, è che bisognerebbe rendere omogenei i requisiti, per esempio, sulla definizione dei casi complessi. Faccio riferimento alla delibera sugli allontanamenti o al rischio di allontanamento. Ci sono tre categorie: la disabilità, la psicopatologia minorile e l’abuso e maltrattamento. In tutti i casi si chiarisce che comunque il bambino, o il minore, che ha bisogno di tutela deve essere messo in sicurezza. Cos’è la disabilità? Quali sono i requisiti con cui decidiamo quali sono i casi in cui compartecipiamo come azienda USL? A livello dell’azienda USL di Reggio Emilia si è costituito un gruppo misto, sanitario e sociale, che ha cercato di definire questi requisiti. Chiaramente, bisogna avere una modalità di lettura. Sul requisito della disabilità si è adottato il criterio che deve essere previsto il comma 3 della legge n. 104, che definisce la grave disabilità. “Disabilità” è un termine generico e potrebbe voler dire tante cose.

    Sulla psicopatologia, invece, hanno utilizzato una scala, la CGAS, la quale definisce uno score di gravità sotto i 60 e sopra i 60, anche questo applicando una scala parametrica dei bisogni. Sul maltrattamento e abuso questa roba non c’è. L’accordo che questo gruppo ha trovato è stato quello di prendere in carico il bambino sospetto di abuso e maltrattamento nei primi sei mesi e fare una rivalutazione a distanza di sei mesi in relazione all’evoluzione del caso. Se il caso si è esaurito, non c’è più la compartecipazione. Se il caso, invece, è andato avanti, ci sono provvedimenti giudiziari e, chiaramente, prosegue anche questo aspetto.

    Probabilmente uniformare questi criteri potrebbe essere un passo in avanti anche per avere un chiarimento rispetto ai numeri, che possono essere molto diversificati rispetto alle diverse aree.

     

    Dott.ssa NEGRI. Posso aggiungere una cosa?

     

    Presidente BOSCHINI. Rapidamente, perché siamo un po’ lunghi. Prego.

     

    Dott.ssa NEGRI. La collega di Ferrara ha parlato dell’intensiva domiciliare. Quella dell’intensiva domiciliare ‒ so che anche il sindaco di Reggio ne ha parlato ‒ è un’esperienza che abbiamo preso in considerazione proprio con l’applicazione della delibera n. 1102 perché si sta rivelando uno strumento molto efficace di intervento sulla tutela dei minori.

    Raccogliendo la sollecitazione della consigliera, andando verso l’immaginare una nuova legge, quello è un elemento che davvero vi chiederei di tenere in considerazione, perché si sta rivelando molto significativo. Noi abbiamo notevolmente aumentato le spese che sosteniamo come azienda, ma anche come enti locali in questo ambito, perché effettivamente ci siamo resi conto che, oltre all’affidamento, oltre alle comunità che ci vogliono… Anche su quell’aspetto abbiamo bisogno davvero di provare a riqualificare il sistema dell’offerta. Ci abbiamo provato a Reggio. Ci abbiamo lavorato tanto e ci lavoriamo ancora tanto, però è ancora un terreno da dissodare parecchio. Vi chiederei di tenere in considerazione anche l’intensiva domiciliare, perché è davvero uno strumento potente. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Le assicuro che è uno dei temi su cui abbiamo ragionato molto in questa sede. Penso che qualcosa la potremo dire. Collega Facci, prego.

    Dopo non ho altre prenotazioni. Quindi, dovremmo essere a posto, se non ci sono altre prenotazioni.

    Prego.

     

    Consigliere FACCI. Grazie.

    Anch’io rivolgo un saluto agli ospiti, ai dottori e a tutti i rappresentanti delle varie realtà territoriali.

    Ho ascoltato domande e risposte. Faccio alcune considerazioni un pochettino più dirette rispetto a situazioni che, a mio avviso, necessitano, quantomeno in questa sede, di essere capite. Parto dall’ampia spiegazione e rappresentazione che è stata fatta dal dottor Nicolini, ma anche dalle collaboratrici e dalle dottoresse, sull’ampia attività svolta ‒ parliamo di Reggio Emilia ‒ per quanto riguarda la formazione. Vorrei capire ‒ perché è una cosa che obiettivamente abbiamo cercato di comprendere, abbiamo cercato di sviscerare, al netto di quelle che saranno le questioni legate al processo, che in questa sede non entrano e non devono entrare ‒ come mai nell’attività di formazione, in particolare sul famoso secondo livello, di fatto la ASL di Reggio Emilia (parlo della ASL di Reggio Emilia; se ci sono differenziazioni territoriali che vanno indicate me lo direte voi) ha messo una realtà come Hansel e Gretel al centro della propria attività di formazione.

    Ci è stata fornita una scheda in merito agli accordi, a livello locale, di tutte le province. Guardando la scheda di Reggio Emilia, abbiamo due dati che sicuramente meritano di essere valutati. Il primo: noi sappiamo che la normativa attuale differenzia le competenze di primo livello da quelle di secondo livello. Il secondo livello ‒ lo dice, se vogliamo, il termine stesso ‒ deve essere differente dal primo, quindi non può coincidere il territorio. In realtà, leggiamo nella scheda, che è una sorta di risposta a una specie di questionario che è stato formulato, che si sta lavorando perché ogni zona abbia il secondo livello coincidente con il primo. Questo le linee lo escludono. Questa è già un’anomalia.

    Mi ricollego al discorso precedente. Quando si parla dei soggetti incaricati a cui ci si deve rivolgere, si mette sullo stesso piano psicologo aziendale o intervento presso il centro specialistico Hansel e Gretel. Avete decantato nella vostra ampia illustrazione le competenze della struttura pubblica, che ovviamente condivido. L’anomalia è come mai una realtà come Hansel e Gretel, nota anche per avere metodi particolari, pur nell’ambito della liceità che può essere consentita in un contesto medico scientifico, ma sicuramente teorie di un certo tipo... Prima ho sentito la dottoressa fare riferimento alla terapia EMDR. Credo che sulla EMDR di Hansel e Gretel potremmo dire tante cose. Attendo una risposta su questo.

    La seconda domanda la rivolgo al dottore responsabile dell’ASL Romagna. Credo che l’ASL Romagna sia l’unica azienda pubblica associata al CISMAI, se non vado errato, perché il CISMAI aveva pubblicato fino a poco tempo fa l’elenco dei propri soci, privati e pubblici, poi quando ha cominciato a essere attenzionato da questa Commissione sono scomparsi, però avevo fatto in tempo a scorgerlo. Quindi, vorrei capire se c’è un motivo particolare per cui l’AUSL Romagna è stata di fatto socia del CISMAI.

    Secondo, se l’AUSL Romagna abbia aderito al cosiddetto “metodo Foti” o “metodo Bolognini”, a seconda di come lo si vuol guardare, nell’attività di formazione, e cioè nella scelta degli interlocutori per svolgere attività di formazione. Lo chiedo perché non più tardi di 2-3 settimane fa c’è stata un’ultima tappa di un corso, che mi pare sia iniziato a giugno, dove la dottoressa Silvia Deidda, presidente di “Hansel e Gretel”, ha portato il proprio contributo a un’attività di formazione, pagata dall’AUSL Romagna.

    Quindi, nonostante l’evidenza di una metodica di “Hansel e Gretel” e allo stesso tempo – la metto sullo stesso piano, anche se “Hansel e Gretel” è una Onlus – della società SIE srl (Sviluppo Intelligenza Emotiva), che sono due livelli che, bene o male, si inter-scambiano, ma parliamo sempre degli stessi soggetti che fanno riferimento alle stesse persone o, quantomeno, alla stessa scuola di pensiero, vedo che l’AUSL Romagna è molto impegnata nel coinvolgere SIE o “Hansel e Gretel” nell’attività di formazione. Allora, vorrei capire se AUSL Romagna in qualche modo stia condividendo, visto che, nonostante tutto, ha continuato ad avere rapporti. Ho detto che l’ultima tappa di questo corso è stata il 20 settembre, quindi recentemente. Quindi, se c’è questa condivisione di questo metodo e, se è così, per quale motivo, perché è abbastanza curioso che, nonostante lo stesso CISMAI oggi, almeno a parole della dottoressa Soavi, si sia smarcato un po’ da questa metodica estrema, ci sia chi, a livello pubblico, in qualche modo sembra non volersene distaccare. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. La parola al collega Bertani per l’ultima domanda. Poi facciamo un ultimo giro di risposte e congediamo i nostri ospiti, perché davvero siamo molto lunghi.

     

    Consigliere BERTANI. Parte della domanda precedente che avevo fatto io sulla formazione era appunto questa: visti i casi che ci sono stati, se tutti state facendo una rivalutazione sul tipo di formazione che viene offerta. Anche a Reggio mi sembra che, quest’anno, debba ancora finire un corso di master postuniversitario, in cui, anche lì, ci sono i relatori di “Hansel e Gretel”. Quindi, vorrei capire se c’è una rivalutazione su questo aspetto.

    Una seconda domanda riguarda i miglioramenti, e in una delle audizioni precedenti ci è stata fatta una proposta. Quando un assistente sociale allontana un minore dalla famiglia, il progetto non è solo allontanare il minore e dargli un luogo riparato e che lo accolga, ma è anche quello di recupero sulla famiglia. Naturalmente, il fatto che l’assistente sociale sia lo stesso che ha fatto l’allontanamento e segua anche la famiglia è una criticità, perché la famiglia non vede l’assistente sociale come un alleato, bensì come quello che gli ha portato via il figlio. Ebbene, una proposta che ci hanno fatto è quella di avere assistenti sociali che seguono il progetto sulla famiglia che non coincidano con quelli che seguono il minore. Vorrei sapere se questa opzione è praticata o è praticabile e se avrebbe grosse incidenze sui costi e sull’organizzazione.

    Ultimo tema. Vorrei sapere se, oggi, secondo voi, assistenti sociali e risorse per assistenti sociali e psicologi sono adeguate o andrebbero potenziate rispetto alle necessità.

     

    Presidente BOSCHINI. Allora le domande comuni per tutti sono su formazione soprattutto rispetto a queste eventuali metodiche, la divisione fra assistente sociale che affianca o che fa l’operativo dell’esecuzione dei decreti giudiziari e l’adeguatezza delle risorse. Queste sono le domande per tutti. Poi ci sono due domande specifiche sull’organizzazione territoriale di Reggio Emilia e per l’AUSL Romagna sull’adesione al CISMAI e sul corso specifico. Prego, direttore Nicolini.

     

    Dott. NICOLINI. Buongiorno, consigliere Facci. La conosco finalmente.

     

    (interruzione)

     

    Dott. NICOLINI. Per me no. Cercherò di dare le risposte nel tempo che sia il più corretto possibile.

    Partiamo dalla check-list Masi, perché lei ha fatto riferimento al 10 maggio. Era il 10 maggio 2016. Ci terrei a dire che è impreciso dichiarare che la check-list sia stata compilata dall’Azienda USL, perché è stata compilata dai due coordinatori del Coordinamento abuso e maltrattamento della CTSS. Questa è, perché l’Azienda risponde dell’Azienda. La CTSS è composta, sì, da professionisti, ma ci sono tanti altri.

    In quella check-list venne chiesto se c’era essenzialmente il secondo livello, e penso di aver dato una risposta. Nel 2008, la CTSS decise di non creare un secondo livello, ma di portare una sorta di secondo livello nei distretti, attuato in questo modo: l’Unità di valutazione multidimensionale, come prevede, tra l’altro, la legge regionale, mantiene comunque la segnalazione, ma vengono interpellate competenze superiori, che possono essere un medico legale, un neuropsichiatra infantile eccetera, che in qualche modo intervengono quando ci sono casi di particolare complessità, compresa la tutela giuridica eccetera, eccetera. Questa è stata la prima risposta.

    Con riferimento alla seconda risposta sulla psicoterapia, vorrei chiarire che siamo sei distretti e il riferimento a “Hansel e Gretel” è riferibile a un solo distretto, non agli altri cinque – per questo è stato detto: psicologo aziendale negli altri cinque distretti –, e faceva riferimento all’epoca, perché siamo a maggio 2016, quando ancora non era partito il progetto “La Cura”, che parte a settembre 2016, a due casi molto complicati, che erano stati inviati direttamente a Torino perché c’era una complessità estremamente importante. Per cui, chi compilò quella check-list – torno a dire che erano i coordinatori del coordinamento CTSS – emise questa risposta.

    Sul discorso della formazione, terrei separato “Hansel e Gretel” dall’EMDR, perché sono due cose diverse. Una è una metodica che è stata riconosciuta dall’OMS, che serve per la riabilitazione del trauma infantile, non necessariamente dell’abuso. Questa è stata fatta con l’associazione EMDR Italia, non è stata fatta con “Hansel e Gretel”, e lì sono stati formati quindici psicologi, cosa che, tra l’altro, abbiamo dichiarato nelle richieste articolo 30 che sono arrivate.

    La formazione “Hansel e Gretel”, invece, ha formato sei psicologi dell’Azienda USL sulle metodiche di approccio anche di tipo psicoterapeutico. Perché? Perché all’epoca noi chiedemmo – lo potrà dichiarare meglio la dottoressa Gildoni, che è il nostro direttore della neuropsichiatra infantile – a “Il Faro”, che era l’unica struttura pubblica regionale, di venirci a fare la formazione. D’altronde, noi avevamo, sì, formati due psicologi che provenivano da quei servizi materno-infantili che si erano occupati di affido, abuso e adozioni, ma erano in uscita pensionistica (uno era il dottor Pascarella) e di fronte al numero di casi che stavano emergendo c’era la necessità di fare una formazione più estesa. Quindi, vennero attivate le formazioni che abbiamo rendicontato, ma noi abbiamo attivato dei plurimi interpelli, non è che abbiamo chiamato “Hansel e Gretel”. Noi abbiamo attivato dei plurimi interpelli, ai quali “Hansel e Gretel” si è presentata.

    Detto questo, io questo l’ho dovuto leggere dalle carte, perché lei comprende che un’Azienda che fa 1.550 interventi formativi annui – 1.550 interventi formativi – non è che li discute in direzione generale uno a uno. Quindi, questo è quello che ho ricostruito attraverso la documentazione che è stata richiesta.

    La dottoressa Gildoni potrà essere più precisa rispetto alle motivazioni e al fatto che effettivamente le risorse, con delle competenze formate su una materia che è molto pesante… Io non l’ho sentito dire da nessuno, per cui lo dirò io, prendendomene la responsabilità: non è una materia che gli psicologi hanno una gran voglia di approcciare, perché vanno attorno a famiglie multiproblematiche, a problematiche di separazione. Il dottor Pascarella l’ha detto: i tre morti che sono avvenuti in Tribunale a Reggio Emilia sono avvenuti per una separazione conflittuale, con i bambini che venivano tenuti.

    Quindi, EDMR è una cosa, “Hansel e Gretel” è un’altra cosa e il master è un’altra cosa ancora, perché nel master non abbiamo docenti e non abbiamo finanziato nulla. Il master, che pare gestito da Auxilium Università Pontificia, che onestamente, nonostante abbia fatto ventisette anni di università, non so dove sia, è a Reggio Emilia, ma non nelle nostre sedi, e noi non diamo docenti. Quando ci è stato chiesto se i nostri operatori potevano partecipare al master a nostro costo di azienda, noi abbiamo detto di no, e abbiamo detto di no in tempi non sospetti.

    Ultimo, ma non ultimo, mi sento di dire, perché penso di essere una persona onesta, che “Hansel e Gretel”, quando parliamo degli anni 2014, 2015, 2016 e 2017, non mi pare che avessero uno stigma e potevano partecipare. Per esperienza, io ho le check-list nere sul sospetto di mafia eccetera, eccetera, per cui questi potevano partecipare a tutti gli interpelli. Non c’era motivo di escluderli. Qualcuno mi deve spiegare perché negli anni 2014, 2015 e 2016, di fronte a qualcuno che si presenta a un plurimo interpello, noi avremmo dovuto escluderli. Su quale base? Mi risulta che abbiano lavorato in altri territori, che abbiano lavorato in altre regioni. Io non so se sia vero, ma mi risulta che siano stati anche consulenti della Magistratura. So che “Hansel e Gretel” si presentarono a degli interpelli e vinsero l’interpello. Tutto lì. Non è che ci sia dietro chissà che cosa.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Mi pare che a questa domanda abbia già risposto.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Certo, si può esplicitare, ma mi pare implicito nella risposta.

     

    Dott. NICOLINI. Oggi è qui presente il direttore della nostra neuropsichiatria infantile e potrà dire quali sono gli sviluppi e le prospettive. Terrei a dire che nel nostro sistema viene proposta una formazione, la formazione viene valutata da un ufficio, viene portata in budget, perché chiaramente ci vogliono anche i soldini per sostenerla, però l’aspetto tecnico e scientifico non è certo gestito dalle direzioni strategiche. Probabilmente la direzione di struttura complessa della neuropsichiatria infantile potrà essere più precisa relativamente a questo tipo di formazione.

    Sulla formazione sanitaria noi stiamo continuando. Sembra che sia passato inosservato il ragionamento di aver fatto venticinque giornate di formazione agli operatori ospedalieri, il che ha voluto dire mettere in aula e fare formazione a pediatri, ortopedici, medici dell’emergenza-urgenza, radiologi eccetera, eccetera, perché i quaderni sanitari inducono il sospetto di abuso e maltrattamento nel momento in cui ci sono sintomi difficilmente spiegabili.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Non so se l’AUSL della Romagna vuole rispondere per la sua parte. Prego.

     

    Dott. TAMAGNINI. Prima di tutto l’informazione che lei ha dato non è corretta, nel senso che la lezione del 20 settembre della dottoressa è stata disdetta. Immediatamente, appena sono venuto a conoscenza dei fatti, ho dato mandato. Quindi, probabilmente lei ha avuto una brochure in cui era ricompresa questa cosa, però poi la lezione non si è tenuta.

    Per quanto riguarda la formazione dell’Azienda USL della Romagna, i dati che abbiamo diffuso dicono che, negli ultimi dieci anni, in tutta l’Azienda USL della Romagna sono state destinate somme pari a circa 12.000 euro ad associazioni che erano oggetto delle interpellanze. Questo prima, logicamente, che venissimo a conoscenza del coinvolgimento dell’associazione “Hansel e Gretel”.

    Per quanto riguarda il CISMAI, ci sono alcuni dipendenti dell’Azienda USL della Romagna che pagano una quota associativa al CISMAI. Il CISMAI è un ente che ha collaborato con Istituzioni pubbliche diverse e, quando queste persone hanno pagato le quote associative, non eravamo a conoscenza di nessuna delle contestazioni che oggi vengono poste.

    Riguardo alla formazione, faccio fatica a rispondere a questa domanda, perché abbiamo sempre posto molta attenzione prima e la continuiamo a porre, continuiamo a ragionare logicamente avendo un ventaglio diverso di persone che vengono a formare i nostri professionisti e cercando sempre di fare una ricerca su ognuno degli enti che poi ci formano rispetto a quella che è la loro storia e la qualità degli interventi che abitualmente portano anche a livello formativo.

    Rispetto alla necessità o all’idea di poter scindere le figure che si occupano di allontanamento, parlando di assistenti sociali, rispetto alle figure che, invece, seguono il contesto familiare, credo che questo necessiterebbe di un approfondimento estremamente dettagliato. È difficile dare una risposta a un tema così importante.

    Mi limito a dire – badate, questa non è una posizione dell’Azienda, è una posizione mia – che personalmente ritengo che anche l’allontanamento da un contesto più familiare debba, comunque, essere letto, con quella famiglia, come un percorso a favore della tutela dei minori e non come qualcosa che arriva dall’esterno. Quindi, probabilmente inserirlo in una continuità di intervento, se ben gestito, credo che non crei conflitti rispetto anche alla stessa figura professionale. Ripeto, è una risposta personale, che mi rendo conto forse è approssimativa. Magari occorrerebbe dare evidenza anche della dichiarazione che faccio. Comunque, può essere un tema da approfondire. Devo essere sincero: alcune volte, all’interno dei nostri contesti, negli incontri che abbiamo periodicamente nei coordinamenti con gli operatori, questo tema è stato posto, a volte però è stato posto più in termini di sicurezza, e mi spiego. L’operatore che continua a seguire quella famiglia è sicuro se è lo stesso che ha agito anche l’allontanamento? Logicamente, siamo disponibili a ragionare anche su questo.

     

    Presidente BOSCHINI. Ferrara vuole aggiungere qualcosa? Io vedo che si sono iscritti, dopo la mia linea finale, i colleghi Galli, Delmonte e Facci.

    Sapete cosa diceva Rousseau? Lo citiamo a vantaggio di tutti. Diceva: io non conosco l’arte di essere chiaro per chi non sa essere attento. Avevo già detto che la linea era finita. Comunque, per assoluta cortesia personale concedo la possibilità di porre altre domande, ma devono essere veramente telegrafiche, perché siamo assolutamente fuori dai tempi. Vi chiedo di essere puntuali, altrimenti vi tolgo la parola. Non sto scherzando. La parola al collega Facci per una precisazione, poi ai colleghi Galli e Delmonte.

     

    Consigliere FACCI. Prendo atto delle risposte che mi ha dato il dottore Tamagnini, ma tengo a precisare che non ho letto una brochure dell’evento, ho avuto una risposta dagli uffici in data 23 settembre, in cui mi hanno dato il programma, con le varie date. Poi non so se la risposta della Direzione generale Cura della persona, salute e welfare della Regione non era aggiornata con la vostra revoca. Comunque, se l’avete fatta, l’avete fatta forse pochi giorni prima.

     

    (interruzione)

     

    Consigliere FACCI. Parlo della revoca dell’incarico. Ripeto, ho avuto la risposta il 23 settembre, con le tre date, compresa quella del 20 settembre. Solo per spiegarmi.

     

    Presidente BOSCHINI. Perfetto. Grazie. Prego, collega Galli. Vi prego, sempre puntualissimi.

     

    Consigliere GALLI. Sarò brevissimo. Vi è una domanda che, secondo me, è alla base di molti equivoci, e uso il termine “equivoci” nel senso positivo della parola. È vero, negli anni 2014, 2015 e 2016 chi ha sponsorizzato “Hansel e Gretel” o l’ha chiamato a convegni o ne ha chiesto la collaborazione con le Istituzioni probabilmente l’ha fatto in buonafede e poteva non saperlo. Voi avevate davanti un’organizzazione e delle persone che non erano marcati da interdittive o da bollini che potessero richiamare una qualche attenzione. Tuttavia, c’erano i numeri che parlavano. Come avete fatto a non accorgervi che da questa associazione c’erano tante lamentele, tanti problemi e, soprattutto, che dove operava immediatamente saltava in aria qualunque tipo di percentuale, qualunque tipo di parametro, soprattutto con differenze tra provincia e provincia, tra realtà e realtà, tra Unione e Unione? Dovevate accorgervi per forza che quella ONLUS, Hansel e Gretel, aveva qualcosa che non andava. Secondo me è questa la vera domanda. Non li ho qui sottomano, ma ci sono parametri completamente sballati. Come avete fatto a non accorgervene? La buonafede credo che ci fosse nella stragrande maggioranza degli operatori e anche dei colleghi che andavano in giro a sponsorizzare.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego, collega Delmonte.

     

    Consigliere Gabriele DELMONTE. La mia domanda è molto tecnica. Non conosco la risposta, per questo approfitto della conoscenza e dell’esperienza di chi è oggi presente, in generale, non specifica su uno di voi.

    Abbiamo visto, all’interno di questo percorso di Commissione, un oscillare di costi sulle sedute psicoterapeutiche. A volte vengono pagate 80, a volte 120, a volte 135, a volte 180. Vorrei solo capire tecnicamente qual è il processo decisionale all’interno delle aziende sanitarie o delle Unioni ‒ molto spesso c’è una compartecipazione dei costi, soprattutto nel caso specifico dell’Unione Val d’Enza ‒ che porta alla valutazione dell’idoneità del costo della seduta psicoterapeutica e se questo viene messo in correlazione con dei benchmark, con qualunque altra tipologia di parametro. Davvero non lo so e non capisco che cosa differenzi, per ignoranza mia, una seduta psicoterapeutica da 80 da una da 180. Cercavo di capire il vostro criterio di valutazione e il processo decisionale all’interno dell’azienda.

     

    Presidente BOSCHINI. Ottima domanda. Ha recuperato dal ritardo.

    Chi vuole rispondere? Immagino di nuovo Reggio, per la risposta al consigliere Galli.

    Per le domande del collega Delmonte, decidete voi chi deve rispondere. Prego.

     

    Dott. NICOLINI. Quando si organizza una formazione, solitamente ci sono procedure interne a un’azienda: c’è un responsabile scientifico che dice perché bisogna fare quella formazione e quali sono gli obiettivi della formazione. Poi c’è una valutazione, si fa una sorta di appalto, un interpello in cui si dice: “Noi vogliamo fare questa formazione e abbiamo bisogno di portare a casa questi obiettivi. Chi ha i titoli per partecipare?”. Dentro i titoli, chiaramente, vengono portate le esperienze che uno ha già fatto (dove ha già fatto formazione, eccetera). Non c’è un indicatore di valutazione rispetto alla ricaduta sul territorio di quella formazione. Penso siano dati che, nell’ambito di un percorso di valutazione di un appalto o di un affido, non abbia nessuno. Io non ho mai visto assegnare una gara dicendo: “C’è scritto sul web che quell’associazione ha fatto questo, questo o questo”. Per me l’associazione scelta aveva i titoli per partecipare alla gara, non aveva nessuna interdittiva e aveva probabilmente risposto a tutti i criteri che l’appalto richiedeva. Dopo, per l’amor di dio, con il senno di poi... Ricordo che fino a pochi mesi prima Hansel e Gretel continuava a essere...

    Sui numeri chiariamoci. Nessuno ha mai negato che quei numeri fossero elevati. Sono stati portati anche in sedute molto importanti. C’era un’interpretazione su quei numeri. L’interpretazione era essenzialmente che si stava intercettando un fenomeno sommerso in quel territorio che ci portava verso percentuali che coincidevano con le percentuali europee, con le percentuali inglesi, eccetera.

    Per l’amor di Dio, siccome gli allontanamenti sono comunque bollinati dal Tribunale dei minori, non penso fosse un compito della ASL metterli in discussione, anche perché noi entriamo nell’ambito quando vengono definiti i casi complessi, in cui noi abbiamo una compartecipazione al 50 per cento. I numeri che sono stati dati per l’azienda 2016-2018 (abbiamo risposto a un articolo 30, quindi sono a disposizione di tutti) dicono che i casi che erano in istituto, i casi accolti in comunità di accoglienza sono passati da 41 a 81 nel giro di due anni, quindi quelli sono raddoppiati, mentre i casi di allontanamento con affido familiare sono passati da 24 a 32, con un incremento di 8 casi in due anni, pari al 33 per cento, che dal nostro punto di vista ci esponeva economicamente. Noi a budget vedevamo che c’era un incremento della spesa. La dottoressa Gildoni spiegherà ancora meglio quali erano le dinamiche.

    I costi della psicoterapia. Noi non abbiamo rimborsato costi di psicoterapia ad Hansel e Gretel. Noi non abbiamo mai avuto un rapporto diretto con Hansel e Gretel. C’era un affido omnicomprensivo in cui veniva riconosciuta una compartecipazione al 50 e le famiglie affidatarie potevano scegliere di andare in forma privata, pagando le tariffe della forma privata. È come se lei mi chiedesse: “Quant’è il costo di una visita specialistica ortopedica a pagamento?”. Io le potrei dire che nella nostra azienda uno se la cava con 100 euro oppure che, addirittura, ci vogliono 800 euro. Questa è una dinamica che non competeva a noi. Non eravamo noi che rimborsavamo. C’era un affido omnicomprensivo e la famiglia faceva questa scelta. Tra l’altro, io l’ho imparato molto tardivamente. Quando si discusse di questo progetto, Hansel e Gretel per noi doveva avere un ruolo sulla formazione e sulla supervisione dei casi complessi, non sulla psicoterapia a pagamento. Io personalmente non ne ho assolutamente conoscenza, ma questo non ha molta importanza...

     

    (interruzione)

     

    Dott. NICOLINI. Che io non ne fossi a conoscenza?

     

    (interruzione)

     

    Dott. NICOLINI. Il fatto può essere importante. Se c’è una Commissione d’inchiesta, penso che sia assolutamente rilevante. Che però si attribuisca all’ASL il discorso di pagare una tariffa superiore di psicoterapia, questo no, perché quello è un rapporto in ambito privatistico, quindi le tariffe che venivano applicate erano le tariffe che evidentemente questi professionisti richiedevano, ma non c’era un nostro sistema di controllo su quella cosa lì, perché non era mica roba nostra.

     

    (interruzione)

     

    Dott. NICOLINI. In che senso?

     

    (interruzione)

     

    Dott. NICOLINI. Certo. È come se lei ci chiedesse i tabulati sui nostri introiti della libera professione. Se ci fosse un caso di questo genere lei troverebbe delle variazioni di tariffe in ambito libero-professionale interne all’azienda. Quella è una roba totalmente fuori, che noi non rimborsavamo. Non avevamo noi il controllo dei costi orari che loro applicavano. Se io le facessi vedere il costo orario di una prestazione fatta da un nostro professionista di qualsiasi disciplina noterebbe una variabilità enorme, ma legata alla competenza, al branding, alla possibilità che hanno questi di essere appetibili e fidelizzati sul personale.

     

    Presidente BOSCHINI. Penso che questa risposta sia esaustiva per tutti.

    Vi ringraziamo sentitamente. Vi abbiamo fatto aspettare. Vi abbiamo sicuramente trattenuto a lungo. Grazie mille per questo vostro contributo.

    Io proporrei di interrompere un minuto nel cambio, anche per fare un cambio d’aria. Davvero un minuto, perché abbiamo ancora due audizioni.

     

    (La seduta è sospesa)

     

     

    -     Audizione di Simona Chiodo direttrice UONPIA AUSL Bologna, Gabriela Gildoni, direttrice UONPIA AUSL Reggio Emilia e Giustino Melideo, direttore UONPIA Forlì, AUSL Romagna

     

    -     Eventuale dibattito e discussione

     

    Presidente BOSCHINI. Visto che non riusciamo a ricomporre completamente l’audizione, e non potendo abusare oltre della pazienza, che è già stata tantissima, e la ringraziamo per questo, della dottoressa Simona Chiodo, direttrice dell’Unità operativa neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’AUSL di Bologna, procederei.

    Se ci raggiungono le altre neuropsichiatre invitate, sicuramente le inseriamo in corso di seduta.

    Procederei senz’altro con l’audizione della dottoressa. Non so se la dottoressa vuole introdurre qualcosa o se preferisce rispondere alle nostre domande.

    Chiedo ai consiglieri presenti se abbiamo domande da porre rispetto al funzionamento della neuropsichiatria.

    Chiedo subito una cosa. Vorremmo capire un pochino meglio i rapporti con il centro Il Faro, quindi la natura di questo centro, la collaborazione che si svolge, la sua natura di secondo livello. Potremmo partire da qui, dottoressa. Grazie.

     

    Dott.ssa Simona CHIODO, direttrice UONPIA AUSL Bologna. Buonasera.

    Il Faro è il centro di secondo livello collocato presso l’azienda di Bologna e svolge diverse funzioni. Intanto, è un centro multiprofessionale che vede impegnati in questa attività un neuropsichiatra infantile, più psicologi, un assistente sociale, un educatore e rappresenta per l’area metropolitana un punto di riferimento proprio per il tema che trattiamo. Svolge diverse attività, tra cui la supervisione per i casi complessi di bambini che hanno subìto maltrattamenti o traumi di varia natura, così come funzioni terapeutiche dedicate sia al bambino che alla famiglia e anche azioni diagnostiche. Questo è in sintesi estrema.

     

    Presidente BOSCHINI. Le posso chiedere anche se c’è un legame di convenzione, che tipo di rapporto...

     

    Dott.ssa CHIODO. È un servizio dell’azienda, quindi...

     

    (interruzione)

     

    Dott.ssa CHIODO. Esattamente.

     

    Presidente BOSCHINI. Ci sono altre domande per la dottoressa, che ‒ lo ricordo per chi è entrato adesso ‒ è la responsabile della neuropsichiatria infantile di Bologna? Collega Facci, prego.

     

    Consigliere FACCI. Dottoressa, buongiorno. Le rivolgo alcune domande.

    In questa Commissione abbiamo ascoltato varie figure professionali e le espressioni di varie realtà. Nel fare il quadro di tutta questa materia complessa, indubbiamente, quello che balza agli occhi, anche partendo dalla vicenda oggetto delle indagini, quindi dal “fatto Bibbiano”, per poter poi fare valutazioni su tutto il territorio regionale, quello che emerge, dicevo, è come ci siano questi coinvolgimenti di soggetti, in questo caso privati, per esempio come Hansel e Gretel o come la SIE, la società Sviluppo intelligenza emotiva Srl, che comunque fa sempre capo al gruppo Hansel e Gretel, da parte del Servizio sanitario regionale, nonostante vi siano eccellenze sul territorio. Lei parla di Bologna e penso al Faro di Bologna.

    Nella precedente audizione il dottor Nicolini, che ha spiegato molto bene la sua realtà, la realtà di Reggio, a fronte di una osservazione più o meno analoga a quella che faccio adesso, ha detto: “Noi, in fin dei conti, abbiamo interpellato tutti”. Sono stati interpellati tutti, ma in realtà, alla fine, si sono fatti avanti loro o sono stati migliori di altri. Vorrei capire un punto, secondo la sua esperienza in una materia così complessa, in cui sappiamo esistere approcci metodologici differenti. Penso alla ormai annosa querelle tra scuola CISMAI e scuola non CISMAI, scuola SINPIA e Carta di Noto, eccetera. Abbiamo ormai avuto contezza che vi sono metodi differenti. Qual è la vostra esperienza nella gestione di queste diverse impostazioni? Perché poi va a cascata. Se l’ASL Romagna ‒ dico l’ASL Romagna perché l’abbiamo appena incontrata; ma non solo, anche a Reggio Emilia è successo ‒ vi sono corsi di formazione per operatori professionali, a vari livelli, gestiti da esponenti di scuole di pensiero di un certo tipo, naturalmente i formati tenderanno a replicare e ad adottare questa metodologia.

    Vorrei capire la sua esperienza in merito e se, secondo lei, può esistere un equilibrio e un punto di caduta per evitare che ci siano estremizzazioni. La mia opinione personale è che Bibbiano sia la punta di un iceberg, che sia stato estremizzato un metodo. Si tratta di una valutazione tutta mia. Credo ci sia di base una serie di impostazioni che possono permettere, in un’ottica di maglie larghe, questo tipo di approccio. Vorrei capire, secondo la sua esperienza, se questa discrezionalità, che mi pare di capire vi sia nel servizio sanitario regionale, quindi nel pubblico, di ricorrere anche a coinvolgimenti privati possa portare a delle storture e a delle problematiche. Grazie.

     

    Presidente BOSCHINI. Nel frattempo, ci hanno raggiunto, e li ringraziamo, Gabriela Gildoni, direttrice della neuropsichiatria infantile dell’AUSL di Reggio Emilia, e Giustino Melideo, direttore della neuropsichiatria infantile di Forlì. Ci scusiamo con loro, come con la dottoressa Chiodo, perché sappiamo di avervi fatto attendere molto. Siamo fuori tempo massimo. Giustamente, si erano allontanati un secondo. Ne avevano assolutamente diritto.

    Penso che la domanda sia chiara. Vero? Anche se l’avete colta più nella sua seconda parte che nella prima, mi sembra assolutamente chiara. Se anche voi volete partecipare a questa risposta, insieme alla dottoressa Chiodo, vi ascoltiamo molto volentieri.

    Diamo prima la parola alla dottoressa Chiodo e poi ascoltiamo anche le altre risposte. Prego.

     

    Dott.ssa CHIODO. Sarò molto sintetica, per ricordare un punto centrale a cui teniamo molto nell’azienda di Bologna, come neuropsichiatria infantile. Abbiamo ben inteso che la cura, specie nei casi complessi, deve essere assolutamente sotto la responsabilità del servizio sanitario che corrisponde a questo. In maniera lineare, con questa filosofia tentiamo sempre, quando decidiamo un approccio, di avere molto chiaro un approccio evidence-based, quindi sulla base delle linee di riferimento aziendali. A Bologna in particolar modo è da diversi anni che ci siamo interrogati proprio per riallineare e rendere sempre più specializzata l’offerta di cura, evitando di delegare a terzi un’offerta di cura che, invece, spetta al servizio locale.

    Su questo abbiamo anche definito alcuni protocolli, che tendiamo a rendere comuni in tutte le realtà che fanno parte del nostro sistema di cura, in modo che ci siano sia nel percorso diagnostico che nel percorso terapeutico delle linee condivise da tutti gli operatori che operano nella nostra azienda. Questo pensiamo sia un elemento assolutamente a tutela dell’infanzia. Sappiamo quanto sia importante non ingenerare confusione su questo punto. Questo in sintesi estrema, insomma.

     

    Presidente BOSCHINI. La risposta mi sembra corretta. Non so se anche la dottoressa Gildoni vuole integrare.

     

    Dott.ssa Gabriela GILDONI, direttrice UONPIA AUSL Reggio Emilia. Mi scuso se siamo arrivati un po’ in ritardo. Effettivamente ci eravamo un po’ azzardati.

    Lei parlava da un punto di vista di interventi in base a delle linee di indirizzo, dei documenti di riferimento che possono essere la Carta di Noto oppure il documento del CISMAI in base alle linee di indirizzo rispetto alla tematica dell’abuso e maltrattamento.

    Intanto dobbiamo dire che noi siamo dei servizi sanitari. Siano dei servizi sanitari che comunque danno priorità a un intervento che è la cura del minore. Laddove il minore ha una necessità di intervento, noi dobbiamo intervenire. Come diceva la dottoressa Chiodo, facciamo riferimento a una serie di indicazioni e a una serie di indirizzi che sono importanti.

    Rispetto al discorso delle situazioni di abuso e maltrattamento, indubbiamente la situazione diventa estremamente complessa laddove il racconto di un minore può essere l’unica prova che può dare adito a un percorso processuale che possa avere determinati fini.

    La Carta di Noto è un documento di grande riferimento per far sì che tutto il percorso peritale e processuale possa avere un’evoluzione adeguata.

    I documenti del CISMAI rispetto a questo tengono di più, però, in riferimento a un discorso della cura. Questo perché? È un problema annale con il quale, purtroppo, spesso e volentieri dobbiamo fare i conti laddove sicuramente il racconto del minore deve essere tutelato affinché il percorso della magistratura venga a fare il giusto suo percorso e porti un esito adeguato. Però, è anche vero che il fatto di avere un minore con cui ci confrontiamo, che non sta bene, ci porta a trovare una modalità di intervento, che non è solo quella di protezione.

    È sicuramente quello di protezione e l’intervento è un intervento globale, perché l’intervento globale significa poter dare un accompagnamento e un sostegno a tutto quello che viene a essere attivato intorno al minore. Il fatto che gli adulti possano essere adeguatamente protettivi, possano essere seguiti, possano essere comunque sostenuti in questo percorso è altrettanto importante e fa parte, anche questo, di un percorso di cura.

    Il documento del CISMAI sottolinea il fatto di avere, giustamente, in mente come diagnosi differenziale che esista anche un discorso di abuso o di maltrattamento laddove c’è una sintomatologia che normalmente non è specifica, è aspecifica. Però, è un elemento con il quale dobbiamo comunque confrontarci. Sono due documenti di riferimento con i quali dobbiamo sicuramente avere un punto. Avere delle procedure all’interno di ogni territorio, che possano permettere di avere dei percorsi definiti anche con le forze dell’ordine e anche con la magistratura, può permettere sicuramente una facilitazione. L’ascolto del minore indubbiamente è un qualcosa che va tutelato per far sì che non debba essere reiterato un momento che può essere critico per il minore. Sono due aspetti. Uno è sicuramente un aspetto di cura, che è sicuramente un nostro dovere, un nostro importante impegno e l’altro è capire come il percorso peritale possa avere il suo sviluppo in maniera adeguata.

     

    Presidente BOSCHINI. Dottor Melideo, vuole aggiungere qualcosa su questo?

     

    Dott. Giustino MELIDEO, direttore UONPIA Forlì, AUSL Romagna. Dico qualcosa anch’io.

    Mi scuso, come la collega. Purtroppo. c’era un bagno occupato che continuava ad essere occupato, e questo spiega il ritardo con il quale siamo arrivati.

    È una materia molto complessa, oltre che complessa, difficile. È difficile avere a che fare con l’abuso sui minori, con il trattamento e comunque con tutta la traumatologia dell’infanzia perché sono aspetti che coinvolgono emotivamente, oltre che le persone interessate, anche gli operatori che lavorano in questo campo. Anche la tutela di questi operatori è uno dei nostri argomenti.

    La struttura pubblica non dovrebbe fornire un solo trattamento, ma dei trattamenti. D’altra parte, tutto ciò che diventa monocultura di per sé diventa sospettabile e comunque deve essere visto con qualche diffidenza. Dico questo anche un pochino cercando di sminuire… Non vorrei essere compreso male, ma le linee guida, le linee di indirizzo – le linee guida sono impropriamente chiamate così – arrivano fino ad un certo punto. Sono a disposizione di professionisti, ma sono professionisti, per quello che mi riguarda, che hanno alle spalle sei anni di medicina, quattro o cinque anni di specializzazione. Io ho iniziato con il PM di Bologna, il dottor Matarazzo, subito dopo l’emanazione della legge con Forno, e Foti era uno di quelli della partita. Gli argomenti si sono evoluti rispetto a quel periodo. Le nostre conoscenze in questo ambito non sono sempre esaustive, non sono sempre esaurienti. Per cui, quello che dice uno, quello che dice l’altro a volte non è neanche confrontabile.

    Penso che, per esempio, la Carta di Noto e gli altri indirizzi, gli argomenti e gli aspetti di cui ci si occupa non sono sempre sovrapponibili. Qualcuno si occupa più del percorso giudiziario, qualcuno più della presa in carico. Però, non è questo.

    Queste linee guida non sono delle linee guida, anche se uno è libero di indicarle come tali. Soprattutto adesso che queste per chiamarsi così devono avere l’imprimatur del Ministero, sono diventate una cosa complicatissima. L’iter per arrivare a una linea guida non è meno di due anni e mezzo adesso. Ci sono degli iter molto sofisticati, forse anche troppo, ma adesso non è questo l’argomento.

    Stamattina sentivo alla radio dell’arresto di un papà per maltrattamenti sul minore, (…omissis…). A (…omissis…) è successa questa cosa. Sentivo la notizia alla radio, quindi non ho elementi, ma mi serve come modello. La cosa è stata scoperta dagli inquirenti dopo una segnalazione, dopo un sospetto che avevano avuto i medici del pronto soccorso che avevano visto questo bambino. Il bambino poi è stato rimandato a casa. Dopo venti giorni c’è stato l’arresto, dopo che erano stati acquisiti altri elementi. Pensate a quel medico di pronto soccorso che ha rinviato il bambino a casa. Io non avrei voluto trovarmi in una situazione del genere. Lì non ci sono linee guida. Lì c’è tutt’altro che una linea guida. Se non l’avesse rimandato probabilmente ci sarebbero stati subito degli atti giudiziari, ma probabilmente questo avrebbe compromesso l’accertamento della verità e il bambino sarebbe tornato a casa. Invece, rimandandolo a casa si è assunto un rischio. Il professionista si è assunto il rischio del quale dopo avrebbe dovuto discolparsi. Io sono stato in tribunale sul penale perché uno fa una scelta oppure ne fa un’altra. Qui bisogna capire. È una cosa molto difficile avere a che fare con queste situazioni. Non c’è niente di leggero in queste situazioni.

    Il fatto delle unità multifunzionali non è tanto perché c’è quella competenza o quell’altra. Queste comunque sono competenze accessibili in qualsiasi momento. È il fatto che si mettano insieme delle teste che hanno condiviso, dal punto di vista anche emotivo, queste situazioni. Questo deve essere garantito. La garanzia assoluta che non si facciano errori non c’è. Questa non ci potrà mai essere. Aumentiamo i livelli di controllo? Si può, ma non è detto. Naturalmente bisogna tenere in mente che aumentare i livelli di controllo vuol dire anche allungare certe sofferenze. Su questo non ci sono dubbi.

    Dicevo prima che quando ho iniziato – dopo ho smesso – ad occuparmi da vicino di queste cose… Ho smesso perché l’impatto emotivo non era trascurabile. Entrare in delle aule di tribunale e vedere da una parte il papà incatenato sono cose emotivamente molto, molto difficili. Però, le prime perizie le chiedeva il pubblico ministero, cosa che poi, andando avanti, si è capito che non era adeguato, non era appropriato. La perizia andava fatta solamente in sede di incidente probatorio, in quel momento, per non prolungare, ma soprattutto per non inquinare le eventuali fonti di prova o comunque per non suggestionare. Questa è una cosa molto difficile.

    C’è un libro di Simonetta Agnello Hornby, Vento scomposto, un romanzo, lei è una scrittrice italiana, di Palermo, che fa capire come questo problema non l’abbia risolto nessuno ancora. Non l’hanno risolto in Inghilterra, non l’hanno risolto in Francia. Secondo me, le modalità di approccio nostre… Naturalmente è tutto migliorabile, se bisogna parlare di livelli, ne parliamo. Io sono quasi alla fine, quindi ho vissuto di neuropsichiatria infantile e continuerò, probabilmente, per interesse, a vivere di neuropsichiatria infantile. Non faccio attività privata, quindi la mia visuale è quella. Però, sono delle cose molto difficili. È molto difficile lavorare con famiglie in cui ci siano prospettive all’orizzonte di questo tipo: allontanamento o non allontanamento, idoneità o non idoneità. Dico una cosa sola che riguarda la mia azienda, l’AUSL. Aver inserito questo percorso interamente dentro la neuropsichiatria infantile, che è una cosa discutibile, perché poi ci sono altre scelte che sono discutibili della mia azienda, credo sia stata una scelta azzeccata.

    La maggior parte di queste situazioni coinvolgono bambini, minori, portatori di quelli che noi chiamiamo fattori di rischio. Se noi facciamo la somma, che è una modalità molto grezza, molto primitiva di fare della prognostica, ma non abbiamo dei mezzi molto più sofisticati in questo momento, facendo la somma dei fattori di rischio, tanto per dare un’idea, un fattore di rischio è la povertà, un altro è la separazione conflittuale dei genitori, ma ce ne sono anche di più immediati, un genitore disabile, ma può essere anche un trasloco, lo sradicamento, quella è popolazione nostra, è popolazione delle neuropsichiatrie infantili. Anche tutta questa separazione tra qualcosa che è esclusivamente tutela e qualcosa che invece… La vedo poco, mi sembra che sia…

    Noi ci occupiamo di queste situazioni in toto. Non so se ho risposto.

     

    Presidente BOSCHINI. Sì, certamente. Ho iscritti i consiglieri Calvano e Callori. Collega Calvano, prego.

     

    Consigliere Paolo CALVANO. Grazie, presidente. Grazie ai nostri ospiti.

    Faccio una domanda che abbiamo posto anche in altre audizioni. Nella legge del 2008 si fa riferimento all’articolo 18, all’intervento dell’équipe di secondo livello di fronte a casi particolarmente rilevanti o che denotino questa necessità. Nella legge, all’epoca, fu inserita come una previsione facoltativa e volontaristica da parte delle conferenze sociosanitarie e territoriali. Ritenete, a vostro avviso, che sarebbe probabilmente opportuno modificare la legge e rendere più cogente il ricorso a équipe di secondo livello in presenza di casi in cui si prevede l’allontanamento?

     

    Presidente BOSCHINI. Prego. Non so chi vuole rispondere.

     

    Dott. MELIDEO. Comincio io. Pensavo a questa cosa, perché naturalmente, prima di venire qui, mi sono visto gli argomenti che potevano essere oggetto dell’incontro e mi sono anche chiesto come mai questa cosa fosse stata messa in atto. In realtà, quando si pensa a dei secondi livelli, lì poi peraltro i secondi livelli erano previsti a livello provinciale, poi c’è stato un po’ un subbuglio, per esempio lì in questo momento sono il direttore di Forlì, ma ho anche l’interim di Cesena, perché addirittura lì c’erano due unità operative complesse. Credo che alla fine ne verrà fuori una, non lo so. Però, io la immagino così la cosiddetta organizzazione hub and spoke. Noi abbiamo bisogno di un server.

    Quando il livello inferiore, quindi in questo caso il primo livello, sente la necessità di avere un secondo livello al quale rivolgersi, al quale afferire per situazioni complicate, irrisolvibili o cose di questo tipo… Questo avviene, per esempio, per la neurologia infantile, avviene per l’autismo. In realtà, poi si è visto che non sempre è così. Mi riferisco all’autismo. Li si pensa come a dei livelli superiori in cui ci siano delle competenze più sofisticate. In realtà, qui le competenze sono delle competenze abbastanza diffuse. Quindi, diventerebbe un qualcosa alla pari. Questo, secondo me, ha ritardato. Poi, l’altro elemento è che è intervenuta la DGR 1102, che non ha realizzato un secondo livello, però, di fatto sì, e adesso vi dico come funziona, per esempio, nell’Area Vasta Romagna, come funzionano le UVM, ma comunque come funziona il sistema della tutela. Generalmente è il servizio sociale che ci attiva, ci fa una qualche richiesta. Questo avviene con le modalità formalizzate.

    La stessa 1102 prevede che ci sia un momento, uno spazio, che potremmo definire di triage, che è il gruppo filtro a cui partecipa generalmente il responsabile del servizio sociale minori dell’area o dell’associazione di Comuni interessata e generalmente il responsabile, il coordinatore della tutela dell’azienda.

    Molte volte questa cosa coincide con il distretto, ma non sempre. L’attività che fa è quella che dicevo prima, di valutare il caso, di valutare i fattori, quanti fattori di rischio esistono, quindi di stabilire anche una priorità o comunque il tipo di peso di quella situazione.

    Dopodiché, si forma quella che si chiama ETI, l’équipe territoriale integrata, a cui partecipano almeno l’assistente sociale referente del caso e lo psicologo referente del caso. Dico “almeno” perché, come succede molte volte – “molte volte” non vorrei quantificarlo, però sicuramente non raramente – se quel minore è già seguito, per esempio, dalla neuropsichiatria infantile non è che il neuropsichiatra infantile si mette al balcone e aspetta. Partecipa.

    Ci sono delle volte che ci chiedono relazioni, il tribunale chiede delle relazioni su un minore già seguito. Naturalmente viene interpellato l’operatore che già se ne occupa. Se, a seguito della istruttoria, nel corso della risposta ai quesiti posti dal tribunale e quant’altro, comunque – perché non è necessario che ci sia una richiesta del tribunale, questo può essere anche un caso giunto per altra via – si decide che c’è bisogno di un intervento o comunque c’è qualcosa che deve essere chiarito, si chiede che quel caso venga posto all’ordine del giorno dell’Unità di valutazione multiprofessionale. Molto spesso gli operatori arrivano già con un progetto.

    La 1102 non prevede solo l’inserimento, la residenzialità, ma prevede anche interventi educativi, domiciliari e anche l’inserimento in centri diurni. Peraltro, questo non vieta neanche che si possano redigere dei progetti. Dopodiché, il giorno che l’Unità di valutazione si riunisce, gli operatori generalmente discutono il caso con l’Unità di valutazione assieme al progetto. La cosa si può concludere con la ratifica, l’accettazione del progetto proposto dall’équipe, ma anche con un invito a rivedere la cosa.

    Io attualmente farei fatica a collocare cosa mettere dentro questo secondo livello. Prima parlavo delle carte, delle linee-guida: c’è un altro aspetto, quello dell’accoglienza dei sospetti di abuso. Ma molto spesso questo riguarda più che noi i pediatri di libera scelta, o molto spesso, il pronto soccorso ospedaliero, perché certi abusi arrivano in maniera “privilegiata” in queste sedi. Poi ci sono altri tipi di abuso: quello della violenza assistita, per esempio, un tipo di abuso i cui confini sono ancora non sicuramente definiti, o comunque non definiti in maniera ultimativa.

    È un argomento su cui riflettere, però attualmente l’idea che mi sono fatto è che se aumentiamo la complicazione di certi percorsi, aumentiamo anche le difficoltà di comunicazione, di scambio, che pure esistono.

     

    Presidente BOSCHINI. Prego.

     

    Dott.ssa GILDONI. Io le racconto come noi siamo arrivati a fare un percorso.

    Quando io ho avuto l’incarico di direttore, è stato un momento in cui anche il mio servizio ha avuto dei cambiamenti, ovvero: ci sono stati dei cambiamenti all’interno delle aziende dei Comuni, per deleghe e quant’altro, e fondamentalmente tutta quell’azione che veniva in un qualche modo portata avanti o dai distretti, oppure da un servizio di psicologia che ai tempi esisteva, si è un po’ ristrutturata. La funzione della tutela è stata fondamentalmente riassorbita dentro la neuropsichiatria infantile. Quindi, mi sono dovuta riorganizzare per trovare delle modalità adeguate di interazione ed integrazione.

    Noi abbiamo una provincia vasta, il cui distretto di Reggio Emilia rappresenta fondamentalmente la metà di tutto il territorio. Ci siamo quindi dati, anche in maniera sperimentale, di lavorare fondamentalmente su una riorganizzazione all’interno del distretto di Reggio Emilia, che portasse all’elaborazione di un accordo di programma. Questo lavoro dentro i piani di zona, portato avanti per aree, ha fatto avanzare di molto quel lavoro anche rispetto a tutta l’area dei minori e delle famiglie.

    Fondamentalmente è stata fatta un’analisi, una rivalutazione, sia dei dati, che comunque degli operatori. Sono state ridefinite le necessità, anche da un punto di vista organizzativo, e quindi anche di budget e di disponibilità da determinare e pianificare un’organizzazione. L’idea di arrivare a far sì che gli operatori del sociale e gli operatori sanitari lavorassero in forte integrazione era indubbiamente l’obiettivo fondamentale. Quindi, si è pensato organizzativamente di attivare in ogni polo, anche perché il territorio è suddiviso in poli sociali, quella parte di operatori sociali che si interessavano della tutela minori, con una parte di nostri operatori, quindi di psicologi, che si vedessero una volta al mese, con la figura del responsabile del polo sociale e la figura del responsabile della tutela minori.

    Non vi ho detto che comunque noi siamo suddivisi: io ho un’unica unità complessa su tutta la provincia, suddivisa in delle strutture operative chiamate semplici che sono distrettuali e che sono prettamente dei servizi a tutto tondo, di neuropsichiatria infantile; in più, ho altre due unità operative che sono una il Centro autismo, l’altra la Tutela minori, che ha una funzione estremamente di omogeneizzazione delle modalità degli interventi.

    Rispetto a questo, la presenza, quindi, del responsabile della tutela minori e del responsabile di quel polo, con gli operatori dedicati, sia sociali che sanitari, al discorso della tutela, in quel territorio faceva una rilettura delle situazioni, quindi anche delle richieste che venivano, faceva una prima rivalutazione della situazione e attivava quelli che diventavano interventi delle unità funzionali, minima, ovviamente formata dall’assistente sociale e dallo psicologo, e laddove possibile anche dall’educatore.

    Questo permetteva poi a questa piccola équipe di iniziare a lavorare. Quella équipe allargata era un’équipe già di riferimento, dove le situazioni più complesse venivano ovviamente rivalutate e riportate come un momento di ripianificazione. Gli accordi di programma di cui parlavo prima coinvolgevano più servizi della sanità. Noi parliamo di famiglie; come diceva prima, i fattori di rischio che noi dobbiamo considerare sono anche quelli della salute dei genitori, e non raramente abbiamo anche situazioni di genitori che hanno problemi sia da un punto di vista di malattie mentali, che da un punto di vista di tossicodipendenze. All’interno di questi accordi di programma, quindi, erano coinvolti anche i servizi della salute mentale degli adulti.

    A seconda della situazione, della complessità e delle difficoltà di queste situazioni, venivano attivati anche altri operatori che potevano essere non solo operatori della neuropsichiatria infantile, ma anche operatori o dei centri di salute mentale o addirittura dei SerT, per poter arrivare a definire un programma che portasse avanti un percorso fondamentalmente di sostegno a quel nucleo e di tutela del benessere del soggetto.

    Questo ha creato comunque dei punti di riferimento. Si è deciso di far coincidere il secondo livello con queste équipe, con il fatto di poter attivare soprattutto quelle figure specialistiche, che comunque avevano delle funzioni più trasversali dal punto di vista sanitario, laddove c’è la necessità di attivare un medico legale, laddove c’è la necessità di attivare una valutazione, anche di visite specialistiche, ovvero ginecologica, in modo da poter avere queste funzioni che potessero essere dedicate a supporto di queste équipe. Questo lavoro risale a prima del 2014, un lavoro che aveva già portato ad una condivisione operativa, ma anche di compartecipazione rispetto a determinate linee di indirizzo sulle spese.

    Tutto questo lavoro è stato portato in Regione. Nell’emanazione della 1102, che è stata fatta in Regione, una grossa parte di quella che era la collaborazione all’interno dell’integrazione sociosanitaria sulla tutela dei minori del nostro lavoro è stata riportata e ampliata. Questo ha fatto sì che comunque questa modalità dovesse essere integrata anche con tutti gli altri territori.

    Ovviamente, questo ci porta sempre più ad avere delle linee omogenee. Come dicevo prima, la struttura funzionale di tutela minori è anche la struttura che fondamentalmente gestisce tutti gli operatori psicologi che lavorano all’interno degli interventi sociosanitari e permette di avere un coordinamento centralizzato per definire i criteri e avere delle linee-guida, delle modalità di lettura delle situazioni omogenee. La scelta rispetto a questo ha riguardato questo aspetto. Sicuramente è importante, se noi parliamo di maltrattamento e abuso, cercare di sostenere, come diceva prima anche il dottor Melideo, gli operatori stessi, perché gli operatori hanno a che fare con un lavoro che non è estremamente semplice, laddove le complessità di cui vi diciamo rispetto a queste famiglie sono particolarmente critiche, alle volte non facili da supportare.

    Per noi operatori della neuropsichiatria infantile, a volte è particolarmente difficile anche riuscire a coinvolgere la famiglia dentro quella che è la sofferenza del minore, che alle volte non è letta. È importante portare queste famiglie a rivedere questo aspetto. In questo dovrebbe consistere il supporto a queste famiglie: far sì che portino avanti un progetto che sempre di più sviluppi un percorso a tutela del minore dentro il suo nucleo.

    Quindi, al secondo livello noi abbiamo dato questa interpretazione. È sicuramente da valutare se ci possono essere degli approfondimenti ulteriori. Sul tema del maltrattamento e abuso, il fatto di avere ulteriore formazione è indubbiamente importante. Nell’arco di questi anni i nostri operatori hanno portato avanti delle formazioni a vario titolo, sia organizzate dall’azienda, sia, alle volte, fatte anche proprio a livello personale rispetto a degli interessi personali. Nell’arco di questi anni ho degli operatori che in questo campo hanno sviluppato anche una competenza adeguata.

     

    Presidente BOSCHINI. Le chiederei di riassumere.

     

    Dott.ssa GILDONI. Il secondo livello non è detto che debba essere cogente, però può essere qualcosa che diventa anche una forma di supervisione rispetto alle situazioni più complesse. Questo potrebbe diventare una evoluzione futura.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille. Non so se la dottoressa Chiodo vuole aggiungere qualcosa. Immagino che a Bologna l’UVM, essendo un altro secondo livello sia più classico…

     

    Dott.ssa CHIODO. Volevo proprio valorizzare la presenza di questo centro, Il Faro, come ho detto all’inizio, più che altro nella consultazione che offre a tutti i servizi coinvolti, quindi è un ottimo strumento per avere anche una seconda opinione su casi che oltre ad essere complessi, come si diceva, hanno un enorme coinvolgimento, anche emotivo, degli operatori stessi. Volevo quindi valorizzare ulteriormente questa presenza.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie mille. Pergo, consigliere Callori.

     

    Consigliere CALLORI. Grazie, presidente e grazie anche ai nostri ospiti. Io non sono completamente d’accordo con l’affermazione che ha fatto, nella penultima domanda, il dottore, quando parla del medico che ha segnalato il bambino maltrattato. Io penso che abbia fatto il proprio dovere. Nel senso che ogni professionista deve, in coscienza, fare il suo dovere. Quindi, non siamo qui a dire che dopo Bibbiano gli operatori devono avere un metro di misura diverso. Prima, durante e dopo avrebbero dovuto avere un metro di misura giusto.

    Quello che sta emergendo è che molto probabilmente, ma ripeto, sarà sempre la magistratura che verificherà, non tutti hanno usato questo metro di misura giusto. Questo non lo possiamo negare, se no non sarebbe nato il caso. Allo stesso modo, penso che gli assistenti sociali, voi, ognuno nel proprio ruolo dobbiate fare quello che ritenete opportuno. Chi lavora può sbagliare, uno può fare una valutazione che non corrisponde al vero, ma è chiaro che ci si blocca per tempo. Invece, quando uno dà un giudizio in malafede, è chiaro che in malafede c’è la volontà di fare qualcosa di sbagliato.

    Secondo livello, UVM. È vero, in tutte le province ci sono queste UVM: alcune funzionano, alcune sono sulla carta, non possiamo negarlo. Perché dico che alcune sono sulla carta? Perché quelle sulla carta molte volte sono composte da assistenti sociali che devono giudicarsi tra di loro, e nessuno giudica contro la collega o il collega in modo difforme. Il secondo livello, invece, dovrebbe essere un secondo livello super partes, che possa verificare e giudicare veramente le relazioni che fanno gli assistenti sociali, perché queste relazioni che vanno al giudice, se non dico male, molte volte, come ci hanno detto gli auditi più volte, vengono prese non dico per oro colato, ma nessuna volta è successo che si sia giudicato in modo difforme.

    Ultime due domande. Vorrei sapere se anche voi quando fate gli incontri, che sono incontri protetti, si diceva che dovrebbero essere filmati, video registrati, quindi se li videoregistrate, e la formazione, privata o come azienda, che dite che i vostri operatori fanno, con chi la fanno; se è mai successo che anche il CISMAI o altri enti simili abbiano fatto formazione ai vostri collaboratori.

     

    Dott. MELIDEO. Mi sono espresso male se si è capito che io volessi giudicare della condotta che ha avuto il collega medico. Volevo solamente riferirmi al fatto che si è trovato in una situazione molto difficile: non so fino a che punto le linee-guida in quella situazione lo hanno aiutato. Lì si trattava di scegliere tra assumersi un rischio oppure agire immediatamente. Non c’è una risposta univoca, perché bisogna trovarsi in quella situazione. È una cosa che rispetto, ci mancherebbe.

    Volevo solamente significare il fatto che ci muoviamo in un ambito di difficoltà tali per cui si accumulano ansia e stanchezza. Io non ho inteso riferirmi alle situazioni di rischio. Qualche volta, come responsabile, io stesso ho deciso di cambiare degli operatori in certe situazioni perché ho ritenuto che fossero esposti in una certa maniera. Ma non volevo assolutamente riferirmi al fatto, anzi, è proprio come ha detto lei: ognuno agisce in scienza e coscienza. Se ci sono dei truffaldini, se ci sono degli approfittatori, quelli purtroppo ci saranno sempre.

    Io so che la mia professione, e lo so perché l’ho vissuto personalmente, sicuramente è una professione a rischio, quindi devo tener conto anche di questo. Però me lo sono scelto, nessuno me l’ha imposto.

    Rispetto all’UVM, però, io ho un dubbio: a me non risulta che assistenti sociali giudichino altri assistenti sociali. L’Unità di valutazione multi… Peraltro, la delibera su questo… Mentre ci sono degli aspetti che potrebbero essere definiti meglio, per esempio quello della psicopatologia, perché non si chiarisce quanto, per cui all’inizio abbiamo avuto dei problemi di intesa con gli enti locali, bastava che uno avesse una diagnosi, anche se di enuresi o di disturbo dell’apprendimento, che doveva essere… Man mano abbiamo trovato, del resto bisogna far così, altrimenti… Però, nell’Unità di valutazione multifunzionale c’è comunque il detentore del budget, perché si tratta anche di decidere se fare un inserimento o no. Il sottoscritto lo sa che pena è con gli enti locali stabilire quante volte far rientrare nel budget… Perché di là c’è l’azienda; io l’anno scorso ho sforato di tantissimo il budget, e allora far capire all’azienda che era entrato anche il penale nelle nostre competenze, perché sapete che la medicina penitenziaria la dobbiamo fare, però, quando è stata fatta la cosa, si sono dimenticati della neuropsichiatria infantile. Per cui adesso sapete che c’è un grosso aumento di adolescenti che entrano nel circuito penale, sono un po’ variati anche gli atteggiamenti, l’approccio rispetto a questa fetta, per cui molte volte escono con la messa alla prova in comunità. Casi che non sono naturalmente proprio il fior fiore… per cui, molto spesso erano già in carico a noi, e la retta è nostra. Già questa è una difficoltà, quindi non vedo come l’assistente sociale… La partecipazione, per essere un UVM dal punto di vista… E d’altra parte è una cosa codificata, ci sono i verbali.

    Io non capisco. Non credo che ci sia questa cosa di assistenti sociali che ne giudicano altri. Esistono degli spazi dove questo può avvenire, e questo avviene nella supervisione tra pari, nelle cose che sono delle modalità anche di audit, quindi di revisione. Però sono delle situazioni in cui l’operatore partecipa volontariamente, mette a disposizione il suo modo di fare, il suo operato, per prendersi anche delle critiche – la legge Gelli, peraltro, prevede questa cosa, gli audit, che sono al riparo, cioè quello che esce da lì non può essere utilizzato dall’autorità giudiziaria. Faccio quindi un po’ fatica.

    E poi, ripeto, il senso delle UVM: oltre a questa cosa del carico economico, è soprattutto quello della condivisione. Il punto critico in passato infatti è stato quello della condivisione tra ente locale e aziende del carico. Questi cioè venivano seguiti sostanzialmente in maniera parallela dal servizio sociale per un verso, molto spesso anche non parlandosi i due servizi, o i due enti. Certamente rimangono degli spazi o delle zone critiche, però non credo che sia questo.

    Chiedeva poi della formazione. Come dicevo prima, quello che deve garantire, secondo me, un ente pubblico, è non fare una sola formazione, ma fare più formazione, occuparsi non di un trattamento ma di più trattamenti, di più approcci, che naturalmente abbiano un minimo di affidabilità, di riconoscimento dal punto di vista… Un impegno, per esempio, dell’azienda della Romagna, ultimamente, è stato quello di formare un gruppo di psicologi non trascurabile nelle tecniche di EMDR. Naturalmente, ognuno di noi ha poi delle idee su questi trattamenti, ognuno di noi si sente più… Però è obbligo secondo me del direttore di unità operativa, così come di quello del dipartimento assicurare soprattutto quando poi le evenienze sono tali. Noi tutti nella neuropsichiatria infantile sull’autismo abbiamo fatto dei percorsi, e ognuno di noi ha avuto gli spazi per dire la propria. Ma poi, quando vengono fuori delle direttive, un pochino ci dobbiamo uniformare. Da questo punto di vista, il riferimento era mi sembra al CISMAI: questi sono agenti, attori come altri, ne esistono tantissimi.

    Noi l’anno prossimo faremo una formazione sulla farmacologia. È anche difficile trovare delle altre associazioni che si occupino di queste cose. Io per la farmacologia per esempio ho dovuto scovare Pavia, ma per convincerli; perché? Invece ci sono degli altri, che sono sempre quelli che fanno… Credo quindi che il compito sia assicurare la formazione.

    Quanto al fatto di fare una formazione con qualcuno, ma anche con una scuola, adesso ce ne sono altre, il Minotauro, questo non vuol dire che poi l’operatore si debba uniformare o che comunque assorba questa cosa in maniera assolutamente acritica.

     

    (interruzione)

     

    Dott. MELIDEO. Lo dico perché mi ricordo che noi le prime informazioni sull’abuso le facevamo con il Bambin Gesù, Montecchi, dopo sono spariti, perché in quel momento loro se ne occuparono di più, quindi variano. Spero di aver risposto.

     

    (interruzione)

     

    Presidente BOSCHINI. Consigliere Facci, non aggiungiamo domande a domande. Prego.

     

    Dott. MELIDEO. Quanto agli incontri protetti, il Tribunale dei minorenni stabilisce se un genitore, peraltro in qualche modo interdetto a vedere il bambino, a vedere il minore, può stabilire che il papà, la mamma, un genitore, può incontrare il bambino solo alla presenza di un educatore, generalmente: questi sono gli incontri protetti.

    Esistono poi le audizioni protette, che sono un’altra cosa. L’ordinamento nostro, gli ordinamenti di procedura, sia quello penale che civile, impone che il minore escusso/auscultato venga sempre… Questa cosa deve avvenire sempre con un esperto di neuropsichiatria infantile o psicologo dell’età evolutiva, a protezione del minore. Questo prevedono le norme.

    L’audizione protetta è quella che generalmente viene fatta in sede di incidente probatorio, in modo da permettere alle parti di rivedere… La cosa alla quale ci si riferisce, l’unica, generalmente sono le audizioni fatte, per le quali generalmente qualcuno di noi viene chiamato a collaborare su argomenti di procedimenti penali o di procedimenti… Questa è l’audizione protetta. Per la quale molti dei nostri servizi si sono attrezzati con lo specchio bidirezionale, perché le parti devono essere presenti, quindi stanno dietro lo specchio, poi, a seconda di quello che decide il Giudice. Però l’audizione protetta è questa, perlomeno ci riferiamo a questo.

     

    Presidente BOSCHINI. Non so se qualcuno vuole aggiungere qualcosa brevemente a questa risposta.

     

    Dott.ssa GILDONI. Intanto, gli incontri protetti non dipendono da noi, ma è un servizio sociale. In alcune situazioni abbiamo dato la disponibilità dei nostri ambienti dove si poteva fare una videoregistrazione. Queste sono tutte cose eventualmente da sviluppare, indubbiamente.

    Lei parlava dell’UVM e della possibilità di maggior controllo. È un termine non molto in linea con la responsabilità di ogni professionista. Una supervisione sì, la posso comprendere laddove ci sono situazioni di maggior complessità, questo indubbiamente. Però ogni professionista ha una sua responsabilità rispetto a quello che fa e che sottoscrive. Questo è comunque dentro un percorso.

    Quanto al discorso che si ci siano situazioni complesse dove si possa chiedere, da parte nostra c’è, e nella nostra azienda sicuramente si attivano momenti di valutazione ulteriore, questo è indubbio, nel senso che se ci sono necessità, questo si fa e non si lasciano da soli i nostri operatori. Rispetto alla formazione questi temi ci rendono indubbiamente la necessità di valutare più formazioni. In un discorso di curiosità ovviamente noi facciamo più tipi di formazione, che possano aiutare gli operatori a confrontarsi maggiormente con quel tipo di situazioni.

    È ovvio che valutiamo e chiediamo noi, nella fattispecie io come responsabile della struttura faccio una richiesta di un tipo di formazione, la quale viene poi fatta con una gara a cui rispondono determinate persone. Su questo si può fare.

    Gli operatori ovviamente nell’ambito della formazione fanno le loro valutazioni, acquisiscono alcune cose e altre no, e comunque si portano avanti percorsi anche differenziati e diversi, come sicuramente avverrà anche in futuro.

     

    Presidente BOSCHINI. Grazie. Prego, consigliere Facci.

     

    Consigliere FACCI. Velocemente, una precisazione rispetto a quello che ha detto la dottoressa Gildoni prima, quando ha evidenziato come nella vostra realtà territoriale vi siate dovuti concentrare molto sull’aspetto della cura del minore e quindi ritenete che debba essere prevalente la metodica o comunque le indicazioni che fornisce il CISMAI, se non ho capito male questo aspetto.

    Ho sintetizzato molto velocemente per chiederle questo. Lei ha un’esperienza territoriale ben precisa, quindi c’è tutta la questione legata al territorio di Reggio Emilia, ma ho visto che ha dato parecchi contributi rispetto alla Val d’Enza, qui c’è stata una questione sulla quale abbiamo dibattuto e chiesto a precedenti ospiti, ma non c’è stata una risposta chiara e precisa, quindi provo a farla a lei perché magari con la sua esperienza riesce a chiarire meglio.

    Il centro La Cura di Bibbiano è stato più volte e da più parti indicato come una realtà importante in quanto sperimentale, perché doveva essere qualcosa di nuovo, innovare anche una metodica. La domanda molto semplice è: in cosa consisteva, per la sua esperienza e per la sua conoscenza dei fatti, questa sperimentalità, in cosa questo centro doveva distinguersi, perché doveva essere innovativo? Se può rispondere a questa domanda, grazie.

     

    Dott.ssa GILDONI. Intanto prima ho detto che noi ovviamente dobbiamo tutelare il discorso della cura, però questo non significa che non dobbiamo tutelare anche un percorso adeguato in collaborazione con... Quindi, sono due aspetti che devono comunque avere un continuum.

    Se noi guardiamo la Carta di Noto, dice anche che bisogna avere dei tempi molto ristretti per ascoltare il minore, e purtroppo siamo tutti soggetti a un discorso di rischio di risorse e anche la stessa magistratura purtroppo, avendo tante richieste, non sempre ha tempi brevi.

    È comunque un discorso che va rivisto e riconsiderato, tutelando il lavoro di ognuno, perché la magistratura fa il suo percorso e noi il nostro.

    La Cura era una sperimentazione per portare avanti un percorso di sviluppare un luogo che fosse adeguatamente accogliente, per potervi portare una serie di attività. Questo è quello che era la sperimentazione che hanno fatto su quel territorio.

    Dopodiché c’era un discorso di rivalutare questa necessità su un percorso che potesse essere accogliente, sul quale poter portare delle attività specifiche, che possono anche ritornare a un discorso di un secondo livello o vivere un luogo particolarmente dedicato a cui far riferimento. Su questo ci sono state un po’ di divergenze fra l’ambito sanitario e l’ambito del Comune (penso sia lampante).

    La sperimentalità fondamentalmente era questa. Poi quel luogo è stato dato dal Comune a terapisti privati, con i quali sono state portate avanti delle terapie, però è questo, io non ho altro.

     

    Consigliere FACCI. Chiedo scusa, giusto per completare il ragionamento a beneficio di tutti, cioè secondo lei non era questa la sperimentalità/innovazione, cioè quella di dare a un soggetto privato, che si riteneva fosse adeguato, la gestione di terapie di secondo livello, un’équipe di secondo livello, per certi aspetti particolari, esclusive, innovative? Perché è stata data la gestione, non è che fossero coinvolti come consulenti esterni, punto, di fatto è stata questa gestione.

    Chiedo il suo parere su questo, cioè se secondo lei non potesse essere questo uno degli elementi della novità o della sperimentalità.

     

    Dott.ssa GILDONI. Penso fondamentalmente a questo, nel senso che nel 2013-2014 sono emerse alcune situazioni molto complicate e molto particolari, che hanno avuto anche i loro percorsi con la magistratura, che hanno avuto un compimento, sulle quali la richiesta di quel servizio era avere a fianco qualcuno che avesse una forte esperienza in questo campo.

    Laddove in quel frangente noi non avevamo un personale particolarmente formato su questa materia e avevamo solo operatori quasi in dimissione, perché quasi arrivati al pensionamento, un servizio sociale ha deciso di rivolgersi a enti che avessero una forte esperienza su questo.

    In un primo momento avevo cercato di chiedere a Il Faro la possibilità di avere una loro consulenza, ma in quel frangente la risposta datami è stata che rispondevano esclusivamente alle necessità del loro territorio e che anzi non riuscivano neanche in questo, quindi comunque il servizio sociale ha mandato avanti questa cosa.

    Da lì la necessità, rispetto a situazioni che sono emerse, di avere qualcuno che avesse un’esperienza molto forte ritengo che abbia creato una forma di legame.

     

    Presidente BOSCHINI. Non ho altre domande, per cui vi ringrazio davvero per la vostra presenza e per la cortesia con cui ci avete anche aspettato. Grazie mille per il tempo che ci avete dedicato, che era prezioso anche per voi. Buon lavoro e buona serata.

     

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