Testo:
RISOLUZIONE
Premesso che
con il dichiarato intento di dare attuazione al disposto del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione - come riformulato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3 - il 23 marzo 2023 - il Governo ha presentato al Senato il disegno di legge A.S. n. 615, recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” (disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 126-bis del Regolamento), approvato dal Senato in data 23 gennaio 2024;
il medesimo testo, assunta la numerazione A.C. 1655, è stato approvato definitivamente dalla Camera dei Deputati in data 19 giugno 2024, firmato dal Presidente della Repubblica e divenuto legge 26 giugno 2024, n. 86, pubblicata nella G.U. n.150 del 28.06.2024 ed entrata in vigore il 13.07.2024;
su tale testo la Regione Emilia-Romagna in sede di approvazione al Senato e dopo l’approvazione esprime, attraverso il suo Presidente Stefano Bonaccini, parere negativo e, l’Assemblea Legislativa regionale il 10 luglio 2024 approva la richiesta di referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata;
Premesso inoltre che
l’esecutivo ha impostato l’attuazione del regionalismo differenziato su due distinti piani: il primo concernente il procedimento di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) riguardanti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e il secondo relativo alla presentazione al Parlamento di un disegno di legge per l’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione;
all'art. 3 la legge delega il Governo ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore, uno o più decreti legislativi, per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (c.d. LEP) nelle materie previste dalla Corte Costituzionale riformata nel 2001, tra cui i diritti sociali. La norma di delega demanda ai decreti attuativi, inoltre, la determinazione delle procedure e delle modalità operative per il monitoraggio dell'effettiva garanzia in ciascuna Regione della erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni. La stessa disposizione prevede, altresì, che i LEP, tra cui quelli in campo sociale (LEPS) siano periodicamente aggiornati con D.P.C.M., sui cui relativi schemi sono acquisiti i pareri della Conferenza unificata, nonché delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. Nelle more dell'entrata in vigore dei suddetti decreti legislativi, si prevede che continuino ad applicarsi, ai fini della determinazione dei LEP nelle materie suscettibili di autonomia differenziata, le disposizioni previste dalla legge di bilancio 2023 (articolo 1, commi da 791 a 801-bis). A tal proposito, per la concreta determinazione dei LEP, la legge di bilancio 2023 ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, una Cabina di regia per la determinazione dei LEP, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri e costituita dai Ministri coinvolti nel percorso di realizzazione di tali livelli per i profili di competenza, dai Ministri competenti nelle materie volta per volta chiamate in causa, dai Presidenti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell'UPI e dell'ANCI. A supporto della stessa, il DPCM 23 marzo 2023 ha istituito il Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (cd. CLEP), incaricato di fornire supporto alla Cabina di regia per le esigenze di studio e approfondimento tecnico delle questioni relative all'attività volta alla determinazione dei LEP;
in precedenza, il 28 febbraio 2018, sono stati sottoscritti con le tre regioni – Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna - che avevano avviato il percorso per il riconoscimento delle forme di autonomia, tre distinti accordi preliminari che hanno individuato i principi generali, la metodologia e un primo elenco di materie in vista della definizione dell'intesa;
in seguito, tutte e tre le regioni con le quali erano state stipulate le c.d. pre-intese hanno manifestato al Governo l'intenzione di ampliare il novero delle materie da trasferire: nel dettaglio è stata richiesta la devoluzione rispettivamente di 20, 23 e 15 materie tra quelle indicate nell'art. 117 della Costituzione, tutte di interesse anche nazionale;
la Regione Emilia-Romagna, con un percorso istituzionale esecutivo e assembleare, il 18 settembre 2018 ha approvato il progetto definitivo votando una risoluzione per la maggiore autonomia – con la richiesta della Regione di poter acquisire la gestione diretta, e con risorse certe, di 15 competenze in aree strategiche come politiche per il lavoro; internazionalizzazione delle imprese, ricerca e innovazione; istruzione; sanità; tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; relazioni internazionali e rapporti con la Ue –, impegnando il presidente Bonaccini a proseguire il confronto con il Governo e aggiornando il parlamento regionale trasmettendogli lo schema d’Intesa con l’esecutivo nazionale prima della sua formale sottoscrizione;
da anni sul tema dell’autonomia differenziata si svolge un ampio dibattito, intensificatosi in seguito alla presentazione del disegno di legge citato al Parlamento. In particolare, prese di posizione di netta contrarietà sono state espresse da realtà sociali, sindacati, associazioni di base nonché da numerose Regioni ed enti locali attraverso atti di indirizzo e di impegno al Governo, a testimonianza dello stato d’allarme e di preoccupazione presente in larga parte della società italiana per le ricadute pregiudizievoli che il disegno di legge governativo presentato, se approvato, rischia oggi di innescare sull’uniformità dei diritti, sull’unità giuridica ed economica della Repubblica, sulla coesione sociale del Paese;
le maggiori criticità riguardano in primo luogo il ruolo del Parlamento, come delineato dal disegno di legge in esame in 1° commissione, che viene esautorato di fatto e ridotto a mero organo di ratifica delle intese raggiunte tra Governo e regioni; la mancata gradualità nei tempi e nei contenuti del processo di differenziazione, la mancata delimitazione del perimetro di funzioni differenziabili nell’ambito del novero delle materie incluse fra quelle di cui sarebbe consentito trasferire poteri e risorse alle regioni richiedenti: tra tutte, in particolare, a destare perplessità, l'istruzione, la sanità, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, la protezione civile, la tutela e della sicurezza sul lavoro;
inoltre, in relazione ai profili finanziari, pur avendo genericamente preordinato alla determinazione dei LEP la sottoscrizione delle intese, il disegno di legge in esame sceglie di adottare il criterio della spesa storica: l’articolo 8 in particolare, impone l’invarianza finanziaria per il finanziamento dei LEP. Questo significa in sostanza sancire la cristallizzazione delle differenze fra regioni: sono le stesse relazioni del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio (DAGL) e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) a evidenziare, insieme a un lungo elenco di criticità, il conflitto tra le richieste delle Regioni e il rispetto dei principi di eguaglianza, perequazione e solidarietà nazionale sanciti dal nuovo Titolo V;
con riferimento specifico alle Regioni del Mezzogiorno, a questo quadro, si aggiungono i rischi di un congelamento dei divari di spesa pro-capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali tese alla rimozione dei divari infrastrutturali e di offerta dei servizi;
il 4 luglio 2024, il Comitato per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (CLEP) istituito come organo di supporto per accompagnare la riforma ha ricevuto le dimissioni di quattro componenti: con una lettera pubblica indirizzata al Ministro in indirizzo e al presidente del Comitato Sabino Cassese, gli ex presidenti della Corte Costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, l'ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e l'ex ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini hanno deciso di dimettersi a causa della persistenza di criticità che comprometterebbero l’esito stesso dei lavori del Comitato. La ragione principale della loro decisione sarebbe da ricercarsi in una contraddizione insita nel meccanismo individuato per garantire la predeterminazione di tutti i LEP relativi all’esercizio di diritti civili e sociali: essendo le risorse disponibili definite dai vincoli di bilancio, è evidente che la determinazione dei LEP richiederà una valutazione complessiva di ciò che il Paese è effettivamente in grado di finanziare, valutazione che non può essere fatta materia per materia, perché ci si troverebbe alla fine nella condizione di non potere finanziare i LEP necessari ad assicurare l’esercizio dei diritti civili e sociali nelle materie lasciate per ultime; inoltre non viene condiviso il ricorso al criterio della spesa storica, che riflette e cristallizza le disuguaglianze territoriali nel godimento dei diritti fondamentali che l’art. 117 Cost. mira a superare; in ultimo, si ritengono criticabili le modalità di devoluzione al Sottogruppo istituito per l’individuazione dei LEP nelle materie non ricomprese nel perimetro dell’art. 116 Cost: come per gli altri LEP, il risultato sarà di fare una mera opera di ricognizione di quelli già rinvenibili a legislazione vigente. Sarebbe stato invece utile, a parere dei componenti dimissionari, proporre alla cabina di regia e tramite questa, inevitabilmente alla valutazione del Parlamento con riserva di legge, i nuovi LEP necessari per assicurare effettivamente il superamento delle disuguaglianze territoriali nell’esercizio dei diritti civili e sociali: vi sono infatti materie nelle quali il legislatore non ha mai proceduto a determinare i LEP e molte altre nelle quali questa determinazione è stata finora solo parziale;
diversi illustri costituzionalisti auditi nel corso dell’esame del disegno di legge AS 615 hanno sollevato rilievi di incostituzionalità sul provvedimento, che rischia di consolidare le differenze territoriali esistenti se non di aggravarle ulteriormente, privando peraltro il Parlamento del ruolo previsto dall’articolo 117, 2° comma Cost. (competenza legislativa esclusiva) e delle competenze in materia di allocazione delle risorse necessarie per garantire i diritti che i LEP debbono garantire in tutta l'Italia in modo uniforme; espone potenzialmente il Paese a gravi rischi, innanzitutto di tenuta sociale e finanziaria, anche per gli anni successivi, mettendone a rischio lo sviluppo unitario e potendo aggravare in maniera insostenibile il debito pubblico;
in seguito all’entrata in vigore del provvedimento, le Regioni Puglia, Toscana, Campania e la Regione autonoma Sardegna hanno impugnato la Legge 26 giugno 2024, n. 86 nella sua totalità e anche con riferimento a specifiche disposizioni innanzi alla Corte Costituzionale;
con sentenza n. 192 del 14.11.2024, depositata il 03.12.2024, pubblicata in G. U. in data 4.12.2024 n. 49, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie, ma ha considerato invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo, che per ampiezza e rilevanza di fatto smantellano l’intero impianto legislativo;
secondo il Collegio, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio. I Giudici ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni. In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini;
la Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:
la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;
il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei LEP;
il ricorso alla procedura prevista dalla Legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con Dpcm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
l’estensione della Legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali;
la Corte ha inoltre interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:
l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;
la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi comunitari;
ha concluso inoltre la Corte Costituzionale, sottolineando che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.
Considerato che
in questo contesto, a fronte dei gravi rilievi di illegittimità riscontrati dalla Corte Costituzionale nel testo di legge approvato, dell’ampiezza della declaratoria che colpisce tutti i più importanti punti del provvedimento, tanto da smantellarne di fatto l’impianto, si ritiene che la legge sia divenuta sostanzialmente inapplicabile. Di conseguenza, avviare le negoziazioni tra le regioni e lo Stato per l'eventuale trasferimento di competenze sarebbe oggi gravemente illegittimo e irrispettoso delle prerogative della Corte Costituzionale;
l’approvazione di intese sulla base di una legge dichiarata in grandissima parte illegittima dalla Corte Costituzionale rappresenterebbe poi un gravissimo precedente, in grado di mettere in discussione la stessa tenuta dei principi fondanti la democrazia parlamentare;
produrrebbe inoltre risultati contrari a numerosi fondamentali principi costituzionali: prima di tutto la cristallizzazione delle differenze esistenti fra i territori, in aperto ed evidente contrasto con quanto stabilito dall'articolo 5 della Costituzione, laddove è stabilito che la Repubblica è «una e indivisibile»; la violazione dell'articolo 3 della Costituzione, che prescrive il principio di eguaglianza e che impone allo Stato il compito fondamentale di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»;
le intese illegittime consentirebbero alle regioni più ricche di trattenere più poteri e risorse per garantire i loro cittadini, mentre i territori più fragili, segnatamente quelli del Mezzogiorno e delle aree periferiche o interne e insulari, avrebbero maggiori difficoltà per riassorbire le diseguaglianze e raggiungere i livelli di sviluppo e di benessere sociale della parte del Paese più ricca;
si accrescerebbero quindi le diseguaglianze e divari territoriali potenzialmente irreversibili, si aprirebbe la strada alle diseguaglianze nei diritti fondamentali su base territoriale, unico discrimine sarebbe la residenza delle persone;
in questo senso, l'unità nazionale non può prescindere dai compiti che i successivi articoli 2, 3, 4 della Costituzione assegnano alla Repubblica: la garanzia dei diritti inviolabili e l'assolvimento dei doveri inderogabili di solidarietà, la rimozione degli ostacoli all'eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini. In evidente contraddizione con il testo costituzionale, la Legge n. 86 del 2024 prevede un novero di materie delegabili che esorbita dai confini segnati dai princìpi costituzionali sopra menzionati: la sanità, la scuola, l'università e la ricerca, i beni culturali, l'ambiente e gli ecosistemi, l'organizzazione della giustizia di pace, le politiche attive del lavoro, i trasporti, porti e aeroporti, protezione civile, il governo del territorio, il trattamento dei rifiuti, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia, il sostegno alle attività produttive, la riorganizzazione degli enti locali, e altro;
è quindi evidente come il passaggio alle regioni finirebbe per tradursi in un inevitabile aggravamento del divario sociale e territoriale, con una lesione diretta dei princìpi di eguaglianza, solidarietà e democrazia sostanziale;
Ricordato che
il 26 settembre 2024 sono state presentate 1.300.000 firme che chiedevano il referendum abrogativo della Legge n. 86 del 2024 su cui, il 20 gennaio scorso, la Corte Costituzionale si è espressa con un parere di inammissibilità per la modifica risultante dalla sua sentenza n.192 del 2024;
l’attuale Presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele De Pascale, ha dichiarato, in occasione della prima riunione di Giunta, che è sua intenzione revocare la richiesta di autonomia differenziata;
TUTTO CIÒ PREMESSO,
IMPEGNA LA GIUNTA REGIONALE
a revocare ogni atto esecutivo relativo alle interlocuzioni e la pre-intesa siglata con il Governo denominato “Accordo preliminare tra Governo e Regione Emilia-Romagna sull’autonomia rinforzata”;
E CHIEDE AL GOVERNO
di interrompere, senza indugio, ogni interlocuzione o negoziato in corso con le regioni interessate e a non intraprenderne di nuovi, e ad attuare una moratoria delle intese in atto, valutandone comunque gli eventuali effetti applicativi, fino alla compiuta definizione di ogni procedimento attinente alla legittimità della Legge 26 giugno 2024, n. 86 e alla sua eventuale riscrittura ad opera del Parlamento in conformità con la sentenza della Corte Costituzionale n. 192 del 14.11.2024.